La vigilia di Pearl Harbor
Le guerre vennero presto a Shanghai, succedendosi l'un l'altra al modo delle maree che rimontavano rapide lo Yangtze e restituivano alla sfarzosa città tutte le bare affidate alle acque dai moli funerari del Bund cinese. Jim aveva cominciato a sognare di guerre. La notte, sulla parete della sua camera in Amherst Avenue sembravano snodarsi gli stessi film muti, che trasformavano la sua mente addormentata in una sala vuota da proiezione. Durante l'inverno del 1941, tutti, a Shanghai, proiettavano film di guerra. Frammenti di sogni seguivano Jim in giro per la città: negli atri degli empori e degli alberghi, le immagini di Dunkerque e di Tobruk, dell'operazione Barbarossa e del Sacco di Nanchino, gli esplodevano nella mente sovraccarica. Come dovette constatare con sbigottimento, anche il decano della cattedrale di Shanghai si era munito di un antiquato proiettore. Dopo il servizio domenicale del 7 dicembre, vigilia dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, i chierichetti furono trattenuti e condotti, con le tonache ancora indosso, giù nella cripta. Qui, seduti su una fila di sedie a sdraio requisite allo Shanghai Yacht Club, assistettero alla proiezione di una Marcia del tempo vecchia di un anno. Pensando ai suoi sogni confusi, e intrigato dalla mancanza di colonna sonora, Jim prese a tirarsi la gorgiera. L'assolo d'organo trapassava martellante il soffitto di cemento come un mal di testa, e lo schermo tremolava d'immagini familiari di battaglie di carri e di zuffe aeree. Jim non vedeva l'ora di prepararsi per la mascherata natalizia che si sarebbe tenuta, quel pomeriggio, dal dottor Lockwood, il vicepresidente dell'Associazione Residenti britannici. Ci sarebbe stato il viaggio attraverso le linee giapponesi fino a Hungjao, e poi i giocolieri cinesi, i fuochi d'artificio, e altri cinegiornali; ma Jim aveva ragioni sue personali per desiderare di partecipare al ricevimento del dottor Lockwood. Davanti alla porta della sagrestia, gli autisti cinesi, in attesa accanto alle Packard e alle Buick, discutevano fra loro con toni di stizza. Annoiato dal film, già visto una dozzina di volte, Jim ascoltava Yang, l'autista di suo padre, stuzzicare il sagrestano australiano. Assistere alla proiezione dei cinegiornali era diventato un dovere patriottico di ogni espatriato britannico, come le riffe benefiche al circolo sportivo. I balli e i trattenimenti all'aperto, e le innumerevoli bottiglie di scotch consumate a favore dello sforzo bellico (come tutti i bambini, Jim era affascinato dall'alcool, che vagamente disapprovava) non avevano tardato a provvedere quanto bastava per l'acquisto di 1 Spitfire, probabilmente 1 di quelli abbattuti al primo volo (si diceva Jim), col pilota svenuto tra i fumi del Johnnie Walker. I cinegiornali, rientranti nello sforzo propagandistico compiuto dall'Ambasciata britannica per controbattere i film bellici tedeschi e italiani proiettati nei teatri pubblici e nei circoli shanghaiani dell'Asse, Jim, di solito, li divorava. A volte, quelli inglesi della Pathé gli davano l'impressione che, in Gran Bretagna, la gente, a dispetto della serie ininterrotta di sconfitte, godesse un mondo della guerra. I film della Marcia del tempo, invece, erano più cupi, d'una cupezza che lo attraeva.
Soffocando nella tonaca attillata, Jim osservò un Hurricane in fiamme precipitare da un cielo di bombardieri Dornier verso un paesaggio di prati inglesi da libro d'infanzia; un paesaggio da lui mai conosciuto. La Graf Spee giaceva affondata in un fiume, il Rio della Plata, altrettanto malinconico dello Yangtze, e nuvole di fumo si levavano da una misera città dell'Europa orientale, il pianeta nero da cui era fuggita 6 mesi addietro, su una nave di profughi, la sua governante diciassettenne Vera Frankel. Il film terminò, finalmente, e Jim respirò di sollievo. Lui e i suoi compagni uscirono trotterellando nella strana luce del giorno, incontro agli autisti. Patrick Maxted, il suo amico più intimo, aveva lasciato Shanghai per nave, con la madre, alla volta della sicurezza rappresentata dalla "Fortezza" britannica di Singapore, e Jim sentiva di dover assistere ai film per lui, e anche per le russo-bianche che vendevano i loro gioielli sui gradini della cattedrale e per i mendicanti cinesi che sostavano fra le tombe. La voce del commentatore seguitava a echeggiargli nella mente, mentre la Packard dei genitori lo riconduceva a casa per le affollate strade di Shanghai. Yang, l'autista dalla parlata rapida, aveva avuto occasione di lavorare da comparsa in un film di produzione locale con Chiang Ching, l'attrice che aveva abbandonato la carriera per unirsi al leader comunista Mao Tse-Tung. Yang ci godeva a impressionare il suo passeggero undicenne con storie spropositate di cascatori ed effetti speciali, ma quel giorno lo ignorò, lasciandolo relegato sul sedile posteriore. Guidava pigiando a tutta forza il potente clacson della Packard, e duellando senza soste con gli aggressivi coolies dei risciò che tentavano, col loro affollamento, di espellere le macchine straniere dalla Bubbling Well Road. Il finestrino abbassato, menava scudisciate col suo frustino da cavallo contro i pedoni sbadati, le saltellanti entrameuse con le borsette americane, le vecchie amah curve sotto i gioghi di bambù da cui pendevano polli decapitati. Un autocarro scoperto, carico di giustizieri dello stato, sterzò davanti alla Packard, diretto al luogo dei pubblici strangolamenti nella Città vecchia. Un piccolo accattone ne approfittò per farsi sotto. Battendo il pugno contro le portiere della macchina, e stendendo la mano, prese a lanciare a Jim l'invocazione tipica delle strade di Shanghai: "Niente mamma, niente papà, niente whisky soda!" Yang lo colpì con una frustata; lui cadde, poi si rialzò di scatto fra le ruote anteriori di una Chrysler in arrivo, e prese a correre lungo questa. "Niente mamma, niente papà..." Jim detestava il frustino, ma apprezzava il clacson della Packard. Se non altro, esso arrivava a soffocare il fragore dei caccia a 8 mitragliere, l'urlìo delle sirene antincursione di Londra e Varsavia. Lui, della guerra europea, ne aveva più che abbastanza... La sgargiante facciata dell'emporio della Sincere Company era dominata da un immenso ritratto di Chiang KaiShek esortante i cinesi a sempre maggiori sacrifici nella lotta contro i giapponesi.
Una debole luce, riflessa da un tubo difettoso al neon, tremolava sopra la morbida bocca del Generalissimo, il medesimo tremolìo che aveva visto nei suoi sogni... L'intera Shanghai si stava trasformando in un cinegiornale di cui la sua mente era il proiettore. Aveva avuto danneggiato il cervello dai troppi film di guerra? Lui aveva tentato di parlare alla madre dei suoi sogni, ma, come tutti gli adulti di Shanghai, quell'inverno, essa era troppo preoccupata per ascoltarlo. Forse faceva brutti sogni anche lei. La cosa più inquietante era che le immagini frammischiate di carri armati e di bombardieri da picchiata erano completamente silenziose, come se la sua mente addormentata si sforzasse di separare la guerra vera dai conflitti finti inventati dalla Pathé e dalla British Movietone. Jim non aveva dubbi su quale fosse la guerra vera. La guerra vera era tutto ciò che aveva visto di persona dall'inizio dell'invasione giapponese della Cina, nel '37: i vecchi campi di battaglia di Hungjao e Lunghua, dove le ossa dei morti insepolti affioravano alla superficie delle risaie ogni primavera; le migliaia di profughi cinesi che morivano di colera nei recinti chiusi di Pootung; le teste sanguinolente dei soldati cinesi impalate su picche lungo il Bund. Nella guerra vera, nessuno sapeva da quale parte stesse, né esistevano bandiere, commentatori o vincitori. Nella guerra vera, non esistevano nemici. Per contro, l'imminente conflitto tra la Gran Bretagna e il Giappone, che tutti a Shanghai s'aspettavano per l'inizio dell'estate del '42, apparteneva al dominio del sentito dire. La nave rifornimento addetta all'incursore tedesco del Mar Cinese visitava ora apertamente Shanghai e gettava l'àncora nel fiume, dove caricava carburante da una dozzina di chiatte, molte delle quali appartenenti a compagnie petrolifere americane, osservava beffardamente il padre di Jim. Quasi tutte le donne e i bambini americani erano stati evacuati da Shanghai. Nella sua classe, alla scuola della cattedrale, Jim era circondato da banchi vuoti. La maggioranza dei suoi amici e delle loro madri era andata a mettersi in salvo a Hong-Kong e a Singapore, mentre i padri chiudevano le case per trasferirsi negli alberghi lungo il Bund. All'inizio di dicembre, dopo la scuola, Jim aveva preso a raggiungere suo padre sul tetto del palazzo degli uffici di Sze-chwan Riad, per aiutarlo a dar fuoco alle casse d'incartamenti ivi trasportate, in ascensore, dagli impiegati cinesi. I frammenti di carta bruciata, aleggiando in lunghe teorie sopra il Bund, si mescolavano al fumo delle impazienti ciminiere degli ultimi vapori in uscita da Shanghai. I barcarizzi erano affollati di passeggeri: eurasiatici, cinesi ed europei che lottavano per imbarcarsi con fagotti e valigie, pronti a correre il rischio dei sottomarini tedeschi in attesa nell'estuario dello Yangtze. Dai tetti dei palazzi di uffici del quartiere degli affari si levavano fiamme di falò, osservate al binocolo dagli ufficiali giapponesi occupanti le casematte di cemento oltre il fiume, a Pootung. E ciò che soprattutto preoccupava Jim era non la collera, ma la pazienza dei giapponesi. Non appena furono a casa, in Amherst Avenue, Jim corse di sopra a cambiarsi. Amava le babbucce persiane, la camicia ricamata di seta e i calzoni di velluto blu che lo facevano sembrare una comparsa del Ladro di Bagdad, e non vedeva l'ora di essere al ricevimento del dottor Lockwood. Avrebbe sopportato giocolieri e cinegiornali, e poi si sarebbe recato all'appuntamento segreto a cui non aveva potuto recarsi da molti mesi per via delle voci di guerra. Per colmo di fortuna, la domenica, Vera aveva il pomeriggio libero, che essa occupava nella visita ai genitori nel ghetto di Hongkew. Giovane, poco più di una bambina essa stessa, e annoiata, Vera usava seguire Jim ovunque, come un cane da guardia. Quella domenica, dunque, una volta ricondotto a casa da Yang (i suoi genitori sarebbero rimasti a cena dai Lockwood), egli avrebbe potuto vagare liberamente per la casa vuota, ciò che era il suo massimo piacere. Certo, ci sarebbero stati i 9 domestici cinesi; ma questi, per lui come per gli altri ragazzi britannici, erano solo figure passive e senz'occhi, come i mobili. Avrebbe finito di verniciare il suo aereo in legno di balsa, e completato un altro capitolo del manuale per giocare a bridge contratto che stava scrivendo su un quaderno di scuola. Dopo anni passati ad ascoltare ciò che dicevano i partecipanti ai bridge di sua madre, e a cercare di trarre una qualche logica da quei Un quadri, Passo 3 cuori, 3 senz'assi, Doppio tris e Raddoppio. era riuscito a farsi insegnare le regole e anche a padroneggiare i segnali convenzionali, un codice entro un codice, di una specie che lo interessava da sempre. Con l'aiuto di una guida di Ely Culberston egli si accingeva ora ad affrontare il capitolo più difficile in assoluto, quello sull'accuso psicologico, e ciò senza avere mai giocato una sola mano, ancora.
Certo, il compito poteva rivelarsi troppo arduo. In tal caso, avrebbe fatto una passeggiata in bicicletta per la Concessione francese, munito della sua carabina ad aria compressa per il caso in cui s'imbattesse nel gruppo di dodicenni francesi che formavano la Banda dell'Avenue Foch. Al ritorno, avrebbe ascoltato lo sceneggiato radiofonico di Flash Gordon sulla XMHA, e poi il programma musicale che lo seguiva, al quale lui e i suoi amici telefonavano le loro richieste sotto gli pseudonimi dell'ultim'ora, Batman 1, Buck Rogers, Asso (il suo, che egli amava sentir pronunciare dall'annunciatore, ma che gli procurava ogni volta un forte imbarazzo). Mentre lanciava la tonaca all'amaha e indossava il costume, scoprì che tutti questi progetti rischiavano di sfumare. Preoccupata dalle voci di guerra, Vera aveva deciso infatti di non andare a far visita ai genitori.
- Tu andrai al ricevimento, James - disse Vera, abbottonandogli la camicia di seta - e io telefonerò ai miei genitori e racconterò loro tutto di te.
- Ma, Vera, loro hanno voglia di vederti. Devi pensare a loro, Vera... - Confuso, Jim esitava a lamentarsi. Sua madre gli aveva detto di essere gentile con Vera, di non stuzzicarla come aveva fatto con la governante precedente. Questa bianco - russa malinconica l'aveva atterrito, il giorno in cui stava guarendo dal morbillo, col dirgli di essere in grado di udire la voce di Dio in Amherst Avenue: una voce che ammoniva a guardarsi dal peccato. Poco tempo dopo, lui impressionava i compagni di scuola coll'annuncio di essere diventato ateo. Per contrasto, Vera Frankel era una ragazza calma che non sorrideva mai e che trovava strano tutto ciò che riguardava Jim e i suoi genitori; strano com'era strana Shanghai, quella città violenta e ostile In Asia. La bambinaia, in un mondo assai lontano un mondo da Cracovia. Fuggita coi genitori su una delle ultime navi in partenza dall'Europa hitleriana, essa abitava ora con migliaia di profughi ebrei a Hongkew, tetro quartiere di case d'affitto e di sbiaditi immobili d'appartamenti alle spalle della zona portuale di Shanghai. Herr Frankel e la madre di Vera abitavano, con stupore di Jim, in una sola stanza.
- Vera, dove abitano i tuoi genitori? - chiese Jim, che, pur sapendolo, decise di giocare d'astuzia. - In una casa?
- In una sola stanza, James.
- In una sola stanza! - Per Jim, era una cosa inconcepibile, bizzarra, come non se ne trovava nemmeno nei fumetti di Superman e di Batman. - E quanto è grande, questa stanza: come la mia camera, come questa casa?
- Come il tuo spogliatoio. Non tutti sono fortunati come te, James.
Impressionato, Jim chiuse la porta dello spogliatoio e s'infilò i calzoni di velluto. Misurò con lo sguardo la piccola stanza: come 2 persone potessero sopravvivere in 1 spazio tanto esiguo era altrettanto difficile da capire quanto le convenzioni del bridge contratto. Forse c'era una chiave semplice per la soluzione del problema; ecco il soggetto per un altro libro... Per fortuna, l'orgoglio indusse Vera ad abboccare all'esca. Quando se ne fu andata per far visita ai genitori, le ci voleva una buona camminata per arrivare alla fermata del tram in Avenue Joffre, Jim continuò a ponderare il mistero di quell'unica, straordinaria stanza. Decise di sollevare la questione coi genitori, ma questi, come al solito, si mostrarono troppo distratti dalle notizie della guerra per dargli retta. Abbigliati per il ricevimento, stavano nello studio del padre, occupati ad ascoltare i notiziari ad onde corte dall'Inghilterra. Il padre, inginocchiato davanti alla radio nel suo costume da pirata, benda di pelle sollevata sulla fronte, occhiali sopra gli occhi affaticati, aria da bucaniere di buoni studi, fissava il quadrante giallo, incastonato come un dente d'oro nella faccia di mogano della radio, e andava segnando, su una carta della Russia stesa sul tappeto, la nuova linea difensiva assunta, dopo il ripiegamento, dall'Armata Rossa. Segnatala, rimase a fissarla con un senso d'impotenza, confuso dalla vastità della Russia quanto Jim dalla minuscola stanza dei Frankel.
- Hitler sarà a Mosca entro Natale. I tedeschi continuano ad avanzare.
La madre, nel suo costume da pierrot, fissava, alla finestra, il cielo di dicembre, color d'acciaio. La lunga coda di un aquilone funerario cinese si snodava ondulando lungo la strada, mentre la testa, con movimenti ammiccanti, sorrideva feroce alle case europee. - A Mosca starà nevicando. Forse sarà il tempo a fermarli...
- Una volta ogni secolo? Troppa grazia! No, bisogna che Churchill tiri dentro gli americani.
- Papà, chi è il generale Fango?
Il padre alzò gli occhi a guardarlo. Jim era in piedi sulla porta, fiancheggiato dall'amah che gli portava la carabina ad aria compressa come un portatore, e, in quel suo velluto azzurro, pareva appartenere a un corpo di fanteria volontaria deciso a contribuire allo sforzo bellico russo.
- Niente carabina, oggi, Jamie. Portati l'aeroplano, invece.
- Non toccarlo, amah, o ti ammazzo!
- Jamie!
Il padre si girò, pronto a schiaffeggiarlo. Jim rimase accanto alla madre, senza aprire bocca, in attesa del seguito. Sebbene gli piacesse vagabondare per Shanghai in bicicletta, in casa rimaneva sempre accosto alla madre, una donna gentile e simpatica i cui fini principali nella vita erano, secondo lui, quello di andare ai ricevimenti e quello di aiutarlo nelle versioni latine. Quando sua madre era fuori, Jim passava molte ore nella tranquillità della camera da letto di lei, a mescolare profumi e a sfogliare l'album di fotografie di lei prima del matrimonio: un album d'istantanee componenti un magico film, in cui essa recitava per lui la parte della sorella maggiore.
- Jamie, non dire mai più una cosa del genere... Tu non ammazzerai nessuno, né amah né altri. - Il padre riaprì i pugni, e Jim si rese conto di quanto fosse stanco. Spesse volte gli era parso che il suo sforzo di conservare la calma fosse eccessivo; dopo tutto, il suo fardello di preoccupazioni era davvero pesante: minacce alla sua ditta da parte dei sindacati comunisti lavoro per l'Associazione dei residenti britannici, timori per lui, Jim, e per sua madre...
Ascoltando le notizie sulla guerra, Jim si sentì quasi stordire. Tra i suoi genitori s'era formato un affetto ardente, mai visto prima. Suo padre poteva arrabbiarsi con lui e, al tempo stesso, interessarsi profondamente delle minuzie della sua vita, quasi che l'aiutarlo a fabbricare il suo aereo-modello fosse più importante della guerra. Per la prima volta, dimostrava assoluto disinteresse per i suoi risultati scolastici. In compenso, gli sciorinava una quantità di informazioni delle più disparate: dalla chimica dei coloranti moderni al piano elaborato dalla sua compagnia per l'assistenza agli operai cinesi, dalla scuola e dall'università alle quali l'avrebbe mandato, in Inghilterra, a guerra finita, al suo desiderio che diventasse, se voleva, medico. Ma tutte queste cose erano elementi di un'adolescenza che egli sembrava dar per scontato non potessero realizzarsi. Saggiamente, Jim decise di non provocarlo, di non tirare in ballo né la misteriosa stanza dei Frankel nel ghetto di Hongkew, né i problemi dell'accuso psicologico, né il film senza colonna sonora che gli si snodava in testa. No, non avrebbe più minacciato l'amah. Mentre andavano al ricevimento, si sarebbe sforzato di rasserenare suo padre e di pensare a un modo per fermare i tedeschi alle porte di Mosca. Ricordando la neve artificiale degli studi cinematografici di Shanghai che Yang gli aveva descritta, prese posto nella Packard. Che bello vedere la Amherst Avenue piena di macchine di europei che uscivano per i ricevimenti natalizi! In tutti i sobborghi occidentali la gente era vestita in costume: Shanghai sembrava diventata una città di pagliacci.
Mendicanti e acrobati Pierrot e pirata, i suoi genitori si diressero in silenzio verso Hungjao, un centro campagnolo del circondario 5 miglia a ovest di Shanghai.
Di solito, sua madre invitava Yang a fare attenzione al vecchio mendicante seduto all'estremità del viale d'accesso. Stavolta, però, Yang uscendo dal cancello s'infilò accelerando nell'Amherst Avenue quasi senza fermarsi, sicché la ruota anteriore, come Jim vide, schiacciò il piede del vecchio. Costui era comparso 2 mesi prima, fagotto di stracci viventi in possesso di 2 sole cose: una stuoia sdrucita di carta e una scatola vuota di latta, di Craven A, che scuoteva all'arrivo dei passanti. Dalla stuoia, non si muoveva mai, difendendo ferocemente il suo quadratino di spazio oltre il cancello del taipan. Neanche il Boy e il Coolie Numero 1, ossia il cameriere e il caposguattero, erano riusciti a farlo spostare. Questa sua posizione, comunque, gli aveva giovato poco.
Quell'inverno, a Shanghai, era dura, e lui, dopo un fine-settimana di attesa al freddo, non aveva nemmeno più la forza di sollevare la sua scatola. Jim si era preoccupato per lui, e sua madre gli aveva detto che il coolie gli aveva portato una scodella di riso. Una notte, ai primi di dicembre, aveva nevicato forte, e la neve aveva formato una pesante coltre dalla quale il viso del vecchio era sembrato emergere come quello di un bimbo addormentato da un piumino.
Così, Jim s'era detto che, se non si muoveva, era perché stava al calduccio sotto la neve. A Shanghai, i mendicanti erano folla. Lungo la Amherst Avenue, li si vedeva seduti accanto ai portoni delle case, intenti In preghiera, il proprietario o direttore di una casa commerciale straniera intenti a scuotere le loro scatole vuote di Cravenha come fumatori pentiti. Molti sfoggiavano ferite e deformità ripugnanti, ma nessuno ci faceva caso, quel pomeriggio. Profughi delle città e dei paesi del circondario andavano riversandosi in Shanghai. La Amherst Avenue era affollata di carri di legno e di risciò, su cui ciascuna famiglia contadina aveva caricato ogni suo bene. Adulti e bambini camminavano curvi sotto i fagotti che portavano legati alla schiena, e spingevano a mano le ruote. I guidatori di risciò faticavano in mezzo alle stanghe, cantando nenie e sputando, le vene simili a dita rattrappite nei polpacci rigonfi. Impiegati di infimo ordine spingevano biciclette cariche di materassi, stufe a carbone e sacchi di riso. Un mendicante senza gambe, il torace chiuso dentro un'enorme scarpa di cuoio, un manubrio di legno in ciascuna mano, si trascinava lungo la strada in mezzo all'intrico di ruote. Quando Yang si provò a farlo spostare da davanti la macchina, lui le sputò contro e le sferrò un colpo; poi, fiducioso nel suo regno di saliva e di polvere, si perse fra le ruote dei tricicli e dei risciò. All'uscita della Great Western Road dal Quartiere internazionale trovarono una coda di auto da entrambi i lati della barriera di controllo. La polizia di Shanghai aveva rinunciato a ogni tentativo di controllare la folla. Ritto sulla torretta della sua autoblindo, la sigaretta in bocca, l'ufficiale inglese lasciava planare lo sguardo sulle migliaia di cinesi che gli sfilavano, accalcati, davanti. Ogni tanto, come per salvare le apparenze, il sottufficiale sikh in turbante cachi s'abbassava a frustare le schiene dei cinesi con la sua canna di bambù. Jim levò gli occhi a guardare i poliziotti. Quegli uomini sudati e corpulenti, dai cinturoni lustri, dai grossi genitali che non esitavano a scoprire quando avessero voglia di orinare, e dalle fondine lucide che custodivano tutta la loro virilità, lo affascinavano. Ah, che voglia di portare una fondina, un giorno, e di sentire il peso dell'enorme Webley contro la coscia! Fra le camicie del guardaroba di suo padre aveva trovato una Browning automatica, una specie di gioiello simile all'interno della cinepresa di famiglia (la cinepresa che aveva accidentalmente aperto un giorno, esponendo centinaia di piedi di pellicola). Era difficile immaginare che quelle minuscole pallottole potessero uccidere qualcuno, anche qualcuno di non coriaceo come i duri sindacalisti comunisti. Per contrasto, le Mauser portate dai sottufficiali giapponesi di grado più elevato apparivano assai più impressionanti delle Webley, con quelle loro fondine di legno che arrivavano al ginocchio e sembravano quasi da fucile. Jim osservò il sergente giapponese accanto alla barriera. Questi, un ometto corpulento che teneva indietro i cinesi a suon di pugni, stava per venire sopraffatto dalla calca di carretti e risciò.
Seduto accanto a Yang sul sedile anteriore della Packard, l'aereo di balsa ben stretto in mano, Jim si aspettava che avrebbe estratto la Mauser per sparare un colpo in aria. Ma i giapponesi ci andavano cauti, con le munizioni. 2 soldati fecero spazio attorno al carretto rovesciato di una contadina. Baionetta in pugno, il sergente sventrò un sacco di riso, spargendone il contenuto ai piedi della donna. Questa cominciò a tremare e a lamentarsi in toni cantilenanti, mentre tutt'intorno la cingevano le file di Packard e Chrysler, tirate a lucido, degli europei in costume. Che avesse tentato di contrabbandare qualche arma? Fra i cinesi era un pullulare di spie comuniste e del Kuo-min-tang. Jim provò dispiacere per la contadina, per la quale quel sacco di riso era probabilmente l'unico possesso, ma contemporaneamente sentiva ammirazione per i giapponesi. Di loro amava il coraggio e lo stoicismo; e la tristezza, da cui, lui che non era mai triste, si sentiva stranamente colpito. I cinesi, che conosceva bene, erano freddi e spesso crudeli, ma, in quel loro modo superiore, facevano gruppo; i giapponesi, invece, erano soli e solitari. Tutti portavano su di sé foto di famiglie identiche: piccole istantanee formali, quasi che l'intero esercito giapponese fosse stato reclutato unicamente tra proprietari di negozietti di fotografia. Nelle sue passeggiate in bici per Shanghai, delle quali i genitori erano all'oscuro, Jim passava ore ai posti di controllo giapponesi, riuscendo ogni tanto ad accattivarsi le simpatie di qualche soldato annoiato. Nessun soldato giapponese, però, gli aveva mai mostrato le sue armi, come invece facevano i tommies britannici delle casematte a sacchetti di sabbia lungo il Bund. Stesi nelle amache, dimentichi della vita del molo che li circondava, i tommies gli lasciavano azionare l'otturatore dei loro Lee-Enfield e pulire le canne con lo scovolo. E a lui erano proprio simpatici, con quel loro misterioso parlare d'una strana, inconcepibile Inghilterra. Ma se veniva la guerra, sarebbero stati in grado di battere i giapponesi? Jim ne dubitava, come sapeva che ne dubitava suo padre. Nel '37, allo scoppio della guerra con la Cina, 200 fanti di marina giapponesi avevano risalito il fiume e si erano trincerati sulle rive di fango nero a valle del cotonificio di suo padre, a Pootung. Dal loro appartamento al Palace, i suoi genitori avevano assistito all'attacco sferrato da una divisione cinese comandata da un nipote di Madame Chiang. Dopo 5 giorni di combattimento in trincea, con l'acqua alla vita durante l'alta marea, i giapponesi avevano contrattaccato alla baionetta e disperso gli assalitori. La coda di macchine si mosse verso il posto di controllo, coi suoi passeggeri americani ed europei già in ritardo per i ricevimenti natalizi. Yang guidò lentamente la Packard verso la barriera, fischiettando per coprire la paura.
Davanti aveva una Mercedes da turismo, bandiere con la svastica al vento, piena di giovani tedeschi impazienti. I giapponesi la perquisirono meticolosamente come le altre macchine. La madre di Jim disse, toccandogli la spalla: - Non adesso, caro. Potrebbe spaventare i giapponesi.
- Figurati se li spaventa!
- Non adesso, Jamie - ripeté suo padre. - Potresti magari scatenare la guerra. - aggiunse con raro umorismo.
- Davvero? - Il pensiero lo interessò, inducendolo ad abbassare l'aereo che aveva sollevato vicino al finestrino. Un soldato giapponese stava passando la baionetta del fucile avanti e indietro dinanzi al parabrezza, come a tagliare una rete invisibile. Jim sapeva che, subito dopo, avrebbe infilato la testa nel finestrino dal lato dei passeggeri, e mandato nell'interno della Packard una zaffata d'alito stanco e dell'odore minaccioso proprio di ogni soldato giapponese. Tutti, in quel particolare momento, usavano rimanere immobili in silenzio, perché il minimo gesto poteva scatenare, dopo una breve pausa, una reazione violenta. L'anno precedente, quando aveva 10 anni, Jim aveva quasi fatto venire un colpo a Yang per aver puntato il suo Spitfire di metallo in faccia a un caporale giapponese, gridando "Ra-ta-ta-ta-ta...". Per quasi un minuto, il caporale era rimasto a fissare suo padre senza espressione, annuendo lentamente col capo a se stesso. Suo padre era forte, fisicamente, ma Jim sapeva che il suo genere di forza era quello dato dal gioco del tennis. Stavolta lui voleva solo che il giapponese vedesse il suo aereo di balsa: non che lo ammirasse, solo che ne riconoscesse l'esistenza. Ora che era più grande, gli piaceva considerarsi il copilota della Packard. Gli aerei lo interessavano da sempre, specialmente i bombardieri giapponesi che avevano devastato i quartieri shanghaiani di Nantao e Hongkew nel '37. Strada dopo strada, gli immobili cinesi erano stati rasi al suolo, e, in Avenue Edward VII, una singola bomba aveva ucciso 1000 persone, ossia più di qualunque altra nella storia della guerra.
L'attrazione principale dei ricevimenti del dottor Lockwood era, in effetti, il disusato campo d'aviazione di Hungjao. Sebbene controllassero la campagna aperta attorno alla città, i giapponesi occupavano le loro forze soprattutto nel pattugliamento del perimetro del Quartiere internazionale. I pochi americani ed europei residenti nei distretti rurali erano tollerati, e, in pratica, non vedevano quasi mai in giro dei soldati giapponesi. Quando arrivarono alla isolata casa del dottor Lockwood, Jim constatò con sollievo che il ricevimento non sarebbe stato di quelli in grande stile. Nel viale d'accesso stazionava infatti solo una dozzina di macchine, i cui autisti, indaffarati a pulire i parafanghi dalla polvere, rivelavano una gran voglia di andarsene al più presto e alla svelta. La piscina era vuota, e il giardiniere cinese stava tranquillamente rimovendo dalla parte fonda un rigogolo morto. I bambini più piccoli sedevano in terrazza con le rispettive amah, ad ammirare un gruppo di acrobati cantonesi che, montando sulle loro buffe scale, fingevano di sparire in cielo. Gli acrobati si trasformavano in uccelli, spiegavano ali di carta pressata e danzavano in mezzo ai bambini, provocandone i gridolini; poi si saltavano a vicenda sulle spalle per trasformarsi in un grande galletto rosso.
Jim pilotò il suo aereo di balsa attraverso le porte della veranda. Mentre il mondo degli adulti seguiva il proprio corso al piano superiore, lui fece un giro d'ispezione. Molti invitati avevano rinunciato a presentarsi in costume, quasi che il timore per la sorte dei loro ruoli effettivi avesse impedito loro di assumerne di fittizi. Tutta quella gente gli ricordava i ricevimenti di Amherst Avenue: quei ricevimenti che duravano tutta una notte e finivano il pomeriggio seguente, quando madri confuse, in abiti da sera spiegazzati, erravano presso la piscina in una finta ricerca dei mariti. La conversazione si spense quando il dottor Lockwood accese la radio a onde corte. Lieto di vedere ciascuno occupato, Jim uscì da una porta laterale che dava sulla terrazza posteriore. Sul prato si muoveva una linea di sarchiatrici: 20 cinesi, in giacche lunghe e calzoni neri, ciascuna seduta su un seggiolino. Sedute spalla a spalla, manovravano i coltelli da sarchiatura senza smettere un solo istante di chiacchierare. Alle loro spalle, il prato del dottor Lockwood si stendeva come 1 sciantung verde.
- Ciao, Jamie. Sempre immerso nei pensieri? - fece il signor Maxted, il padre del suo migliore amico, emergendo dalla veranda. Solitaria ma amabile figura vestita di un abito in tessuto rigido e squamoso, questi, da uomo avvezzo ad affrontare la realtà attraverso lo schermo di un doppio whisky e soda, lasciò correre lo sguardo dalla punta del sigaro alle sarchiatrici.
- Se i cinesi si sedessero tutti in fila, farebbero una linea dal polo Nord al polo Sud. Ci hai mai pensato, Jamie?
- Vuol dire che potrebbero sarchiare il mondo intero?
- Sssì..., puoi anche metterla così. Ho sentito che ti sei dimesso da lupetto.
- Be'... si. - Jim si disse che non valeva la pena di spiegare al signor Maxted la ragione per la quale aveva lasciato i lupetti. Era stato un atto di ribellione, compiuto semplicemente per vedere come andava a finire, e che, con sua delusione e sorpresa, non aveva prodotto il minimo effetto sui suoi genitori.
Quasi quasi aveva voglia di dirgli che, non solo aveva lasciato i lupetti ed era diventato ateo, ma c'era anche caso che diventasse comunista. Perché i comunisti avevano lo strano talento di mettere in agitazione tutto e tutti, ciò che per lui era degno di grande rispetto. Senonché, come sapeva, il signor Maxted non ne sarebbe stato affatto sconvolto. Un architetto divenuto imprenditore che aveva progettato il teatro Metropole e numerosi locali notturni di Shanghai: ah, come lo ammirava! Spesso, aveva anche cercato di imitarne i modi disinvolti, ma aveva presto scoperto che l'apparire rilassati comportava un lavoro assai faticoso. Riguardo al proprio futuro, non sapeva che pensare (la vita, a Shanghai, si viveva tutta in un presente intenso), però si augurava di diventare, da grande, come il signor Maxted. Perennemente accompagnato dal medesimo bicchiere di whisky e soda, così, almeno, pareva a lui, il signor Maxted era l'incarnazione perfetta dell'inglese che aveva saputo adattarsi a Shanghai; ciò che a suo padre, con tutta la sua serietà, non era mai veramente riuscito. Ah, le belle uscite in Studebaker col signor Maxted, lui e Patrick seduti davanti, per giri imprevedibili in un mondo pomeridiano di locali notturni e di casinò vuoti !Il signor Maxted guidava personalmente la Studebaker, ciò che a lui pareva eccitante e anche un tantino sconveniente. E mentre lui e Patrick giocavano alla roulette col denaro del signor Maxted, ai tavoli vuoti, sotto i sorrisi tolleranti delle entraineuse bianco-russe occupate a rammendarsi le calze di seta, il signor Maxted sedeva in ufficio col proprietario, a manovrare altri mucchi di banconote. Non era magari il caso di farlo partecipare, in contraccambio, alla spedizione segreta al campo d'aviazione di Hungjao?
- Non perdere il film, Jamie. Conto su di te per le ultime notizie in materia di aviazione militare...
Jim lo osservò ondeggiare lungo il bordo a mattonelle della piscina vuota, curioso di vedere se stavolta ci sarebbe caduto. Visto che, in quanto a cadere accidentalmente nelle piscine, ci cadeva sempre, com'era che ci cadeva solo quando erano piene?