L'attacco alla Petrel
Un campo di fiori di carta galleggiava sulla marea del mattino: raccogliendosi attorno ai pilastri sporchi di petrolio della gettata, li rivestiva di sbuffi dai vivaci colori. Pochi minuti prima dell'alba, Jim sedeva alla finestra della sua camera al Palace. Portava la divisa di scuola e contava di farsi un'ora di ripasso prima di colazione, ma, come sempre, trovò difficile non interessarsi allo spettacolo del fronte del porto. Dalle padelle dei venditori ambulanti davanti all'albergo già saliva l'odore di teste di pesce e fagioli cagliati messi a friggere in olio di arachidi. Giunche macchiate d'olio di tung, occhi dipinti alle prore, sfilavano oltre le fumerie galleggianti da oppio arenate sul lido di Pootung. Lungo il Bund erano ormeggiate migliaia di sarnpan e di traghetti, città di topaie galleggianti ancora immersa nell'oscurità; ma, tra le ciminiere delle fabbriche di Pootung, già si scorgeva il primo raggio di sole, che, diffondendosi sul fiume, andava a illuminare gli squadrati profili dell'USS Wake e dell'HMS Petrel. Le cannoniere americana e britannica erano all'àncora al centro del fiume, di rimpetto agl'istituti bancari e agli alberghi del Bund. Jim osservò una motolancia ricondurre alla Petrel 2 ufficiali britannici di ritorno dai ricevimenti a terra. Lui conosceva il comandante della Petrel, capitano Polkinhorn (l'aveva conosciuto allo Shanghai Country Club), e conosceva pure tutte le navi da guerra ormeggiate sul fiume. La luce perlacea non gl'impedì di notare che il monitore italiano Emilio Grotta, già provocatoriamente ormeggiato di fronte al Consolato britannico, a lato dei Giardini pubblici del Bund, aveva mollato l'àncora durante la notte. Al suo posto stava ora una cannoniera giapponese, tozza e segnata dalla guerra, con cannoni sporchi e camuffamento completo su fumaiolo e sovrastruttura. Dagli sfiati dell'àncora, ai 2 lati della prua, scendevano strisce di ruggine. Le ventiere d'acciaio del ponte erano ancora chiuse, e le barbette dei cannoni di prora e di poppa erano protette da sacchetti di sabbia. Osservando la possente nave, Jim si domandò se fosse stata danneggiata durante il pattugliamento delle gole dello Yangtze. Intorno alla tuga notò un movimento di marinai e ufficiali, e una lampada da segnalazione lanciare un messaggio attraverso il fiume. 2 miglia a monte, oltre la Base aeronavale di Nantao, c'era 1 sbarramento di mercantili affondati che i cinesi avevano costruito nel '37 nel tentativo di bloccare il fiume. Il sole brillava attraverso i fori degli alberi d'acciaio e dei fumaioli, e la marea in entrata spazzava i ponti per riversarsi nelle cabine. Lui, quando rientrava sulla lancia della compagnia dopo le visite al cotonificio paterno, aveva sempre desiderato di salire a bordo dei mercantili per esplorarli e le sommerse cabine, mondo di viaggi dimenticati avvolto in grotte di ruggine. Osservò la cannoniera giapponese presso i Giardini pubblici.
Dal ponte, la lampada da segnalazione continuava a lampeggiare. Si accingeva forse ad autoaffondarsi anch'essa, quella provata piattaforma per cannoni? Lui nutriva profondo rispetto per i giapponesi, ma i britannici di Shanghai non avevano che disprezzo per le loro navi. L'incrociatore Idzumo, ormeggiato lungo il Consolato giapponese di Hongkew, mezzo miglio a valle, sembrava assai più imponente della Wake e della Petrel. Battente bandiera della Flotta giapponese della Cina, esso era stato costruito in Inghilterra, e, dopo aver servito nella Marina britannica, era stato venduto al Giappone durante la guerra russo -giapponese del 1905. La luce avanzò attraverso il fiume, rivelando i fiori di carta che ne coprivano il dorso come ghirlande abbandonate da ammiratori di quei marinai. Ogni notte, a Shanghai, i cinesi che non potevano permettersi le spese di un funerale ai parenti usavano affidare al fiume i cadaveri dai moli funerari di Nantao, in bare coperte di fiori di carta. Trascinati via da una marea, i morti tornavano con la seguente, venendo a mescolarsi, davanti al molo di Shanghai, ai detriti della città. Prati di fiori di carta entravano così con la marca. addensandosi come minuscoli giardini galleggianti attorno ai vecchi e alle vecchie, alle giovani madri e ai neonati, i cui corpi rigonfi sembravano esser stati nutriti, durante la notte, dal paziente Yangtze. Jim detestava quella regata di cadaveri. Nella luce del sole nascente, i petali di carta somigliavano alle viscere spiriformi disseminate qua e là sulla scena dell'attentato terroristico di Nanking Road. Così, tornò a rivolgere la sua attenzione alla cannoniera giapponese. Era stata calata una lancia, che ora si dirigeva alla volta della USS Wake. Una dozzina di fanti giapponesi di marina sedevano l'1 di rimpetto all'altro, i fucili verticali come remi; a prua, 2 ufficiali di marina in alta uniforme, 1 con megafono nelle mani guantate.
Confuso da questa visita formale di così primo mattino, Jim montò sul davanzale interno e premette il viso contro la vetrata. Dall'Idzumo si erano staccate 2 vedette con a bordo 50 fanti di marina ciascuna. Incontratesi al centro del fiume, queste e la lancia spensero i motori e rimasero a galleggiare in mezzo ai fiori di carta e alle vecchie casse da imballo. Passò rapida una giunca a motore, le gabbie di bambù sul ponte cariche di cani abbaianti, diretta al mercato delle carni di Hongkew. Il coolie nudo al timone, intento a bere una bottiglia di birra, non fece il minimo tentativo di modificare la rotta quando l'onda sollevata dalla giunca annaffiò la lancia. Ignorando lo spruzzo, l'ufficiale giapponese chiamò la Wake col megafono. Ridendo fra sé, Jim tamburellava contro il vetro con le palme delle mani. A bordo, come ognuno a Shanghai sapeva, di ufficiali americani non potevano essercene, perché se la stavano dormendo tutti della bella nelle loro camere del Park Hotel. Ed ecco infatti apparire, dal castello di prua, un membro cinese della ciurma, ancora sonnolento e vestito di pantaloni corti e maglietta... Il cinese scosse la testa all'accostare della vedetta giapponese, e cominciò a lucidare il parapetto di ottone mentre i fanti passavano sulla passerella e si portavano rapidamente sul ponte. Baionetta innestata, costoro corsero per tutta la lunghezza della nave alla ricerca di membri americani della ciurma. Seguita dalla seconda vedetta, la lancia si accostò alla HMS Petrel. Dopo un vivace scambio di parole, il giovane ufficiale britannico che stava sul ponte fece segno ai giapponesi di allontanarsi con quel gesto disinvolto che Jim aveva visto fare ai suoi genitori quando rifiutavano le teste di Giava e gli elefanti intagliati offerti dai mercanti che circondavano con le loro canoe le navi da crociera nel porto di Singapore. I giapponesi stavano dunque tentando di vendere qualcosa ai britannici e agli americani? Se era così, perdevano il loro tempo. Le braccia allargate contro la finestra, Jim si sforzò di ricordare il linguaggio dei segnali che aveva imparato, tanto controvoglia, fra i lupetti. L'ufficiale giapponese della lancia stava infatti segnalando con la lampada alla cannoniera ormeggiata presso i Giardini pubblici. Mentre la luce s'accendeva e si Spegneva a intermittenza, Jim notò l'accorrere, oltre il Consolato britannico, di centinaia di cinesi. Dal fumaiolo della cannoniera salivano dense nuvole di fumo e vapore, come se la nave stesse per esplodere. La canna del cannone di prua esplose in un lampo che abbruciò plancia e ponte: 600 iarde più oltre, una seconda esplosione segnalò l'impatto del proietto contro la sovrastruttura della Petrel. L'onda sonora d'urto si rifranse contro gli alberghi del Bund, e la pesante vetrata trasmise a Jim una botta sul naso. Quando la cannoniera sparò una seconda cannonata dalla torretta di poppa. egli saltò sul letto e scoppiò a piangere; poi, imponendosi di smettere, si rannicchiò dietro la testata di mogano del letto. Dall'ormeggio accanto al Consolato giapponese apri il fuoco anche l'incrociatore Idzumo. Il fumo che, levandosi dai suoi 3 fumaioli, si snodava lungo le acque come un boa di piume nere, fu squarciato dalle vampe dei suoi cannoni. La Petrel appariva ormai avvolta in una cappa di vapore, sotto la quale si scorgeva, riflesso nell'acqua, il bagliore di una serie d'incendi.
Sopra il Bund volava una coppia di caccia giapponesi, così bassi che Jim poteva vederne i piloti nelle carlinghe. Masse di cinesi andavano disperdendosi lungo le linee tranviarie: alcuni gruppi si dirigevano verso il molo, altri si riparavano sulle gradinate degli alberghi. -Jamie, che stai facendo? - esclamò suo padre, irrompendo, scalzo e ancora in pigiama, nella camera. Guardandosi intorno incerto, come incapace di riconoscere quella camera che pure faceva parte del suo appartamento, continuò: - Sta' via dalla finestra! Vestiti, e fa' quello che ti dirà tua madre. Ce ne andiamo fra 3 minuti.
Jim era già vestito, con la divisa della scuola completa di giacca, ma lui sembrò non accorgersene. Mentre si proteggevano gli occhi dalla vampa del cannoneggiamento diretto, dal centro del fiume arrivò l'onda di un'immane esplosione. Come razzi di un fuoco d'artificio, brandelli infuocati della Petrel schizzarono in aria e ricaddero quindi nel fiume. Jim si sentiva stordito dal rumore e dal fumo. Nei corridoi dell'albergo era tutto un correre di gente; dal pezzo dell'ascensore salivano le grida di un'anziana inglese. Seduto sul letto, Jim rimase a fissare la piattaforma in fiamme che s'inabissava nel fiume. Ogni pochi secondi, dal suo centro si levava un bagliore costante e continuo. I marinai britannici della Petrel contrattaccavano: messo in azione 1 dei loro cannoni, stavano rispondendo al fuoco dell'Idzumo. Jim, però, li osservava cupo: probabilmente, pensava, era stato lui a far scoppiare la guerra, con le sue confuse segnalazioni dalla finestra che gli ufficiali giapponesi della motolancia dovevano aver frainteso... Eh sì, ora lo sapeva che avrebbe dovuto restare nei lupetti! Adesso, magari, il reverendo Matthews l'avrebbe fustigato dinanzi all'intera scuola come spia.
- Jamie, sta' giù, sul pavimento! - gli ordinò sua madre, ginocchioni sulla porta di comunicazione. In una pausa tra le salve, lo tirò via dalle finestre, che vibravano tutte, e lo tenne giù sul tappeto.
- Vado a scuola, oggi? - chiese Jim. - C'è l'esame di sacra scrittura.
- No, Jamie. Oggi farete vacanza. Vedremo se Yang può portarci a casa.
Jim fu impressionato dalla sua calma. Decise di non dirle di essere stato lui a far scoppiare la guerra. Appena vestiti, i suoi genitori si mossero per lasciare l'albergo. Attorno agli ascensori si ammassava una folla di ospiti europei e americani, che, rifiutando di prendere le scale, picchiavano contro le gabbie e chiamavano a gran voce. In cappello e soprabito, valigie in mano, sembravano decisi a prendere il primo vapore per Hong Kong. La madre di Jim si uni alla folla, ma il padre la prese per il braccio e si apri la strada delle scale. I ginocchi affaticati dallo sforzo, Jim arrivò nell'atrio prima di loro. Il personale cinese di cucina, alcuni ospiti dei piani inferiori e gl'impiegati bianco-russi, stavano rannicchiati dietro le poltrone di cuoio e i vasi di palme, ma suo padre si diresse risoluto verso le porte girevoli. Il fuoco era cessato.
Turbe di cinesi correvano lungo il Bund fra i tram fermi e le macchine parcheggiate: vecchie anruah saltellanti in pantaloni neri, coolies fra le stanghe di risciò vuoti, mendicanti e mozzi di sampan, camerieri in divisa degli alberghi. Una cappa di fumo grigio, larga quanto una città avvolta nella nebbia, pesava sul fiume: ne emergevano le punte degli alberi maestri dell'idzumo e della wake. Presso i Giardini pubblici, il fumaiolo della cannoniera giapponese seguitava a eruttare nubi di fuliggine incandescente. La Petrel stava affondando all'ormeggio. A poppa e a mezzanave si levavano getti di vapore, e Jim poteva vedere, a prua, i marinai che attendevano in fila di prender posto sulla lancia di salvataggio. Lungo il Bund avanzava un carro armato giapponese, sollevando scintille, coi cingoli, dai binari del tram: sterzando a scatti attorno a un tram abbandonato, impastò un risciò contro un palo telegrafico. Staccata dal veicolo, e distorta, una ruota rotolò per la strada: allo stesso passo dell'ufficiale giapponese comandante le truppe d'assalto, che marciava con la spada levata come fosse lui a spingerla. 2 caccia sfrecciarono in picchiata sopra il molo, scoperchiando, con la scia dell'elica, i tetti di bambù dei sampan ed esponendo così alla vista centinaia di cinesi accovacciati. Un battaglione di fanti di marina giapponesi avanzava lungo il Bund: visto sullo sfondo delle piante ornamentali dei Giardini pubblici, sembrava un esercito da palcoscenico. Un plotone, baionette innestate, salì di corsa i gradini del Consolato britannico, guidato da un ufficiale con una Mauser in pugno.
- La macchina è là... su, muoviamoci! - fece il padre di Jim, prendendo lui e la madre per mano e spingendoli nella strada.
Come si mosse, Jim venne travolto da un coolie. Stordito, rimase a terra, fra i piedi dei passanti, aspettandosi che il cinese dal petto nudo tornasse indietro a scusarsi. Poi, dopo un po', si rialzò e, spolverò i pantaloni e giacca, seguì i genitori verso la macchina parcheggiata di fronte allo Shanghai Club. Sui gradini sedeva un gruppo di cinesi esauste, intente a recuperare le rispettive borsette nel puzzo soffocante di gasolio mandato a riva dallo scafo capovolto della Petrel. Mentre la famiglia si avviava lungo il Bund, il carro armato giapponese arrivava davanti al Palace, in mezzo a una torma di personale in fuga, di fattorini cinesi nelle loro divise americane coperte di passamani, di camerieri in giacca bianca e di ospiti europei con cappelli e valigie. 2 motociclisti giapponesi, ciascuno col suo soldato armato nella carrozzetta mimetizzata, si spinsero avanti, ritti sui pedali, nel tentativo di aprirsi la strada fra l'intrico di risciò e tricicli, carri a cavalli e coolies trotterellanti sotto gioghi carichi di balle di cotone grezzo. Un ingorgo notevole bloccava ormai il Bund. Ancora una volta, la calca affannata di Shanghai aveva inghiottito gl'invasori. Che fosse finita, la guerra? Dal finestrino posteriore della Packard, che si trovava bloccata anch'essa nel traffico, Jim osservò un sottufficiale giapponese che stava urlando qualcosa alla folla cinese circostante. Ai suoi piedi giaceva Un coolie morto, che perdeva sangue dalla testa. Il carro armato, intrappolato dalla calca dei veicoli, non poteva avanzare perché aveva davanti una Lincoln Zephyr bianca. 2 giovani cinesi in pelliccia, ballerine del night-club all'ultimo piano del Socony, si battevano con le leve dell'auto, ridendo dietro lo schermo delle manine ingioiellate.
- Aspettate qui! - disse il padre di Jim, aprendo la portiera per scendere. - Jamie, bada alla mamma!
Raffiche di armi automatiche giungevano dalla USS Wake: i giapponesi tiravano, dal ponte, sui marinai britannici della Petrel che cercavano di raggiungere a nuoto la riva. La lancia di salvataggio della nave, carica di feriti, stava affondando nell'acqua bassa delle piane fangose davanti ai moli della Concessione francese. I marinai, le braccia coperte di sangue, la abbandonarono, finendo nel fango sino alla coscia. Un sottufficiale ferito cadde in acqua, e scivolò via verso i moli oscuri del Bund. Stretti l'1 all'altro, i marinai rimasero imbottiti nel fango, lambiti dalle ondine della marea in rapida ascesa.
Attorno alle loro spalle già cominciavano a raccogliersi i primi fiori di carta.
Jim vide suo padre aprirsi la strada fra i coolies dei sampan che affollavano la gettata. Un gruppo di britannici era accorso dallo Shanghai Club e si stava togliendo soprabiti e giacche. Una volta in panciotto e camicia, costoro saltarono nel fango, tenendosi in equilibrio con le braccia per non affondare oltre la coscia. I giapponesi a bordo della USS Wake continuavano a sparare contro la lancia, ma 2 soccorritori erano intanto riusciti a raggiungere un marinaio ferito, e, presolo sotto le braccia, andavano trascinandolo verso le piane fangose. Il padre di Jim li superò, gli occhiali spruzzati d'acqua, aprendosi il passo nella melma nera. L'acqua della marea gli era ormai giunta al petto, quando raggiunse il sottufficiale ferito che galleggiava tra i pilastri del molo. Afferratolo, lo tirò verso l'acqua bassa, trascinandolo per una mano, e gli s'inginocchiò accanto, esausto, nel fango oleoso. Altri soccorritori, raggiunta la lancia che stava affondando e recuperati gli ultimi marinai feriti, stavano tornando a nuoto, con loro, verso la riva, dove un secondo gruppo di britannici li aiutò a raggiungere la piana fangosa. La nube di gasolio bruciato della Petrel attraversò il Bund e avvolse la marea immobile del traffico e i giapponesi avanzanti: Nel momento in cui Jim alzava il finestrino, la Packard venne spinta in avanti e poi urtata con violenza di lato. Una pioggia di vetri infranti cadde sui sedili. Jim stava sul pavimento dei sedili posteriori. Sua madre fu colpita al capo dallo stipite della porta.
- Fuori dalla macchina, Jamie... fuori!
Intontita, aprì la portiera e scese, prendendo la borsetta dal sedile sbullonato.
Più indietro, il carro armato giapponese si stava aprendo la strada oltre la Lincoln Zephyr, abbandonata dalle ballerine cinesi. Schiacciato il parafango posteriore della Lincoln, il suo battistrada metallico spinse la grossa auto contro il cofano posteriore della Packard.
- Su, Jamie, alzati... Su, che andiamo a casa!
Una mano sul viso contuso, la madre di Jim si sforzava di aprire la portiera posteriore ormai contorta. Il carro armato si fermò accingendosi a un secondo assalto alla Lincoln. Fra le macchine e i risciò stavano avanzando dei fanti giapponesi di marina, che si aprivano la strada tra la folla puntando le baionette innestate. Jim passò sui sedili anteriori e apri la portiera dell'autista. Poi saltò nella strada e passò, chinandosi, sotto le stanghe di un risciò carico di sacchi di riso. Il carro armato avanzò, seguito da una scia di fumo di scappamento. Jim vide sua madre spinta a forza nella massa di cinesi ed europei che i fanti giapponesi si sforzavano di sgombrare dal Bund. Al primo carro armato ne seguì un secondo, poi arrivò un convoglio di camion mimetizzati carichi di soldati giapponesi. Dall'USS Wake echeggiò un'ultima fucilata. Gli ultimi feriti britannici vennero trascinati fino alla piana di fango sotto il Bund. Il petrolio fuoruscito dalla Petrel ormai affondata s'allungava in una striscia attraverso il fiume, portando la calma in quel settore del campo di battaglia. I civili britannici che avevano soccorso i marinai sedevano, le camicie sporche di petrolio, accanto ai feriti. Il padre di Jim stava trascinando il sottufficiale ferito verso la piana di fango. Esausto, perse la presa e cadde nelle acque basse di 1 scolmatore che sfociava, attraverso la banchina, sotto il molo. I soldati giapponesi impegnati sul Bund stavano allontanando la folla dal molo, costringendo cinesi ed europei a scendere da macchine e risciò. La madre di Jim era scomparsa, tagliata fuori dalla colonna di camion militari. Un marinaio britannico ferito, un ragazzo dai capelli color sabbia non più che diciottenne, s'arrampicava su per i gradini della gettata: a mani aperte, simili a racchette insanguinate da ping-pong. Raddrizzato il berretto, Jim passò di scatto davanti a lui e ai coolies dei sampan, e, scesi di corsa i gradini della gettata, saltò nel fango spugnoso. Poi, col fango alle ginocchia, si diresse verso suo padre.
- Li abbiamo tirati fuori. Bravo, Jamie. - Suo padre sedeva nell'acqua bassa dello scolmatore, accanto al corpo del sottufficiale. Aveva perso gli occhiali e una scarpa, e i pantaloni del vestito grigio erano neri di petrolio, ma aveva ancora il colletto bianco e la cravatta. In una mano teneva un guanto di seta gialla simile a quelli portati dalla madre di Jim ai ricevimenti formali dell'Ambasciata britannica. Guardando più attentamente, Jim si accorse che si trattava della pelle completa di una mano del sottufficiale, staccatasi dalla carne per effetto di un incendio nella sala-motori.
- Sta andando... - Suo padre agitò il guanto sull'acqua con un gesto stanco da mendicante. Dallo scafo capovolto della Petrel giunse attraverso il fiume un'esplosione roca, strozzata. Poi, dopo un violento getto di vapore all'altezza dei ponti spezzati, la cannoniera scivolò sotto le onde. Una nube di fumo ribolli convulsa in superficie, come in caccia della nave scomparsa. Il padre di Jim si allungò all'indietro nel fango. Jim gli s'accosciò a fianco. Il fragore dei carri armati sul Bund, i comandi urlati dai sottufficiali giapponesi, il ronzio degli aerei in volteggio, sembravano lontanissimi. L'acqua stava portando i primi resti della Petrel: salvagenti, tavole, un pezzo di tendone di tela che si tirava dietro i suoi cordoni come una gigantesca medusa costretta in superficie dall'affondamento della cannoniera. Lungo le banchine correva un bagliore continuo, come di fucileria senza suono. Jim si stese accanto al padre.
Schierati sul Bund, sopra di loro, stavano centinaia di soldati giapponesi. Le loro baionette formavano una palizzata di spade che risplendeva al sole.