Il tenente Price
Entro il primo pomeriggio, Jim s'era riposato a sufficienza per lasciare da parte il problema e consumare un secondo pasto. La calda Spam, non più gelata dal volo ad alta quota nelle rastrelliere portabombe del B-29, gli scivolò tra le dita nella polvere del terreno. Lui recuperò il blocco gelatinoso, lo pulì delle mosche e dello sporco, e lo trangugiò accompagnandolo col latte in polvere che gli restava. Masticando una tavoletta di cioccolato, e pensando all'offensiva delle Ardenne, osservò un B-29 librarsi nel cielo della campagna aperta 2 miglia a sud-ovest. La Superfortezza era scortata da un caccia Mustang, che le volava in ampi cerchi 1000 piedi più sopra come se il suo pilota fosse annoiato del proprio compito di angelo guardiano. Una schiera di paracadute cominciò a calare verso terra, diretta forse a un gruppo esausto di prigionieri di Lunghua abbandonati dai giapponesi durante la marcia dallo stadio di Nantao.
Jim si volse a guardare l'orizzonte di Shanghai. Aveva forza sufficiente per percorrere le poche, pericolose miglia che lo separavano dai sobborghi occidentali? I suoi genitori, magari, erano già tornati alla casa di Amherst Avenue... E poiché era probabile che fossero affamati dopo il viaggio da Soochow, sarebbero stati felici di quell'ultima scatola di Spam e della stecca di Chesterfield. Sorridendo fra sé, pensò alla madre: il viso di lei, non lo ricordava più, ma poteva immaginare fin troppo bene quale accoglienza avrebbe fatto alla Spam! E poi, come extra, c'era tutta quella roba da leggere... Si alzò, tutto pieno della voglia di cominciare il viaggio di ritorno a Shanghai.
Palpeggiandosi lo stomaco rigonfio, si domandò se non si trattasse di una nuova malattia americana da soverchia ingestione di cibo. E, in quello stesso momento, scorse, fra i rami degli alberi, delle facce che si giravano a guardarlo. Sulla strada perimetrale stavano passando, fra gli aerei abbandonati, 6 soldati cinesi: dei cinesi del nord, alti e massicci, con zaino pieno, divise azzurre imbottite, e una stella rossa a 5 punte sui berretti di stoffa. Il capopattuglia, armato di un mitragliatore di fabbricazione straniera con canna raffreddata ad aria e caricatore a tamburo, portava gli occhiali e, più giovane e meno corpulento degli altri, aveva 1 sguardo fisso da contabile o da studente. A passo regolare, come di chi avesse già percorso una distanza immensa, i 6 s'infilarono tra gli apparecchi, e passarono a 20 passi da Jim, che nascose la Spam e la stecca di Chesterfield dietro la schiena. Dovevano essere dei comunisti, e, pertanto, dovevano odiare gli americani: di conseguenza, c'era caso che, alla vista delle sigarette, lo uccidessero senza dargli il tempo di spiegare che anche lui, una volta, aveva pensato seriamente di diventare comunista... Ma i soldati gli lanciarono un'occhiata priva d'interesse, il viso sgombro dall'inquietante misto di deferenza e disprezzo col quale da sempre i cinesi consideravano europei e americani; e, camminando rapidi, scomparvero fra gli alberi. Jim scavalcò il reticolato perimetrale e andò in cerca del pilota giapponese. Doveva avvertirlo di quei soldati comunisti, o sarebbe stato ammazzato a vista. Aveva deciso: tornare da solo a Shanghai, non poteva. Il circondario di Lunghua e di Nantao era infestato di uomini armati.
Dunque, meglio tornare al campo, e unirsi agl'internati britannici che avevano ucciso il soldato Kimura. Quelli, non appena recuperate le forze, sarebbero partiti per i bar e i locali notturni di Shanghai: e lui, data l'esperienza acquisita a bordo della Studebaker del signor Maxted avrebbe fatto loro da guida. Il cancello del campo di Lunghua distava poco più di un miglio, ma gli ci vollero 2 ore per attraversare la campagna vuota. Scansando il soldato Kimura, guadò la risaia allagata e seguì l'argine del canale fino alla strada di Shanghai. I bordi della strada erano disseminati di detriti degli attacchi aerei. Nei fossi giacevano camion e vagoni merci carbonizzati, cadaveri di soldati del governo-fantoccio, e carogne di cavalli e bufali indiani. Le migliaia di bossoli vuoti spandevano un brillìo di luce dorata, come se i soldati caduti fossero stati sorpresi dalla morte durante il saccheggio d'un tesoro. Camminando lungo la strada silenziosa, Jim osservò un caccia americano avvicinarsi da ovest. Seduto nell'abitacolo scoperto, il pilota descrisse un cerchio sopra di lui, il motore a volume di giri cosi basso, da dar l'impressione che il velivolo d'argento sussurrasse per l'aria. Ma le mitragliere erano in posizione di sparo, eiettori aperti: e Jim, pensando che il pilota potesse magari ucciderlo per divertimento, brandi alti i Reader's Digest e la stecca di Chesterfield, esibendoli come tanti passaporti. Il pilota lo salutò con la mano, virò, e puntò su Shanghai. La presenza dell'aviatore americano lo rallegrò, ed egli percorse fiducioso le ultime 100 iarde che lo separavano dal campo. La vista degli edifici a lui familiari, della torre di guardia e del reticolato, lo riempì d'un confortante calore. Stava tornando alla sua vera casa: se Shanghai era troppo pericolosa, chissà che i suoi genitori non lasciassero Amherst Avenue per venire a stare con lui a Lunghua. Però, dal punto di vista pratico, era un peccato che non ci fossero più i soldati giapponesi per proteggerveli... Quando fu davanti al campo, notò con sorpresa che le contadine e i disertori cinesi erano tornati a occupare il loro pezzetto di terra a lato del cancello. Accosciata sotto il sole, quella gente fissava paziente il britannico che si teneva, a torso nudo e con una fondina di pistola al fianco ossuto, al di là del reticolato. Jim riconobbe in lui il signor Tulloch, capomeccanico dell'agenzia shanghaiana della Packard. Il signor Tulloch aveva passato la guerra a giocare a carte nel Blocco D, interrompendosi solo la volta in cui, per il suo rifiuto di collaborare al trasporto del liquame, aveva avuto un'animata lite col dottor Ransome. L'ultima volta che l'aveva visto era stato quando i giapponesi l'avevano gettato fuori del corpo di guardia, dopo l'abortito tentativo di fuga a Shanghai. Fermo al cancello, il capomeccanico era intento a pizzicarsi la crosta di una ferita infetta al labbro e ad osservare l'attività in corso nello spiazzo delle adunate. 2 britannici stavano trascinando un contenitore da paracadute e il paracadute stesso attraverso la porta del corpo di guardia. Un terzo uomo, sul tetto, scrutava la campagna con un binocolo giapponese.
- Signor Tulloch... - chiamò Jim, scuotendo il pesante lucchetto e la catena del cancello. - Signor Tulloch! Il cancello è chiuso col lucchetto!
Il capomeccanico lo guardò schifato, chiaramente non riconoscendolo, e con aria sospettosa alla vista della stecca di sigarette.
- E tu, da dove diavolo spunti? Sei inglese, ragazzo?
- Sono un internato di Lunghua, signor Tulloch. Ho vissuto qui per 3 anni. - Poi, vedendo che il capomeccanico cominciava ad allontanarsi, gridò: - Lavoravo all'ospedale col dottor Ransome!
- Il dottor Ransome? - fece Tulloch, tornando al cancello e scrutandolo con aria scettica. - Il dottor rimesta-merda...?
- Sì, signor Tulloch, proprio lui. Sono quello che rimestava la merda per il dottor Ransome. Devo andare a Shanghai per ritrovare i miei genitori. Avevamo una Packard, signor Tulloch.
- La merda, lui ha finito di rimestarla... - fece Tulloch, estraendo il mazzo di chiavi del sergente Nagata dalla giberna portamunizioni della fondina, ma sempre indeciso se lasciarlo entrare o no. - Una Packard? Buona macchina...
Aprì il cancello e gli fece cenno di entrare. Al rumore, l'inglese dalle mani bendate, che aveva ucciso il soldato Kimura, si avvicinò a grandi passi dal corpo di guardia. Benché emaciato, aveva un fisico forte, nervoso, e un pallore che le nocche insanguinate accentuavano. La pelle color gesso e gli occhi da pazzo ricordarono a Jim quelli dei prigionieri rilasciati dopo mesi di permanenza nelle celle sotterranee del comando di polizia di Bridgehouse. Torso e spalle erano una sola cicatrice di bruciature di sigaretta, come se qualcuno avesse tentato di dar fuoco a quel corpo con una miriade di colpi d'attizzatoio ardente.
- Chiuda quel cancello! - E, puntando una mano insanguinata in direzione di Jim: - Lo sbatta fuori! - urlò l'inglese.
- Senta, Price: 'sto ragazzo, lo conosco. I suoi mi hanno comprato una Packard.
- Se lo tolga dai piedi, o avremo qui tutti quelli che hanno avuto una Packard...!
- Va bene, tenente. Su ragazzo, smamma, e alla sveltina.
Jim tentò di tener aperto il cancello con la sua scarpa da golf, ma ricevette sul petto il pugno bendato del tenente Price. Il fiato mozzo, cadde seduto accanto ai cinesi, senza mollare la presa sulla Spam e sulla stecca di Chesterfield. I 6 reader's Digest che aveva sotto la camicia si sparsero invece sull'erba, e vennero immediatamente ghermiti dalle contadine. Sedute intorno a lui, quelle donne minute e denutrite in pantaloni neri reggevano ora una rivista ciascuna, come s'accingessero a partecipare a una discussione di gruppo sulla guerra europea. Price sbatté loro il cancello in faccia. Tutto sembrava incollerito: il campo, le risaie vuote, il sole stesso. Crollando la testa in direzione di Jim, notò la scatola di Spam.
- E quella, dove l'hai presa? I lanci di Lunghua appartengono a noi! - Poi, dopo aver inveito in cinese contro le contadine, che sospettava di complicità nel furto: - Tulloch! - gridò - Ci stanno rubando la nostra Spam!
E già apriva il cancello per strappare la scatola a Jim, quando arrivò un grido dalla torre di guardia. L'uomo col binocolo discese la scala indicando i campi oltre la strada di Shanghai. Da ovest apparvero 2 B-29, i motori ronzanti sulla campagna deserta. Avvistato il campo, si separarono: 1 puntò su Lunghua, i portelli di sgancio aperti a rivelare i contenitori; l'altro si diresse, mutando rotta, verso Pootung, a est di Shanghai. Quando le Superfortezze gli passarono rombando sopra la testa, Jim s'accucciò accanto alle contadine cinesi. Price e 3 britannici, armati del fucile e dei randelli di bambù, si slanciarono dal cancello per infilarsi nel campo vicino. Già il cielo pullulava di paracadute, i cui baldacchini azzurri e scarlatti calavano verso le risaie a mezzo miglio di distanza. Il rombo dei B-29 s'attutì a un brontolìo smorzato. Jim fu tentato di seguire Price e i suoi, e di offrir loro aiuto. I paracadute erano atterrati dietro un sistema di vecchi trinceramenti, e i britannici, giù d'orientamento, correvano in tutte le direzioni. Price montò sul parapetto di una ridotta di terra e cominciò ad agitare il fucile con furia. 1 dei suoi, scivolato in un basso canale, diguazzava in tondo fra i giunchi, mentre gli altri correvano lungo le prode di fango tra le risaie. Mentre Tulloch osservava lo spettacolo con disperazione, Jim si alzò ed entrò per il cancello aperto. Il meccanico della Packard fece scorrere la grossa pistola nella fondina. La vista dei paracadute l'aveva rianimato, e i muscoli, simili a corde, di braccia e spalle gli tremavano come in un gioco eccitante di ripiglino.
- Ma la guerra, signor Tulloch, è finita sul serio? - chiese Jim.
- La guerra...? - fece Tulloch, come dimentico che ci fosse mai stata. - Speriamo di sì, ragazzo, tanto più che la prossima comincerà da un momento all'altro.
- Ho visto dei soldati comunisti, signor Tulloch.
- Sì, sono dappertutto. Aspetta solo che il tenente Price se ne occupi... Ti piazzeremo nel corpo di guardia, ragazzo. Ma tu, stagli alla larga...
Jim lo seguì attraverso lo spiazzo ed entrò con lui nel corpo di guardia. Il pavimento della fureria, una volta immacolato perché tenuto lucido, fra un pestaggio e l'altro, dai prigionieri cinesi, era coperto di sporcizia e di rifiuti. Calendari e documenti giapponesi giacevano sparsi fra stecche vuote di Lucky Strike, caricatori privi di cartucce e resti di vecchi scarponi di fanteria. Contro la parete posteriore dell'ufficio del comandante stavano impilate dozzine di scatole di razioni. Un britannico nudo, sulla cinquantina tarda, exbarista del Circolo sportivo di Shanghai, era intento, dallo sgabello di bambù su cui sedeva, a separare la carne in scatola dal caffè e dalle sigarette. Le tavolette di cioccolata finivano in ordine sul tavolo del comandante, i fasci di Reader's Digest e di Saturday Evening Post gettati bruscamente a terra, sicché il pavimento dell'ufficio ne era tutto coperto.
Accanto all'uomo seduto, un giovane soldato britannico, nell'uniforme a brandelli dei Seaforth Highlanders, tagliava le corde di nailon dei paracadute, le avvolgeva in rotoli ordinati, poi ripiegava da esperto i tessuti azzurri e scarlatti. Tulloch osservava quella camera del tesoro con aria di manifesta reverenza dinanzi alla fortuna ammassata da lui e dai prigionieri. Alla vista di tante tavolette di cioccolata potesse venir sconvolto dalla ingordigia.
- certo, Non ti ci fissare, ragazzo. Mangiatela qui, la tua cioccolata.
Ma Jim stava fissando le riviste accatastate ai suoi piedi sul pavimento, e provava un gran desiderio di riordinarle, di metterle da parte per la guerra seguente. - Ora dovrei tornare a sanghai, signor Tulloch.
- Shanghai? Là non c'è altro che 6000000 di coolies mezzi morti di fame. E quelli ti taglierebbero il prepuzio senza darti il tempo di dire amen!
- Ma, signor Tulloch, mia madre e mio padre.
- Oh, senti, ragazzo! Non ci sono né madri né padri a Shanghai, adesso. Tutti quei dollari della FRB a caccia d'un centinaio di sacchi di riso? No, no, è qui che la manna piove dal cielo.
Nelle risaie echeggiò una fucilata, seguita da 2 altre in rapida successione.
Lasciato il barista nudo a protezione del tesoro, Tulloch e il Seaforth irlandese si lanciarono fuori dal corpo di guardia e salirono per la scala alla torre di vedetta. Jim cominciò a riordinare le riviste sul pavimento dell'ufficio del comandante, ma fu cacciato con un urlo dal barista Lasciato a se stesso, entrò nel locale delle celle dietro la fureria La Spam calda in mano, guardò nelle celle vuote, le cui pareti di cemento apparivano macchiate di sangue scuro e feci secche. Nell'ultima, riparato da una stuoia di paglia appesa alle sbarre, c'era il cadavere di un soldato giapponese. Stava sulla panca di cemento che costituiva l'unico mobile della cella, legato per le spalle ai resti di una sedia di legno. La testa, spappolata a randellate, somigliava a un'anguria schiacciata, con miriadi di mosche al posto dei semi neri. Jim osservò il soldato attraverso le sbarre, sconvolto al pensiero che 1 dei giapponesi da cui era stato protetto per anni fosse stato imprigionato e pestato ( morte in una sua cella. La morte del soldato Kimura, nell'anonimità della risaia allagata l'aveva accettata, ma quel rovesciamento di tutte le regole che avevano governato la vita dei prigionieri nel campo fini per convincerlo che la guerra doveva probabilmente essere finita davvero. Lasciate le celle e tornato in fureria, sedette e penso alle azioni degne delle ferite Che sicuro della guerra L'arrivo della pace delle riflessioni stava di fronte ai sorveglianti come nacchera, stava la in modo da ricordare il massacro a botte del giapponese.
Notato Jim che leggeva tranquillo le sue riviste dietro il tavolo del sergente Nagata, gridò: - Tulloch, è qui di nuovo! Il ragazzo della Packard...
- E stato internato qui, tenente. Faceva da galoppino a 1 dei dottori.
- Ma va in giro dappertutto! Lo chiuda in una cella!
- Non è del tipo loquace, tenente - fece Tulloch, prendendo Jim per il braccio e spingendolo controvoglia verso il locale delle celle. - Se l'è fatta tutta a piedi dallo stadio di Nantao.
- Nantao...? Lo stadio grande? - Price si rivolse a Jim con interesse, lo sguardo acceso dell'innocenza del fanatico. - E quanto ci sei stato, ragazzo?
- 3 giorni - rispose Jim. - Anzi, 6, credo. Sino alla fine della guerra.
- Non è capace di contare.
- Doveva avere un bell'aspetto, tenente.
- Lo credo bene: con tutto il suo andare in giro.., E dimmi, ragazzo: nello stadio, che hai visto? Fucili? Provviste? - aggiunse con una smorfia furbesca.
- Automobili, soprattutto - fece Jim. - Almeno 5 Buick, 2 Cadillac e una Lincoln Zephyl.
- Lascia stare le automobili! Mica sei nato in un garage, no? Che altro hai visto, su!
- Un sacco di tappeti e di mobili, e nient'altro.
- E pellicce? - interruppe Tulloch. - Niente materiale militare, là, tenente. E scotch ce n'era, figliolo?
Price strappò dalle mani di Jim la copia di Life. - Piantala, in nome di Dio, o ti rovinerai gli occhi! Ascolta il signor Tulloch Hai visto dello scotch?
Jim si tirò indietro, lasciando fra sé e quell'uomo instabile i contenitori d'argento. Come eccitato dal bottino che attendeva nello stadio di Nantao, il tenente aveva le mani che sanguinavano attraverso le bende. Jim sapeva che a Price sarebbe piaciuto averlo fra le mani, da solo, per batterlo a morte, non perché fosse crudele, ma perché solo la vista della sua sofferenza avrebbe cancellato tutta l'agonia da lui vissuta. Disse perciò, con accortezza: - Si, forse c'era, dello scotch, considerata l'abbondanza di bar.
- Di bar...? - esclamò Price, scavalcando le stecche di Chesterfield per venire a schiaffeggiarlo. - Te li do io, i bar...
- Mobili-bar, voglio dire: ce n'era almeno una ventina. Dunque potevano benissimo contenere del whisky.
- Si direbbe un albergo. Tulloch, ma che razza di guerra avete passato voi, qui?
Va bene ragazzo: e che altro hai visto?
- Ho visto il lancio della bomba atomica su Nagasaki - disse Jim. E, con voce cristallina: - Il lampo bianco, ho visto! Insomma, la guerra è proprio finita, no?
Gli uomini sudati posarono scatole e stecche. Il tenente Price lo fissò, sorpreso ma disposto a credergli; e accese una sigaretta proprio mentre il campo veniva sorvolato da un apparecchio americano un Mustang di ritorno alla base di Okinawa.
Jim perforò il rombo con un: - Ho visto la bomba atomica...!
- Sì... devi averla vista. - Il tenente Price riavvolse le bende attorno ai pugni sanguinanti, aspirando febbrilmente la sigaretta. Poi, con un'occhiata feroce a Jim, raccolse la copia di Life e uscì dall'ufficio del comandante. Mentre il Mustang s'allontanava in un ronzìo oltre le risaie, lo si udì andare su e giù nel locale attiguo, e battere le porte delle celle con la rivista arrotolata.