Il ragazzo col coltello

 

Le guerre invigorivano sempre Shanghai, accelerando il polso delle sue strade congestionate. Perfino i cadaveri sembravano più vivi. Torme di contadine affollavano i marciapiedi dell'Avenue Foch, i venditori ambulanti incrociavano le ruote in una giostra di carretti davanti al Cercle Sportif Francais, file di tricicli e risciò avanzavano a 10 a 10 bloccando in mezzo le auto, e queste procedevano a lumaca in un incessante strombettìo di clacson. Giovani delinquenti cinesi in luccicanti abiti americani sostavano agli angoli delle strade, gridandosi a vicenda le puntate di jai alai. Nei tricicli all'esterno del Regency Hotel, le entraineuse impellicciate sedevano, come mogli affascinanti in attesa di essere portate a passeggio, accanto alle loro guardie del corpo. La città intera, insomma, s'era riversata nelle strade, come se la popolazione stesse celebrando la conquista, la sottrazione del Quartiere internazionale ad americani ed europei da parte di un'altra potenza asiatica. Ma, all'incrocio tra l'Avenue Pétain e l'Avenue Haigh, Jim trovò ancora, a dirigere il traffico, un brigadiere di polizia britannico e 2 sottufficiali sikh della polizia di Shanghai: ritti sul loro ponte a mensola, e sorvegliati alle spalle da un soldato giapponese. Fanti giapponesi armati sedevano come turisti nei camion mimetizzati in circolazione per le strade. Un gruppo di ufficiali si stava aggiustando i guanti all'esterno dell'Istituto radiologico. Sopra i cartelloni della Coca-Cola e della Caltex erano stati affissi di fresco manifesti di Wang Ching-Wei, il capo voltagabbana del governo fantoccio. In Avenue Pétain, Jim fu superato da una colonna di soldati cinesi. Urlando slogan nel chiasso circostante, la colonna sfilò a passo di marcia, segnò malamente il passo sotto la facciata barocca del casinò Del Monte, e quindi superò velocemente lo stadio delle corse di cani, armata di coolies in uniforme arancio-pallido e scarpe da ginnastica all'americana. Davanti alla stazione tranviaria di Avenue Haig, centinaia di passeggeri osservavano, in breve silenzio, una decapitazione pubblica. Accanto alla piattaforma dell'esecuzione giacevano i corpi di un uomo e di una donna in vesti imbottite da contadini: dei borsaioli, forse, o spie del Kuo-min-tang. I sottufficiali cinesi si asciugavano gli stivali mentre il sangue scorreva nelle scanalature metalliche delle rotaie. Lo scampanellìo di un tram carico di passeggeri fece spostare il gruppo di giustizieri. Il tram passò sferragliando: fruscio dell'asta connettrice e scarica di scintille fra rotella e filo elettrico, scarlatto umidiccio delle ruote anteriori, come verniciate per la sfilata annuale del sindacato... In circostanze normali, Jim si sarebbe fermato a osservare la folla. Nel tragitto di ritorno dalla scuola, Yang prendeva spesso per la Città vecchia. I pubblici strangolamenti si tenevano in un minuscolo stadio dal pavimento di legno, con pali d'esecuzione in tek circondati da gradinate; e attiravano sempre un pubblico dall'aria meditabonda.

Secondo Jim, i cinesi godevano dello spettacolo della morte perché esso rammentava loro la precarietà dell'esistenza. Ed erano crudeli per la stessa ragione: perché la crudeltà rammentava loro quanto fosse vano pensare che il mondo fosse diverso. Jim osservò i coolies e le contadine intenti a guardare i corpi decapitati. Già la calca dei passeggeri del tram li costringeva a spostarsi sommergendo quella piccola morte. Voltandosi per allontanarsi, inciampò in un braciere sul quale un venditore ambulante stava friggendo tranci di serpente. Gocce di grasso schizzarono sfrigolando in un secchio di legno, provocando i violenti guizzi della biscia d'acqua che vi stava. Il venditore brandi il ramaiolo caldo per darglielo in testa, ma Jim sgusciò via di tra la fila dei risciò fermi, e corse, lungo le rotaie macchiate di sangue, verso l'entrata della stazione. Facendosi strada tra la calca dei passeggeri in attesa, riuscì a raggiungere una panchina di cemento mescolandosi a un gruppo di contadine cariche di polli ingabbiati. I loro corpi puzzavano dì sudore e di fatica, ma lui era troppo esausto per muoversi. Aveva camminato per oltre 2 miglia lungo i marciapiedi affollati, e si sapeva seguito da un giovane cinese: un procacciatore di clienti da triciclo, probabilmente, o un galoppino di 1 delle decine di migliaia di piccoli delinquenti di Shanghai. Alto, faccia morta senz'ossa, capelli neri oleosi, giacca di cuoio, questo ragazzo l'aveva puntato quand'era passato davanti allo stadio dei cani. (A Shanghai, i rapimenti erano all'ordine del giorno, tanto che, prima di dar fiducia a Yang, i suoi genitori avevano sempre preteso che andasse a scuola accompagnato dalla governante.) Secondo lui, era interessato alla sua giacca sportiva e alle scarpe di cuoio, così come al suo orologio da aviatore e alla stilografica americana che portava nel taschino. Il ragazzo fendette la folla e gli s'avvicinò, le mani gialle simili a furetti.

- Ragazzo americano?

- Inglese. Sto aspettando il mio autista.

- Inglese... Tu ora venire.

- No, eccolo là che arriva.

Il ragazzo allungò il braccio, imprecando in cinese, e gli afferrò il polso. Le sue dita s'agitarono attorno al cinturino metallico dell'orologio, cercando di sbloccarne il fermo. Le contadine, i polli addormentati in grembo, rimasero indifferenti. Jim si liberò della mano con 1 strattone, e si senti afferrare il braccio. Sotto la giacca, il cinese aveva un coltello, e si accingeva a mozzargli il polso. Jim si liberò con un secondo strattone, e, prima che il ragazzo potesse afferrarlo di nuovo, gli tirò contro il canestro che stava sulle ginocchia della contadina alla sua destra. Il ragazzo cadde e si liberò a pedate del volatile starnazzante. Le donne scattarono in piedi e cominciarono a sgridarlo. Lui le ignorò, e, riposto il coltello, prese a inseguire Jim che correva tra le file dei passeggeri in coda esibendo il polso contuso. A 100 iarde dalla stazione, in Avenue Joffre, Jim si fermò a riprendere fiato nell'ingresso chiuso del Nanking Theatre, dove l'anno precedente aveva tenuto cartello una versione pirata cinese di Via col vento. Dall'impalcatura del cartellone, i visi sbrindellati di Clark Gable e Vivien Leigh si levavano sopra una replica, grande quasi quanto l'originale, di Atlanta in fiamme. Dei carpentieri cinesi stavano staccando i pannelli di fumo dipinto: un fumo che saliva alto nel cielo di Shanghai e che si distingueva a malapena da quello degl'incendi ancora in corso tra le case d'appartamenti della Città vecchia, dove truppe irregolari del Kuo-min-tang avevano resistito all'invasione giapponese. Il ragazzo col coltello gli stava sempre alle calcagna, ora scattando ora schivando i passanti nelle sue scarpe da ginnastica di poco prezzo. Al centro dell'Avenue Joffre si ergeva, circondato di sacchetti di sabbia, il posto di blocco della polizia delimitante il margine occidentale della Concessione francese; ma Jim sapeva di non potersi aspettare il minimo aiuto né dalla polizia di Vichy, né dai soldati giapponesi. Poliziotti e soldati stavano osservando un bombardiere monomotore che volava basso sopra l'ippodromo.

Nell'istante in cui l'ombra dell'aereo passava sulla strada, Jim senti il ragazzo cinese agguantargli il berretto e afferrargli le spalle. Liberatosi di scatto, si mise a correre per la strada affollata verso il posto di blocco, guizzando fra i tricicli e gridando: - Nakajima...! Nakajima...! Un ausiliario cinese in divisa di Vichy fece per colpirlo col bastone, ma una sentinella giapponese, colti i caratteri giapponesi della targhetta metallica che Jim aveva staccato dal relitto del caccia di Hungjao e che ora teneva davanti a sé, si fermò un istante a guardarlo. Poi, esaurita la breve tolleranza per la sua giovane età, prosegui il suo giro di pattuglia, segnalandogli, col calcio del fucile, di allontanarsi. Nakajima...!

Jim si uni alla folla di passanti incamminati verso la barriera. Come immaginava, il suo inseguitore era svanito tra i mendicanti e i coolies di risciò in attesa dal lato francese del filo spinato. E, non per la prima volta, si rese conto che i giapponesi, ufficialmente suoi nemici, costituivano, a Shanghai, la sua unica protezione. Tenendosi il braccio contuso, e adirato con se stesso per aver perso il berretto della scuola, giunse finalmente in Amherst Avenue. Qui si tirò la manica della camicia sulle chiazze scure che gli segnavano il polso. Sua madre si faceva una preoccupazione costante del pericolo e della violenza delle strade di Shanghai, e ignorava tutto dei suoi lunghi giri in bicicletta per la città.

Amherst Avenue era deserta. Le torme di mendicanti e di profughi erano scomparse. Anche il vecchio dalla scatola di Craven A se n'era andato. Jim si lanciò di corsa su per il viale d'ingresso, pregustando il piacere di trovare sua madre seduta sul sofà della sua camera da letto e di parlare con lei del Natale. Perché, della guerra, dava già per scontato che non avrebbero discusso minimamente. Sulla porta d'entrata era affisso un lungo rotolo di tela bianca in caratteri giapponesi, munito di timbri e numeri di matricola. Jim pigiò il campanello, e rimase in attesa che il Boy Numero 2 venisse ad aprirgli. Si sentiva esausto, consumato come le sue scarpe, e si accorse di avere la manica della giacca tagliata dal gomito in giù. Sbrigati, boy...! O ti ammazzo... stava per dire, ma si trattenne. La casa restava silenziosa. Niente vocio discorde di amaha alla tinozza del bucato nel quartiere della servitù, né ticchettio di giardiniere attorno alle aiuole del prato. Qualcuno aveva spento il motore della piscina, sebbene suo padre si facesse un dovere di tenere in funzione il filtro durante tutto l'inverno. Levati gli occhi alle finestre della propria camera da letto, vide chiusa anche la griglia del condizionatore d'aria. Ascoltò il trillo del campanello echeggiare per la casa vuota. Troppo stanco per premere di nuovo il bottone, sedette sui lucidi gradini e si soffiò sui ginocchi ammaccati. Era difficile immaginare che fossero usciti tutti contemporaneamente, genitori, Vera, i 9 domestici, l'autista e il giardiniere. Dal fondo del viale giunse il rumore di un'esplosione attutita: lo scappamento di un potente motore. Un semicingolato giapponese, l'equipaggio in piedi fra le antenne-radio, era entrato in Amherst Avenue, e ora, dirigendosi al centro della strada, costringeva una berlina Mercedes della villa tedesca a montare sul marciapiede.

Jim saltò dal porticato e si nascose dietro una colonna. Attorno alla casa correva un alto muro, rivestito di mattonelle di terracotta e sovrastato da cocci di vetro. Afferrandosi alle mattonelle con la punta delle dita, lo scalò nel punto corrispondente alla finestra sbarrata del guardaroba. Sollevatosi sul ripiano di cemento, strisciò sulle ginocchia tra i fili d'erba. L'anno precedente, di nascosto del giardiniere e del guardiano notturno, l'aveva scalato diverse volte, quel muro, ogni volta rimovendo qualche coccio in più.

Giunto al bordo, si calò e poi si lasciò cadere sui rami scuri del cedro dietro la serra. Di fronte aveva ora il giardino, cintato e silenzioso, che era la sua vera casa. Qui aveva giocato solo, con la sua fantasia, interpretando varie parti: pilota abbattuto sul tetto del pergolato di rose, cecchino appostato in cima ai pioppi dietro il campo da tennis, fante in corsa per il prato verde con la carabina ad aria compressa, ora abbattuto nelle aiuole ora lanciato all'assalto del gruppo di rocce sotto l'asta della bandiera. Dalle ombre del retro della serra, levò lo sguardo alle finestre della veranda. Il ronzio di un aereo lo distolse dall'idea di una corsa troppo rapida attraverso il prato.

Sebbene indisturbato, il giardino sembrava essersi inscurito e inselvatichito.

Il prato non tagliato cominciava a mostrare delle onde, e i rododendri erano più scuri di quanto non ricordasse. Ignorata dal giardiniere, la sua bicicletta giaceva sui gradini del terrazzo. Attraversando l'erba che s'andava infoltendo, si portò alla piscina. L'acqua era coperta di foglie e insetti morti, e i tre piedi di cui era calata avevano lasciato ai margini una pellicola di sporco.

Sulle mattonelle bianche c'erano mozziconi schiacciati di sigaretta, e sotto il trampolino galleggiava un pacchetto cinese. Jim prese il sentiero che conduceva al quartiere della servitù, dietro la casa. Nel cortile c'era una stufa a carbone, ma la porta della cucina era chiusa a chiave. Tese l'orecchio per cogliere eventuali rumori all'interno della casa. Accanto ai gradini della cucina c'era il cofano chiuso della pattumiera. Il compressore era collegato alla cucina per mezzo di 1 scivolo che si apriva nel muro sotto il lavandino. 2 anni prima, quand'era più piccolo, Jim aveva spaventato sua madre coll'infilarsi nello scivolo mentre lei era occupata a discutere col cameriere il menù di un pranzo di ricevimento. Stavolta non c'era pericolo che qualcuno accendesse il motore. Così, Jim sollevò il coperchio di metallo e, infilatosi fra le lame falcate, avanzò a forza di gomiti lungo lo scivolo sudicio. Sollevato, il portello metallico rivelò la familiare piastrellatura bianca della cucina.

- Vera! Boy! Sono tornato!

Si calò sul pavimento. Era la prima volta che vedeva la casa così al buio.

Attraversata la chiazza d'acqua attorno al frigorifero, entrò nell'atrio deserto.

Salendo la scala verso la camera da letto di sua madre, colse il puzzo di un sudore estraneo. I vestiti di sua madre stavano sparsi sul letto non fatto, e valigie aperte ingombravano il pavimento. Qualcuno aveva spazzato via spazzole e bottiglie di profumo dalla toeletta, e la superficie lucida del parquet era coperta di talco. Nel talco erano impresse dozzine di impronte: quelle dei piedi nudi di sua madre apparivano roteanti fra quelle, nette e distinte, di scarponi militari, sicché gli sembrava di aver davanti le complicate figure di danza disegnate sui manuali di tango e foxtrot dei suoi genitori. Sedutosi sul letto, rimase a fissare l'immagine luminosa di se stesso irradiata dal centro dello specchio a parete. Frantumato da un oggetto pesante, lo specchio sembrava scagliare frammenti di lui per tutta la stanza e, oltre, nella casa vuota.

S'addormentò ai piedi del letto della madre, placato dal profumo della sua camicia da notte di seta, sotto l'icona ingioiellata d'un bambino che esplodeva.