Il frigorifero nel cielo
Il mango dolce gli sgusciava in bocca come la lingua della signora Vincent fra le mani. A 10 passi dal recinto perimetrale, si sedette su un serbatoio sganciabile di Mustang caduto sulla proda erbosa di una risaia allagata.
Inghiottita la tenera polpa, morse il nocciolo fino a liberarlo degli ultimi brandelli, e cominciò a pensare al mango seguente. Se fosse riuscito a restare accanto al giovane pilota giapponese, a prestargli dei piccoli servigi, a renderglisi utile, di manghi, chissà, potevano essercene ancora; così, nel giro di pochi giorni, sarebbe stato abbastanza forte da poter tornare a Shanghai a piedi. E siccome, nel frattempo, sarebbero arrivati gli americani, avrebbe potuto presentar loro il pilota di kamikaze come amico personale. Generosi di cuore com'erano, gli americani sarebbero passati sopra alla sciocchezzuola degli attacchi suicidi alle loro portaerei di Okinawa; e, a pace tornata, il giapponese gli avrebbe magari insegnato a volare... Quasi ubriacato dal latteo succo del mango, si lasciò scivolare a terra, la schiena appoggiata al serbatoio sganciabile. Fissando la liscia superficie della risaia allagata, si disse che doveva essere serio. Tanto per cominciare, come poteva essere sicuro che la guerra fosse veramente finita? La disinvoltura dell'eurasiatico in camicia bianca era sospetta, tanto più che il suo unico interesse era stato quello di impossessarsi dei mobili e delle auto depositati nello stadio. In quanto a imparare a volare, un pilota di kamikaze poteva non essere l'istruttore ideale... Un ronzìo familiare solcò il cielo agostano: un annuncio di motori.
Jim si alzò, strozzandosi quasi col nocciolo di mango. Dritto di fronte, a un 800 piedi d'altezza sopra le risaie vuote, si stagliava un bombardiere americano: una Superfortezza a 4 motori, dal volo più lento di qualunque aereo americano da lui mai visto durante la guerra. Veniva ad atterrare sul campo d'aviazione di Lunghua? Cominciò a far cenni al pilota nella sua cupola di vetro. Quando la Superfortezza gli passò sopra il capo, i suoi motori fecero sussultare il terreno col loro rombo, e tremare gli apparecchi abbandonati al margine della pista d'atterraggio. I portelli del vano-bombe s'aprirono, svelando i cilindri d'argento pronti a cadere dalle rastrelliere di sgancio. La Superfortezza continuò il suo volo, frustando l'aria coll'urlo più acuto di 1 dei motori di tribordo. Troppo debole per spostarsi, Jim rimase in attesa delle esplosioni: invece, il cielo si empì di dozzine di paracadute colorati, gaiamente fluttuanti nell'aria come lieti del sole d'agosto. Quei vivaci parasole gli ricordarono i palloni ad aria calda che i giocolieri cinesi usavano lanciare sopra i giardini di Amherst Avenue al momento culminante delle feste d'infanzia. Che i piloti dei B-29 stessero tentando di divertirlo, di tenergli su il morale in attesa del loro atterraggio? I paracadute veleggiarono oltre, per cadere nei pressi del campo d'internamento. La testa ronzante, Jim si sforzò di seguirne le cupole colorate. 2, scontrandosi, s'erano avviticchiati; quello chiuso, da cui pendeva un contenitore d'argento, precipitò a vite su una proda di canale a 200 iarde di distanza. Deciso a fare un ultimo sforzo prima che fosse costretto a giacere per sempre tra gli aerei abbandonati, Jim sgusciò fra la canna da zucchero ed entrò nella risaia allagata. Attraversata l'acqua bassa fino a un cratere sommerso di bomba al suo centro, si diresse, seguendone l'orlo, verso il canale. Quando si arrampicò sull'argine, i paracadute erano ormai caduti tutti, posandosi nella campagna a ovest del campo d'internamento. Il mormorìo dei motori del B-29 andava smorzandosi sopra lo Yangtze. Avvicinatosi al baldacchino scarlatto, largo abbastanza da coprire una casa e steso sulla proda del canale, Jim ne ammirò il tessuto lucente, sfarzoso come nessun altro; le cuciture e le costure impeccabili; le bianche corde abbandonate nella chiavica accanto al canale. Il contenitore cilindrico s'era fracassato all'impatto. Jim si calò lungo il pendio cotto dal sole e s'accosciò davanti alla sua bocca aperta. Tutt'intorno a lui, sul fondo della chiavica, giaceva sparso un tesoro di cibi in scatola e di pacchetti di sigarette. Il cilindro era pieno di scatole di cartone, una delle quali, schizzata dall'apertura conica, aveva disseminato il proprio contenuto all'ingiro. Jim strisciò fra i barattoli, strofinandosi gli occhi per poterne leggere le etichette. Scatola di Spam, di Klim e di Nescafé; tavolette di cioccolata e pacchetti cellofanati di Lucky Strike e di Chesterfield: e fasci di Reader's Digest, di Life, di Time e di Saturday Evening Post... Lo spettacolo di tanto cibo lo confuse, costringendolo a un criterio di scelta non più conosciuto da anni. Barattoli e pacchetti erano gelati, come appena usciti da un frigorifero americano. Cominciò a riempire la scatola rotta con barattoli di carne e di latte in polvere, poi aggiunse delle tavolette di cioccolato e un pacco di Reader's Digest. Infine, pensando al futuro per la prima volta dopo tanti giorni, completò il tutto con una stecca di Chesterfield. Quando risalì dalla chiavica, il baldacchino scarlatto del paracadute dondolava in un'onda leggera alla brezza che lambiva il canale. Stringendo al petto il freddò tesoro, discese la proda e attraversò la risaia. Mentre seguiva il bordo del cratere di bomba verso il perimetro del campo d'aviazione, udì il lento ronzìo dei motori di un B-29. S'arrestò per cercarlo con gli occhi, già domandandosi come fare con tutti quei tesori che cominciavano a piovere dal cielo. Quasi immediatamente, echeggiò un colpo di fucile. A 100 iarde di distanza, sul bordo della risaia aperta, un soldato giapponese stava correndo lungo l'argine del canale. Scalzo, la divisa a brandelli, il soldato superò di corsa il baldacchino del paracadute, scese a balzi la proda coperta di erbacce, si lanciò nella risaia e, perduto fra gli spruzzi sollevati dalle sue gambe frenetiche, scomparve fra i tumuli tombali e i ciuffi di canna da zucchero. Jim s'accovacciò presso il bordo del cratere, nascondendosi tra le scarse pianticelle di riso selvatico. Apparve un secondo soldato giapponese (disarmato, ma con cinturone e giberne), che si lanciò anch'egli lungo l'argine del canale. Al paracadute, si fermò per riprendere fiato: e, quando si girò per guardarsi alle spalle, Jim riconobbe la faccia gonfia, tubercolotica, del soldato Kimura. Un gruppo di europei lo stava inseguendo lungo l'argine, con randelli di bambù pieno in mano. 1 degli inseguitori brandiva il fucile, ma il soldato Kimura, ignorandolo, si raggiustò il cinturone attorno all'uniforme a brandelli, e, scagliato in acqua 1 dei suoi scarponi sfondati, scese calmo la proda verso la risaia allagata. Al suo decimo passo, echeggiò la seconda fucilata... Il soldato Kimura giaceva a pancia sotto nell'acqua bassa. Jim, nascosto fra il riso selvatico, ascoltava le voci nervose dei 4 europei presso il baldacchino del paracadute. Erano tutti ex-prigionieri britannici, scalzi e in pantaloni corti sbrindellati, ma nessuno di loro era stato ospite di Lunghua. Il loro capo era un giovane inglese scalmanato dai pugni avvolti in bende sudice, che doveva esser stato tenuto per anni in una cella sotterranea. La sua bianca pelle si ritraeva nel sole come la carne esposta d'una lumaca costretta a uscire dal guscio. I pugni branditi sembravano, con quelle loro bende, stendardi insanguinati che segnalassero un'ira speciale e personale. I 4 cominciarono a riavvolgere il paracadute. Benché denutriti da mesi, procedettero speditamente e non tardarono a recuperare il pesante contenitore metallico dalla chiavica. Recuperatolo, vi reinfilarono barattoli e sigarette, riavvitarono il cappuccio conico, e presero a trascinarselo dietro lungo l'argine. Jim li osservò incamminarsi, attraverso i tumuli funerari, in direzione del Campo di Lunghua. Lì per lì fu tentato di correre a raggiungerli, ma poi la prudenza acquisita nel corso degli anni gli suggerì di non esporsi.
Dalla schiena del soldato Kimura, che giaceva nell'acqua a 50 passi di distanza, s'allargava una chiazza rossa, simile al baldacchino di un paracadute sprofondato. Un quarto d'ora dopo, quando fu certo che nelle risaie vicine non ci fosse più anima viva, abbandonò il ciuffo di riso selvatico e tornò al suo nascondiglio fra gli aeroplani abbandonati. Rapidamente, senza nemmeno lavarsi le mani nell'acqua della risaia, strappò la chiavetta dalla scatola di Spam e vi ravvolse la linguetta metallica. Dalla massa rosata, aperta nel sole come una ferita, si levò un odore speziato. Jim vi immerse le dita e s'infilò tra le labbra un pezzo di carne. Un sapore strano ma forte gl'invase la bocca: quello del grasso animale. Dopo anni di riso bollito e patate dolci, gli parve di navigare in un oceano di spezie esotiche. Masticando lentamente, come gli aveva insegnato il dottor Ransome, in modo da trarre il massimo nutrimento da ogni boccone, consumò tutto il barattolo. Assetato per i sali ingeriti, aprì una scatola di Klim ma vi trovò solo della polvere bianca in grani, dei quali si riempi la bocca. Poi allungò la mano fra l'erba al margine della risaia e si portò alle labbra un po' della sua calda acqua. Subito si senti come strozzare da una schiuma grassa e cremosa, e vomitò un torrente bianco nel riso.
Osservando con meraviglia la nevosa fontana, si domandò se sarebbe stato costretto a morir di fame per aver dimenticato il modo d'ingestione dei cibi.
Poi, facendo appello al buonsenso, lesse le istruzioni e preparò una pinta di latte: un latte tanto cremoso, che se ne vedeva il grasso nuotare sotto il sole come il petrolio dei fossi e dei canali circostanti... Intorpidito dal cibo, si stese nell'erba caldissima a succhiare, contento, la tavoletta di cioccolato dolce. Aveva consumato il pasto più soddisfacente della sua vita, e lo stomaco gli sporgeva, di sotto le costole, come un pallone. Accanto a lui, sulla superficie della risaia, nugoli di mosche banchettavano sulla chiazza di vomito bianco. Pulì il secondo barattolo di Spam e rimase in attesa della ricomparsa del pilota giapponese, che intendeva ripagare del mango. 3 miglia a ovest, in prossimità dei campi di Hungjao e di Siccawei, dozzine di paracadute colorati stavano cadendo da un B-29 che solcava lento il cielo d'agosto. Lo spettacolo di tutta l'abbondanza d'America che gli pioveva intorno gli provocò una risata felice e silenziosa. Era tempo di passare al secondo, e quasi più importante, pasto: le 6 copie del Reader's Digest. Le pagine bianche, terse, così dissimili da quelle bisunte che aveva divorate a Lunghua, erano zeppe di titoli ed espressioni idiomatiche di un mondo da lui mai conosciuto, e d'una folla di nomi inimmaginabili: Patton, Eisenhower, Himmler, Belsen, jeep, GI, AWOL, Spiaggia Utah, von Runstedt, Battaglia del Saliente, e migliaia d'altri, relativi alla guerra europea. Insieme, questi nomi descrivevano un'eroica avventura vissuta in un altro pianeta: un'avventura tutta scene di sacrificio e stoicismo, e zeppa d'innumerevoli atti di coraggio: un'avventura lontana un mondo dalla guerra da lui conosciuta nell'estuario dello Yangtze, l'amplissimo fiume a malapena sufficiente a sgorgare dalla sua foce tutti i morti della Cina. Pascendosi delle riviste, s'assopì fra le mosche e il vomito. Nello sforzo di non lasciarsi vincere dal Reader's Digest, rievocò la bianca luce dell'atomica di Nagasaki, della quale aveva visto la vampa riflessa dal Mar Cinese. Il suo pallido alone seguitava a gravare sui campi silenziosi, ma sembrava a stento paragonabile allo sbarco in Normandia e a Bastogne. Diversamente che in Cina, in Europa tutti sapevano chiaramente in quale campo erano schierati: per lui, invece, il problema restava irrisolto. E se la guerra, ad onta di tutti i nuovi nomi da essa seminati, fosse stata in procinto di ricaricarsi là, presso i grandi fiumi dell'Asia orientale, per venir combattuta in perpetuo in quel linguaggio ben più ambiguo che egli aveva cominciato a imparare?