La razione d'acqua

 

S'erano perduti? Per un'ora, mentre sobbalzavano attraverso i sobborghi industriali di Shanghai-Nord, Jim rimase aggrappato alla sbarra di legno dietro la cabina di guida, la testa piena d'una dozzina di rilevamenti alla bussola.

Sorrideva fra sé, dimentico della malattia e delle disperate settimane trascorse nel cinema all'aperto. Aveva male ai ginocchi dagli scossoni continui, e ogni tanto doveva afferrarsi al cinturone di cuoio del soldato giapponese accanto a lui. Finalmente, comunque, andava verso l'aperta campagna, verso il mondo accogliente dei campi di prigionia. Sfilavano intanto, senza fine, le strade di Chapei, un'area di casamenti e cotonifici abbandonati, di caserme di polizia e quartieri di baracche in riva a neri canali. Il camion passò sotto i convogliatori di un'acciaieria decorata di tabelloni per la festa del drago, sogni di fuoco evocati dalle sue silenziose fornaci. All'esterno delle fabbriche abbandonate di radio e di sigarette si vedevano banchi di pegni sprangati, e plotoni di truppe cinesi del governo fantoccio pattugliavano la fabbrica di birra Del Monte e il deposito di autocarri Dodge. Jim non era mai stato a Chapei.

Prima della guerra, un bambino inglese come lui sarebbe stato ucciso per le sue scarpe nel giro di minuti. Ora, invece, non correva pericolo, protetto com'era dai soldati giapponesi, il che lo fece ridere tanto, che la olandese allungò una mano per calmarlo. Ma l'aria fetida, l'odore di fertilizzante umano esalato dalle fogne scoperte che annunciavano la vicinanza della campagna, gli piacevano assai. Perfino l'ostilità dell'autista non arrivava ad angustiarlo. Quando si fermarono a un posto di blocco militare, l'autista mise fuori la testa dalla cabina e agitò nella sua direzione un dito ammonitore, quasi che il responsabile dell'assurda spedizione fosse proprio lui, un prigioniero undicenne. Osservando la posizione del sole, così come aveva fatto per ore al centro di detenzione, Jim stabilì che il camion si stava muovendo verso nord. Passarono le rovine della fabbrica di ceramica di Chapei, dai forni simili ai forti tedeschi di Tsingtao. A lato dei cancelli c'era il suo marchio: una teiera cinese alta 3 piani, fatta interamente di mattoni verdi. Durante la guerra cino-giapponese del '37, le cannonate l'avevano ridotta a una specie di mappamondo bucherellato.

Migliaia di mattoni avevano migrato per la campagna circostante fino ai villaggi in riva al canale della fabbrica, e, incorporati in capanne e abitazioni, offrivano ora la visione d'una magica Cina rurale. Queste strane dislocazioni piacquero a Jim. Sentendo per la prima volta di poter godere della guerra, egli osservò felice i tram e i casamenti carbonizzati, le migliaia di porte, spalancate sulle nubi, d'una città deserta invasa dal cielo. Che peccato che i suoi compagni di prigionia non condividessero queste sue emozioni! Sedevano cupi sulle panche, loro, a fissarsi i piedi. Una missionaria giaceva sul pavimento; la assisteva un altro prigioniero, un britannico biondo-rossiccio con una guancia tumefatta che le teneva il polso con una mano e le premeva il diaframma con l'altra. I 2 fratelli inglesi, ancora quasi inconsapevoli della morte della madre, sedevano tra Basie e la coppia olandese. Jim attese che Basie alzasse lo sguardo, ma questi, quando lo fece, non sembrò quasi riconoscerlo. La sua attenzione s'era spostata ai 2 fratelli; la morte della madre aveva lasciato un vuoto nella loro vita, ed egli era venuto, con destrezza, a colmarlo. Dalla pagina di un giornale cinese, piegando e ripiegando, ricavò una serie di animali di carta, e sogghignò alla debole risata dei ragazzi. Poi, come un prestigiatore degenerato, infilò loro le mani nelle tasche dei pantaloni e cardigan, alla ricerca di qualsiasi cosa di utile. Jim lo osservava senza risentimento. Lui e Basie avevano collaborato, al centro di detenzione, allo scopo di non morire, e Basie, a ragione, aveva fatto a meno di lui non appena avuta la possibilità di partire per i campi. Il camion finì in un fosso profondo tra i ciottoli, sbandò attraverso la strada e si fermò a lato della scarpata erbosa. Lasciata la periferia settentrionale di Shanghai, stava per inoltrarsi in una zona di campi e risaie incolti. Oltre una fila di tumuli funerari a 200 iarde di distanza, scorreva, in direzione di un villaggio deserto, un canale. L'autista giapponese saltò dalla cabina e si chinò sulle ruote anteriori del camion; poi si mise a parlare al motore fumante, includendo Jim, ogni tanto, nei suoi borbottii. Aveva solo 20 anni, ma, chiaramente, la sua era stata una vita d'esasperazione. Jim si tenne con la testa bassa, ma lui montò sul predellino e, puntandogli contro il dito, si lanciò in una lunga sparata che aveva tutta l'aria di una dichiarazione di guerra. Quando fu tornato nella sua cabina a borbottare sopra la carta, Basie commentò: - Mettila come ti pare, ma perduti restiamo. - Già la sua attenzione si era spostata dai fratelli alla possibilità di sfruttare al meglio la circostanza Jim, ma lo sai dove ci stai portando?

- A Woosung. Dove c'è il circolo sportivo a cui andavo, Basie.

Basie prese a giocare coi suoi animali di carta. - Andiamo al circolo sportivo -disse ai ragazzi, - se Jim è capace di trovarcelo.

- Basta arrivare al fiume, Basie, e poi si tratta solo di prendere a est o a ovest.

- Bell'aiuto davvero, Jim! Est o ovest...

Il britannico biondo-rossiccio inginocchiato accanto alla missionaria, si alzò.

Sulla fronte e sullo zigomo sinistro aveva un grosso livido sanguinolento, come se avesse ricevuto di recente un calcio di fucile in faccia. Si sedette, dolorante, sulla panca; dai calzoni corti cachi emersero 2 gambe lunghe e lentigginose, terminanti in un paio di sandali di cuoio a strisce. Vicino alla trentina, non possedeva bagaglio né altri oggetti personali, ma aveva il portamento sicuro di sé tipico degli ufficiali della marina britannica, di quegli ufficiali che, con la loro smagliante presenza ai ricevimenti all'aperto di Shanghai, avevano tanto eccitato le madri degli amici di Jim. La guardia giapponese, per lui, era come non esistesse: ci parlava attraverso, quasi fosse un inserviente di mensa da rispedire al più presto al suo posto. Jim immaginò che si trattasse di 1 di quegli inglesi fastidiosi che rifiutavano di accettare di essere stati sconfitti. Il britannico sfiorò il suo livido e si rivolse a Jim, considerandone, senza una parola, l'aspetto cencioso. - I giapponesi hanno conquistato tanto di quel territorio, che ora hanno esaurito le carte - osservò quindi garbatamente. - Significa che si sono perduti, secondo te?

Jim ci pensò sopra. - Non propriamente. Significa solo che non hanno conquistato nessuna carta.

- Bravo: mai confondere la carta col territorio. Così, tu ci porterai a Woosung.

- Ma non possiamo tornare al centro, dottor Ransome? - chiese 1 dei missionari. - Noi siamo molto stanchi.

Il medico guardò le risaie abbandonate e poi la vecchia prostrata ai suoi piedi.

- Potrebbe essere la soluzione migliore. Questa poveretta non ce la farà più per molto.

Il camion si rimise in marcia, avviandosi come controvoglia giù per la strada vuota. Jim tornò al suo posto dietro la cabina di guida, e prese a scrutare la campagna alla ricerca di qualunque cosa che potesse anche lontanamente rassomigliare a Woosung. Le parole del dottore l'avevano turbato. Anche se si erano persi, come poteva, il dottore desiderare che tornassero al centro di detenzione? La furia del sergente Uchida rendeva improbabile che l'autista osasse tornare, ma il dottor Ransome meritava di essere sorvegliato con attenzione, nel caso conoscesse abbastanza giapponese da demoralizzare l'autista.

Sembrava avere problemi di vista, il dottore; specialmente quando guardava lui, Jim, socchiudendo gli occhi in maniera curiosa. Si, doveva essere entrato in guerra più tardi di Basie e di lui; né, provenendo probabilmente da una missione dell'interno, aveva idea di ciò che accadeva al centro di detenzione. Ma s'erano perduti, o erano sulla strada giusta? La direzione delle ombre proiettate dai pali del telegrafo non era praticamente cambiata, Jim si era sempre interessato alle ombre, specialmente dal giorno in cui suo padre gli aveva mostrato come calcolare l'altezza anche dell'edificio più alto misurandone a passo l'ombra sul terreno. La direzione era sempre nord-ovest; perciò, non avrebbero tardato a raggiungere la ferrovia Shanghai-Woosung. Il radiatore del camion emetteva vapore. La spruzzaglia veniva a rinfrescare il viso di Jim, ma egli sapeva che il tambureggiare ammonitore dei pugni contro la portiera significava che l'autista s'accingeva a fermarsi per fare marcia indietro. Rassegnandosi all'idea del viaggio sciupato e del ritorno al centro di detenzione, Jim si mise a studiare il fucile a otturatore manuale della guardia, marchiato col crisantemo imperiale. La olandese gli tirò la giacca sudicia.

- Laggiù, Jim. Non è...?

Un aereo carbonizzato sulla proda di un canale in disuso, le ali immerse nell'erba e nelle ortiche, folte tanto da invaderne quasi l'abitacolo, ma con l'insegna della squadriglia ancora leggibile.

- E un Nakajima - disse Jim alla signora Hug, compiaciuto del comune interesse per l'identificazione degli apparecchi. - 2 mitragliere solamente...

- Solamente? A me sembrano tante...

La olandese pareva impressionata, ma lui aveva già distolto la sua attenzione dall'aereo. All'estremità della risaia, nascosto dalle ortiche, c'era il terrapieno di una linea ferroviaria. Sulla banchina di cemento di una stazione a lato del terrapieno, una squadra di genieri giapponesi stava cucinando il rancio su un fuoco di stecchi. Accanto alle rotaie sostava una macchina mimetizzata di servizio, carica di rotoli di cavo che i genieri stavano ritendendo fra i pali telegrafici.

- Signora Hug... ecco la ferrovia di Woosung!

Il camion si fermò, la cabina di guida immersa nel vapore; poi cominciò la manovra di conversione. La guardia giapponese accanto a Jim si stava accendendo una sigaretta per il viaggio di ritorno: Jim la tirò per la cintura indicandone la ferrovia in fondo alla risaia. La guardia seguì con lo sguardo il braccio teso, poi, dopo averlo fatto cadere con 1 spintone, gridò qualcosa all'autista, che gettò il suo portacarta sul sedile accanto a sé. Motore fumante, il camion sterzò al massimo, fece un semicerchio, e si avviò, lungo la strada sterrata, verso la stazione ferroviaria. Il dottor Ransome raddrizzò i fratelli inglesi che, scivolati dalla presa di Basie, erano finiti contro la missionaria inglese, e aiutò Jim a risollevarsi.

- Bel lavoro, Jim. Avranno dell'acqua per noi, tu devi aver sete, no?

- Un po'. Ho bevuto prima di partire.

- Hai fatto bene. Da quanto tempo eri al centro?

- Oh, da parecchio - rispose Jim, che se n'era dimenticato.

- Si vede. - E, pulendogli un po' di sporco dalla giacca: - Era un cinema, prima?

- Sì; ma, adesso, di film non ne fanno.

- Già, si capisce.

Jim si appoggiò all'indietro, battendo le mani sulle ginocchia e sorridendo radioso alla signora Hug. I prigionieri sedevano fiaccamente sulle panche affrontate, lasciandosi scuotere avanti e indietro come fantocci umani ormai privi d'imbottitura. Lungi dal rianimarli, il viaggio da Shanghai li aveva resi giallicci e nervosi. Jim, invece, sorrideva all'apparecchio arrugginito sulla proda del canale: ora non c'era più pericolo di un ritorno al centro di detenzione... Il soldato giapponese aveva gettato la sigaretta e impugnava il fucile da militare. Un caporale della squadra di genieri balzò dalla banchina e attraversò i binari.

- Non credo che torneremo a Shanghai, signora Hug.

- No, nemmeno io, James. Ma tu devi avere proprio la vista acuta. Da grande dovresti fare il pilota.

- E probabile che lo faccia. Su un aereo sono già stato, sa, signora Hug.

All'aerodromo di Hungjao.

- E volava?

- Be', in un certo senso sì. - Le confidenze fatte agli adulti andavano spesso al di là delle intenzioni di Jim. Il dottor Ransome lo stava osservando. Sedeva accanto al padre della signora Hug, che cercava di aiutare a respirare, ma i suoi occhi erano puntati su di lui, e ne scrutavano le gambe ridotte a stecchi, il vestito a brandelli, e il piccolo volto animato. Quando furono alla ferrovia, gli fece un sorriso incoraggiante, che Jim decise di non ricambiare. Per qualche ragione, lo sentiva, il dottor Ransome lo disapprovava. Ma già, lui non era stato al centro di detenzione. Si fermarono presso i binari. L'autista salutò militarmente il caporale e lo seguì alla stazione, dove stese la sua carta sullo stipo del telefono da campo. Mentre il caporale indicava le risaie asciutte, i prigionieri rimasero seduti nella calda luce del sole. Dalla terra incolta si levò una nube di polvere, che schermò come un bianco velo i grattacieli lontani di Shanghai; e sulla strada passò un convoglio di camion giapponesi, in un breve clamore che si fuse col ronzìo lontano di un aereo da carico. Jim cambiò posto per sedere accanto alla signora Hug, che sosteneva l'anziano padre contro il petto. 2 missionarie giacevano sul pavimento del camion; gli altri prigionieri sonnecchiavano e si agitavano. Basie aveva perso interesse ai ragazzi inglesi, e osservava Jim da sopra il collo, macchiato di sangue, della giacca. Attratte dal sudore e dall'urina che scorreva lungo gli assi di legno, s'addensarono attorno al camion migliaia di mosche. Jim si aspettava che l'autista tornasse con la sua carta, ma quello andò a sedersi su un rotolo di cavo telefonico e si mise a chiacchierare coi 2 soldati intenti a cuocere il rancio. Le loro voci e gli scoppiettii della legna si spandevano lungo i binari d'acciaio, ingigantiti dalla cupola luminosa che li racchiudeva. Jim cominciò ad agitarsi sulla panchina: il sole gli scottava la pelle. Tutt'intorno, ogni cosa era visibile nei minimi particolari: le macchie di ruggine sui binari, i denti frastagliati delle ortiche a lato del camion, il suolo bianco segnato dall'impronta dei pneumatici logori. Contò i peli azzurri e setolosi attorno alle labbra della guardia giapponese del camion, e i globi di muco che l'annoiata sentinella tirava su e giù per il naso. Poi osservò la macchia umida che s'allargava attorno alle natiche di una delle missionarie stese sul pavimento, e le fiamme che lambivano la pentola del rancio sulla banchina della stazione, riflesse nelle canne lucide dei fucili ammucchiati in fascio. Solo una volta aveva visto il mondo con altrettanta vivezza. Stavano forse per tornare gli aerei americani?

Strizzando gli occhi in maniera eccessiva, tanto per infastidire il dottor Ransome, prese a scrutare il cielo. Voleva vedere ogni cosa: ogni ciottolo delle strade di Chapei, i giardini inselvatichiti di Amherst Avenue, sua madre e suo padre, tutti insieme nella Luce argentea degli apparecchi americani. Senza riflettere, si alzò in piedi e gridò, ma la guardia giapponese lo sbatté rudemente sulla panca. I soldati sulla banchina ferroviaria sedevano tra l'ammasso di materiale da segnalazione, occupati a ingurgitare riso e pesce. Il caporale diede la voce al camion, e la guardia scavalcò le missionarie per saltare a terra dalla sponda posteriore. Appoggiato il fucile ai binari, si avviò con la baionetta attraverso la stoppia secca della canna da zucchero selvatica. Quando ebbe raccolto abbastanza sterpi per il fuoco, raggiunse i soldati sulla banchina. Per un'ora il fumo non cessò di salire verso il sole.

Seduto sulla panca, Jim si spazzava le mosche dal viso, desideroso di poter esplorare la stazione ferroviaria e il relitto d'apparecchio in riva al canale.

Ogni volta che qualcuno si muoveva, i giapponesi gridavano dalla banchina, puntando le sigarette in segno d'ammonimento. I prigionieri non avevano portato al seguito né razioni né acqua, ma la macchina di servizio aveva 2 taniche a cui i soldati andavano a riempire le borracce. Quando il padre della signora Hug fu costretto a stendersi sul pavimento, il dottor Ransome protestò coi giapponesi.

Ignorando i loro improperi e indicando i passeggeri esausti ai suoi piedi, egli si drizzò barcollando, il livido alla guancia infiammato dal sole e dalle mosche, l'occhio quasi chiuso. Così, stoicamente ritto contro la sponda posteriore del camion, ricordava a Jim i mendicanti di Shanghai e il loro esibire le ferite per le strade. Il caporale giapponese non parve minimamente impressionato, ma, dopo un tranquillo giro attorno al camion, concesse ai prigionieri di smontare.

Aiutati dai mariti, Basie e il dottor Ransome calarono a terra le vecchie prigioniere, che si stesero all'ombra delle ruote posteriori. Jim s'accosciò sulla terra bianca, e prese a seguire con 1 stecco le impronte delle gomme.

Quante volte doveva girare, una gomma, per consumarsi fino alla tela? Il problema, 1 dei tantissimi che non cessavano di occuparlo, era in verità abbastanza facile da risolvere. Jim lisciò la polvere bianca e si applicò ai calcoli del caso. Quando la prima frazione s'annullò, diede un grido di soddisfazione, e fu allora che s'accorse di essere rimasto solo nello spazio assolato fra il camion e la massicciata ferroviaria.

Assistiti da 1 spossato dottor Ransome, i prigionieri stavano rannicchiati nella scarsa ombra della sponda posteriore. Basie sedeva ammosciato nella sua giacca da marinaio, e lui e i vecchi sembravano morti quanto i manichini scartati che Jim aveva spesso visti nel vicolo dietro l'emporio della Sincere Company.

Avevano bisogno d'acqua, altrimenti 1 di loro sarebbe morto e avrebbero dovuto tornare tutti a Shanghai. Jim osservò i giapponesi sulla banchina. Avevano finito di mangiare, e 2 di essi andavano svolgendo un rotolo di cavo telefonico.

Dando calci a una pietra, Jim si diresse verso la massicciata e, attraversate le rotaie, montò senza arrestarsi sulla banchina di cemento. I giapponesi sedevano attorno alle ceneri del fuoco, il gusto del pasto ancora in bocca. Jim s'inchinò e rimase sull'attenti: essi ne osservarono la figura lacera, ma non gli fecero cenno di allontanarsi. Jim, comunque, si rese conto che non era il momento di profondersi in radiosi sorrisi. Se il dottor Ransome avesse accostato i giapponesi a così breve distanza dal rancio, sarebbe sicuramente stato abbattuto a pugni o magari ucciso. Così, rimase in attesa, mentre l'autista parlava al caporale del genio. L'autista, puntando ripetutamente il dito nella sua direzione, si lanciò in quella che aveva tutta l'aria di essere una condizione sull'immenso danno causato all'Esercito giapponese da un certo bambinetto inglese. Il caporale, messo di buonumore dal pesce, scoppiò a ridere. Poi prese una bottiglia di Coca-Cola dallo zaino e, riempitala d'acqua dalla sua borraccia, la sollevò in aria facendo cenno a Jim di avvicinarsi. Jim prese la bottiglia, s'inchinò profondamente, e arretrò di 3 passi. I giapponesi lo osservarono in silenzio, nascondendo il sorriso. Basie e il dottor Ransome, a lato del camion, si sporsero dall'ombra, gli occhi puntati sul luminoso liquido della bottiglia.

Chiaramente, s'aspettavano che Jim venisse a dividere con loro l'inaspettata razione d'acqua. Jim, invece, pulì con cura il collo della bottiglia contro la manica della giacca, lo portò alle labbra, bevve lentamente per non strozzarsi, tirò il fiato, e ingollò fino all'ultima goccia. I giapponesi scoppiarono a ridere, manifestando il loro spasso con vicendevoli risatine chiocce. Jim rise con loro, pienamente consapevole di essere l'unico, tra i prigionieri britannici, ad apprezzare lo scherzo. Basie azzardò un sorriso cauto, ma il dottor Ransome sembrava attonito. Il caporale riprese la bottiglia di Coca-Cola e la riempì fino all'orlo. Sempre ridacchiando fra loro, i soldati si rimisero in piedi e tornarono alla posa del cavo telefonico. Seguito dall'autista e dalla guardia armata, Jim attraversò i binari con la bottiglia in mano. Quando la porse al dottor Ransome, questi lo fissò senza parlare. Dopo un breve sorso, passò il tiepido liquido agli altri, e aiutò l'autista a riempire di nuovo la bottiglia dalla borraccia. Una delle missionarie fu presa da nausea, e vomitò l'acqua nella polvere ai suoi piedi. Jim riprese il suo posto dietro la cabina di guida.

Sapeva di aver fatto bene a bere per primo. Gli altri, Basie e il dottor Ransome compresi, avevano sì avuto sete, ma solo lui aveva avuto il coraggio di rischiare il tutto per tutto per poche gocce d'acqua. I giapponesi avrebbero potuto gettarlo a terra e spezzargli le gambe sui binari, come facevano ai soldati cinesi che uccidevano alla stazione di Siccawei. Gli altri avevano tenuto il comportamento passivo dei contadini cinesi, e lui già si sentiva staccato da loro, e più vicino ai giapponesi, conquistatori di Shanghai e affondatori della flotta americana di Pearl Harbor. Ascoltando il rombo di un aereo da trasporto nascosto dalla nuvola di polvere bianca, pensò di nuovo a portaerei in viaggio nel Pacifico, e a piccoli uomini, in rascanti tute di volo, ritti accanto ai propri aerei non blindati e pronti a rischiare tutto su poco più che la loro volontà. Un paesaggio di campi d'aviazione. Mentre l'autista riempiva d'acqua il radiatore del camion, il dottor Ransome sistemò la signora Hug sulla panca accanto ai ragazzi inglesi. A Jim sembrava che le 2 missionarie stese sul pavimento, labbra sbiancate, occhi simili a quelli di topi avvelenati, fossero quasi morte, tanto le mosche che avevano a sciame sul viso entravano e uscivano loro dalle narici. Dopo averle caricate sul camion, il dottor Ransome rimase con le braccia appoggiate sulle grosse ginocchia, troppo esausto per aiutarle oltre. I mariti delle missionarie, seduti loro accanto, le fissavano con aria rassegnata, quasi che il gusto di giacere sul pavimento fosse una piccola stravaganza da esse condivisa. Jim si appoggiò al tetto della cabina di guida. Conscio della distanza che separava ora Jim dagli altri, il dottor Ransome si spostò più avanti e venne a sedere sulla panca vicino a lui. Il sole, la polvere e il lungo tragitto da Shanghai gli avevano dissolto il pigmento delle lentiggini; e, a dispetto delle gambe e del torace robusti, era assai più provato di quanto Jim non avesse immaginato. Infiammata, la tumefazione alla guancia perdeva sangue, e attorno all'occhio si aggrumava il primo pus.

S'inchinò e fece posto al soldato giapponese, che venne a piazzarsi accanto a Jim.

- Be', l'acqua ci ha fatto bene a tutti. Sei stato coraggioso, Jim. Di dov'è che vieni?

- Da Shanghai!

- E ne sei così fiero?

- Ma si capisce... - fece, sprezzante, Jim, scuotendo il capo come se il dottor Ransome fosse un guaritore di campagna. - Shanghai è la città più grande del mondo. Mio padre dice che è anche più grande di Londra.

- Speriamo che lo rimanga, anche se ci saranno magari un paio d'inverni di fame.

E i tuoi genitori dove sono, Jim?

- Sono partiti. - Rifletté sulla risposta da dare, chiedendosi se fosse il caso di inventare una storiella adatta al tipo. Già, perché il giovane medico aveva una sicumera di cui lui diffidava: l'atteggiamento, insomma, degli inglesi arrivati di fresco (e chissà poi come i cinegiornali britannici spiegavano la resa di Singapore, in quel momento...) Sì, il dottor Ransome era proprio il tipo capace di attaccar briga con le guardie giapponesi e dunque di causare guai a tutti.

Con tutto il suo sfoggio di altruismo, non aveva forse bevuto più acqua di quanta non gli spettasse? E poi, come aveva notato, il suo interesse per i vecchi moribondi era assai inferiore a quanto voleva dare a intendere... - Stanno al campo di Woosung - continuò. - E sono vivi, se lo vuol sapere.

- Ne sono felice. Il campo di Woosung, hai detto? Allora c'è caso che tu li veda presto, no?

- Sì, molto presto... - disse Jim, lasciando correre lo sguardo per le risaie silenziose. Il pensiero di rivedere sua madre lo fece sorridere, tendendogli i muscoli del viso. Ah, lei non poteva aver idea di tutte le sue avventure di 4 mesi! E anche se le avesse raccontato ogni cosa, tutto sarebbe sembrato come 1 di quei pomeriggi segreti, di prima della guerra, nei quali, dopo una scorrazzata in bici per Shanghai, la testa, al rincasare, era si piena di episodi da far rizzare i capelli, ma che non si potevano raccontare. - Sì, li rivedrò presto. E voglio che conoscano Basie.

La faccia giallastra di Basie si ritirò dietro il collo della giacca. I suoi occhi socchiusi scrutavano guardinghi i giapponesi lungo le rotaie, come chiedendosi con sospetto quale sorte li attendeva tutti in quei campi nudi. - E io conoscerò loro, Jim. - Poi, al dottor Ransome, senza alcuna enfasi: - Sa, gli ho dato un occhio...

- Me l'ha dato sì: tentando di vendermi a Shanghai.

- Davvero? Niente male come idea...

- Ai mercanti di Hongkew. Però io non valevo nulla. Ma ha anche badato a me, questo sì.

- Ha fatto un buon lavoro - disse il dottor Ransome battendogli sulla spalla. Poi gl'infilò una mano attorno alla vita per palpargli il fegato gonfio, e gli sollevò il labbro superiore per un'occhiata ai denti.

- Tutto a posto, Jim. volevo farmi un'idea della tua alimentazione fino ad oggi.

A Woosung ci dovremo dare tutti quanti al giardinaggio. E magari i giapponesi ci venderanno una capra.

- Una capra? - Jim non aveva mai visto una capra, animale esotico di grande estro e indipendenza, qualità da lui ammirate.

- Ti interessano gli animali, Jim?

- Sì... cioè, non molto. A me quello che veramente interessa è l'aviazione.

- L'aviazione? Gli aeroplani, vuoi dire?

- Non esattamente. - Poi, come niente fosse: - Sono stato nell'abitacolo di un caccia giapponese, una volta.

- E ammiri i piloti giapponesi?

- Sono coraggiosi...

- E questo è importante?

- Volendo vincere una guerra, non guasta. - Jim ascoltava il ronzìo lontano d'un aereo. Diffidava del medico; delle sue lunghe gambe, dei suoi modi inglesi e del suo interesse per i denti. Che pensasse di mettersi con Basie nella spoliazione -cadaveri? E poi c'era la capra che diceva di voler comprare dai giapponesi. A quanto aveva letto, le capre erano creature difficili e caparbie, per cui il dottore non doveva avere un gran senso della praticità. E i denti?

Pochi europei ne avevano d'oro, e gli unici morti che il dottore avrebbe presumibilmente visto sarebbero stati, per un bel pezzo, europei. Jim decise di ignorare il dottor Ransome. Rimase in piedi accanto alla guardia giapponese, le mani riscaldate dal tetto mimetizzato della cabina di guida. Quando il camion si avviò verso la strada, i soldati stavano procedendo lungo le rotaie, occupati a svolgere rotoli di cavo telefonico. Si accingevano forse a lanciare un aquilone da volo umano? Il soldato più lontano andava già scomparendo nella nuvola di polvere bianca, e la sua figura indistinta pareva sorgere dal terreno. Che buffo se si fosse improvvisamente levato in cielo, sopra le loro teste... Jim aveva lanciato dozzine di aquiloni, con l'aiuto del padre, dal giardino di Amherst Avenue. Ciò che l'affascinava erano gli aquiloni a drago che seguivano, librati in aria, matrimoni e funerali cinesi, e gli aquiloni da combattimento, dalle stecche ricoperte di polvere di vetro e taglienti come rasoi, che, lanciati alle banchine di Pootung, scendevano in picchiata a perforarsi a vicenda. Meglio di tutti, però, erano gli aquiloni da volo umano che suo padre aveva visti in Cina settentrionale: aquiloni con una dozzina di funi a cui si tenevano aggrappate centinaia di uomini. Un giorno avrebbe volato anche lui in un aquilone del genere, librato sull'ala del vento... L'aria gli schiaffeggiava gli occhi lacrimanti mentre il camion correva veloce lungo la strada sgombra. Sicuro della direzione, L'autista aveva fretta di consegnare i prigionieri a Woosung per poter rientrare a Shanghai prima di notte. Jim si teneva aggrappato al tetto della cabina, i suoi compagni raggomitolati sulle panche alle sue spalle. I mariti delle 2 missionarie erano già seduti sul pavimento, e il dottor Ransome aiutava la signora Hug a stendersi sotto il sedile. Jim aveva ormai perso interesse ai compagni di prigionia. Il camion stava entrando in una zona di campi d'aviazione militari, ex-basi cinesi, già di guardia all'estuario dello Yangtze, in via di progressiva occupazione da parte delle forze aeree dell'esercito e della marina giapponesi. Quando passò davanti a una base bombardata di caccia, nella quale dei genieri giapponesi stavano saldando un tetto nuovo alla struttura d'acciaio di un'aviorimessa, Jim vide, sul campo erboso, una fila di 0, e un pilota in pieno assetto di volo che camminava tra le ali. Senza riflettere, lo salutò con la mano, ma lui era ormai perso fra le eliche. 2 miglia più oltre, passato un villaggio vuoto e la sua carbonizzata pagoda, furono ritardati da un convoglio d'autocarri carichi di ali e fusoliere di bimotori da bombardamento. Una squadriglia di velivoli guardava il sole pomeridiano, pronta a levarsi in volo per andare ad attaccare le armate cinesi dell'ovest. Jim fu eccitato da tutta questa attività. Quando si fermarono al posto di blocco militare della Soochow Road, attese con impazienza che il camion ripartisse. Seduto accanto a Basie, batté i piedi per tutto il tempo del controllo della lista dei prigionieri da parte di un sergente della Kempetai e delle proteste del dottor Ransome per le condizioni delle missionarie. Poco dopo abbandonavano la strada maestra per una secondaria non asfaltata che correva lungo un canale industriale. Nel canale sfilavano, sui ponti di chiatte a motore, carri armati giapponesi, gli equipaggi addormentati sopra i teloni dei boccaporti. In circostanze normali, la fantasia di Jim si sarebbe sbizzarrita su quei veicoli da battaglia, ma, al momento, l'interesse unico e supremo era, per lui, l'aviazione. Ah, essere stato in volo coi piloti giapponesi quando avevano attaccato Pearl Harbor e distrutto la flotta statunitense del Pacifico, o a bordo degli aerosiluranti che avevano affondato la Repulse e la Prince of Wales!

Forse, a guerra finita, si sarebbe arruolato nell'aviazione giapponese e avrebbe portato sulle spalle l'insegna del Sol Levante, come i piloti americani delle Tigri Volanti, che avevano portato la bandiera della Cina nazionalista sulle loro giacche di pelle... Sebbene le gambe non ce la facessero più a reggerlo, Jim era sempre in piedi dietro la cabina di guida quando il camion puntò a velocità sostenuta verso i cancelli del campo di concentramento di Woosung.

Nella sua mente, gli aerei giapponesi della piana dello Yangtze e la fiducia nell'imminente ricongiungimento coi genitori erano ormai una cosa sola. Passò un caccia monomotore, che s'innalzò nel cielo tardo pomeridiano come portato dalla vampa dorata del sottoala. Jim levò le braccia in modo che il sole cadesse sulla vernice mimetica che gli macchiava le mani e i polsi, e immaginò d'essere un aereo come quello. Alle sue spalle, la olandese s'era afflosciata sul pavimento del camion, ai piedi dell'anziano padre, e il dottor Ransome si sforzava, insieme col soldato giapponese, di rimetterla a sedere. Attraversato un ponte di legno sopra il braccio di un lago artificiale, passarono davanti allo scheletro carbonizzato del circolo sportivo, le cui travi di cemento dipinto, in stile falso-Tudor, erano le uniche a non aver preso fuoco. Nell'acqua bassa giaceva lo scafo di una lancia da diporto, i ponti penetrati dalle canne di un canneto esteso dalla spiaggia alle ceneri dell'albergo. Davanti, un autocarro militare stava svoltando in un recinto disusato per bestiame, in cui si vedevano tracce recenti di un incendio ancor maggiore. All'esterno del corpo di guardia, alcuni soldati giapponesi dall'aria annoiata sorvegliavano una squadra di manovali cinesi intenti a inchiodare del filo spinato a una fila di paletti di pino.

Dietro il corpo di guardia c'era il deposito dell'impresa di costruzioni, circondato da cataste di tavole e di legname da recinzione, e un riparo di bambù sotto il quale, presso un braciere a carbone, riposava allungata su stuoie, una seconda squadra di coolies. Il camion si arrestò al corpo di guardia, e i prigionieri, insieme con l'autista, lasciarono scorrere lo sguardo sulla desolazione del luogo. L'ex-recinto da bestiame era sì in via di trasformazione, ma ci sarebbero voluti mesi prima che potesse accogliere degli internati. Seduto fra Basie e il dottor Ransome, Jim si sentì irritato con se stesso per aver creduto di poter trovare i genitori nel primo campo visitato. Fra l'autista giapponese e il sergente incaricato dell'allestimento del campo cominciò una lunga discussione. Una cosa fu subito chiara: per il sergente, il camion e la sua consegna di prigionieri alleati non esistevano. Ignorando le proteste dell'autista, egli si mise infatti a percorrere avanti e indietro il portico di legno del corpo di guardia, e, dopo aver lungamente agitato la sigaretta con aria meditabonda, puntò il dito verso 1 spiazzo coperto d'ortiche all'interno del cancello: spiazzo che, a quanto sembrava, doveva costituire per lui una sorta di terra di nessuno fra il campo e il mondo esterno. Il dottor Ransome scrutò a occhi socchiusi gli acri di steccati semicarbonizzati, labirinto divorato dal fuoco attraverso il quale, un giorno, era stato guidato del bestiame. - Questo non può essere il campo. A meno che non ce lo vogliano far allestire da noi.

Le pallide orecchie di Basie emersero dal collo della giacca da marinaio.

Sebbene avesse a malapena la forza di reggersi a sedere, non c'era profumo anche minimo d'occasione propizia, che gli potesse sfuggire. - Woosung? Potrebbero esserci dei vantaggi, dottore... Chi primo arriva...

Il dottor Ransome fece per aiutare la signora Hug a risollevarsi, ma la guardia giapponese alzò il calcio del fucile e lo rimandò al suo posto. Il sergente, ritto in mezzo alle ortiche, osservava da sopra la sponda posteriore i prigionieri esausti. Le donne anziane giacevano in chiazze di urina ai piedi dei mariti. I fratelli inglesi stavano rannicchiati contro Basie, la signora Hug reclina sulle ginocchia del padre. Deliberatamente, Jim pensò a sua madre, e alle ore liete passate a giocare a bridge nella sua camera da letto. Quando gli arrivarono le lacrime al naso, le risucchiò nella gola riarsa. Forse che il dottor Ransome poteva insegnargli a piangere? Lasciò vagare lo sguardo fra l'estremità accesa della sigaretta del sergente e il caldo focolare rappresentato dalla stufa a carbone nel crepuscolo. Vicino al braciere, un coolie cinese, accosciato, faceva vento ai carboni portandoli al calor bianco; e giungeva, sparso per l'aria, un profumo di grasso caldo. Sì, occorreva attirare in qualche modo lo sguardo dei soldati del corpo di guardia. Jim sapeva infatti che, lungi dal farsi un problema dei prigionieri indesiderati, i giapponesi li avrebbero lasciati dove stavano per tutta la notte. E, l'indomani, troppo malati per proseguire per il campo successivo, lui e gli altri sarebbero stati costretti a tornare al centro di detenzione di Shanghai. L'aria della sera si posò sui recinti carbonizzati. I coolies cinesi terminarono il pasto e, seduti sotto il riparo di bambù, presero a bere vino di riso e a giocare a carte. I giapponesi scolavano birra nel corpo di guardia. Centinaia di stelle andavano spuntando sullo Yangtze, accompagnate dai fanali di via degli aerei militari. 2 miglia a nord, oltre le file di tumuli funerari, Jim scorse le luci di manovra di un mercantile giapponese diretto al mare, la bianca sovrastruttura veleggiante come un castello fra i campi spettrali. Da una delle missionarie salì un cattivo odore. Il marito le sedeva accanto sul pavimento, appoggiato alle gambe del dottor Ransome. Desideroso di avvistare il mercantile, Jim si sollevò sul tetto della cabina di pilotaggio. Seduto, osservò il mercantile scivolare nella notte, e rivolse quindi lo sguardo alle stelle in cielo. Era dall'estate precedente che andava imparando per proprio conto le costellazioni principali.

- Basie... - Si sentiva girare la testa: era come se il cielo notturno gli stesse scivolando addosso. Perso l'equilibrio, rotolò lungo il tetto della cabina; poi, rialzatosi a sedere, vide l'autista e il soldato giapponese uscire a grandi passi dal corpo di guardia. Dato che avevano in mano dei bastoni di legno, pensò che venissero con l'intenzione di picchiarlo per esser montato sulla cabina, e quindi si affrettò a lasciarsi scivolare sul pavimento, accanto alla olandese.

L'autista abbassò la sponda posteriore. Mentre questa ricadeva sferragliando, batté il bastone contro le catene e, urlando, fece cenno ai prigionieri di smontare. Aiutati dal dottor Ransome, la signora Hug e i vecchi si calarono nelle ortiche. Poi, con Basie e i ragazzi inglesi in coda, seguirono il soldato verso il deposito di legname. Le 2 missionarie giacevano sul pavimento insozzato. Erano ancora vive, ma l'autista agitò il bastone in faccia al dottor Ransome, accennandogli di allontanarsi e di lasciarle dove stavano. Jim attraversò il fondo bagnato del camion e saltò a terra. Quando fece per correr dietro al dottor Ransome, l'autista lo trattenne per la spalla e gl'indicò il sergente che, ritto nella luce al cherosene del portico di guardia, teneva in mano un sacchetto simile a 1 sfollagente un po' appesantito. Jim gli si avvicinò a passi prudenti, e il sergente gli gettò il sacchetto ai piedi. Jim s'inginocchiò nei solchi profondi lasciati dalle gomme del camion, e lo ringraziò col suo più radioso sorriso. Il sacchetto conteneva 9 patate dolci.

Nell'ora seguente, Jim si diede un gran daffare. Mentre i prigionieri riposavano nel deposito di legname, riaccese la stufa a carbone. Sotto gli occhi annoiati dei coolies cinesi, fece vento alla brace sino a farla riardere e quindi la alimentò di trucioli. Il dottor Ransome e i ragazzi inglesi gli portarono un secchio d'acqua dalla grossa botte dietro il corpo di guardia. La signora Hug bevve direttamente dal secchio, ma lui decise di aspettare che si freddasse l'acqua delle patate. Il dottor Ransome cercò di aiutarlo col congio di ferro, ma lui lo respinse. Le eurasiatiche del centro di detenzione gli avevano insegnato che le patate bollivano prima in poca acqua e con un coperchio ben pressato.

Più tardi, prima di portare le patate bollite al deposito di legname, scelse la più grossa per sé. Poi andò a sedere accanto al dottor Ransome sulle tavole di pino, mentre i mariti delle missionarie restavano stesi nella segatura, incapaci di inghiottire. Che peccato aver dato loro anche la più piccola patata, pensò.

Solamente, occorreva che sopravvivessero, quei vecchi, altrimenti non si sarebbe proseguito per il campo successivo. La olandese sembrava in forze, sebbene avesse donato la sua patata ai ragazzi inglesi. Ma Basie stava già scrutando, inventariando le possibilità del deposito, e dunque, se fossero rimasti al campo di Woosung, lui, i genitori, non li avrebbe ritrovati più.

- A te, Jim! - disse il dottor Ransome porgendogli la sua patata, che aveva lasciata praticamente intatta, a parte un piccolo morso. - E buona: ti piacerà.

- Oh, grazie... - rispose Jim, divorandola in un baleno. Il gesto del dottor Ransome lo sbalordì. I giapponesi erano gentili coi bambini, e i 2 marinai americani gli s'erano mostrati amici anche loro, sotto un certo aspetto; ma gl'inglesi, quando mai s'erano interessati ai bambini? Andò a prendere il secchio con l'acqua delle patate per Basie e per sé, e offrì il sostanzioso liquido agli altri. Poi s'inginocchiò accanto ai vecchi missionari, battendo i denti e augurandosi che la vista dello stemma della Scuola della cattedrale potesse far scaturire dal loro cervello qualche scintilla religiosa capace di rianimarli.

- Non hanno l'aria di star molto bene - confidò al dottor Ransome. - Ma probabilmente mangeranno le loro patate domattina.

- Probabilmente, sì. Riposa, Jim, ti esaurirai, se continui ad occuparti di tutti. Domani proseguiremo, vedrai.

- Be'... il viaggio potrebbe essere lungo. - La seconda patata l'aveva confortato, e ora, per la prima volta, si sentiva dispiaciuto per la ferita infetta che il dottor Ransome aveva in viso. Restituendo il favore, gli confidò: - Se le capita di andare ai moli funerari di Nantao, non beva l'acqua.

Poi si stese nel morbido della segatura, placato dal profumo di pino. Attraverso le porte aperte del deposito di legname si mise a osservare i fanali di via degli aerei giapponesi che solcavano la notte. Dopo qualche minuto, fu costretto ad ammettere di non saper riconoscere alcuna costellazione. Come tutto dall'inizio della guerra, il cielo era anch'esso in fase di cambiamento. Gli unici suoi punti fissi erano, ad onta del loro movimento, gli apparecchi giapponesi, secondo zodiaco sopra una terra ridotta in pezzi.