Una fuga
- E finita di nuovo, la guerra, signor Maxted?
Tutt'intorno a Jim, che aspettava presso le porte di cucina, i prigionieri gettavano da parte le carriole e indicavano, gridando, il cancello. La sirena di cessato-allarme risuonò per il campo, con 1 stridìo d'uccello ferito che cercasse di sottrarsi al bombardamento americano. Le braccia degli uni sulle spalle degli altri, i prigionieri osservarono i soldati giapponesi abbandonare il corpo di guardia. Ciascuno dei 30 soldati portava il fucile con la baionetta innestata e un paniere di tela con dentro il bagaglio personale. Fra i materassi di paglia e le armature di Kendo si vedevano 2 mazze da baseball, paia di scarpe da ginnastica appese per le stringhe e un grammofono portatile: tutta roba ottenuta dai prigionieri in cambio di sigarette, cibo e notizie di parenti internati in altri campi.
- Pare che i tuoi amichetti se ne vadano, Jim. - Il signor Maxted si stava grattando fra le costole con le dita sporche, in caccia di pelle squamata.
Quando trovava una squama, la fissava ad occhi socchiusi nel sole d'agosto, come preoccupato al pensiero di lasciare in giro per il campo frammenti di se stesso.
- Se vuoi andare a fare un salutino al soldato Kimura, ti tengo il posto.
- Il mio indirizzo, signor Maxted, lo conosce già, e a me gli addii non piacciono.
E poi è probabile che li rivediamo già questo pomeriggio, quando avranno constatato che non c'è posto dove andare.
Non volendo rischiare di perdere il primo posto nella coda di cucina, da lui occupato col signor Maxted fin dall'alba, Jim montò sulla carriola, e osservò, da sopra le teste dei prigionieri l'uscita dei giapponesi dal cancello del campo, Una volta fuori, i soldati si misero in fila per 1 sulla strada, dando le spalle alla fusoliera carbonizzata di un aeroplano giapponese che giaceva in una risaia a 100 iarde di distanza. Era un bimotore, ed era stato abbattuto e fatto a pezzi 2 giorni prima, al momento del decollo dal campo d'aviazione di Lunghua, dalle mitragliere dei caccia Lightning che si levavano ormai senza preavviso dalla campagna deserta. Tenendosi in equilibrio sulla carriola metallica, Jim osservò il soldato Kimura scrutare inquieto l'orizzonte orientale, il settore da cui spuntavano, come schegge di sole, i terribili aerei americani. Anche nella calda luce agostana, la sua faccia conservava il colore smorto della cera fredda.
Kimura si leccò le dita e si strofinò le guance con lo sputo, angosciato al pensiero di star lasciando la sicurezza del campo; di fronte a lui, il gruppo dei contadini cinesi, che, seduti sul ciglio erboso, fissavano il cancello che li aveva esclusi per tanti mesi e che ora non possedeva più guardie. Secondo Jim, quei cinesi affamati, immersi nel loro universo di morte, non avevano nemmeno più la forza di concepire il significato di un cancello aperto. Contemplando lo spazio ora sguarnito fra le postazioni, egli si rese conto di una cosa: accettare l'idea di poter varcare fra poco quei cancelli verso la libertà, riusciva difficile anche a lui. Il soldato della torre di vedetta scese la scala verso il tetto del corpo di guardia, la mitragliatrice leggera a tracolla. Il sergente Nagata uscì dal corpo di guardia e raggiunse i suoi uomini all'esterno del campo. Dalla scomparsa del comandante del campo, nel caos della settimana precedente, l'ufficiale giapponese più alto in grado era lui.
- Signor Maxted, se ne sta andando anche il sergente Nagata. Allora la guerra è finita davvero!
- Un'altra fine, Jim? Non credo che ce la faremo a sopportarla...
Durante la settimana precedente, quando non era passata ora senza che il campo non fosse attraversato da voci sulla fine della guerra, il signor Maxted aveva trovato sempre più fastidiosa la sua eccitata allegria. Nei suoi giri per commissioni, egli s'era dato infatti a gridare a tutti quelli che incontrava, a salutare a gran cenni i prigionieri in riposo all'esterno delle baracche, a saltare eccitato fra le tombe del cimitero dell'ospedale a ogni sorvolo di aerei americani; il tutto, nel tentativo di mascherare le insicurezze del mondo che stava per accoglierlo al di là del reticolato. E il dottor Ransome l'aveva schiaffeggiato 2 volte, Ma ora che la guerra era finita, si sentiva sorprendentemente calmo. Presto avrebbe rivisto sua madre e suo padre, e sarebbe tornato alla casa di Amherst Avenue, al dimenticato reame di servi e di Packard e di lustri parquet. Contemporaneamente, però, si diceva che i prigionieri avrebbero avuto il dovere di festeggiare, di gettare in aria gli zoccoli, di impadronirsi della sirena antiaerea per suonarla a favore degli aerei americani in arrivo. Invece, come il signor Maxted, i più di loro si limitavano a star lì a fissare, in silenzio, i giapponesi. Gli uomini seminudi nei calzoni corti sbrindellati, le donne in prendisole stinti e in vesti rappezzate di cotone, gli occhi ammalati di malaria incapaci di guardare in faccia la vampa accecante della libertà, essi avevano un'aria tetra e diffidente. Esposti alla luce che sembrava allagare il campo attraverso il cancello spalancato, i loro corpi apparivano anche più scuri e consunti: e, per la prima volta, quegli uomini e quelle donne avevano l'aspetto di gente colpevole di un delitto. Voci e confusione avevano snervato tutti, a Lunghua. Nel luglio, gli attacchi aerei americani si erano succeduti quasi senza soste. Dalle basi aeree di Okinawa, ondate di Mustang e di Lightning s'erano avventate a mitragliare i campi d'aviazione attorno a Shanghai e ad attaccare le forze giapponesi concentrate alla foce dello Yangtze. Dalla balconata dell'aula magna Jim aveva assistito alla distruzione della macchina bellica giapponese come se si fosse trovato nell'emiciclo del Cathay Theatre davanti a un film epico di guerra. Le case d'appartamenti della Concessione francese erano scomparse dietro centinaia di colonne di fumo prodotte dall'esplosione di camion e vagoni di munizioni. Per paura dei Mustang, i convogli giapponesi avevano preso a circolare solo dopo il tramonto, e il rumore dei loro motori aveva tenuto svegli tutti una notte dopo l'altra. E il sergente Nagata con le sue guardie aveva smesso di pattugliare il perimetro del campo per timore di venir preso a fucilate dalla polizia militare incaricata della protezione dei convogli. Entro la fine di luglio, la resistenza giapponese ai bombardieri americani era cessata quasi del tutto. A sparare agli apparecchi attaccanti era rimasto un solo cannone antiaereo, montato sul tetto superiore della Pagoda di Lunghua; le batterie intorno al campo d'aviazione erano state spostate a Shanghai, per la difesa dei cantieri navali. In quegli ultimi giorni di guerra, Jim aveva passato ore, nell'aula magna, ad aspettare quelle Superfortezze d'alta quota nelle cui ali e fusoliere d'argento aveva investito tanta fantasia. Diversamente dai Mustang e dai Lightning, che saettavano per le risaie a fil di terra come macchine da corsa, i B-29 apparivano di solito senza preavviso nel cielo sovrastante, come evocati dalla sua mente famelica, in un brontolìo di tuono che si srotolava per la campagna dai cantieri navali di Nantao. Nelle piane di fango giaceva inclinata una nave giapponese da trasporto: una nave tanto ischeletrita da un bombardamento dopo l'altro, Jim poteva vedere la luce del sole filtrare attraverso la sua sovrastruttura. In mezzo a tutto questo, la pista di cemento del campo d'aviazione di Lunghua continuava a rimanere intatta. Con sforzo eroico, i genieri giapponesi seguitavano a colmare i crateri dopo ogni incursione, come in attesa dell'arrivo dalle isole patrie di una flotta aerea di soccorso. Il candore della pista, il biancore di sole e d'ossa calcinate dei morti cinesi, e, chissà, delle sue, in una morte che avrebbe potuto essere, eccitavano Jim. Oh, ma quando si sarebbero decisi all'estrema resistenza, i giapponesi? Questa confusione di rapporti di fedeltà, il timore di ciò che sarebbe accaduto loro dopo la sconfitta giapponese, divenne caratteristica comune di tutti gl'internati. Spesso, dai prigionieri deliranti accosciati all'esterno delle baracche, salivano grida di giubilo quando si vedeva un B-29 colpito staccarsi dalla formazione. E il dottor Ransome aveva avuto ragione nel predire che il rifornimento alimentare di Lunghua sarebbe stato sospeso entro poco tempo. Una volta la settimana arrivava a Shanghai un camion con pochi sacchi di patate in via di fermentazione e di resti di mangime animale pullulante di tonchi e di sterco di topi. Fra i prigionieri in coda per le esigue razioni scoppiavano allora liti furibonde. Irritati da quel suo tenersi per tutta la giornata davanti alle porte di cucina, un gruppo di britannici del Blocco E avevano spinto Jim da parte rovesciandogli la carriola di ferro. Da quel momento, lui aveva deciso di ascoltare il signor Maxted; e tanto lo aveva ascoltato, che questi s'era finalmente risolto a staccarsi dal suo letto. Nell'ultima settimana di luglio, così, Jim e l'architetto erano rimasti a sorvegliare insieme la strada di Shanghai, in attesa di quel camion delle razioni che s'auguravano risparmiato dagli attacchi a bassa quota dei Mustang. E, in quei giorni di fame, Jim aveva scoperto che la maggior parte degl'internati del Blocco G era andata silenziosamente accumulando una piccola scorta di patate, mentre lui e il signor Maxted, che s'erano dati volontari per la raccolta della razione quotidiana, restavano fra i pochi che non ci avessero pensato. Seduto sul letto, piatto vuoto in mano, Jim osservava i Vincent spartirsi una patata rancida, e mordicchiarvi coi loro denti ingialliti. Alla fine, la signora Vincent gli passava un pezzetto di pelle. Temeva forse di vederlo assalire il marito?
Fortuna che c'era, per lui, la modesta riserva accumulata dal dottor Ransome sulle razioni dei moribondi... Ma, col primo di agosto, anche questa riserva s'era esaurita. Jim e il signor Maxted s'aggiravano per il campo con la carriola vuota, come in attesa della materializzazione, fra i pilastri della torre idrica o fra le tombe del cimitero, d'una consegna di riso o di grano saraceno. Una volta, il signor Maxted colse lo sguardo di Jim sulle ossa dei polsi, bianche come la pista del campo d'aviazione di Lunghua, della signora Hug: ossa emergenti dalla fossa... Per Jim, il campo era avvolto in una strana sorta di vuoto. Il tempo aveva cessato di esistere, a Lunghua, e molti prigionieri erano convinti che la guerra fosse ormai finita. Il 2 agosto dopo voci sull'entrata in guerra della Russia contro il Giappone, il sergente Nagata e i suoi soldati si erano ritirati nel corpo di guardia, sospendendo il pattugliamento del reticolato e abbandonando il campo nelle mani degl'internati. Gruppi di prigionieri britannici erano usciti nelle risaie circostanti, e genitori con bambini indicavano, dai tumuli funerari, la torre di guardia e i dormitori del campo come se li stessero vedendo per la prima volta. Un gruppo di uomini, capeggiato dal signor Tulloch, capomeccanico dell'agenzia shanghaiana della Packard, s'inoltrò per i campi coll'intenzione di raggiungere la città a piedi.
Altri prigionieri si raccolsero attorno al corpo di guardia, a schernire i soldati giapponesi che stavano a guardare dalle finestre. Per tutta la giornata, Jim rimase confuso dal manifesto crollo dell'ordine all'interno del campo.
Restio a credere che la guerra fosse finita, varcò il reticolato e passò qualche minuto alle trappole per fagiani; poi, rientrato nel campo, andò a sedere in solitudine sulla balconata dell'aula magna. Ripreso il controllo di se stesso, andò quindi in cerca di Basie. Ma i marinai americani, lungi dal ricevere le visitatrici, avevano barricato quel giorno le porte del dormitorio; e, dalla sua finestra, Basie gli fece segno di non abbandonare il campo. E, come volevasi dimostrare, la fine della guerra si rivelò di breve durata. Al tramonto passò per il campo, diretta a Hangchow, una colonna motorizzata giapponese, e la polizia militare riportò i 6 britannici che avevano tentato di raggiungere Shanghai a piedi, e che, pestati a sangue, giacquero 3 ore privi di conoscenza sui gradini del corpo di guardia. Quando il sergente Nagata diede il permesso di trasportarli ai loro letti, essi descrissero lo stato di confusione regnante a sud e a ovest di Shanghai, le migliaia di contadini disperati che i giapponesi in ritirata andavano ricacciando in città, le torme di banditi e di soldati affamati degli eserciti-fantoccio rimasti abbandonati a se stessi. A dispetto di questi pericoli, il giorno appresso Basie, Cohen e Demarest evadevano. I prigionieri spingevano verso il corpo di guardia vuoto, gli zoccoli sonori sul sentiero di cenere. Incalzato da quegli uomini seminudi, Jim si tenne strette le stanghe della carriola di ferro. Gli altri avevano abbandonato le loro, ma lui era ben deciso a non farsi sorprendere senza la propria in caso di arrivo del camion delle razioni. Non mangiava dal pomeriggio precedente; e, sebbene gl'internati stessero per impadronirsi del corpo di guardia, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era il cibo. Vicino al cancello, un gruppo di britanniche e di belghe inveiva al di qua del reticolato contro la fila di soldati giapponesi in strada, che, appesantiti dai fucili e dalle stuoie da letto arrotolate, s'agitavano stizziti sotto il sole d'agosto. Il soldato Kimura lasciava scorrere sulle risaie desolate lo sguardo di 1 che, tutt'altro che ansioso di partire, avrebbe piuttosto avuto voglia di rientrare nel mondo sicuro del campo. Macchie di sputo avvivavano la polvere intorno agli scarponi scalcagnati dei soldati.
Sfogando la rabbia di anni contro gli ex-guardiani, le donne, sputavano attraverso il reticolato, fra grida di scherno. Una belga cominciò a urlare in giapponese e, lacerando la manica stinta del vestito di cotone, si mise a lanciar brandelli di stoffa ai piedi dei soldati. Jim si tenne saldo alla sua carriola, scuotendone bruscamente i manici quando il signor Maxted tentò, spossato, di sedersi sulla stanga di legno. Si sentiva distaccato dalle donne che sputavano e dai loro agitati mariti. Dov'era Basie? E perché era scappato?
D'accordo che, secondo le voci, la guerra era finita, però era sorprendente che lui avesse abbandonato Lunghua per esporsi a tutti i rischi della campagna. Un tipo così cauto, che mai s'azzardava a tentare qualcosa per primo o a rischiare la sua modesta sicurezza... Evidentemente, doveva aver ascoltato qualche messaggio d'avviso alla radio clandestina. Sennò, perché avrebbe lasciato quel suo cubicolo traboccante di tesori duramente accumulati negli anni, scarpe e racchette da tennis e preservativi a centinaia? Fu allora che gli venne in mente del suo accenno allo spostamento verso l'interno degl'internati dei campi vicini a Shanghai. Era stato un suo modo di avvertirlo che era tempo di andarsene prima che i giapponesi si scatenassero in una furia massacratrice, come avevano fatto a Nanchino nel '37? Perché i giapponesi ammazzavano sempre i prigionieri, prima d'inscenare l'estrema resistenza... Però, qui, Basie, s'era sbagliato; e, in quel momento, giaceva magari cadavere in un fosso, ammazzato dai banditi. Degli abbaglianti sulla strada di Shanghai. Asciugandosi il mento, le donne si ritrassero dal reticolato, i seni ancora segnati da collane di sputo. Era una macchina di servizio giapponese, seguita da un convoglio d'autocarri pieni di soldati armati. Da un autocarro che s'era già fermato, un plotone di soldati si lanciò di corsa attraverso le risaie asciutte verso il lato occidentale del campo, e, baionette innestate, si schierò davanti al reticolato. Tornate silenziose, le centinaia di prigionieri si girarono a guardare. Un secondo plotone di poliziotti dell'aviazione militare stava intanto guadando il canale di separazione fra l'aerodromo e il campo. A est, il lungo gomito del fiume Whangpoo chiudeva il cerchiò col suo intrico di rivi e di fossi irrigui. Il convoglio raggiunse il campo, gli abbaglianti riflessi dalle macchie di sputo nella polvere, Soldati armati balzarono a terra, i fucili con le baionette innestate. Dalle divise e dall'equipaggiamento nuovi, Jim li riconobbe per un'unità speciale da campagna della gendarmeria giapponese. Entrati rapidamente per il cancello, i soldati presero posizioni all'esterno del corpo di guardia. I prigionieri arretrarono, cozzando gli uni contro gli altri alla maniera di un gregge di pecore. Preso nella ritirata, Jim fu travolto dalla massa di corpi e cadde dalla carriola. Un caporale giapponese, basso di statura ma robusto, con la fondina della Mauser penzolante dalla cintola a mo' di manganello, impugnò la carriola e la scagliò verso il cancello. Jim, che aveva fatto per slanciarsi a strappargliela di mano, venne trattenuto per le braccia dal signor Maxted.
- Jim, per amor di Dio... Lascia stare!
- Ma, è la carriola del Blocco G! Stanno per ammazzarci, signor Maxted?
- Jim... Bisogna trovare il dottor Ransome.
- Ma il camion delle razioni arriverà o no? - fece Jim, respingendolo, stanco di dover sostenere quella sua sofferente figura.
- Più tardi, Jim. Forse arriverà più tardi.
- No, secondo me, non arriverà più. - Mentre la linea di soldati giapponesi costringeva gl'internati a rinculare attraverso lo spiazzo, Jim non perdeva d'occhio le guardie di pattuglia lungo il reticolato. Il ritorno dei giapponesi gli aveva restituito la fiducia. La prospettiva di venire ucciso lo eccitava: dopo le incertezze della settimana avanti, qualunque fine era la benvenuta. Per pochi, estremi momenti, i prigionieri sarebbero stati, come il coolie del risciò che s'era cantato il proprio canto di morte, pienamente consapevoli di se stessi; ma, qualunque cosa fosse accaduta, lui sarebbe sopravvissuto. Pensò alla signora Philips e alla signora Gilmour, e alla discussione sul momento preciso dell'abbandono del corpo dei morenti da parte dell'anima. Lui, la sua anima aveva già abbandonato il suo corpo, né aveva più bisogno, per durare, delle sue piccole ossa e delle sue piaghe aperte. Lui era morto, come il signor Maxted, e il dottor Ransome. Erano tutti morti, a Lunghua. Ed era assurdo che gli altri non se ne fossero accorti. Erano sul margine alle spalle della massa di prigionieri, che ora riempiva lo spiazzo. Jim cominciò a ridacchiare lieto di aver compreso il vero significato della guerra.
- Non hanno bisogno di ammazzarci, signor Maxted...
«-Certo che no, Jim.
- E non ce l'hanno, signor Maxted, per la semplice ragione che hanno perso la guerra.
- Jim! - Il signor Maxted gli diede 1 scappellotto, e poi gli strinse la testa contro il petto emaciato. - Ricorda che sei inglese.
Con circospezione, Jim si liberò del sorriso. Poi, calmatosi divincolò le spalle dall'abbraccio del signor Maxted. Il momento di depressione era passato, ma la percezione del vero stato dei prigionieri, e il suo sentimento di distacco da se stesso, rimanevano. Preoccupato per il signor Maxted, che lasciava colare a terra, fra i piedi nudi, un muco oleoso, gli mise un braccio attorno ai fianchi ossuti. Gli dispiaceva che l'ex-architetto col quale Aveva girato in Studebaker per i locali notturni di Shanghai, Si fosse ridotto così. E che tristezza che fosse tanto demoralizzato da non trovar altro, per rassicurarlo, che quel Ricorda che sei inglese... Davanti al corpo di guardia, nel quale era andato a stabilirsi il comandante dell'unità di gendarmeria, i capi blocco stavano parlando a un sergente giapponese. In piedi accanto a loro 1 smunto dottor Ransome, cappello da coolie in mano, spalle ricurve sotto la camicia di cotone.
Allisciandosi capelli e guance, e già dando ordini a un soldato nel suo rapido giapponese, la signora Pearce entrò nel corpo di guardia. I prigionieri delle prime file si voltarono e, correndo indietro per lo spiazzo, cominciarono a gridare: -Una valigia! Tutti qui entro un'ora! Partiamo per Nantao! Tutti fuori! Adunata davanti al cancello! Una valigia!
Le coppie missionarie erano già sui gradini del Blocco G con le valigie in mano, come se avessero previsto quanto stava per succedere. Osservandole, Jim si disse, rassicurato, che si trattava solo di 1 spostamento, non della chiusura del campo. -Su, signor Maxted, si torna a Shanghai!
Aiutatolo a rimettersi in piedi, lo guidò attraverso le centinaia di prigionieri in corsa. Quando giunse nella sua stanza, trovò la signora Vincent col bagaglio già pronto. Stava alla finestra, mentre il figlio dormiva nel proprio letto, in attesa del ritorno del marito dallo spiazzo: e già s'accorse Jim, aveva cominciato a desquamarsi di tutti i ricordi del campo.
- Ce ne andiamo, signora Vincent. Si va a Nantao.
- Allora dovrai fare la valigia. - Aspettava che lui se ne andasse, per poter restare sola nella stanza qualche ultimo minuto.
- Appunto. Io, a Nantao, ci sono già stato, signora Vincent.
- Anch'io. Ma non riesco a immaginare perché i giapponesi vogliano trasferirci di nuovo.
- Le nostre razioni, qui, sono agli sgoccioli -. Era il caso che le portasse la valigia? si andava già chiedendo. Doveva forgiare nuove alleanze, e il corpo snello, ma robusto d'anche, della signora Vincent poteva rivelarsi più resistente di quello del signor Maxted. In quanto al dottor Ransome, lui aveva da occuparsi dei suoi pazienti, la maggioranza dei quali non avrebbe tardato a morire.
- Presto rivedrò i miei genitori, signora Vincent.
- Ne sono lieta per te. - Poi, con un filo d'ironia: - Credi che mi daranno una ricompensa?
Imbarazzato, Jim chinò il capo. Durante la sua malattia aveva commesso l'errore di tentare di corromperla con la promessa di una ricompensa, ma lo sconcertava che lei sapesse cogliere il lato ironico del proprio rifiuto di muovere un dito in suo aiuto. Ebbe un momento di esitazione prima di lasciare la stanza. Aveva passato quasi 3 anni con lei, e, dopo tanto tempo, gli piaceva ancora. Era una delle poche persone del campo che sapesse apprezzare il lato umoristico della situazione. Così, nel tentativo di controbattere con una risposta degna di lei, disse: - Una ricompensa? Via, signora Vincent, ricordi che lei è inglese.