La missione di soccorso

 

Jim disperò. Appiattendo l'erba con le mani, si fece un piccolo posto accanto al giapponese. Il pilota, steso nella sua tuta con un braccio sotto la schiena, era stato scagliato giù per la china verso il canale, e ora aveva le gambe impigliate. Il ginocchio destro toccava l'acqua, che già gli aveva intriso la tuta fino alla coscia. Alzando lo sguardo, Jim vide la scia della caduta fra l'erba schiacciata, i cui steli si drizzavano al sole. Guardando il pilota, fu felice, per una volta, di avere 1 sciame di mosche per intermediario fra se e il cadavere. Il volto del pilota era più fanciullesco di quanto non ricordasse, come se la morte l'avesse riportato alla sua vera età, alla sua prima adolescenza in qualche villaggio della provincia giapponese. Le labbra dischiuse rivelavano una dentatura irregolare, e parevano in attesa di ricevere un boccone di pesce dai bastoncini della madre... Stordito da quella vista, Jim osservò le ginocchia del ragazzo-pilota scivolare nell'acqua; poi, accosciandosi sul pendio della proda, cominciò a sfogliare le pagine di Life nel tentativo di concentrarsi sulle foto di Churchill e di Eisenhower. Per quanto tempo non aveva riposto ogni sua speranza nel giovane pilota, nel futile sogno di poter volar via con lui, lasciandosi per sempre alle spalle Lunghua, Shanghai e la guerra!

Il pilota era colui che l'aveva aiutato a sopravvivere alla guerra: era un gemello immaginario da lui inventato, una replica di se stesso osservata per anni attraverso il filo spinato. Se il giapponese era morto, morta era anche una parte di lui. Si, aveva mancato di afferrare la verità che milioni di cinesi conoscevano dalla nascita: che gli uomini erano in pratica solo dei morti che s'illudevano di essere vivi. Ascoltò il fuoco di sbarramento di Hungjao e Siccawei, il ronzìo circolare di un ricognitore nazionalista. Raffiche di armi leggere attraversarono il campo: Basie e i suoi che tentavano di irrompere nello stadio... I morti che giocavano i loro giochi pericolosi... Risoluto a ignorarli, continuò a leggere la sua rivista. Ma le mosche, sciamando dai cadaveri lungo il canale, non tardarono a scoprire il corpo del giovane pilota; perciò, alzatosi, lo afferrò per le spalle e, reggendolo alle ascelle, lo tirò fuori dall'acqua e lo trascinò fino a una stretta sporgenza in piano. A dispetto della faccia paffuta, il pilota non pesava quasi nulla. Il suo corpo denutrito era leggero come quello dei bambini di Lunghua coi quali lui aveva lottato da ragazzo. Vita e pantaloni della tuta di volo erano intrisi di sangue: prima di venir scagliato giù per l'argine insieme con gli altri aviatori, era stato baionettato in fondo alla schiena e poi alle cosce e alle natiche. Accosciato accanto a lui, Jim strappò la chiavetta dalla scatola di Spam e cominciò a ravvoltolare il coperchio. Vuotata la scatola, se ne sarebbe servito per scavargli la fossa; poi, a sepoltura avvenuta, sarebbe tornato a Shanghai, lasciando i morti ai loro giochi. Se avesse ritrovato i genitori, avrebbe detto loro di tornarsene al campo di Soochow, visto che la terza guerra mondiale era ormai cominciata. La calda gelatina di carne sporgeva dalla mucillagine di grasso disciolto. Lavatesi le mani nel canale e tagliato un boccone modesto col coperchio, se lo portò alle labbra, ma lo sputò subito nell'acqua. Quella carne grassa sembrava strappata a un animale ancora vivo. Polmoni e fegato seguitavano a palpitare nella scatola, mossi dall'impulso di un cuore... Tagliò un secondo boccone e se lo mise in bocca: e sentì fra le labbra il pulsare di quel cuore, e il terrore della creatura in attesa della mattanza. Si tolse il boccone di bocca e osservò la carne oleosa. La carne viva non era alimento da morti: era un cibo che avrebbe divorato coloro che tentavano di mangiarla. Sputò tutto, fino all'ultimo, nell'erba accanto al giapponese. Chinandosi sul cadavere, lo picchiettò coll'indice sulle labbra sbiancate, pronto a infilargli il boccone di carne in bocca. I denti smangiati gli si chiusero sul dito, lacerando la cute.

Lasciando cadere la scatola di carne, che rotolò per l'erba nel canale, strappò via la mano, convinto che il cadavere stesse per sollevarsi a divorarlo. Poi, senza riflettere, lo colpì con un pugno al viso, e, tiratosi indietro, gli urlò contro fra lo sciame di mosche. La bocca del pilota si apri in una smorfia silenziosa. Gli occhi fissavano sfocati il cielo torrido, e una palpebra gli fremette quando una mosca s'abbeverò alla sua pupilla. Un colpo di baionetta gli era penetrato, attraverso la schiena, fino all'addome, e dall'inforcatura della tuta filtrava ora sangue fresco. Le spalle strette fremettero contro l'erba schiacciata, come nel tentativo di rianimare le braccia insensibili. Jim fissava lo spettacolo a bocca aperta, sforzandosi di comprendere tanto miracolo.

Toccando il giapponese, l'aveva riportato in vita: aprendogli i denti aveva aperto un piccolo spazio nella sua morte, permettendo all'anima di tornare.

Piantato a gambe larghe sulla proda umida, si asciugò le mani nei calzoni laceri, incurante delle mosche che gli sciamavano attorno e gli pungevano le labbra: e ricordò come, quando aveva interrogato la signora Philips e la signora Gilmour sulla resurrezione di Lazzaro, esse gli avessero assicurato che un fenomeno del genere, lungi dall'essere un portento, era una cosa banalissima, com'era provato dal dottor Ransome, il quale, di morti, ne aveva resuscitati assai mediante il massaggio cardiaco. Si guardò le mani, rifiutandosi di farsi prendere di reverenza per loro. Poi ne levò le palme alla luce, lasciando che il sole ne scaldasse la pelle. E, per la prima volta dall'inizio della guerra, avvertì un empito di speranza. Se poteva resuscitare quel pilota morto, poteva resuscitare se stesso, e i milioni di cinesi morti durante la guerra e che ancora morivano durante la battaglia di Shanghai, la battaglia per la conquista di una preda altrettanto illusoria del tesoro dello stadio olimpico. E avrebbe resuscitato Basie, ucciso dalle guardie del Kuo-min-tang poste a difesa dello stadio, ma non gli altri membri della banda, e meno che mai il tenente Price o il capitano Soong. E avrebbe resuscitato sua madre e suo padre, il dottor Ransome e la signora Vincent, e i prigionieri britannici dell'ospedale di Lunghua. E avrebbe resuscitato gli aviatori giapponesi abbandonati nei fossi attorno al campo d'aviazione, e tanto personale di terra quanto bastava per la ricostruzione d'una squadriglia... Il pilota giapponese emise un lieve rantolo, e gli occhi gli s'arrovesciarono come quelli dei malati che il dottor Ransome riportava in vita. Era appeso alla vita solo per un filo, ma Jim sapeva di doverlo abbandonare là, in riva al canale. Ora mani e braccia gli tremavano tutte, elettrizzate dalla scarica ch'era passata fra lui e il pilota: elettrizzate da quella medesima energia che dava la sua potenza al sole e che analoga potenza aveva dato alla bomba di Nagasaki, alla cui esplosione egli aveva assistito. E già vedeva la signora Philips e la signora Gilmour sorgere garbatamente dal regno dei morti, e ascoltare, con aria fra il preoccupato e il perplesso, le sue spiegazioni circa il metodo col quale le aveva salvate. E già immaginava il dottor Ransome in atto di scuotersi la terra dalle spalle, e la signora Vincent in quello di volgersi indietro a considerare la tomba con sguardo disapprovatore... Succhiò sangue e pus dai denti, e li inghiottì in fretta; poi, lasciandosi scivolare lungo l'erba umida, finì nell'acqua bassa del canale. Ripreso il controllo di sé, si lavò il volto: perché teneva ad apparire nel suo aspetto migliore alla signora Vincent, quando lei avrebbe aperto gli occhi a guardarlo. Infine, asciugò le mani umide sulle guance del giovane pilota: che era costretto a lasciare, perché, come il dottor Ransome, aveva solo pochi secondi a disposizione per ciascun morto impaziente. Mentre correva per la valle in direzione del campo d'internamento, notò che l'artiglieria di Pootung e Hungjao aveva smesso di tirare. All'estremità opposta del campo d'aviazione, una colonna di camion era venuta a fermarsi presso le aviorimesse, e uomini armati, con elmetti americani in testa, stavano salendo la scala della torre di controllo. Squadriglie di Mustang sorvolavano Lunghua in formazione chiusa, girando in cerchio, i motori ruggenti all'erba stremata. Salutandoli a gesti, corse al recinto perimetrale del campo di prigionia. Gli aerei americani erano in fase d'atterraggio: venivano a prendere le persone da lui resuscitate! Presso i tumuli funerari a ovest del campo, 3 cinesi stavano con le loro zappe fra le bare erose: i primi risorti dalle offese della guerra che si facessero avanti a salutarlo... 2 ex-internati europei, in tenuta da fatica, salirono la proda di un fosso con in mano una rete da pesca improvvisata. Li chiamò: essi lo fissarono, poi risposero al richiamo, come stupiti di ritrovarsi vivi con un attrezzo tanto modesto fra le mani... Scavalcato il reticolato, si lanciò lungo il sentiero verso l'ospedale del campo. Uomini muniti di vanghe stavano nel cimitero, una mano davanti agli occhi a protezione della luce, non più familiare, del sole. Che si fossero escavati da soli dalle fosse?

Nell'avvicinarsi ai gradini dell'ospedale, si sforzò di controllare il proprio tremito. Le porte di bambù si aprirono, e per l'aria si sparse 1 sciame di mosche: finiti, per loro, i giorni di festa... Sulla soglia, occupato a spazzarsele dal viso, sul quale aveva una maschera chirurgica verde, stava un uomo dai capelli rossi, vestito di un'uniforme americana nuova e con in mano una bomboletta di insetticida. - Dottor Ransome...! - gridò Jim, sputando il sangue che aveva in bocca e correndo su per gli scalini marci. – E' tornato, allora, dottor Ransome! Bene, bene, stanno tornando tutti, tutti stanno tornando! Ora vado a prendere la signora Vincent...! Le mani del medico gli afferrarono le spalle nel momento in cui già stava entrando nella stanza scura.

- Fermo, Jim, aspetta... Immaginavo di poterti trovare qui. - Poi, abbassata la maschera, gli tirò a sé la testa e gli esaminò le gengive, senza far caso al sangue che gli lordava l'impeccabile camicia dell'Esercito USA. - I tuoi genitori ti stanno aspettando, Jim. Eh, poveretto te, tu non crederai mai che la guerra è finita.