La città terribile

 

 

 

2 mesi dopo, la vigilia della partenza per l'Inghilterra, Jim rammentò le parole del dottor Ransome nel momento di scendere la passerella della SS Arrawa e di posare per l'ultima volta il piede sul suolo cinese. In camicia e cravatta di seta, sotto un completo grigio di flanella acquistato all'emporio della Sincere Company, attese educatamente che un'anziana coppia inglese finisse di percorrere la rampa di legno. Sotto, si stendeva il Bund di Shanghai, e tutto il rutilante clamore della notte. Lo spiazzo del molo brulicava di migliaia di cinesi giostranti fra berline e tram, jeep e camion militari USA, e un'orda di tricicli e risciò. Insieme, tutti costoro tenevano d'occhio le entrate e le uscite dei soldati britannici e americani dagli alberghi del Bund. Alle gettate a lato dell'Arrawa, nascoste dalla prua e dalla poppa della nave, approdarono dei marinai americani dell'incrociatore ancorato a mezzofiume. Non appena ebbero messo piede a terra, la folla cinese s'avventò loro incontro: bande di borseggiatori e di guidatori di tricicli, prostitute e procacciaclienti, venditori di bottiglie di Johnnie Walker fatto in casa e trafficanti d'oro e d'oppio, la popolazione della Shanghai notturna, insomma, in tutto lo sfarzo chiassoso delle sue sete nere e delle sue pellicce di volpe. I giovani marinai americani si aprirono la strada a gomitate fra piloti di sampan e vocianti MP, sforzandosi di restare uniti per respingere quella folla smaniosa di accoglierli in Cina. Ma, prima che potessero raggiungere le prime tranvie verso il centro del Bund, furono spazzati via da un convoglio di tricicli, le braccia attorno ad entraineuse urlanti oscenità a untuosi protettori cinesi, i quali facevano la posta in Packard anteguerra acquistate nei garage malfamati della Nanking Road.

Dominavano questo panorama della Shanghai notturna 3 schermi cinematografici, installati su una serie di impalcature lungo il Bund. Su di essi, il generale nazionalista investito del governatorato militare della città curava, in accordo con la Marina USA, la proiezione ininterrotta di cinegiornali illustranti gli eventi europei e del Pacifico, nell'intento di permettere ai cittadini di Shanghai di farsi un'idea della guerra mondiale da poco conclusa. Jim scese l'ultimo scalino della passerella malferma, e alzò gli occhi alle immagini tremolanti. Quelle immagini reggevano a stento il confronto con le insegne al neon e i tubi fluorescenti di alberghi e locali notturni, sebbene frammenti delle colonne sonore amplificate tuonassero a sprazzi come cannoni sopra il boato del traffico. Aveva cominciato la guerra assistendo alla proiezione dei cinegiornali nella cripta della cattedrale di Shanghai, e ora la concludeva sotto le medesime immagini ripetitive: mitraglieri russi avanzanti fra le macerie di Stalingrado, marines americani irroranti al lanciafiamme i difensori giapponesi di un'isola del Pacifico, caccia della RAF in azione d'attacco contro un treno-munizioni di un deposito ferroviario tedesco... Ogni 10 minuti esatti, gli schermi si riempivano di caratteri cinesi, e vaste armate del Kuo-min-tang sfilavano in parata a Nanchino sotto il podio del Generalissimo vittorioso. Le uniche forze non celebrate erano quelle dei comunisti cinesi, che erano state sloggiate da Shanghai e dalle città costiere. Il loro contributo alla vittoria alleata, quale che fosse, era stato sminuito da un pezzo, e giaceva ora sepolto sotto strati di cinegiornali: quei cinegiornali che alla guerra avevano imposto una sola verità, la propria. Nei 2 mesi trascorsi dal suo ritorno in Amherst Avenue, Jim aveva visitato spesso i cinema ora riaperti di Shanghai. I suoi genitori faticavano a rimettersi dagli anni d'internamento a Soochow, e ciò gli aveva permesso di disporre di una quantità di tempo per i suoi giri della città.

Così, dopo una visita al dentista bianco-russo della Concessione francese, era frequente il caso che ordinasse a Yang di portarlo, nella Lincoln Zephyr, al Grand hotel o al Cathay, vasti e freschi palazzi in cui, seduto nella prima fila dell'emiciclo, poteva godersi l'ennesima proiezione di Bataan o di altri film bellici. Yang non riusciva a capire questa sua mania di vedere gli stessi film una quantità di volte. E Jim, dal canto suo, si domandava come Yang avesse passato la guerra, da valletto di qualche generale del governo-fantoccio cinese? da interprete per i giapponesi? da agente del Kuo-min-tang, magari, ma lavorando un po' anche per i comunisti? Il giorno dell'arrivo dei suoi genitori, Yang s'era presentato con la berlina, l'aveva venduta seduta stante a suo padre, e s'era riassunto come autista. E siccome recitava già in piccole parti in 2 film dei rinascenti studi cinematografici di Shanghai, doveva probabilmente approfittare della sua permanenza nella sala del Cathay, e della sua mania di vedere i film 2 volte di seguito, per noleggiare la macchina come arredo scenico... I film hollywoodiani non finivano mai di affascinarlo, proprio come i cinegiornali proiettati sopra le folle del Bund. Dopo l'intervento del dentista e la guarigione della ferita al palato, non aveva tardato a riprendere peso.

Solo a tavola, consumava pasti abbondanti durante il giorno, e la notte, dormiva tranquillo nella sua stanza all'ultimo piano della casa irreale di Amherst Avenue: la casa in cui aveva abitato un giorno, ma che ora sembrava possedere il medesimo aspetto scenograficamente illusorio degli studi cinematografici di Shanghai. Durante le giornate in Amherst Avenue, pensava spesso al suo cubicolo nella stanza dei Vincent. Alla fine d'ottobre, così, aveva ordinato a 1 Yang poco entusiasta di portarlo a Lunghua. Usciti da Shanghai attraverso i sobborghi occidentali, avevano raggiunto in breve tempo i primi posti di blocco fortificati che erano stati eretti a guardia dei punti di accesso alla città. I soldati nazionalisti, alla guida di carri armati americani, stavano respingendo centinaia di contadini in miseria che, senza più riso da cogliere o altro da mietere, tentavano di trovar rifugio a Shanghai. I campi attorno ai resti bruciacchiati dello stadio olimpico di Nantao erano coperti di baraccopoli: tuguri e tuguri dalle pareti di fango, con gomme di camion e bidoni di cherosene per rinforzo. Dalle tribune dello stadio si levava ancora del fumo, che serviva da faro d'orientamento per i piloti americani in volo per il Mar Cinese da Okinawa e dalle basi giapponesi. Mentre percorrevano la strada perimetrale, Jim non riusciva a staccare lo sguardo dal campo d'aviazione di Lunghua. Che sogno di voli, ora, quel campo! Dozzine di apparecchi della Marina e dell'Aviazione statunitensi posati sull'erba: caccia nuovi di fabbrica e aerei cromati da trasporto che parevano in attesa di esposizione in qualche vetrina della Nanking Road... Il campo d'internamento, che Jim s'aspettava di trovare deserto e abbandonato, ferveva di attività dietro una recinzione di filo spinato nuovo.

Sebbene la guerra fosse finita da quasi 3 mesi, nel campo seguitavano a vivere, protetti da guardie armate, oltre un centinaio di britannici. Famiglie al completo si erano insediate negli ex-dormitori del Blocco E, trasformandoli in appartamenti per mezzo di pareti fatte di cartoni da razioni, contenitori da paracadute e fasci di Reader's Digest rimasti senza lettori. Quando Jim, alla ricerca del cubicolo di Basie, tentò di strappare una rivista da una parete di fortuna, una voce gl'ingiunse un brusco - giù le mani!

Lasciando gli ospiti del Blocco E al loro tesoro, Jim fece segno a Yang di condurlo al Blocco G. La stanza dei Vincent era ora abitata da una amah cinese al servizio di una coppia britannica che occupava la stanza sul lato opposto del corridoio. Al rifiuto dell'amah di lasciarlo entrare, o anche solo di aprire un po' più la porta, Jim tornò alla Lincoln e ordinò a Yang un ultimo giro del campo. L'ospedale e il cimitero erano scomparsi, e, al loro posto, c'era solo 1 spiazzo coperto di cenere, dalla quale sporgeva qualche travicello carbonizzato.

Le fosse erano state accuratamente livellate, come se lo spiazzo si apprestasse ad accogliere una serie di campi da tennis. Aggirandosi per i bidoni vuoti di cherosene che erano serviti ad appiccare l'incendio, Jim lasciò correre lo sguardo, oltre il filo spinato, al campo d'aviazione e alla pista d'atterraggio, indice di cemento puntato verso la Pagoda di Lunghua. I relitti degli aerei giapponesi erano ormai coperti da una fitta vegetazione. Mentre, ritto accanto al filo spinato, seguiva il corso del canale attraverso la valle stretta, sopra il campo saettò un bombardiere americano. Per un istante riflessa dai sottoala d'argento, una pallida luce guizzò come 1 spettro fra le ortiche e i salici nani.

Mentre Yang, turbato dalla visita a Lunghua, guidava a disagio verso Amherst Avenue, Jim pensò alle ultime settimane della guerra. Verso la fine, tutto era diventato vagamente confuso. La fame doveva avergli provocato una leggera vena di pazzia. Però, il lampo della bomba atomica di Nagasaki era sicuro di averlo visto, anche se c'erano di mezzo 400 miglia di Mar Cinese! E, ciò che più importava, aveva visto l'inizio della terza guerra mondiale, s'era reso conto di esserci in mezzo. Le folle che assistevano ai cinegiornali del Bund, invece, non si rendevano conto che si trattava di "Prossimamente" di una guerra già iniziata: e, un giorno, di cinegiornali non ce ne sarebbero stati più... Nelle settimane precedenti la partenza per l'Inghilterra a bordo dell'Arrawa, aveva pensato spesso al giovane pilota giapponese che gli era parso di aver resuscitato. Ora, però, non era più sicuro che si trattasse dello stesso pilota che gli aveva regalato il mango: forse era un altro, e s'era destato, mentre stava già morendo, al rumore dei suoi movimenti fra l'erba. In ogni caso, certi fatti erano accaduti realmente, e altri avrebbero forse potuto prodursi, se ci fosse stato tempo. La signora Vincent e suo marito erano morti durante la marcia dallo stadio, lontano da Shanghai, in un villaggetto a sud-ovest. Ma lui avrebbe potuto aiutare i prigionieri dell'ospedale. In quanto a Basie, era poi morto durante l'attacco allo stadio, sotto gli occhi delle ninfe dorate del palco presidenziale, o non continuava magari, in compagnia del tenente Price, a far scorrerie nella zona dello Yangtze, a bordo della Buick del generale del governo -fantoccio, in attesa d'una terza guerra che gli consentisse di mettersi in proprio? Di questo, ai suoi genitori non aveva detto nulla. Né s'era confidato col dottor Ransome, che chiaramente lo sospettava di aver scelto di restare a Lunghua, dopo l'armistizio, per continuare a giocare i suoi giochi di guerra e di morte. Rammentava ancora il ritorno alla casa di Amherst Avenue, e il debole sorriso dei genitori dalle sdraio del giardino: e, ai bordi della piscina asciutta, l'erba incolta che cresceva loro alle spalle, e che gli aveva ricordato le pergole d'ortiche recline sui cadaveri degli aviatori giapponesi.

Mentre il dottor Ransome s'irrigidiva formalmente sulla veranda nella sua divisa americana, egli avrebbe voluto raccontare tutto ciò che avevano passato insieme: ma i suoi genitori avevano passato la loro, di guerra, e, con tutto l'affetto che sentivano per lui, sembravano ormai più vecchi e molto, molto lontani. Jim attraversò la banchina con gli occhi puntati in alto ai cinegiornali. Il secondo schermo, quello di fronte al Palace Hotel, era sgombro d'immagini, ora: le battaglie di carri e le sfilate di truppe avevano lasciato il posto a un rettangolo di luce argentea sospeso nell'aria notturna, una finestra su un altro universo. Mentre i tecnici militari riparavano il proiettore sulla loro torre d'impalcature, Jim attraversò i binari del tram in direzione dello schermo. I cinesi s'erano fermati anch'essi a guardare il rettangolo bianco. Jim si strofinò la manica della giacca: gli era venuto addosso un coolie di risciò, che si tirava dietro 2 entrameuse impellicciate. I visi incipriati delle 2 ragazze parevano maschere nel bagliore sinistro mandato dallo schermo. Ma i cinesi giravano già le teste verso un altro spettacolo. In fondo alla gradinata dello Shanghai Club s'era raccolta una folla. Emerso dalle porte girevoli, un gruppo di marinai americani e britannici ubriachi, fermo sul gradino superiore, discuteva animatamente indicando a gesti l'incrociatore ancorato davanti al Bund. I cinesi rimasero a osservare, disposti come a coro. Provocati da quel pubblico curioso ma silenzioso, i marinai cominciarono a inveirgli contro, e, al cenno di un marinaio anziano, si sbottonarono i calzoni allacciati in vita e orinarono sui gradini. Sotto, i cinesi osservarono impassibili gli archi d'urina confluire in un torrente schiumoso. Quando il torrente lambì il marciapiede, si tirarono indietro senza cambiare espressione. Jim lasciò correre lo sguardo su tutta quella gente, impiegati, coolies, contadine... Oh, lui lo sapeva bene che cosa stavano pensando! Un giorno, la Cina avrebbe punito il resto del mondo, prendendosi una vendetta terribile. Gli operatori militari avevano riavvolto la aerea. Mentre i marinai venivano trascinati via in un convoglio di risciò, Jim tornò all'arrawa. I suoi genitori riposavano nel salone-passeggeri del ponte di coperta, ed egli desiderava trascorrere un'ultima serata col padre prima di partire l'indomani, con la madre, per l'Inghilterra. Imboccando la passerella, si rese conto di star lasciando Shanghai probabilmente per l'ultima volta, e per quel piccolo, strano paese dall'altra parte del mondo, che non aveva mai visitato e che pur era, nominalmente, la sua "patria". Shanghai, però, solo una parte di lui l'avrebbe lasciata: il resto sarebbe rimasto per sempre, portato dalla marea come le bare affidate al fiume dai moli funerari di Nantao. Sotto la prua dell'Arrawa, una bara di bimbo mosse incontro alla corrente notturna. Risucchiati dalla scia di una motozattera di marinai americani dell'incrociatore, i fiori di carta le s'incoronarono intorno in un'incerta ghirlanda: ed essa cominciò il lungo viaggio verso l'estuario dello Yangtze, di dove la marea montante l'avrebbe ricacciata fra i moli e le piane di fango, respingendola ogni volta ai lidi della città terribile.