La peregrinazione

 

- Destra... destra... no... sinistra, volevo dire!

Sporgendosi dal finestrino della cabina di guida, Jim gridava all'autista, mentre il camion avanzava a fatica sull'impianto del pontone. I genieri giapponesi avevano costruito il ponte provvisorio sul Soochow Creek nelle settimane seguenti l'attacco di Pearl Harbor, ma esso già cedeva sotto il traffico pesante. Quando il camion si mosse verso il primo pontone d'acciaio, le tavole umide cominciarono a divergere tra le funi consunte. Messo di vedetta dall'autista giapponese, Jim osservò la gomma anteriore schiacciare le tavole nell'acqua: la vista dell'acqua montante attraverso le griglie o sui gradini d'una gettata gli piaceva da sempre. La bruna corrente sciacquò la polvere dal pneumatico logoro, rivelando il marchio di fabbrica inciso sul bordo: quello della britannica Dunlop, proprio in sintonia con la sua ricerca dei genitori! Il camion s'inclinò di lato, appoggiandosi sulle deboli sospensioni. Dietro, un corpo rotolò sul pavimento, ma Jim, affascinato dal filtrare dell'acqua attraverso la coppa dentata, dal suo fluire attraverso la ruota come i getti d'una fontana segreta, non si voltò.

- Sinistra... sinistra...! - gridò, ma il soldato presso la sponda posteriore già gridava anche lui allarmato. Con 1 stanco sospiro, l'autista giapponese tirò il freno a mano, ordinò a Jim di tornare dietro, e scese sulle tavole lavate dal fiume. Jim passò per il finestrino posteriore e tornò nel cassone. Poi, scavalcate le gambe distese del dottor Ransome, s'inginocchiò sulla panchina per assistere, con crescente interesse, alla discussione via via più animata fra l'autista e la guardia giapponese. 200 iarde a valle, un'unità di genieri stava alzando la campata centrale del vecchio ponte ferroviario. Jim fu felice di poterne osservare il lavoro. Durante gran parte della mattinata s'era sentito stordito, e il costante fluire dell'acqua attraverso i pontoni gli dava sollievo agli occhi. Contò i battiti del polso, chiedendosi se avesse preso il beri-beri, la malaria o qualche altra delle malattie delle quali aveva udito il dottor Ransome discutere con la signora Hug. Certo, provare qualche nuova malattia sarebbe stato interessante; però c'era da considerare il centro di detenzione e quei tali aerei americani che aveva visto sopra Shanghai... La notte precedente, quando s'erano accampati presso un allevamento di maiali gestito dalla gendarmeria giapponese, quegli aerei, secondo lui, li aveva visti anche il dottor Ransome. Una cosa era certa: il dottore non aveva un gran bell'aspetto.

Da quando avevano lasciato Woosung, la ferita gli aveva infettato tutta quanta la guancia e il naso. Ora giaceva sul pavimento del camion, le gambe lentigginose sinistramente bianche nello splendore del sole. Dormiva, ma sembrava immerso in profondi pensieri con metà della testa. A lui aveva parlato l'ultima volta prima del pasto serale, quando s'era accertato che lui, Jim, avesse ricevuto dalla guardia giapponese la razione regolamentare dei prigionieri. Con un immenso sforzo di volontà, gli aveva ordinato di spogliarsi e poi gli aveva lavato i vestiti nel truogolo dei maiali, usando una saponetta profumata che s'era fatto prestare dalla signora Hug. Basie gli sedeva accanto sul pavimento, con in grembo le teste dei 2 ragazzi inglesi addormentati. Non aveva perso conoscenza, ancora, ma si era ritirato in se stesso, e la sua faccia morbida assomigliava alla polpa di un frutto passaticcio. Aveva vomitato più volte, e il pavimento del camion era coperto di vomito e urina che Jim si sentiva continuamente chiedere di pulire. Sul pavimento erano stesi anche la signora Hug e suo padre, che si parlavano raramente e non facevano che concentrarsi su ogni scossone. Per fortuna, le 2 coppie missionarie erano rimaste a Woosung. Il loro posto era stato preso da un inglese di mezz'età, con una moglie tutta compita, del Consolato britannico di Nanchino. Costoro sedevano ora accanto alla guardia giapponese verso l'estremità posteriore del camion, il volto prosciugato d'espressione come di gente sopraffatta da qualche tragedia.

Fra loro stava una valigia di vimini piena d'indumenti, che l'autista e la guardia perquisivano ogni sera per procurarsi scarpe e pantofole. La coppia fissava, senza mai parlare, il paesaggio di risaie e canali, ciò che induceva Jim a pensare che avesse perso ogni interesse alla guerra. 2 volte al giorno, quando i giapponesi si fermavano per cucinarsi da mangiare, la guardia ordinava a Jim di far passare tra i prigionieri una brocca d'acqua. Per il resto del tempo, Jim era lasciato a se stesso, libero di concentrarsi sul compito di guidare l'antiquato camion verso il campo di concentramento dove stavano i suoi genitori. Erano giorni, ormai, che stavano per strada, 10 miglia a nord-ovest di Shanghai, a vagare in un circuito errabondo per la campagna. Jim ne aveva perso il conto esatto, ma si diceva che, perlomeno, andavano avanti, e che, fortunatamente, i giapponesi non erano minimamente scoraggiati dal peggioramento di condizioni dei prigionieri. Il primo giorno, dopo la partenza da Woosung, 3 ore di viaggio in aperta campagna li avevano portati all'ex seminario di San Francesco Saverio sulla Soochod Road, 1 dei primi campi di prigionia allestiti dai giapponesi nelle settimane seguenti a Pearl Harbor. Il seminario era già pieno di personale militare. Per tutto il pomeriggio attesero in coda a una fila di autobus della Società di trasporti di Shanghai che, requisiti, trasportavano diverse centinaia di civili olandesi e belgi. Jim scrutò attentamente oltre la doppia barriera di filo spinato. Squadre di soldati britannici oziavano presso le baracche o sedevano nello spiazzo dell'adunata sui banchi lucidi tolti dalla cappella del seminario, come i fedeli di una cattedrale all'aperto. Non c'erano civili, però, né uomini, né donne, né bambini. Le guardie giapponesi, occupatissime in una serie infinita di appelli, non avevano tempo per i nuovi arrivati e per le loro speranze di venire accettati. Jim, seduto sulla panchina, continuò a far cenni di saluto, in modo da esser visto da tutti gli internati.

Ma le centinaia di soldati annoiati non mostrarono alcun interesse per i civili e i loro autobus della Società dei trasporti, e Jim tirò un sospiro di sollievo quando lui e i suoi compagni furono rifiutati. Il camion si mosse verso Soochow, e l'autista gli permise di sedere nella cabina di guida: con tutta la sua irrequietezza, causa di tanto fastidio, ora egli rappresentava, in qualche modo, una piccola fonte di sicurezza. Incapace di leggere la carta, stampata in caratteri giapponesi, o di capire una sola parola dei lunghi monologhi indirizzati al parabrezza sporco d'insetti, Jim rimase in ginocchio sul sedile anteriore, a battere i denti ed a sporgersi dal finestrino per osservare gli apparecchi di passaggio. In cielo sembrava volare l'intera aviazione giapponese, diretta all'attacco delle armate cinesi dell'ovest. La piatta campagna ai lati della strada Shanghai-Soochow era stata zona di guerra, e le miglia di trinceramenti marci e di casematte arrugginite ricordavano a Jim immagini enciclopediche di Ypres e della Somme, un immenso museo di guerra rimasto invisitato da anni. Le rovine della guerra, e i voli di bombardieri e caccia, lo rianimarono. Ora aveva voglia di innalzarsi come un aquilone da combattimento sopra la serpentina dei parapetti e di atterrare quindi su 1 dei massicci fortini, fatti di migliaia di sacchetti di sabbia, che si ergevano fra i tumuli funerari. Che delusione che nessuno dei suoi compagni fosse interessato alla guerra! Un tale interesse li avrebbe aiutati a tenersi su di morale, più di quanto lui non potesse coi suoi sforzi, che diventavano via via più ardui. Già, perché, sotto molti aspetti, Jim amava immaginare di essere il vero capo di quella troupe di prigionieri vaganti. A volte, mentre portava la pesante giara dell'acqua e accendeva la stufa per la sera, si rendeva conto di essere poco più del loro coolie Numero 2. Ma, senza di lui a raccogliere la legna da ardere e a far bollire le patate dolci, il dottor Ransome e Basie avrebbero fatto anch'essi la fine delle missionarie. Perché, aveva notato, dopo la partenza dalla stazione della gendarmeria (quella dell'allevamento di maiali), il dottore e Basie si erano abbandonati alla malattia. Nel corso della notte, i giapponesi avevano bastonato un ladro cinese, e le urla di questo avevano fatto fremere la scura superficie dell'acqua delle risaie; il mattino appresso, tutti erano stesi sul pavimento del camion, Basie coi suoi polmoni e il dottor Ransome col suo occhio infetto che gl'impediva di vedere. Jim si sentiva febbricitante, ma continuò a osservare gli aerei giapponesi in cielo. Il ronzio dei motori gli rasserenava la mente. Ogni volta che si sentiva giù di morale o triste con se stesso, pensava agli aerei d'argento che aveva visti al centro di detenzione.

Il camion procedeva lungo il ponte di chiatte, spinto da una squadra di genieri giapponesi. Incapace di tenersi in equilibrio, Jim scivolò dalla panchina, e il dottor Ransome allungò stancamente un braccio a trattenerlo.

- Tieni duro, Jim. Sta' davanti coll'autista, e fa' in modo che non si fermi...

Dozzine di mosche gl'infestavano il viso, nutrendosi della piaga attorno all'occhio. Accanto a lui erano stesi Basie con Paul e David, e la signora Hug col padre. Solo la coppia inglese con la valigia di vimini piena di scarpe sedeva accanto al soldato vicino alla sponda posteriore. Jim si rassettò la giacca al montare sul cassone di un caporale giapponese: un tipo collerico, dagli stivali bagnati, che si mise a urlare ordini ai soldati intenti a spingere il camion lungo il ponte. Quando furono sulla sponda opposta, i soldati s'avviarono lungo la riva per tornare al loro lavoro al ponte ferroviario. Il caporale, chiaramente disgustato dalle condizioni dei prigionieri, cominciò a prendersela coll'autista, e, brandendo la sua Mauser, indicò a gesti una fossa anticarro sulla riva che il camion aveva ormai alle spalle. Jim si sentì sollevato quando lo vide tornarsene a grandi passi al suo ponte. Per quanto lui e i suoi compagni fossero malati, non aveva alcuna voglia di una sosta di riposo nella trincea anticarro. Era già 1 sforzo star seduto sulla panchina, ed egli fu tentato di stendersi sul pavimento accanto al dottor Ransome, in modo da poter guardare direttamente il cielo. Il paesaggio di risaie, canali e villaggi deserti andava sfilandogli accanto, emergendo da una bianca foschia come le ossa triturate di tutti i morti della Cina. La polvere ammantava di sé la cabina e il cofano del camion, mimetizzandolo in vista del mondo in cui s'accingeva a entrare. Da quanto stavano per strada? Le file di tumuli funerari tentavano d'ingannare i suoi occhi: movevano ad onde incontro al veicolo traballante, come un mare di morti. Le bare scoperchiate giacevano vuote, pronte a ghermire i piloti americani che non avrebbero tardato a cadere dall'alto. Ed erano a migliaia, quelle bare, sicché bastavano per il dottor Ransome e per Basie, per i suoi genitori e per Vera, per il coolie Numero 2 e per lui stesso... Il camion si fermò, facendogli sbattere il capo contro la cabina. A lato della strada si ergeva un gruppo di baracche dal tetto di carta catramata, all'interno di un reticolato che le separava dall'alzaia di un canale. Pigramente, Jim lasciò correre lo sguardo su quel piccolo campo di concentramento che occupava il recinto di una fabbrica di ceramica. Un paio di chiatte metalliche giaceva capovolto all'ormeggio, e alcuni carrelli ancora carichi di mattonelle di ceramica sostavano nel cortile accanto ai forni. Dei depositi in mattoni, 2 erano stati incorporati nel campo per mezzo di un reticolato che divideva il recinto della fabbrica. Uomini e donne prendevano il sole sui gradini delle baracche di legno; tra le finestre, corde di panni stesi al vento, serena immagine di primavera. Jim appoggiò il mento sulla fiancata del camion. Sotto di lui, il dottor Ransome si sforzava di tirarsi su a sedere. La guardia saltò dalla sponda posteriore e si avviò all'entrata, dove sostava un autobus dell'università di Shanghai circondato da soldati giapponesi. I passeggeri guardavano dai finestrini coperti di polvere: 2 suore in soggolo nero, numerosi ragazzi dell'età di Jim, e una ventina di britannici adulti di ambo i sessi.

Contro il reticolato s'era intanto ammassata una folla d'internati. Mani nelle tasche dei calzoni corti sbrindellati, costoro rimasero a guardare in silenzio mentre un sergente giapponese saliva sull'autobus per l'ispezione dei prigionieri. Il dottor Ransome era in ginocchio all'estremità posteriore del camion, una mano sul viso a nascondere la piaga. Jim aveva gli occhi puntati su una inglese in veste di cotone lacera che si teneva aggrappata al reticolato. La donna lo guardava con la stessa espressione che aveva visto in volto alla madre tedesca della Columbia Road. L'autobus varcò i cancelli del campo; il sergente giapponese, ritto sulla porta dei passeggeri, pistola in pugno, fece segno alla folla degl'internati di scostarsi. Dall'espressione cupa del viso si capiva che costoro erano assai poco entusiasti della nuova infornata, che significava altre bocche da sfamare con cibo sottratto alle già magre razioni. Jim si alzò a sedere, mentre il camion si avviava a propria volta, barcollando, verso il cancello. Il dottor Ransome cadde sul pavimento, e fu aiutato a sedere dalla coppia inglese con la valigia di vimini. Jim sorrise alla donna che stava camminando lungo il reticolato. Quando lei gli tese una mano, si domandò se fosse un'amica di sua madre. Il campo era pieno di famiglie, e fra tutte le coppie che vedeva circolare potevano ben esserci i suoi genitori. Scrutò quelle facce inglesi, quelle bande di ragazzi che se la ridevano alle spalle delle guardie giapponesi; e, con sua sorpresa, per un istante fu come dispiaciuto, rattristato dalla conclusione imminente della sua ricerca dei genitori. Patire la fame e la malattia andava benissimo finché durava la ricerca; ma, ora che essa era conclusa, egli provava tristezza al ricordo di ciò che aveva passato e al pensiero di quant'era cambiato. Ora si sentiva più vicino ai campi di battaglia in rovina e al suo camion infestato di mosche, alle 9 patate dolci del sacco sotto il sedile dell'autista, e perfino, in un certo senso, al centro di detenzione, di quanto non avrebbe potuto mai più alla casa di Amherst Avenue.

Il camion si fermò al cancello. Il sergente giapponese esaminò con attenzione, da sopra la sponda posteriore, i prigionieri stesi sul pavimento. Poi spinse indietro il dottor Ransome con la Mauser, ma il dottore si calò a terra e s'inginocchiò ai suoi piedi, trattenendo il respiro. Già la folla degl'internati aveva cominciato a disperdersi. Mani in tasca, gli uomini se ne tornarono alle baracche, dove sedettero con le donne sui gradini. Le mosche giunsero a sciami, posandosi sulle chiazze bagnate del cassone, e indugiando attorno alla bocca di Jim per nutrirsi alle piaghe delle gengive. Per 10 minuti i soldati giapponesi discussero fra loro, mentre l'autista aspettava col dottor Ransome. 2 prigionieri britannici anziani uscirono dai cancelli per unirsi alla discussione.

- é il Campo di Woosung?

- No, no, no...!

- Chi li ha mandati qui, in queste condizioni?

Scansato il dottor Ransome, si avvicinarono al camion per osservare i prigionieri, nascosti dalla nuvola di mosche. Jim si mise a battere i tacchi ed a fischiettare a se stesso, ma i 2 non cambiarono espressione. Le sentinelle giapponesi aprirono il cancello del reticolato, ma gl'internati britannici lo richiusero all'istante, cominciando a urlare all'indirizzo del sergente. Quando il dottor Ransome si fece avanti per protestare, furono loro a fargli cenno di non avvicinarsi.

- Indietro, indietro... Non possiamo accettarvi, dottore. Ci sono dei bambini, qui.

Il dottor Ransome risalì sul camion e sedette sul pavimento accanto a Jim.

Esausto dallo sforzo compiuto, si abbandonò all'indietro, la mano sulla piaga in un ronzare furioso di mosche fra le dita. La signora Hug e la coppia inglese dalla valigia in vimini avevano seguito le discussioni senza aprire bocca.

Quando i soldati giapponesi si riavviarono al campo e ne chiusero il cancello, la signora Hug disse: - Non vogliono prenderci. I capicampo britannici...

Jim osservava gl'internati che si muovevano qua e là per il campo. Squadre di ragazzi giocavano a pallone nel cortile ammattonato della fabbrica. Che i suoi genitori si tenessero nascosti tra i forni? Forse, come i capicampo britannici, volevano che lui se ne andasse, per paura delle mosche e della malattia che s'era portate da Shanghai. Aiutò Basie e il dottor Ransome a bere, poi andò a sedere sulla panchina opposta, voltando la schiena al campo, agl'internati britannici e ai loro figli. Ogni speranza stava ora nel paesaggio circostante, nelle sue guerre passate e future. Sentiva una strana vertigine: non perché i genitori l'avessero respinto, ma perché s'era aspettato che lo facessero, e non glien'importava più.