La strada di Shanghai

 

Il camion procedeva lungo la strada di Shanghai sbandando da una parte all'altra, e Jim finì sbattuto sull'agitato mucchio di seta da paracadute. Aggrappandosi alle scatole di razioni ascoltò Tulloch e il tenente Price parlarsi urlando sopra il mugghio rombante del motore. Il camuffamento stinto del finestrino posteriore lasciava vedere le mani bendate dell'ufficiale di polizia, che, deliberatamente staccate dal volante, permettevano al veicolo di sbandare a piacimento dal centro della strada. Tulloch sedeva sul sedile a fianco, accanto all'orcio di vino di riso, il fucile passato nel finestrino aperto. Quando tra gli alberi fracassati dalle bombe apparvero gl'immobili d'appartamenti della Concessione francese, batté col pugno sulla cappotta ammaccata. Il sistema di guida del tenente Price era certo pericoloso, ma Jim era lieto della gaiezza dei 2 uomini. Durante il primo miglio, il tenente non era riuscito a trovare la seconda marcia, e il camion aveva arrancato rumorosamente al passo rischiando l'ebollizione dell'acqua del radiatore; poi, un lancio presso Hungjao gli aveva restituito tutta la sua perizia di autista. Il camion aveva percorso sbandando e cozzando contro le prode, sentieri di fattorie e argini di canali in direzione dei lanci, Price e Tulloch allettati dalla prospettiva di altra mercanzia americana da vendere al mercato nero di Shanghai. Ma il tesoro era stato raggiunto da altri prima di loro. Per mezz'ora, il camion aveva vagato attorno alle risaie deserte senza trovare un solo contenitore, mentre Price, agitando il fucile, minacciava un intero mondo di canali silenziosi. Per fortuna, comunque, il tenente non aveva tardato a calmarsi. Ripresa la strada di Shanghai, aveva diretto il veicolo contro il cadavere di un portaordini giapponese steso accanto a una moto, spappolandogli la testa in 1 schizzo di vermi sanguinolenti e materia cerebrale. L'impresa l'aveva rimesso di ottimo umore, e Jim s'era augurato che tale umore rimanesse immutato almeno fino a Shanghai, dove contava di saltare dal camion al primo semaforo... Jim si voltò a guardare i tetti lontani dal campo. Quel lasciare Lunghua gli faceva una strana impressione, sebbene si rendesse conto di essere stato nuovamente imprigionato dal campo come durante la guerra. Una sola parola di Tulloch era bastata a fargli crollare ai piedi quel mondo apparentemente sicuro che aveva cominciato a riedificare a partire da una stanzetta e da poche scatole di Spam. Passarono davanti alla Pagoda di Lunghua, al margine settentrionale del campo d'aviazione, le canne dei cannoni antiaerei ancora puntate verso il cielo. Jim scrutò le aviorimesse bombardate alla ricerca del giovane kamikaze, dispiaciuto di non averlo potuto ripagare del mango. Un miglio a est sorgeva lo stadio olimpico di Nantao. Sulla facciata butterata di fori, i caratteri cinesi celebranti la generosità del Generalissimo Chiang svettavano ancor più vivi sopra il parcheggio, come in un conclamato reinsediamento del passato feudale cinese. Il camion sterzò al massimo, sbandando: il tenente Price aveva capricciosamente deciso di prendere una strada fangosa che portava allo stadio. Tulloch protestò, ma poi ci fu un andirivieni dell'orcio di vino. Il camion s'infilò a gran velocità fra i primi terrapieni e le trincee da fucilieri che proteggevano l'ex-quartier generale giapponese. I campi erano solcati da linee di fosse anticarro: fosse franate, dalle prode disseminate di cinturoni, giberne e casse di munizioni. Jim si stese sul mucchio di seta da paracadute. Lo sapeva che la vista dello stadio olimpico si sarebbe rivelata una tentazione irresistibile. Dal giorno del suo ritorno al campo di Lunghua, il gruppo dei britannici non aveva smesso di interrogarlo sui mobili delle tribune, e lui, non volendo rinunciare ai cibi in scatola e alle riviste, era stato costretto ad abbellire i ricordi. Questi abbellimenti avevano fatto presa sulla fantasia di Price, e ora era troppo tardi per fare marcia indietro... 100 iarde prima del parcheggio il camion lasciò la strada e si fermò in un canale di scolo fra 2 argini anticarro. Price e Tulloch, ambedue ubriachi a forza di vino di riso, smontarono dalla cabina di guida e, accesa una sigaretta, rimasero a fissare lo stadio con aria sorniona. Battendo la fiancata col fucile, Price chiamò, beffardo: -Ehi, Shanghai Jim...

- Una semplice deviazione, Jim - assicurò Tulloch con voce avvinazzata. - Tanto per procurarci una cassetta di scotch e qualche pelliccia per le ragazze di Nanking Road.

- Ma io non ho visto né pellicce né scotch, signor Tulloch. Solo mucchi di sedie e di tavoli da pranzo.

Il tenente Price spinse da parte Tulloch. - Tavoli da pranzo? Credi forse che siamo venuti qui per pranzare? - domandò, gli occhi fissi sulla facciata dello stadio come se il bianco sbrecciato dell'intonaco fosse una sfida al pallore della sua pelle.

- C'erano armadi e guardaroba - rispose Jim, scansando la canna del fucile puntata alla sua testa.

- Guardaroba? - fece Tulloch, mettendosi barcollando in mezzo. - Potrebbe esserci quello che cerchiamo, tenente.

- Sì... - Price si calmò. Toccandosi le bruciature di sigaretta sul petto come per attivare un codice segreto di dolore e di memoria, disse ancora: - Gliel'avevo detto che il ragazzo è 1 cogli occhi aperti.

I 2 uomini attraversarono la strada ed entrarono nel parcheggio. Price si appoggiò a un carro armato privo di cingoli e sputò il muco della sua prigionia in un portello aperto. Jim si tenne indietro, tra le file di camion, e pensò al signor Maxted. Chissà se era ancora là, sull'erba macchiata di sangue... Il tanto mangiare che aveva fatto gli dava un senso di colpa: sì, le scarpe, avrebbe potuto venderle... Lo stadio olimpico aveva un bel contenere mobili-bar a mucchi: sempre tetro e minaccioso, luogo d'infausti presagi, restava. O non vi aveva forse visto il riflesso del lampo atomico di Nagasaki? Il bianco bagliore di quel lampo seguitava a gravare sulla strada della marcia mortale da Lunghua: ed era quella pallida luce che illuminava allo stesso modo la facciata gessosa dello stadio e la pelle da fossa di calce del tenente Price. Servendosi di una coppia di Life come ventaglio antimosche, sedette sul predellino di un camion.

Studiò la foto dei marines americani in atto di issare la bandiera in vetta al monte Suribachi dopo la battaglia di Iwo Jima. Gli americani delle riviste avevano combattuto una guerra eroica, assai più vicina ai fumetti da lui letti nell'infanzia. Anche i morti venivano presentati sotto una luce affascinante, secondo l'idea che di essi si facevano i vivi... Passarono 2 caccia Mustang, battistrada di una Superfortezza che arrivava lenta da ovest, portelli di sgancio aperti e pronti a spargere sulla campagna vuota il loro carico di Spam e Reader's Digest. I motori gli fecero rullare il terreno sotto i piedi, e tremare le file di veicoli abbandonati. Abbassando la rivista, notò degli uomini armati che uscivano correndo dal vomitorio d'entrata, le voci soffocate dal rombo degli aerei.

Benché la Superfortezza procedesse lenta per il cielo, costoro si dispersero in preda al panico, come se s'aspettassero un bombardamento. Un europeo barbuto in giacca di cuoio, una giacca da pilota americano, si slanciò attraverso il parcheggio, seguito da 2 uomini armati di doppiette. Un cinese a torso nudo, con un cinturone da pistola attorno ai pantaloni neri, se la filò a sua volta a corpo chino, alla testa di un gruppo di coolies muniti di randelli di bambù. Dal vomitorio uscì quindi, all'inseguimento, fucili branditi nella luce vivissima, un plotone di soldati nazionalisti, che si fermarono per sparare una mal diretta salva contro i fuggitivi. Jim apri la portiera del camion e montò nella cabina di guida. A 50 passi dal vomitorio, steso nella bianca polvere caduta dalla fasciata dello stadio, giaceva Tulloch. Il tenente Price ne superò di corsa il corpo per dirigersi alla fila di camion, la faccia simile a una lanterna che scrutasse il terreno. Strappatesi le bende, saltò il muro perimetrale del parcheggio e si tuffo nella risaia allagata oltre la strada. L'ufficiale cinese, sparò un ultimo colpo di pistola alla sua figura diguazzante, poi si piantò, ginocchio a terra, nell'ingresso dello stadio. I suoi uomini, fucili alzati, s'avvicinarono scenosamente ai veicoli arrugginiti con l'aria di voler scovare eventuali feriti del gruppo di razziatori, fecero dietro-front, e se ne tornarono al sicuro nello stadio. Tulloch rimase là nel sole, a spargere il suo sangue nella polvere gessosa. Paracadute azzurri e scarlatti stavano calando su Hungjao. Jim scivolò sul sedile accanto, aprì la portiera del passeggero, e si lasciò cadere a terra. Al riparo dei carri-munizioni e dei cannoni da campo, si lanciò verso il muro perimetrale. Il tenente Price aveva abbandonato l'Opel col suo carico di sete e razioni. Raggiunto il canale di scolo, Jim trovò il camion, senza nessuno attorno, fra gli argini anticarro. A terra, vicino alla portiera del passeggero, il mozzicone dell'ultima Lucky Strike di Tulloch esalava ancora un filo di fumo. Jim osservò attraverso il finestrino il pannello di strumentazione. Era in grado di guidare il veicolo a Shanghai? Consegnarsi ai soldati nazionalisti dello stadio era troppo pericoloso: gli avrebbero sparato a vista, scambiandolo per un membro della banda di razziatori. Considerando che Tulloch era morto ancor prima di vedere le Cadillac bianche di Nantao, risolse di andare a Shanghai a piedi. Mentre si arrampicava sulla sponda posteriore dell'Opel per scortarsi di scatole di cibo e di copie di Reader's Digest, udì un rumore di passi a lato del camion. Prima che potesse voltarsi, fu afferrato per le spalle, colpito brutalmente alla nuca e scaraventato sul pavimento del cassone. Seduto fra le stecche di sigarette, sentì il sangue colargli dal naso e dalla bocca, e sgocciolargli tra le mani sul baldacchino del paracadute. Alzò gli occhi: e, nel cinese a torso nudo, col cinturone da pistola, riconobbe 1 dei fuggiaschi dello stadio. Il cinese lo fissava con sguardo inespressivo, lo stesso che aveva spesso scorto negli occhi del cuoco di Amherst Avenue poco prima dell'uccisione di un pollo. Dietro di lui, impaziente di mettere le mani sul carico del camion, stava un coolie cinese con un randello di bambù. Da entrambi i lati del canale di scolo stava arrivando una fila di uomini armati, alla testa dei quali marciava l'europeo barbuto dalla giacca d'aviatore. Una metà dei banditi era cinese, coolies armati di randelli, uomini in divisa nazionalista o del governo-fantoccio; l'altra era costituita di europei o americani, vestiti d'una varietà di indumenti e coperti di bandoliere altrettanto varie, fondine e giberne della Polizia di Shanghai sopra bluse cinesi. A giudicare dai corpi denutriti, doveva trattarsi, in maggioranza, di ex internati. Quando il coolie sollevò il randello di bambù, Jim risucchiò il sangue e inghiottì il muco caldo. - Sto andando al Campo di Lunghua... Sono un prigioniero britannico - disse, indicando col dito verso sud-ovest. Dato il gonfiore del naso, la voce gli uscì curiosamente profonda, come se il suo corpo stesse invecchiando nei pochi momenti di vita che gli rimanevano. - Campo di Lunghua...

Ignorandolo, gli uomini armati sedettero sull'argine a fumarsi una sigaretta.

L'europeo in giacca da aviatore fece lentamente il giro del camion. Un coolie raccattò il mozzicone di Tulloch e aspirò il fumo. Gli altri guardavano tutti il cielo e la strada deserta oltre lo stadio. S'erano portati dietro il tempo lento e vuoto del campo di prigionia: e, con quelle loro facce tirate e smorte, sembravano emersi da una profonda tana sotterranea.

- Lunghua... - ripeté Jim. Il coolie col randello non gli aveva staccato gli occhi di dosso: al minimo segnale, lo sapeva, si sarebbe fatto avanti per spappolargli il cranio. Il cinese che l'aveva colpito stava esaminando il camion, di cui scrutava le gomme posteriori. Nel tentativo di attirare in qualche modo l'attenzione degli europei, Jim indicò lo stadio e disse: - Lincoln Zephyr, a Nantao. Buicks, Cadillac bianche...

- Che roba è, 'sta storia della Cadillac? - Un ometto dai capelli argentati e dalla voce americana effeminata s'incamminò verso il camion, fucile a tracolla. Poiché nessuno gli badò, accese una sigaretta per nascondere quella mancanza di risposta. La fiamma, tremando contro le guance incipriate, svelò un paio di occhi familiari: occhi guardinghi, dal fuoco acuto ma modesto.

- Basie! - gridò Jim, pulendosi il sangue dal naso. - Sono io Basie: Jim! Shanghai Jim!

Il cameriere di bordo lo fissò. Dopo un attimo di riflessione, scosse il capo in maniera quasi formale, come se lo riconoscesse ma non fosse più interessato a lui. Scrutati i cartoni di razioni e tastata la seta del paracadute, si tirò da parte per lasciare al coolie maggior spazio di manovra per il randello.

- Basie! - gridò Jim, raccogliendo le riviste sparse nettandone con le dita il sangue dalle copertine, e brandendole sotto lo sguardo iroso del cinese a torso nudo con la pistola. - Life, Basie, e Reader's Digest! Ho messo da parte le copie più recenti per te... E ho imparato centinaia di parole nuove: Belsen, von Rundstedt, Gin Joe...