La stanza riservata
Poco dopo l'alba, Jim fu svegliato dai primi voli di ricognizione dei caccia americani. Aveva passato la notte nel letto della signora Vincent, e ora, dalle finestre del Blocco G, osservava le coppie di Mustang sorvolare a cerchio la Pagoda del campo d'aviazione. Un'ora dopo cominciarono i lanci per i campi di prigionia attorno a Shanghai. Sbucando dalla foschia luminosa sopra lo Yangtze, le squadriglie di B-29 passarono sulle risaie vuote coi portelli di sgancio aperti, come un'armata di berline da noleggio. Ora che la guerra era finita, i puntatori americani sembravano maldisposti, forse per noia, a concentrarsi nella mira. Così, con gran fastidio di Tulloch e del tenente Price, i bombardieri lanciarono stavolta i loro carichi nella campagna aperta attorno al campo e, con un saluto d'ala, s'avviarono a tornare alle basi con la placidità di chi avesse compiuto la propria giornata di lavoro. Ma quand'è che l'Esercito e la Marina americani si sarebbero decisi a venire a Shanghai? Dal tetto del Blocco G, Jim andava esaminando la calma superficiale del fiume, 3 miglia a nord. Senza dubbio, la riluttanza degli americani a risalire lo Yangtze per nave era dovuta al timore che i comandanti dei sottomarini giapponesi avessero magari deciso di non arrendersi; ma, finché non arrivavano loro, mettersi in cerca dei genitori era troppo pericoloso. L'intera Shanghai, con la campagna circostante, era chiusa in una zona dove non vigeva né guerra né pace: in un vuoto, insomma, che non avrebbero tardato a riempire ogni signore della guerra e ogni generale cinese scontento. Quando Price e i suoi furono usciti per il recupero dei lanci, Jim scese al corpo di guardia. La scia dei motori delle Superfortezze aveva scacciato il puzzo di carne putrefatta dell'ospedale, quel miasma gravante sul campo per ore, del quale Tulloch sembrava non accorgersi. Una volta allontanatosi il tenente Price, spettro in caccia di altri spettri fra i tumuli funerari, Tulloch si sentì libero di ammettere Jim nell'ufficio del comandante.
Jim si servì alla pila di scatole accatastate contro la parete, e fece un rapido pasto a base di Spam e latte in polvere. Poi sedette al tavolo del sergente Nagata in fureria e, masticando una tavoletta di cioccolato, si diede a classificare per tipo le riviste americane. Più tardi, quando Tulloch uscì a inveire contro la crescente folla di cinesi denutriti al di là del cancello, salì la scala della torre di vedetta. Price e i suoi stavano perlustrando i canali a ovest del campo, in compagnia di un gruppo di prigionieri alleati di Hungjao. Lungo gli argini dei fossi anticarro era tutto un correre di uomini armati, che sparavano per le risaie allagate. Chiaramente, gli ex-internati britannici non erano più i soli a correre la campagna. I contadini cinesi stavano tornando ai villaggi abbandonati nelle settimane precedenti la fine della guerra; bande di coolies infestavano la zona, dedicandosi al recupero dei pneumatici e di quanto restava delle carrozzerie dei veicoli giapponesi carbonizzati; e squadre di ex-soldati del Kuo-min-tang, disertori delle armate del governo-fantoccio cinese, erravano per le strade, perfettamente consapevoli della sorte che li aspettava se fossero caduti nelle mani degli ex-camerati nazionalisti, ma attirati nondimeno dai lanci americani attorno a Shanghai.
Dall'osservatorio della torre di vedetta, Jim vide una compagnia di questi soldati demoralizzati passare in disordine davanti al cancello di Lunghua.
Armati di tutto punto, in divise lacere ora prive di mostrine, costoro transitarono a pochi passi dal solitario meccanico della Packard, che stava di guardia al suo tesoro di tavolette di cioccolato e di Saturday Evening, A mezzogiorno, quando ricomparve il tenente Price, abbigliato come un cadavere nella seta rossa del paracadute di cui i suoi trascinavano il contenitore, Jim affastellò le sue riviste e tornò al Blocco G. Qui passò un'ora a rimetterle in ordine di data, poi uscì per un giro del campo. Evitando l'ospedale, scavalcò il reticolato e si mise a esplorare il terreno inselvatichito fra campo e aerodromo nella speranza di ritrovare la tartaruga da lui liberata nelle ultime settimane di guerra. Il canale oltre il reticolato conteneva però soltanto il cadavere di un aviatore giapponese. Alcuni settori del campo d'aviazione di Lunghua, la Pagoda, i casermaggi e la torre di controllo, erano occupati da una brigata avanzata di truppe nazionaliste. Per ragioni loro, aviatori e avieri di terra giapponesi non avevano minimamente tentato la fuga, ma continuavano a rimanere nelle aviorimesse e nelle officine sventrate. Ogni giorno, i soldati nazionalisti ne prelevavano alcuni e li portavano, per ucciderli, nella sterpaglia a sud e a ovest del campo d'aviazione. La vista dell'aviatore giapponese galleggiante a pancia sotto fra i serbatoi sganciabili di Mustang, lo sconvolse quanto quella dei cadaveri britannici dell'ospedale. Da quel momento, decise di non abbandonare più la sicurezza del campo. La notte continuò a dormire nel letto della signora Vincent; i giorni li passò a degustare i cibi in scatola e il cioccolato americani, e a ordinare la sua collezione di riviste.
Queste, ben impilate sui letti vuoti della stanza, costituivano ormai una cospicua biblioteca. Le copie di Time, Life e Reader's Digest trattavano di ogni possibile aspetto della guerra: un mondo a un tempo familiare e totalmente estraneo a quello da lui sperimentato a Shanghai e a Lunghua. A volte, mentre studiava i drammatici resoconti di battaglia di carri e di teste di ponte, arrivava perfino a chiedersi se l'avesse vissuta davvero, la guerra. E continuò a raccogliere riviste dal pavimento dell'ufficio del comandante, e a nascondervi qualche barattolo extra di Spam e di latte in polvere, come parte di quella scorta a lungo termine che aveva pensato bene di accumulare. Una cosa, infatti, aveva già capito: che, data la loro sempre minore frequenza, i lanci americani sarebbero prima o poi cessati del tutto. Ora che aveva recuperato le forze, si affaccendava a recuperare il recuperabile attorno al campo; e massima fu la sua soddisfazione quando, sotto un letto del Blocco D, trovò una racchetta e una scatola di palle da tennis. Il terzo giorno, mentre Price e i suoi sbinocolavano dal tetto del corpo di guardia in impaziente attesa degli aerei di rifornimento, al cancello del campo si presentò un vecchio camion Opel. Nella cabina di guida sedevano 2 britannici a torso nudo, ex-internati di Lunghua; nel cassone stavano, con tutti i loro beni, le mogli cinesi e i figli. Quegli uomini, dei capicantiere della Moller Line, Jim li ricordava dallo stadio di Nantao, dove li aveva osservati armeggiare sotto il cofano delle Cadillac bianche il mattino della fine della guerra. Così, erano riusciti a tornare a Shanghai e a recuperare le famiglie, che i giapponesi non avevano internate; e, senza risorse in una città ostile, avevano deciso di tornare a Lunghua... Un primo bottino l'avevano già fatto: nel cassone si vedeva infatti un contenitore argenteo da paracadute, simile a una bomba, il quale rimpiccioliva ancor più quei bimbi dagli occhi neri e dalle bluse cinesi. Jim, dalla finestra di Basie nel Blocco E, sorrise soddisfatto quando vide Tulloch e il tenente Price scendere dal tetto del corpo di guardia. Ma Tulloch e Price, quando furono al cancello, non lo aprirono. Sorse allora una discussione sconnessa fra il tenente e gli ex-internati di Lunghua, i quali indicarono rabbiosamente il Blocco E, che aveva per unico occupante quel quattordicenne intento a sorridere a se stesso alla finestra del piano superiore. Jim tambureggiò coi pugni sul davanzale di cemento, e si mise a far cenni di saluto agli ex-prigionieri e alle loro torve mogli cinesi. Dopo 3 anni di tentativi di abbandono del campo, rieccoli al suo cancello, pronti a rioccupare il proprio posto in vista della terza guerra mondiale! Finalmente, dunque, avevano cominciato a capire la semplice verità da lui conosciuta da sempre: che la loro libertà stava nel campo di Lunghua...
Il cancello s'apriva: doveva essere stato stretto un accordo: il tenente Price s'era incapricciato dell'Opel... Nel giro di un minuto, i 2 britannici e le loro famiglie attraversarono lo spiazzo verso il Blocco D, seguiti dai primi Mustang della mattinata. La scia dei motori mandò un vento puzzolento per gli edifici vuoti, un tanfo di rifiuti generato da una pasciuta miriade di mosche. I mendicanti cinesi seduti vicino al cancello si coprirono le facce: Jim, invece, inalò il lezzo inebriante, scacciando l'immagine dell'ospedale e quella dell'aviatore giapponese nel canale oltre il reticolato. Era tempo di dimenticare i morti, poiché, a suo modo, il campo tornava a vivere. I giorni di latte in polvere e cioccolato l'avevano rinvigorito, ma non al punto da permettergli di affrontare la lunga marcia per Shanghai. Altra gente sarebbe tornata al campo: anche i suoi genitori, magari. E, anche con lanci ridotti, il cibo non sarebbe più mancato. Guardando alle cucine silenziose dietro il corpo di guardia, e al mucchio arrugginito di carriole metalliche, si sorprese a desiderare una patata dolce... Le sue scarpe echeggiarono lungo i corridoi vuoti e giù per i gradini di pietra. Nello slanciarsi dall'atrio, udì il rombo dell'Opel. Tulloch e il Seaforth Highlander stavano caricando paracadute e cartoni di cibo in scatola da dietro la sponda posteriore.
- Fermo, Jim, fermo! - gridò Tulloch, accennandogli di avvicinarsi. - Dov'è che stai andando?
«-Al Blocco G, signor Tulloch... - ansimò Jim, appoggiandosi al sussultante paraurti del camion. Sulla porta del corpo di guardia, il tenente Price infilava cartucce nel caricatore del fucile, col rituale di 1 che contasse il suo oro segreto. - Voglio riservare una stanza per i miei genitori che potrebbero venire a Lunghua. E ne riserverò una anche per lei, signor Tulloch!
- Jim... Jim - fece Tulloch, posandogli una mano sul capo nel tentativo di calmarne la sovreccitazione. - E tempo che ritrovi tuo padre, ragazzo. La guerra è finita, Jim.
- Ma la prossima, signor Tulloch... Non ha detto che comincerà presto?
Il meccanico della Packard lo aiutò a montare nel cassone. - Prima di cominciare la prossima, bisogna che superi questa, Jim. Adesso noi ti diamo un passaggio e tu torni a Shanghai!