L'avviamento ai campi

 

Il giorno della morte dell'inglese, arrivò un nuovo scaglione di prigionieri.

Jim stava sulla porta del ripostiglio delle donne mentre la signora Blackburn e la figlia della vecchia olandese si sforzavano di confortare i 2 figli.

L'inglese giaceva sul pavimento di pietra nella sua veste bagnata, come un'annegata tratta a riva dal fiume. I figli, Paul e David, continuavano a girare la testa verso di lei, quasi aspettassero di riceverne le ultime disposizioni. Jim provò tristezza per loro, sebbene li conoscesse a malapena.

Sembravano molto più giovani di lui, ma in realtà gli erano maggiori di oltre un anno. Jim teneva gli occhi fissi sulla gavetta e sulle scarpe da tennis della defunta. La maggior parte dei prigionieri alleati aveva scarpe assai migliori di quelle dei soldati giapponesi, ed egli aveva notato che i cadaveri in uscita dal centro di detenzione non ne portavano mai. Mentre entrava furtivamente nella stanza, dal cortile giunse un trillo acuto di fischietto, seguito da una serie di comandi urlati. Il sergente Uchida si stava applicando a raggiungere l'acme di rabbia che gli era necessario per impartire anche le istruzioni più semplici.

Maschere sul viso, i soldati giapponesi cominciarono a far uscire dai ripostigli quanti fossero in grado di camminare. Un autocarro era fermo all'esterno del cinema, e i suoi prigionieri attendevano, malfermi sulle gambe, nella strada.

Tutti i progetti sulle scarpe da tennis della morta svanirono dalla mente di Jim. Finalmente sarebbe partito per i campi del circondario di Shanghai!

Superati a gomitate i 2 ragazzi, si tuffò tra le guardie, e salì di corsa i gradini per andare a mettersi in fila accanto ai compagni di prigionia: il signor Partridge, che, con la valigia della moglie, sembrava volersi portar dietro, in un lungo viaggio, le memorie di lei; Paul e David; la olandese col padre; e un certo numero di vecchi missionari. Basie stava in coda, le bianche guance nascoste dal colletto della giacca da marinaio, tanto sapiente nel tenersi nell'ombra da essere quasi invisibile. Staccatosi dal piccolo mondo del centro di detenzione che aveva manipolato per alcune settimane, sarebbe quindi riemerso dalla sua conchiglia, come un parassita marino, non appena raggiunto il più succulento terreno dei campi di prigionia. Entrarono i nuovi arrivati: 2 annamite e un gruppo di anziani britannici e belgi, i malati e i vecchi portati in barella da inservienti cinesi. Contato il numero di occhi gialli, Jim si disse che presto ci sarebbero state delle gavette extra. Maschera di cotone in viso, il sergente Uchida passò a scegliere i prigionieri destinati ai campi.

Davanti al signor Partridge scosse il capo, e diede un calcio stizzoso alla valigia. Poi indicò col dito la olandese e suo padre, Paul e David, e 2 coppie anziane di missionari. Jim si leccò le dita per pulirsi le guance dallo sporco.

Il sergente fece segno a Basie di avviarsi al camion. Senza 1 sguardo a Jim, il cameriere di cabina si mosse fra le guardie, le braccia attorno alle spalle dei 2 fratelli. Poi il sergente Uchida premette le dita sulla fronte sudicia di Jim.

Col suo costante inchinarsi e sorridere, e con la sua disponibilità a render servizio, questi era stato un fastidio perpetuo per lui: perciò, prima si toglieva dai piedi, meglio era. Quando vide il gruppo dei nuovi arrivati fissare stancamente la stufa fredda e la bava di riso bollito attorno all'orlo del congio, chiuse la mano sulla nuca di Jim e, con un urlo che la maschera di cotone attutì, lo scagliò verso la stufa, facendolo cadere sui ginocchi. Mentre Jim si rialzava, gli disseminò le mattonelle di carbone sul pavimento di pietra con una serie di calci ai sacchi che le contenevano. Jim setacciò le scorie del fornello. I nuovi arrivati si spostarono fra le panchine e andarono a sedere davanti allo schermo bianco, come in attesa d'un inizio di film. Basie, i 2 olandesi, David, Paul e i vecchi missionari aspettavano in strada dietro il camion scoperto, osservati a distanza da una folla di guidatori di risciò e contadine.

- Basie...! - chiamò Jim. - Continuerò a lavorare per te...!

Ma il cameriere non era più interessato a lui: nel suo entourage aveva ormai introdotto Paul e David, che non aveva perso tempo ad accattivarsi. Quando montò, sulle ginocchia ammaccate, sopra la sponda posteriore del camion, i 2 fratelli lo aiutarono.

- Basie... - fece ancora Jim, setacciando furiosamente. Lo schermo del cinema, che ora fissava torvo, era attraversato dalle prime ombre degli alberghi di Shanghai. Un soldato giapponese con la maschera sul viso distribuiva una pila di gavette. A misura che gli passavano davanti le barelle coi prigionieri feriti, Jim si rendeva conto che il centro di detenzione era riservato, in prevalenza, a prigionieri molto vecchi o destinati a morire, a morire di dissenteria, di tifo, o della febbre, comunque si chiamasse, che lui e il soldato Blake avevano preso dall'acqua infetta. Una cosa era certa: molti dei prigionieri non avrebbero tardato a morire, e con loro sarebbe morto anche lui, se rimaneva al centro. Le annamite avevano preso le gavette dal soldato, e indicavano la stufa e i sacchi di mattonelle. Con loro a cucinare il riso e le patate dolci, nessuna speranza per lui di ottenere la razione regolamentare: ancora visioni di aerei americani, e poi la morte.

- Basie...? - disse, gettando il setaccio. Gli ultimi prigionieri in trasferimento avevano ormai preso posto sul camion. Il soldato giapponese accanto alla sponda posteriore costrinse la olandese a sedersi sul pavimento; Basie, seduto fra i 2 ragazzi inglesi, fabbricava intanto un balocco con un pezzo di fil di ferro che teneva in mano. Il camion si avviò, ma si arrestò quasi subito. L'autista giapponese gridò dal finestrino, agitando un portacarta di tela e picchiando pugni contro la portiera metallica. Le guardie del centro, che avevano fretta di chiudere i cancelli e di ritirarsi a riposare in fureria, gridarono di rimando dal marciapiede. Poi il motore s'imballò, e seguì immediatamente un clamore di voci rabbiose: quelle dei soldati e dell'autista che discutevano sulla destinazione del viaggio.

- Woosung... - Abbassata la maschera di cotone, faccia che cominciava a imporporarsi, gocce di saliva alle labbra, come pus premuto a forza da una piaga, il sergente Uchida, già furibondo con l'autista, uscì a grandi falcate dai cancelli aperti. L'autista era smontato. Inconsapevole del tornado che stava per abbattersi su di lui, spolverò la carta, e, spiegandola contro il paraurti del camion, considerò sconsolatamente l'intrico di strade che gli s'aprivano davanti. Jim seguì il sergente Uchida ai cancelli. Dove mai fosse Woosung (un distretto agricolo alla foce dello Yangtze, oltre i sobborghi settentrionali di Shanghai), né questi né l'autista giapponese avevano evidentemente la minima idea. L'autista gesticolò in direzione del Bund e di Nantao, e quindi, rimontato in cabina, ascoltò passivamente il torrente d'ingiurie che il sergente Uchida, spinte bruscamente da parte le guardie annoiate, cominciò a urlargli contro.

Fermo accanto alle guardie, Jim attese che il sergente raggiungesse l'acme della tirata, al quale doveva necessariamente seguire una presa di decisione. E, a un certo punto, scrutato l'affollato orizzonte di casamenti e magazzini, il sergente puntò il dito a casaccio in direzione di una strada acciottolata percorsa da una linea tranviaria in disuso. Per nulla impressionato, l'autista si schiarì la gola, avviò stancamente il motore, e sputò un groppo di muco nella strada, che finì ai piedi di Jim.

- Dritto...! - gli gridò Jim. - Woosung è da quella parte...! - e indicò la strada con le rotaie arrugginite.

Il sergente Uchida lo picchiò sulla testa, ammaccandogli entrambe le orecchie; poi, picchiandolo ancora, gli fece sanguinare la bocca. In quel momento, dai cancelli uscì una nuvola di fumo. Le annamite avevano acceso la stufa con legna bagnata, e il fumo riempiva il cinema, lingueggiando fra le panchine come se si fosse incendiato lo schermo. Lieto di sbarazzarsi di lui, il sergente Uchida agguantò Jim con le sue mani robuste e lo lanciò sopra la sponda posteriore del camion, urlando qualcosa alla guardia giapponese che sedeva coi prigionieri. La guardia lo trascinò sopra le ginocchia della olandese e di suo padre. Mentre il camion si allontanava dal centro di detenzione, le ruote già prese nelle rotaie del tram, Jim si spostò barcollando verso la cabina mimetizzata di guida.

Reggendosi al tetto beccheggiante, e ignorando il torrente d'improperi lanciatogli contro dall'autista, levò la bocca insanguinata al vento, e, felice di essere nuovamente in cammino verso i genitori, si lasciò inondare i polmoni dal puzzo di Shanghai.