111
- Ricardo è come il mio secondo padre, lo sai già. Te l'ho detto un ed un'altra volta. Ma sei venuto qualche volta all'ospedale con me? Mi hai teso una mano? Sei stato lì con me?
So che l'ospedale ti porta brutti ricordi per quello di Joseph, ma io ti avrei aiutato a superarlo se fosse andato solo con me e mi avrebbe mostrato che ti importava.
- Ma sì che mi importi - ella insistè, ma cadde in sacco rotto.
- Anna non è il mio amante. Te l'ho ripetuto fino alla sazietà, ma tu ti impegni a non credermi. Io non posso vivere così, non posso affrontare l'accusa nei tuoi occhi ogni volta che arrivo tardi dieci minuti a casa. Ti spiegai come stavano le cose il primo giorno che stemmo insieme. Credei che ti fidassi di me.
Ammetto che ho detto cose orribili, ma era per l'agitazione della lite, una lite che continuamente hai istigato. Ti stai allontanando da me. Ogni giorno ti sento un po' più lontano, ogni giorno sento più la tua distanza - rimase guardandola per un momento prima di dargli un bacio nella guancia -. Ambedue meritiamo meglio qualcosa, Felice. Lo sai tanto bene come me.
Vederlo andare, vedere come andava via era come vedere mettere la bara bassa terra. Voleva lanciarsi su lui, pregare per una seconda opportunità, per potere retrocedere nel tempo. Ma lottando con le nausee e la pena la cosa unica che poteva fare era cadere dal letto. La porta si chiuse e finalmente le lacrime uscirono. Il dolore del suo stomaco era una sciocchezza paragonato con quello del suo cuore.
L'aveva perso, aveva perso l'unico uomo che aveva amato, e le sue nausee si triplicarono. Ascoltando all'elicottero allontanarsi, portarsilo del suo lato, si sentì completamente inondata per il dolore. Il sudore gli correva per la fronte ed il mal di stomaco lo fu accresciuto ancora più. Sentiva come se il suo mondo si fosse screpolato improvvisamente.
Riuscì ad arrivare in tempo al bagno giusto.
Capitolo 11
A LGO andava male.
Dopo rischiararsi il viso nel bagno, Felicity si guardò allo specchio. Era completamente pallida, ma nel suo interno sentiva 112
come se ardesse. Appoggiò la guancia contro lo specchio e chiuse gli occhi in un tentativo perché la stanza smettesse di dare rovesciate ed il mal di stomaco sparisse.
Non poteva stare perdendo il bebè. La piccola vita sembrava che prendesse proporzioni gigantesche. Dire a Luca che l'amava sarebbe più facile senza portare dentro un bebè, meno complicato senza dovere comprendere una gravidanza, ma la madre natura stava giocando le sue lettere in quello momento, dando a Felicity un corso avanzato in istinto materno, ed ella si sedette nel suolo, con le ginocchia ristrette per cercare di proteggere in qualche modo la piccola vita che portava nel suo interno.
Con o senza Luca, quello bebè era tutto per lei.
Non era solo un Santanno, era suo figlio, e perderlo sarebbe come perdere la sua anima.
- Signora! - disse Rosa mentre si avvicinava, e Felicity dovette arrotolarsi in un accappatoio ed aprire come se niente fosse la porta del bagno -. Il signor Santanno ha appena telefonato, dimenticò la sua valigetta. Ha bisogno di alcuni carte per una riunione. Cosicché mio marito va a Roma a portarsili.
--Molto bene - disse Felicity con voce completamente normale.
- Signora Felicity! - esclamò Rosa -. Ha un aspetto orribile.
- Tutto il mondo me lo dice - disse Felicity con amarezza -.
Sto bene, Rosa. Ho male lo stomaco, è solo quello - stette per gettare la colpa a qualcosa che aveva mangiato, ma pensando la cosa isterica che si metterebbe Rosa cambiò opinione -.
Influenza intestinale o qualcosa così.
- Vuole che chiami il dottore?
Felicity dubitò. Un medico era giusto quello che necessitava, ma non con Rosa pullulando per di là. Luca meritava ascoltare la verità di bocca di lei.
- Rosa, può dire a Cornice che speri? Sarò pronta in cinque minuti. Mi piacerebbe andare a Roma. Se non gli importa portarmi, sarebbe fantastico.
- Ma è malata.
Era malata, naturalmente. Malata di bugie, di occultarlo tutto, 113
di evitare il confronto.
- Devo vedere mio marito - ella disse con fermezza -. Mi vesto.
Il viaggio sembrò durare un'eternità. Dovette lottare contro le nausee davanti agli occhi inquisitori di Cornice. La cosa unica che sapeva era che doveva vedere Luca, dirgli la verità ed incominciare da lì. Insieme andrebbero all'ospedale. Insieme affronterebbero le verità su suo figlio.
Gradualmente le montagne furono sparendo e lasciando passo a qualche paese occasionale fino ad arrivare alla città piena di traffico. Gli inevitabili clacson, le donne ed uomini begli, i caffè pieni di amanti ed uomini d'affari, turisti e saccopelisti, tutti nella più bella città del mondo.
Giostro come ella le aveva lasciato prima un anno.
Quando l'automobile ridusse la velocità potè vedere la Fontana di Trevi ed a Felicity gli fu fermato quasi il cuore.
"Una moneta significa che ritornerai, due che ti sposerai con un italiano, tre che vivrai felice per sempre" la voce di Joseph risuonava nella sua mente. Gli ultimi giorni di vita di Joseph che erano stati troppo duri di ricordare fino a quell'istante.
Lo gettava molto di meno.
- Ére - disse Cornice quando arrivarono al hotel. Ella aprì la porta prima che l'automobile si fermasse del tutto, e quando l'uomo con l'uniforme verde si rese conto di chi era, chiamò il portiere, Rafaello.
- Bongiorno, signorina Felicity - disse Rafaello mentre usciva a salutarla -. Che sorpresa tanto gradevole. Mi permetta che gli porti io la valigetta al signor Santanno. Glielo darò direttamente.
- Bongiorno, Rafaello - rispose Felicity mentre si dirigeva verso le porte girevoli -. Ma non c'è necessità. Io stessa lo porterò a Luca.
- Non è problema, signora egli disse un po' con un sorriso forzata, e Felicity socchiuse gli occhi e strinse la valigetta con forza -. Incaricherò un tè per lei. Il signor Santanno sta in una riunione.
In quello momento stavano attraversando il patio, e Felicity sentì che il suo ultimo raggio di speranza spariva mentre 114
Rafaello parlava.
- Gli farò sapere che stia lei qui, e sicuro che verrà direttamente. Ma lasciò molto indubbiamente non voleva che lo disturbassero.
- In questo momento? - domandò Felicity con voce tranquilla. Era andato lì per affrontare la verità, ma a giudicare dalla reazione del personale, la verità sarebbe un po' più complicata di quello che aveva immaginato -. Non voglio tè, grazie. E la verità è che non voglio sedermi e sperare. Mio marito vuole la sua valigetta e penso di portarsilo.
- Ma, signora...
- Per favore - ella disse mettendo davanti una mano tremula per fermare a Rafaello. Fosse quello che fosse quello che la vita lo procurasse in quello momento, doveva affrontare ciò. Stava stufa di andare sempre dietro Luca, che il personale cercasse di calmarla, che Luca Lei rifiutasse di seguire un codice morale normale non è il suo tema.
Spinse le porte con le guance ardendo ed attraversò l'anticamera senza alterarsi della cosa grandiosa dei suoi paraggi, senza dare si racconta del gesto che fece il portiere ad un altro dagli impiegati che telefonasse. Era un ascensore antico, e quando le porte si chiusero si sentì come se stesse prigioniera, prigioniera nel suo inferno personale. Si preparò per la verità mentre cercava il biglietto nella sua borsetta.
Il povero Rafaello andava a riunirsi con Ricardo nell'ospedale, perché salì correndo le scale per fermarla, ma non arrivò in tempo. Felicity passò il biglietto per la porta e l'aprì.
Aveva pensato che sarebbe preparata per qualunque cosa, ma vedendo quello che vide si disse a sé stessa che niente nel mondo l'avrebbe potuta preparare per la perdita.
L'anticipazione non era l'antidoto per la conferma.
- iFelice!
Non poteva né guardarlo, non poteva guardare l'uomo che l'appena aveva rotto il cuore. Invece di quell'esaminò la stanza, vedendo i mazzi di fiori, il champagne raffreddandosi nella cubitera, le candele accese e La Bohéme suonando per tutta la sala, e finalmente guardò dove stava Luca, con Anna a poca 115
distanza, perché Luca l'aveva allontanata rapidamente da lui, ma non quanto basta.
L'immagine di Anna nelle sue braccia, con la testa sul suo petto, nell'ambiente più bello di tutti, rimase nella testa di Felicity per sempre.
- Ho provato a telefonare, il signore.
L'italiano fu rapido, ma non era necessario essere Einstein per dare si racconta di quello che Rafaello diceva. Felicity rimase guardando i suoi visi di sorpresa e dopo parlò.
- Egli quale avrebbe aiutato abbastanza - disse mentre attraversava di notte la stanza verso il tavolino -. Se il telefono non fosse stato staccato. Lei aveva ragione, Rafaello. Il signor Santanno non voleva essere disturbato in assoluto.
- Felice, per favore - disse Luca separando Anna ad un lato ed impiegandosi vicino a Felicity per afferrarla del braccio -.
Questo non è quello che sembra. Diglielo, Anna. Digli come decidesti di lui tutto. Digli che io non sapevo niente di questo.
- Andiamo, Luca - disse Anna con malizia mentre attraversava la sala senza nessun tipo di preoccupazione e guardando fissamente a Felicity. Ma per un momento, Felicity sentì che poteva vedere la pena nei suoi occhi -. Felicity doveva venire a sapere presto o tardi di lui nostro. Col tempo lo comprenderà.
- Comprendere questo? - esclamò Felicity -. Puoi rimanerti lo, Anna, tutto per te. E ho appena informato. Lo sapeva da tempo. L'unico errore che commisi fu credere Luca quando mi disse che credeva che avevi cambiato, ma credo che la sua prima descrizione di te fosse più azzeccata.
- E quale era? - domandò Anna e si girò verso Luca, ma fu Felicity quella che rispose.
- Buono, dovrai perdonare il mio povero italiano, ma sicuro che lo comprenderai, perché la parola puttana è la prima che mi è venuto alla testa - concluse, si fece il giro ed uscì dalla stanza ignorando le chiamate di Luca, e perfino sciogliendo una risata davanti alla repentina isteria di Anna.
Luca la raggiunse nell'ascensore.
- Felicity, l'hai frainteso.