L'Eurasiatico
Una luce riposante scaldava lo stadio. Da un cielo senza nubi piovve una raffica di grandine: 1 spruzzo di vapore ghiacciato disceso dalle ali di un apparecchio americano in volo, a 3 miglia d'altezza, sopra la valle dello Yangtze.
Illuminati dal sole, i cristalli caddero sul campo di calcio come una pioggia di decorazioni natalizie. Jim si tirò su a sedere e toccò le pepite d'oro bianco sparse sull'erba. Accanto a lui, il corpo del signor Maxted era vestito d'un abito di luce, il volto cinereo punteggiato d'arcobaleni in miniatura. Ma la grandine si sciolse entro pochi secondi. Jim rimase in ascolto, nella speranza che l'aereo lanciasse una seconda cascata, ma il cielo era ormai vuoto da orizzonte a orizzonte. Qualche prigioniero, in ginocchio sull'erba, si mise a mangiare la grandine e a parlare coi vicini, sopra i corpi dei morti. I giapponesi se n'erano andati. Sottufficiali e soldati della gendarmeria erano spariti, col loro equipaggiamento, durante la notte. Ritto, a piedi nudi, nell'erba gelida, Jim scrutava il vomitorio d'uscita. Dal parcheggio deserto, il sole basso ne lambiva le pareti di cemento. Un prigioniero britannico in zoccoli consunti già stava uscendo, seguito dalla moglie vestita di cenci, le mani sul viso. Jim aspettò la fucilata che avrebbe dovuto abbattere l'uomo ai piedi della moglie: invece, la coppia entrò nel parcheggio e rimase a osservare le file di veicoli danneggiati dalle bombe. Jim lasciò il signor Maxted e infilò al passo la pista da corsa, deciso a seguirne l'esempio; poi, però, scelse, per prudenza, di salire a una delle tribune. Le gradinate di cemento parevano ascendere oltre il cielo. Sostò per riposare tra le file di mobilio rubato, e, sedutosi su una sedia dallo schienale rigido accanto a un tavolo da pranzo, bevve la calda acqua piovana dal lucido acero australiano. In basso, la trentina di prigionieri rimasti nel campo di calcio si stava rimettendo in ordine come dopo 1 scatenato picnic. Le donne, sedute sull'erba, si lisciavano tranquillamente i capelli fra i corpi degli ex-amici, mentre qualche marito scrutava, attraverso i finestrini impolverati, i cruscotti delle auto parcheggiate. Sul campo di calcio, sparsi qua e là come fossero caduti dal cielo durante la notte, giacevano oltre 100 cadaveri di prigionieri. Volgendo loro le spalle, Jim s'arrampicò, attraverso le pozze d'acqua, fino alla gradinata superiore. Ora che aveva abbandonato il signor Maxted, provava rimorso per la sua morte: un rimorso in qualche modo collegato alla perdita delle scarpe. Fissando le sue impronte nel bagnato, si disse che avrebbe dovuto vendere le scarpe ai giapponesi in cambio di un po' di riso o di una patata dolce. Invece, aveva finto di esser morto, e così aveva perso sia il signor Maxted che le scarpe. I morti, però, l'avevano protetto, salvandolo dalla marcia notturna. Steso in mezzo a quei corpi durante le ore di tenebre, addormentato e desto a un tempo, s'era sentito più vicino a loro che non ai vivi. E molto dopo che il signor Maxted era entrato nel freddo della morte, aveva continuato a massaggiargli le guance e a tenergli lontane le mosche, finché non era stato certo dell'avvenuta dipartita dell'anima. Nei giorni seguenti, gli era rimasto accanto, incurante delle mosche e del puzzo da lui emanato. I prigionieri che stavano al centro del campo l'avevano respinto a gesti ogni volta che s'era avvicinato. Bevendo l'acqua piovana che sgocciolava dal mobilio delle tribune, era sopravvissuto con una sola patata che aveva trovato nella tasca dei calzoni del signor Wentworth e col riso irrancidito lanciato nella sua direzione dai soldati giapponesi... Si appoggiò al parapetto metallico e guardò giù nel parcheggio. La coppia britannica era là che fissava le file di veicoli derelitti, sola in un mondo silente. Lui scoppiò a ridere, d'una risata roca, di tosse, che gli fece schizzare di bocca una palla di pus giallo. Oh, come avrebbe voluto gridarle: il mondo se n'è andato! la notte scorsa tutti sono saltati nella fossa e si sono coperti di terra da sé! Grazie al cielo... Osservò la campagna moribonda, i crateri allagati delle risaie, i cannoni antiaerei ormai silenziosi della Pagoda di Lunghua, i mercantili arenati sulle rive del fiume. Alle sue spalle, distante non più di 3 miglia, si ergeva la città silenziosa. Le case d'appartamenti della Concessione francese e i palazzi d'uffici del Bund erano come un'immagine ingigantita della lontana prospettiva che l'aveva sostenuto per tanti anni. Rinfrescato dal fiume, un vento fresco alitò nello stadio, e, per un momento, la strana luce nordorientale apparsa sopra le tribune tornò a schermare il sole. Abbassò gli occhi sul pallore delle mani. Sapeva di essere vivo, eppure si sentiva morto come il signor Maxted. Che l'anima, invece di lasciare il corpo, gli fosse morta nella testa? Assetato di nuovo, discese le gradinate per bere ai tavoli e ai mobilibar. Se la guerra era finita, era tempo di andare in cerca dei genitori.
Ma, senza la protezione giapponese, sarebbe stato pericoloso per i prigionieri britannici avviarsi a piedi verso Shanghai. Oltre le porte del campo di calcio, un prigioniero britannico era riuscito a sollevare il cofano di una delle Cadillac bianche, e ora, sotto gli occhi dei compagni, stava chino sul motore ad armeggiare coi cilindri. Jim si scosse e si lanciò giù per le gradinate, desideroso di diventare il navigatore dell'autista. Ricordava ogni strada e ogni vicolo di Shanghai, lui! Nell'attraversare la pista d'atletica notò 3 sconosciuti nello stadio. 2 erano coolies cinesi, a torso nudo e in calzoni neri di cotone allacciati alle caviglie sopra sandali di paglia. Il terzo era l'eurasiatico dalla camicia bianca da lui visto in compagnia delle truppe di sicurezza giapponesi. I nuovi venuti erano fermi presso il vomitorio, e l'eurasiatico si stava guardando in giro. ciò che lo interessava non erano i prigionieri, ai quali diede solo un'occhiata, ma, chiaramente, il mobilio rubato delle tribune. Infilata nella fascia che gli serviva da cintura portava una grossa automatica, ma fu con un sorriso accattivante, come tra vecchi amici separati dalle disavventure della guerra, che si rivolse a Jim. -Allora, ragazzo... Tutto bene? - Poi, dopo un esame dei cenci che gli facevano da camicia e da pantaloni, e delle gambe e dei piedi nudi, coperti di sporco e piagati: - Campo di Lunghua? Sarà stata dura, eh? Jim lo fissò impassibile.
Malgrado il sorriso, non c'era simpatia negli occhi dell'eurasiatico. Parlava con un forte accento americano di recente acquisizione, che doveva aver imparato durante gl'interrogatori degli aviatori americani prigionieri. Portava un orologio cromato, e la Colt che aveva alla cintura somigliava a quelle sottratte dalle guardie giapponesi di Lunghua ai piloti delle Superfortezze abbattute. Le gonfie narici frementi al tanfo che saliva dal campo di calcio (e che lo distraeva dall'esame delle tribune), si scostò per lasciar passare 2 prigionieri britannici che s'infilarono, vacillando, nel vomitorio.
- Bella situazione davvero... - rifletté. - I tuoi genitori stanno qui? Hai l'aria di 1 che, un paio di sacchi di riso, saprebbe dove metterli. Domanda in giro se, hanno braccialetti, fedi, amuleti: c'è da guadagnare per 2.
- Ma la guerra, è proprio finita?
Gli occhi dell'eurasiatico si abbassarono, come eclissati da un'ombra passeggera. -Sicuro che lo è! - disse, riprendendosi subito, con un sorriso scaltro. - Da un momento all'altro vedremo attraccare al Bund l'intera Marina americana. - Di fronte allo sguardo poco convinto di Jim, spiegò: - Vedi, ragazzo, hanno sganciato delle bombe atomiche. Lo zio Sam ha lanciato un pezzo di sole su Nagasaki e Hiroshima, ammazzando 1000000 di persone. Un lampo immenso e...
- L'ho visto.
- Eh...? Un lampo che ha illuminato il cielo intero? Sì, può darsi. - L'eurasiatico sembrava dubbioso, ma staccò gli occhi dal mobilio delle tribune e li posò su Jim. Malgrado ostentasse sicurezza, era insicuro di sé, come fosse consapevole che la Marina americana in arrivo sarebbe stata probabilmente meno che convinta del suo filoamericanismo. Dopo un'occhiata guardinga al cielo, continuò: - Bombe atomiche... Un guaio per tutti quei giap, ma una fortuna per te, ragazzo. E per la tua mamma e il tuo papà.
Jim soppesò l'informazione mentre l'eurasiatico si avvicinava al bidone in cemento della spazzatura, a lato del vomitorio, e cominciava a frugacchiarvi.
- Allora, la guerra è finita sul serio?
- Ma sì, certo: è finita, e adesso siamo tutti amici. L'imperatore ha appena annunciato la resa.
- E gli americani, dove sono?
- Stanno arrivando, ragazzo: bisogna dargli il tempo di arrivare con le loro bombe atomiche, non ti pare?
- Una luce bianca?
- Proprio così, ragazzo. La bomba atomica, la superarma USA. Forse tu hai visto quella di Nagasaki.
- Sì, ho visto la bomba atomica. E che ne è stato del dottor Ransome? e degli altri della marcia? - aggiunse, quando vide l'espressione sconcertata dell'eurasiatico.
- Eh, è andata male, ragazzo - rispose l'eurasiatico, crollando il capo come dispiaciuto di una sbadataggine di poco conto. - Sai, i bombardamenti americani, qualche malattia... Però, magari, il tuo amico ce la farà...
Jim stava per allontanarsi, quando l'eurasiatico si girò dal bidone della spazzatura. In una mano aveva un paio di zoccoli consunti che gettò sulla pista; nell'altra, le scarpe da golf, legate per i lacci! Prima che potesse parlare ai coolies in attesa, Jim fece un passo avanti.
- Quelle sono mie, me le ha date il dottor Ransome - disse in tono normale ma deciso, strappandogliele di mano. Poi aspettò che l'eurasiatico estraesse la pistola od ordinasse ai coolies di abbatterlo a pugni, perché, sebbene esausto dalla fame e dallo sforzo della scalata delle tribune, si rendeva conto di aver voluto riaffermare la supremazia europea. Ma l'eurasiatico, con tono di sincera premura, disse: - Va bene, ragazzo, va bene. Le tenevo da parte proprio per quando tu fossi ricomparso. Diglielo, eh, alla tua mamma e al tuo papà!
Jim superò i coolies e imboccò il vomitorio colmo di luce. Gruppi di britannici, uomini e donne, s'aggiravano per i carri armati e i camion carbonizzati del parcheggio, seguendo le sbiadite linee di demarcazione: senza sapere dove stessero andando, come sopravvissuti all'intera vicenda della guerra solo per spirare in quell'intrico di rottami. All'esterno dello stadio, la luce del sole d'agosto era intensificata dal silenzio totale gravante sulle risaie e i canali.
Un bianco barbaglio ammantava la campagna derelitta. Che i campi fossero stati riarsi dalla vampa della bomba atomica descritta dall'eurasiatico? Gli venne in mente il corpo in fiamme del pilota di Mustang, e la luce senza suono che aveva colmato lo stadio, ed era sembrata avvolgere i morti e i vivi nei loro sudari.