Il mercantile arenato
Un sole freddo rabbrividiva sul fiume, trasformandone la superficie in vetro scheggiato, e facendo delle banche e degli alberghi del Bund, in lontananza, una teoria di torte nuziali. A Jim, seduto sulla passerella del molo funerario a valle dei deserti cantieri navali di Nantao, i fumaioli e gli alberi dell'idzumo sembravano incisi in zucchero a velo. Chiuse le mani a mo' di binocolo, studiò l'affaccendato andirivieni per i ponti, come di pidocchi, dei marinai in divisa bianca. Le torrette dell'incrociatore gli ricordavano la decorazione candita delle torte natalizie, il cui sapore passaticcio gli aveva sempre fatto schifo.
Schifo, sì: ma, in quel momento, lui se la sarebbe mangiata volentieri, quella nave. Così, s'immaginò in atto di mordicchiare gli alberi, di succhiare la crema dai fumaioli edoardiani, di affondare i denti nella prua di marzapane e di divorare per intero la sezione anteriore dello scafo; e, subito di seguito, di inghiottire Palace Hotel, palazzo della Shell, e Shanghai tutta quanta... Dai fumaioli dell'Idzumo uscivano getti di vapore, che, calmandosi, lingueggiavano sulla superficie del fiume come veli delicati. L'incrociatore aveva levato le ancore di poppa e ondeggiava alla marea, prua a valle. Dopo aver contribuito a imporre il dominio giapponese su Shanghai, si accingeva a salpare per un altro teatro di guerra. Quasi a festeggiarne la partenza, la marea portò una regata di cadaveri: cinesi e cinesi morti, che, ciascuno sulla sua zattera di fiori di carte, vennero a circondarlo, pronti a fargli da scorta sino alla foce dello Yangtze. Jim vigilava sull'eventuale passaggio di pattuglie navali giapponesi.
Dall'altra parte del fiume, sul litorale di Pootung, c'erano i tetti in ferro zincato e le ciminiere moderne del cotonificio di suo padre. Jim ricordava vagamente le visite che vi aveva fatte: visite imbarazzanti, nel corso delle quali era stato fatto sfilare dai dirigenti cinesi sotto gli occhi vuoti d'espressione di migliaia di giovani operaie cinesi. Ora il cotonificio era silenzioso, e ciò che lo interessava era lo sbarramento dei mercantili affondati. Il relitto più vicino, una nave costiera a un fumaiolo, giaceva nel canale profondo a sole 100 iarde dall'estremità del molo funerario. Il suo ponte arrugginito, simile a una pagnotta friabile di pane scuro, seguitava a conservare intatto per lui il suo mistero. La guerra, che tanto radicalmente aveva mutato ogni cosa del suo mondo, aveva lasciato ormai da tempo il relitto dimenticato, ma Jim era deciso a trovare il modo per salirci sopra. Il riunirsi ai genitori, il consegnarsi ai giapponesi, il procurarsi del cibo, non significavano più nulla ora che il relitto era finalmente alla sua portata. Per 2 giorni, Jim si era aggirato lungo il fronte del porto di Shanghai. Dopo essere stato scoperto dalla pattuglia giapponese, si era diretto al Bund. L'unica speranza di rivedere i genitori stava, per lui, nel trovare qualche loro amico svizzero o svedese, ma, sebbene nelle strade circolassero auto di europei neutrali, egli non aveva visto una sola faccia americana o britannica. Erano forse stati mandati tutti in campi di prigionia in Giappone? Finalmente, mentre percorreva in bicicletta la Nanking Road, fu sorpassato da un camion militare.
Dietro le guardie sedeva un gruppo di uomini dai capelli chiari in uniformi britanniche.
- Forza, ragazzo! Facci vedere chi sei! Più veloce, ragazzo! Mica stiamo ad aspettarti!
Jim, curvo sul manubrio, pedalava con ogni forza. Gli uomini lo incitavano con grida e gesti, applaudendo sotto lo sguardo riprovatore delle guardie giapponesi che non capivano quell'assurdo gioco britannico. Jim gridò al camion che s'allontanava rapido, e ci furono risa e pollici alzati quando la ruota anteriore della bicicletta, bloccandosi nella scanalatura d'una rotaia, lo fece finire tra i piedi dei guidatori di tricicli. Poco dopo, Jim perdeva la bicicletta. Mentre si sforzava di raddrizzare la forcella anteriore, fu avvicinato da un bottegaio cinese e dal suo coolie. Il bottegaio afferrò il manubrio, e Jim, rendendosi conto che non si trattava di un gesto di soccorso, considerò lo sguardo risolutivo dei 2 cinesi. Stanco, e stufo di ceffoni, li osservò spingere la bicicletta tra la folla e sparire in una delle centinaia di vicoli. Un'ora dopo raggiungeva a piedi la Szechwan Road, e trovava il quartiere degli affari di Shanghai bloccato per intero da centinaia di soldati giapponesi accompagnati da autoblindo. Così, scese al Bund ad osservare l'idzumo. Per tutto il pomeriggio vagò lungo il fronte del porto, passando davanti alle piane di fango attraverso le quali erano giunti a riva i marinai feriti della Petrel e nelle quali aveva visto per l'ultima volta suo padre, e superando i pontili dei sampan e il mercato del pesce, con le sue bancarelle di pallidi cefali disposte fra le rotaie. Proseguendo, arrivò alle banchine della Concessione francese, dove il Bund si perdeva nei moli funerari e nei cantieri navali di Nantao. Qui, nessuno lo molestò. Quel settore di Shanghai, tutto cale e discariche, era disseminato di tavole di fumerie galleggianti, di carogne di cani, di bare tornate a riva e arenate nel fango nero. Durante il pomeriggio, sostò ad osservare gl'idrovolanti giapponesi ormeggiati alle boe della Base aeronavale, nella speranza di vedere, prima o poi, i piloti discendere la passerella, occhiali di volo sul viso. Ma gl'idrovolanti rimasero là sui loro lunghi pontoni, eliche irritate dal vento, senza che nessuno, tranne lui, sembrasse interessarsene. La sera andò a dormire sul sedile posteriore di 1 dei tanti vecchi tassì abbandonati nelle piane di fango. Lungo il Bund risuonavano i clacson delle autoblindo giapponesi, e i fari delle motovedette spazzavano a tratti il fiume, ma ciò non gl'impedì di addormentarsi rapidamente, nel freddo della notte. E mentre s'aggrappava ai vaghi odori umani esalati dai sedili del tassì, gli parve che il suo esile corpo fluttuasse nella notte, sospeso sopra l'acqua scura. Era alta marea, e gl'idrovolanti avevano cominciato a muoversi in cerchio attorno alle boe. Il fiume aveva cessato di premere contro lo sbarramento di mercantili. Per pochi momenti la sua superficie si congelò in 1 specchio oleoso, attraverso il quale emersero, come dal loro proprio riflesso, i relitti arrugginiti. A lato dei moli funerari, i sampan fluttuarono in avanti, liberi dal fango delle piane a misura del salire della marea. Accosciato sulla passerella metallica, Jim osservava, fra i piedi, lo sciabordìo dell'acqua contro la griglia. Dalla tasca della giacca prese 1 degli ultimi 2 cioccolatini al liquore e, studiatone il misterioso involucro che sembrava coperto di segni zodiacali, lo soppesò contro l'altro. Meglio mangiare il più piccolo, decise.
L'alcool gli bruciò la lingua, ma non lo distolse dal continuare a succhiare il cioccolato dolce. L'acqua scura montava vitrea attorno alla gettata, ed egli ricordò come suo padre gli avesse detto che la luce solare uccideva i batteri. A
50 iarde da lui galleggiava, fra i sampan, il cadavere di una giovane donna cinese: galleggiava ruotando su se stesso, come incerto sulla direzione da prendere quel giorno. Travasando cautamente un po' d'acqua da un palmo all'altro per farla decantare, Jim bevve rapidamente, così da non lasciare ai germi il tempo necessario a infettarlo. Il cioccolatino al liquore e il ritmico sciacquìo delle onde gli diedero nuovamente il capogiro, ed egli si aggrappò a un sampan marcio che sbatteva contro il molo. Alzato lo sguardo verso la carcassa del mercantile, vi saltò dentro senza riflettere, e lo spinse nella corrente gelatinosa. L'imbarcazione era semipiena d'acqua, e si trovò con scarpe e calzoni fradici. Staccato un pezzo di bordo libero, se ne servì da remo, raggiungendo il mercantile col sampan quasi sommerso. Afferrato il corrimano del parapetto di tribordo, montò sul ponte, mentre il sampan derivava contro il mercantile immediatamente successivo. Jim ne seguì con lo sguardo la deriva, poi si avviò, con l'acqua alla caviglia, per il ponte metallico. Il fiume aveva cominciato a deviare leggermente, e la sua cerea superficie appariva ininterrotta sia nel punto in cui entrava nel salone aperto sotto il ponte, sia in quello in cui usciva per la balaustrata di babordo. Quando entrò nel salone, grotta di ruggine, all'aspetto più carica d'anni dei forti tedeschi di Tsingtao, si rese conto di stare sulla superficie del fiume: di un fiume che s'era alimentato ai torrenti, ai canali e alle risaie della Cina intera, per venire a offrire il proprio dorso a un ragazzino come lui. Bastava posasse il piede sulle sue onde, presso la balaustrata di babordo, e avrebbe potuto camminare fino all'idzumo... Torri di fumo s'alzavano fremendo dai fumaioli mentre l'incrociatore si apprestava a levar l'àncora. Che ci fossero anche i suoi genitori, a bordo? Conscio della possibilità di essere rimasto solo, ora, a Shanghai, sul vapore affondato che aveva sempre sognato di visitare, Jim considerò dal ponte la distanza che lo separava dalla riva. La marea cominciava a defluire, e i cadaveri coperti di fiori scendevano, piedi in avanti, verso il mare aperto. Il mercantile s'inclinava verso la corrente e il suo scafo mandava gemiti e scricchiolii. Le tavole si segavano a vicenda: e, oscillanti sopra il ponte di prua, i gherlini da strascico parevano drizze d'invisibili vele che ancora sperassero di poter spingere il decrepito scafo verso la salvezza d'un qualche mare caldo distante un mondo da Shanghai. Jim provò un senso di felicità al fremito del ponte sotto i piedi. Mentre rideva fra sé presso la balaustra, notò che qualcuno lo stava osservando dal cantiere navale dietro i moli funerari: un uomo in giacca e berretto da marinaio americano, ritto nella timoniera di una di 3 carboniere in fase di costruzione. Timidamente, ma da comandante a comandante, Jim gli fece un cenno di saluto. L'altro lo ignorò, continuando a fumare la sigaretta che teneva nascosta con la mano. L'oggetto della sua osservazione non era solo Jim, ma anche un giovane marinaio in un canotto metallico che s'era staccato dal vapore immediatamente seguente a quello di Jim. Ansioso di dare il benvenuto al suo primo passeggero e uomo d'equipaggio, Jim lasciò il ponte di comando per quello inferiore. Il marinaio s'avvicinava sempre più, remando a bracciate energiche e brevi, come per non disturbare l'acqua. Ogni poche bracciate, girava la testa a guardare Jim e a scrutare gli oblò, quasi sospettasse che il mercantile arrugginito fosse invaso da ragazzini. Il canotto scivolava a filo d'acqua, appesantito dalla sua ampia schiena. Quando accostò, Jim vide, tra i suoi stivali, un palanchino, delle chiavi fisse e un seghetto. Sul banco, anelli d'ottone da oblò, smontati dagli scafi dello sbarramento.
- Salve, ragazzo. Si fa un giro su per la costa? Chi altri c'è con te?
- Nessuno. - Nonostante la prospettiva di salvezza rappresentata dal giovane americano, lui non aveva nessuna fretta di abbandonare la nave. - Sto aspettando mia madre e mio padre. Sono stati...trattenuti.
- Trattenuti? Be', allora magari prima o poi arrivano. Tu però hai l'aria di aver bisogno di aiuto.
Fece per salire a bordo; e come Jim gli porse la mano, si trovò tirato di scatto nel canotto e andò a sbattere con le ginocchia contro gli anelli d'ottone degli oblò. Il marinaio lo alzò a sedere e gli palpeggiò i risvolti della giacca e lo stemma della scuola. Aveva una faccia aperta, da americano, incorniciata da capelli biondi sciolti, ma scrutava il fiume in maniera furtiva, quasi s'aspettasse di veder emergere d'improvviso, accanto al canotto, un sommozzatore della marina giapponese equipaggiato di tutto punto.
- Ora sentiamo: perché tenti di disturbarci? Chi è che ti ha portato qui?
- Nessuno. Ci sono venuto da solo - rispose Jim, rassettandosi la giacca. - Questa nave è mia, adesso.
- Ma guarda se mi doveva toccare proprio un inglesino tocco... Tu sei stato seduto su quel molo per 2 giorni. Si può sapere chi sei?
- Jamie... - Poi, dopo essersi sforzato di pensare a qualcosa che potesse fare impressione all'americano, col quale dava ormai per scontato di dover rimanere: - Sto costruendo un aquilone da volo umano... e ho scritto un libro sul bridge contratto!
- Aspetta che lo sappia Basie...
Mentre la corrente li allontanava dal mercantile, l'americano fece uso dei remi, spingendo il canotto, con poche ma energiche bracciate, verso le piane di fango.
Infilato un canale poco profondo e coperto di chiazze di petrolio che, attraversando i moli funerari, si snodava oltre i cantieri navali, osservò con aria cupa una bara vuota che s'era liberata del proprio occupante e la scostò con un remo, dopo averci sputato dentro per scongiuro. Manovrando con destrezza, portò quindi il canotto dietro il bianco scafo di un panfilo senz'albero ormeggiato a un pontone in secco, e, nascondendolo sotto la sporgenza a cigno della sua poppa, lo legò a una piattaforma di legno. Poi, infilatisi sul braccio gli anelli da oblò e raccolti i suoi attrezzi, invitò Jim, con 1 scatto del capo, a sbarcare. Attraversarono il cantiere, fra cataste di lastre d'acciaio, rotoli di catene e cavi arrugginiti, in direzione degli scafi sgraziati delle 3 carboniere. Jim sgambava rapido, nel tentativo di imitare la camminata aggressiva dell'americano. Finalmente aveva trovato qualcuno che poteva aiutarlo a ritrovare i genitori. Che anche l'americano e il suo compagno della timoniera avessero cercato di arrendersi? Ora, in 3, eran troppi perché i giapponesi potessero ignorarli. Sotto l'elica della carboniera più grande sostava un decrepito camion Chevrolet. Entrarono nello scafo per l'apertura di una tavola mancante, e l'americano sollevò Jim su una piattaforma di bambù sospesa lungo la chiglia. Saliti al ponte superiore per una scala interna, attraversarono la timoniera e infilarono un boccaporto basso e stretto che sbucava in una cabina metallica dietro il ponte di comando. Prossimo a svenire dalla fame, Jim si appoggiò barcollando allo stipite della porta. Nell'aria aleggiava un profumo familiare, che gli ricordava la camera da letto materna in Amherst Avenue, un misto di cipria, colonia e Craven A; e, per un istante, credette che la madre sarebbe emersa dall'oscuro cubicolo come la fata di Natale, per annunciargli che la guerra era finita.