L'università della vita
Il campo risuonava tutto del cigolìo delle ruote di ferro. Alle finestre delle baracche, sui gradini dei blocchi-dormitorio, i prigionieri andavano tirandosi su a sedere, scossi dal loro torpore, per qualche minuto, dal pensiero del cibo.
Jim uscì dall'atrio del Blocco G, e trovò il signor Maxted con le stanghe della carriola di legno ancora in mano. Lo sforzo di sollevarle, 20 minuti prima, ne aveva esaurito il potere di decisione. L'ex-architetto e imprenditore, che aveva rappresentato molto di ciò che Jim apprezzava soprattutto di Shanghai, era stato tristemente provato dagli anni di Lunghua. All'arrivo al campo, Jim era stato felice di trovarvelo, ma ora si rendeva conto di quanto egli fosse cambiato. I suoi occhi erano sempre puntati sui mozziconi di sigaretta gettati dalle guardie giapponesi, ma solo Jim possedeva lo scatto necessario per recuperarli. Così, sebbene irritato, Jim lo aiutava per nostalgia dell'infanzia, quando aveva sognato di diventare, da grande, come lui. La Studebaker e le ragazze dei pomeriggi nei casinò non erano state l'addestramento ideale per il mondo del campo. Sollevando le stanghe di legno, Jim si domandò quanto a lungo l'architetto sarebbe rimasto, senza il suo aiuto, sul sentiero sozzo di rifiuti: tutta la giornata, magari, finché non fosse caduto a terra, sotto gli occhi del medesimo gruppo di prigionieri britannici che sedevano, non disposti a dare una mano, sui gradini. Seminudi nei vestiti a brandelli, costoro fissavano imbambolati lo spiazzo delle adunate, indifferenti persino al caccia giapponese che passava in cielo. Come per un riflesso condizionato, diverse coppie sposate, già si mettevano in coda, gavette in mano, in attesa del ritorno di Jim.
- Era ora...
- ...'sto ragazzo...
- ...come un selvaggio...
I loro mugugni strapparono un affettuoso sorriso al signor Maxted.
- Il circolo sportivo ti sta rifilando la palla nera, Jim: ma tu infischiatene.
- Certo che me ne infischio. - Poi, vedendolo vacillare, gli chiese, reggendolo per il braccio: - Si sente bene, signor Maxted?
Fece segno agli uomini seduti sui gradini, ma nessuno di loro si mosse. Il signor Maxted si riprese. - Su, andiamo, Jim. Un po' di lavoro e un po' d'attenzione, e tutto s'aggiusta.
Per tutto l'anno precedente, la squadra aveva avuto un terzo membro, il signor Carey, titolare dell'agenzia della Buick in Nanking Road. Ma questi era morto di malaria 6 settimane prima, quando ormai i giapponesi avevano ridotto la razione di cibo a un punto tale, che a tirare la carriola bastavano 2 persone. Spinto dalle scarpe nuove, Jim s'affrettò lungo il sentiero di cenere battuta. Le ruote di ferro mandavano scintille sfregando contro i ciottoli di selce. Il signor Maxted si reggeva alla sua spalla, il respiro affannoso nello sforzo di tenere il passo.
- Rallenta, Jim. Altrimenti arriverai prima della fine della guerra.
- E quando sarà, signor Maxted?
- Se, non quando, Jim... Un anno ancora, il '46. Sei tu che dovresti dirlo a me, visto che ascolti la radio di Basie.
- Ma io non l'ho ascoltata, signor Maxted - replicò, in tutta sincerità, Jim. Basie era infatti troppo scaltro per ammettere un britannico nella cerchia degli ascoltatori clandestini. - So solamente che i giapponesi si sonò arresi a Okinawa, e perciò spero che la guerra finisca presto.
- Non troppo presto, auguriamoci. I nostri problemi potrebbero cominciare proprio allora. Tu continui a dare lezioni d'inglese al soldato Kimura?
- Oh, a lui, imparare l'inglese non interessa - dovette ammettere Jim. - Secondo me, per lui la guerra è proprio finita.
- E per te, Jim, potrà finire davvero? Rivedrai tua madre e tuo padre...
- Be'... - Jim preferiva non parlarne dei genitori, anche col signor Maxted. Loro 2 formavano una società di vecchia data, sebbene il signor Maxted contribuisse ben poco in fatto di aiuto e accennasse di rado al figlio Patrick o alle loro visite ai circoli e ai bar di Shanghai. Né il signor Maxted era più il personaggio azzimato che figurava nelle piscine. E se anche sua madre e suo padre fossero cambiati di tanto? Poco dopo l'arrivo a Lunghua, gli era stato detto che i suoi genitori erano internati in un campo presso Soochow, ma i giapponesi non avevano voluto sentir parlare di trasferimenti. Attraversato lo spiazzo delle adunate, si avvicinarono alle cucine da campo dietro il corpo di guardia. Davanti alla mezzaporta di distribuzione attendevano una dozzina di carriole con relativi serventi, accalcate alla maniera d'una folla di risciò coi loro coolies. Come Jim aveva calcolato, il posto della sua sarebbe stato a metà coda. I ritardatari, intanto, arrivavano zoccolando e cigolando dai sentieri di cenere battuta, sotto gli sguardi di centinaia di prigionieri emaciati. La settimana precedente, quando, un giorno, non era stato distribuito cibo in segno di ritorsione per un attacco devastatore di Superfortezze su Tokyo, i prigionieri erano rimasti a fissare le cucine fino al tardo pomeriggio. Ciò che aveva turbato Jim era stato il silenzio, che gli aveva ricordato i mendicanti in attesa davanti alle case di Amherst Avenue. Senza riflettere, quel giorno s'era tolte le scarpe e le aveva nascoste fra le tombe del cimitero dell'ospedale. Jim e il signor Maxted presero posto nella coda. All'esterno del corpo di guardia, una squadra di prigionieri britannici e belgi era occupata a rinforzare il reticolato. 2 prigionieri stavano svolgendo un rotolo di filo spinato, che gli altri tagliavano e inchiodavano ai paletti di recinzione. Numerosi soldati giapponesi lavoravano spalla a spalla coi prigionieri, le divise sbrindellate a stento distinguibili dal cachi sbiadito di questi. Causa dell'attività era un gruppo di 30 cinesi accampato all'esterno del cancello. Contadini alla fame e abitanti di villaggio, soldati delle armate-fantoccio e bambini abbandonati, costoro sedevano nella strada aperta, gli occhi fissi sul lavoro di rafforzamento, in funzione antiprofughi, del cancello di filo spinato. I primi di loro avevano cominciato ad apparire 3 mesi addietro. Di notte, i più disperati scavalcavano il reticolato, e finivano regolarmente presi dalle pattuglie degl'internati. Quelli che riuscivano a sopravvivere nel corpo di guardia fino all'alba, venivano condotti al fiume dai giapponesi e quivi abbattuti a randellate. Mentre la fila avanzava verso la mezzaporta di distribuzione, Jim li andava osservando. Benché fosse estate, i contadini cinesi indossavano ancora i vestiti imbottiti invernali. Nessuno di loro, naturalmente, era mai stato, non che nutrito, anche solo ammesso al campo di Lunghua; ciò nonostante, continuavano a venire, attratti dall'unico luogo che in tanta desolazione, fosse provvisto di cibo. E, ciò che più preoccupava Jim, restavano fino alla morte. Sì, il signor Maxted aveva proprio ragione: la conclusione della guerra avrebbe significato, per i prigionieri, l'inizio, non la fine, dei problemi. Jim era preoccupato per il dottor Ransome e la signora Vincent, oltre che per il resto dei compagni di prigionia. Come avrebbe potuto sopravvivere, senza la protezione giapponese? La preoccupazione maggiore era il signor Maxted, il cui stanco repertorio di battute sul circolo sportivo non significava nulla nel mondo vero. Ma, se non altro, il signor Maxted si sforzava di tenere il campo in attività, e l'integrità del campo era il fattore da cui tutti dipendevano. Nel '43, quando la guerra volgeva ancora a favore del Giappone, i prigionieri avevano lavorato insieme. Il comitato d'intrattenimento, presieduto dal signor Maxted, aveva organizzato un programma serale di conferenze e concerti. Quell'anno era stato, per Jim, il più felice della vita. Stanco dell'angusto cubicolo e del distacco battichiodi della signora Vincent, egli aveva trascorso le serate ad ascoltare conferenze su una varietà infinita d'argomenti: la costruzione delle piramidi, la storia del primato mondiale di velocità d'atterraggio, la vita dei commissari distrettuali in Uganda (il conferenziere, un ufficiale in congedo dell'Esercito indiano, pretendeva di aver chiamato col proprio nome un lago grande quanto il Galles, ciò l'aveva sbalordito assai), le armi di fanteria durante la Grande guerra, l'amministrazione dell'Azienda Tranviaria di Shanghai, e numerosi altri.
Seduto in prima fila nell'aula magna, egli aveva a tal punto divorato queste conferenze, da averle in molti casi ascoltate anche 2 o 3 volte. Inoltre, aveva aiutato a copiare le parti delle recite del Macbeth e della Dodicesima notte date dalla Filodrammatica di Lunghua, e a manovrare gli scenari dei Pirati di Penzance e del Processo con giuria. Durante gran parte del '44, i missionari avevano gestito una scuola da campo, che egli aveva frequentata (pur trovandola noiosa rispetto alle conferenze serali) in obbedienza a Basie e al dottor Ransome, i quali sostenevano (probabilmente, secondo lui, per liberarsi durante qualche ora della sua irrequieta energia) che anche la perdita di una sola lezione sarebbe stata un danno. Entro l'inverno del '44, comunque, tutto questo era cessato. Dopo le incursioni dei caccia americani sul campo d'aviazione di Lunghua, e i primi bombardamenti dei cantieri navali di Shanghai, i giapponesi avevano istituito il coprifuoco serale. Il taglio definitivo della corrente elettrica al campo aveva costretto i prigionieri a ritirarsi nei loro letti, e la razione di cibo, già scarsa, era stata ridotta a un solo pasto giornaliero. I sottomarini americani bloccavano ormai l'estuario dello Yangtze, e le grandi armate giapponesi in Cina, quasi prive ormai di cibo anche per se stesse, avevano cominciato a ripiegare verso la costa. La prospettiva della loro disfatta e dell'imminente assalto alle isole del Giappone rendeva Jim sempre più nervoso. Conscio del numero crescente di morti per beri-beri e malaria, egli mangiava ogni tozzo di cibo che riuscisse a trovare. L'ammirazione per Mustang e Superfortezze non gl'impediva di desiderare, a volte, che gli americani tornassero alle Hawaii e si contentassero di rimettere insieme la loro flotta a Pearl Harbor, perché così, almeno, il campo di Lunghua sarebbe tornato ad essere il luogo felice che egli aveva conosciuto nel '43. Quando furono di ritorno al Blocco G con le razioni, Jim e il signor Maxted trovarono i prigionieri in silenziosa attesa con piatti e gavette. Aspettavano sui gradini: gli uomini a torso nudo, spalle ossute e costati come uccelliere, le mogli consunte in vesti logore, lo sguardo fisso e vuoto di chi stesse per ricevere un cadavere. In testa alla coda stavano la signora Pearce e suo figlio; dietro di loro, le coppie missionarie che passavano le giornate in caccia di cibo. Centinaia di mosche ronzavano nel vapore esalato dai secchi metallici di grano saraceno e patate dolci. Chino sulle stanghe di legno, Jim aveva in faccia una smorfia di dolore, dolore provocato non dalla fatica, ma dal calore delle patate rubate che teneva sotto la camicia. Finché restava chino, nessuno poteva accorgersi di nulla; perciò, continuò la sua pantomima di smorfie e gemiti.
- Oh, oh... oh, mio Dio...
- Degno della Filodrammatica di Lunghua, Jim. - Il signor Maxted l'aveva visto sottrarre la patata dal secchio al momento di lasciare le cucine, ma non aveva fatto la minima obiezione.
Sempre piegato in avanti, Jim abbandonò la carriola ai missionari e corse su per i gradini, schivando i Vincent che se ne stavano coi piatti in mano, coi loro soltanto, non anche col suo, perché né ad essi né a lui era mai venuto in mente che fosse loro dovere portarlo. Tuffatosi nel suo cubicolo attraverso la cortina, gettò la patata sotto il materasso, sperando che la paglia umida ne estinguesse il vapore. Poi afferrò il piatto e tornò di corsa nell'atrio per prender posto in testa alla fila. Il signor Maxted aveva già servito il reverendo Pearce e la moglie, ma Jim spinse da parte con una spallata il figlio, e, teso il piatto, ricevette un mestolo di grano bollito e una seconda patata dolce da lui indicata al signor Maxted pochi minuti dopo la distribuzione alle cucine. Tornato al suo letto e tirata la cortina, s'allungò all'indietro, rilassandosi per la prima volta, il piatto caldo, come una fetta di sole, sul petto. Si sentiva assonnato e, al tempo stesso, stordito dalla fame. Il pensiero di una possibile incursione aerea americana nel pomeriggio gli diede la forza di riprendersi. Chi desiderava veder vincitore? Problema importante, questo... Accostò le mani a coppa sopra la patata. Era quasi troppo affamato per gustare la polpa grigia, ma, guardando la foto della coppia davanti ai cancelli di Palazzo Buckingham, s'augurò che anche i suoi genitori, dovunque si trovassero, avessero una patata in più. Al ritorno dei Vincent con le loro razioni, si tirò su a sedere e arrotolò la cortina per poterne esaminare i piatti. Gli piaceva guardar mangiare la signora Vincent.
L'occhio fisso su di lei, studiò il grano saraceno: i bianchi chicchi amilacei apparivano gonfi, e indistinguibili dai tonchi che infestavano i resti di magazzino da cui provenivano. Nei primi anni d'internamento, i tonchi erano stati scartati o gettati dalla finestra da tutti, ma lui aveva imparato a metterli da parte con cura. Spesso, lungo il bordo del suo piatto, s'allineavano su 3 file anche più di 100 insetti, di recente, però avevano subito un declino pure loro...
- Mangia i tonchi - gli aveva detto il dottor Ransome, e lui aveva ubbidito, sebbene tutti gli altri li levassero via. Perché, malgrado il signor Maxted sembrasse trovare deprimente la notizia quando lui gliel'aveva data, i tonchi contenevano proteine. Contati 87 tonchi, il cui numero, secondo i suoi calcoli, diminuiva a un ritmo inferiore alla mole delle razioni, li mescolò al grano saraceno (coltivato nel nord della Cina come foraggio) e inghiotti le 6 cucchiaiate. Concedendosi un attimo di respiro, attese che la signora Vincent attaccasse la sua patata dolce.
- Ma devi proprio, Jim? - chiese il signor Vincent. Non più alto di lui, l'agente di cambio ed ex-fantino dilettante sedeva sul suo letto accanto al figlio malato.
Coi suoi capelli neri e la rugosa faccia giallastra simile a un limone spremuto, ricordava Basie, salvo che, lui, adattarsi a Lunghua non aveva mai saputo. - Ti mancherà, questo campo, quando la guerra sarà finita. Mi domando come potrai adattarti alla scuola in Inghilterra.
- Eh sì, c'è caso che mi riesca un po' strana - ammise Jim, finendo gli ultimi tonchi. Le misere condizioni del suo abbigliamento, la determinazione a restare vivo urtavano la sua suscettibilità; ma, nettato il piatto col dito, rispose, con una frase prediletta di Basie: - In ogni caso, signor Vincent, la miglior maestra è l'università della vita.
La signora Vincent abbassò il cucchiaio. - Senti, Jim, potremmo finire di mangiare?
Le tue opinioni sull'università della vita le conosciamo già.
- D'accordo. Ma i tonchi, signora Vincent, andrebbero mangiati lo stesso.
- Lo so, Jim: è quello che t'ha detto il dottor Ransome, no?
- Lui ha detto che abbiamo bisogno di proteine.
- Ha ragione lui, dunque. Tutti dovremmo mangiare i tonchi.
Nel tentativo di rasserenare la conversazione, Jim chiese: -Lei crede nelle vitamine, signora Vincent?
La signora Vincent, gli occhi chini sul piatto, rispose, esasperata: - Oh, che strano ragazzo...
Jim rimase indifferente al rabbuffo. Di quella donna distante, dai capelli biondi sempre più radi, della quale per molti versi diffidava, non c'era cosa che non lo intrigasse. 6 mesi prima, quando il dottor Ransome aveva pensato che lui avesse preso la polmonite, lei non aveva mosso un dito per curarlo, ed era stato il dottor Ransome a dover venire ogni giorno a lavarlo. La sera avanti, per contro, lei l'aveva aiutato a fare il compito di latino, spiegandogli, con parole terra a terra, la differenza tra gerundio e gerundivo. Aspettò che lei attaccasse la patata dolce. Avuta conferma che la patata da lui scelta era la più grossa delle 4 della stanza, decise di non metter via nulla per la tartaruga nascosta sotto il letto e, rotta la buccia, divorò rapidamente la calda polpa.
Inghiottito l'ultimo boccone, abbassò la cortina e tornò a sdraiarsi. Solo, ché i Vincent, sebbene a pochi passi di distanza, avrebbero potuto stare su un altro pianeta, ponderò ciò che gli restava da fare nella giornata. Primo: portar fuori dalla stanza la seconda patata. Poi, il resto: versione latina per il dottor Ransome, commissioni per Basie e il soldato Kimura, incursione aerea del pomeriggio. Tirando le somme, un programma pieno fino al coprifuoco serale, quando, con ogni probabilità, si sarebbe aggirato per i corridoi del Blocco G con la sua scacchiera, pronto a sfidare chiunque. Il Primer del Kennedy in mano, saltò fuori dal cubicolo. La seconda patata gli gonfiava la tasca dei calzoni; ma, da vari mesi, la presenza della signora Vincent gli provocava a volte erezioni improvvise, ed egli contava perciò sul fraintendimento per condurre a buon fine la manovra. Il cucchiaio a mezz'aria fra il grembo e la bocca, il signor Vincent fissò il turgore con espressione accigliata. La signora Vincent, invece, lo guardò fisso negli occhi, secondo il suo solito, ed egli, scansandola, uscì di scatto dalla stanza. Felice come sempre di essersi tolto dalla presenza dei Vincent, discese a saltelli il corridoio fino alla porta esterna sotto la scala antincendio, e scavalcò in volteggio i bambini accosciati sul limitare.
Poi, i brandelli della camicia sollevati al vento dall'aria calda, si lanciò di corsa nel mondo familiare e rassicurante del campo.