Tempo di picnic
Impedito di arrendersi, Jim tornò con la bici rotta all'appartamento dei Maxted nella Concessione francese. Da quel momento visse solo nelle case e negli appartamenti abbandonati dei sobborghi occidentali del Quartiere internazionale.
La maggioranza delle case era appartenuta a espatriati britannici e americani, o a residenti olandesi, belgi o della Francia Libera, tutti internati dai giapponesi nei giorni successivi all'attacco a Pearl Harbor. La casa d'appartamenti dei Maxted era di proprietà di un ricco cinese che era fuggito a Hong-Kong nelle settimane precedenti lo scoppio della guerra. La maggioranza degli appartamenti era vuota da mesi. La famiglia dei portieri cinesi seguitava ad abitare i 2 vani seminterrati accanto alla tromba dell'ascensore, ma viveva nel terrore della squadra di poliziotti militari giapponesi che aveva arrestato il signor Maxted. Mentre il prato non tagliato s'infoltiva e i giardini formali si deterioravano, la famiglia passava il tempo a cucinare modeste pietanze su una stufa a carbone collocata accanto al gruppo statuario di cemento che sorgeva dal laghetto ornamentale. Tra le ninfe in atto di togliersi le vesti saliva così l'odore di fagioli cagliati e tagliatelle alle spezie. Nella prima settimana, Jim poté andare e venire a piacimento. Caricata la bici in ascensore, la prima volta, salì al settimo piano e s'introdusse nell'appartamento dei Maxted attraverso una zanzariera socchiusa che dava sul balcone della servitù. La porta dell'appartamento era munita di 1 spioncino e di un complicato sistema di serrature elettriche, il signor Maxted, membro eminente della filonazionalista China Friendship Society (un'organizzazione di commercianti locali), era stato infatti vittima di un tentativo d'assassinio. Una volta chiusa la porta, Jim fu incapace di riaprirla; ma nessuno venne a vedere, tranne un'anziana irachena che abitava nell'attico. Quando costei suonò il campanello, lui ne osservò la smorfia attraverso lo spioncino, e gli sembrò che parte della sua decrepita faccia gli stesse trasmettendo un misterioso messaggio. Impeccabilmente vestita e ingioiellata nell'immobile deserto, la donna rimase 10 minuti, pensierosa, nell'ascensore fermo. Jim fu lieto di essere lasciato solo. Dopo essere stato scaraventato a terra dal soldato giapponese, era tanto se ce l'aveva fatta a tornare dai Maxted. Si stese sul letto di Patrick e dormì per il resto del giorno. Il mattino dopo si svegliò al suono dei tram sferraglianti giù per l'Avenue Foch, allo strombazzare di clacson dei convogli giapponesi in arrivo in città, e al clamore ininterrotto delle migliaia d'altri clacson che costituivano l'inno consueto di Shanghai. Il gonfiore alla guancia aveva cominciato a diminuire, lasciandogli il viso più affilato di quanto non ricordasse, e la bocca più tirata e invecchiata d'espressione. Guardandosi allo specchio nel bagno di Patrick, e osservando la giacca impolverata e la camicia sudicia, si domandò se i suoi genitori l'avrebbero riconosciuto in quello stato, e si strofinò i vestiti con un asciugamano umido. Come il signor Guerevitch, molti passanti cinesi l'avevano fissato incuriositi. C'erano dei vantaggi, però, nell'essere poveri: nessuno tentava di tagliarti le mani. La dispensa dei Maxted era piena di cassette di whisky e di gin, caverna incantata di bottiglie d'oro e rubino, ma conteneva solo pochi boccali di olive e una scatola di canapè. Jim consumò una modesta prima colazione al tavolo della sala da pranzo, poi si dedicò a riparare la bicicletta. Per girare per Shanghai, trovare i genitori, consegnarsi ai giapponesi, gli era assolutamente necessaria. Seduto sul pavimento della sala da pranzo, si sforzò di raddrizzare la forcella storta. Le sue mani si battevano impazienti col metallo impolverato, incapaci di arrivare a congiungersi in una morsa. Il giorno prima, si rendeva conto, aveva preso un grosso spavento. Intorno gli si stava aprendo 1 spazio particolare, che lo separava dal mondo di ovattata sicurezza che aveva conosciuto prima della guerra. Per qualche giorno era riuscito a fronteggiare l'affondamento della Petrel e la scomparsa da gehiiton, ma ora si sentiva penoso e aveva costantemente addosso un leggero senso di freddo, malgrado la mitezza del clima decembrino. Lasciava cadere o rompeva le cose come non aveva mai fatto prima, e trovava difficile concentrarsi su qualunque cosa.
Nonostante ciò, riuscì a riparare la bici. Svitata la ruota anteriore, raddrizzò la forcella piegandola contro la ringhiera del balcone. Poi provo la bici nel salotto, e s'infilò nell'ascensore. Pedalando lungo l'Avenue Foch, vide che Shanghai era cambiata. Le strade erano pattugliate da migliaia di giapponesi.
Postazioni protette da sacchetti di sabbia erano state erette, a portata di vista l'una dall'altra, lungo le arterie principali. Le strade erano piene di tricicli, risciò e autocarri requisiti dalla milizia del governo fantoccio, ma la folla appariva intimorita. I cinesi che s'accalcavano sui marciapiedi antistanti agli empori della Nanking Road camminavano a testa bassa, scansando i soldati giapponesi che procedevano a scatti attraverso il traffico. Pedalando energicamente, Jim seguì un tram stracarico che discendeva sferragliando l'Avenue Edward VII. Cinesi imbronciati si tenevano alle fiancate, e un ragazzo dai capelli rasi, in veste nera da mandarino, gli sputò addosso, poi saltò giù e si lanciò tra la folla, come timoroso che anche un piccolo atto del genere potesse scatenare una serie di rappresaglie. Ovunque giacevano cadaveri di cinesi: cadaveri con le mani legate dietro la schiena nel centro della strada, cadaveri abbandonati nelle piazzuole di sacchetti di sabbia, le teste semistaccate degli uni recline sulle spalle degli altri. Le migliaia di giovani delinguenti in abiti americani non si vedevano più, ma al posto di controllo di Bubbling Well Road Jim vide 2 soldati intenti a bastonare un ragazzo in abito di seta blu. Colpito al capo, questi cadde in ginocchio nella pozza di sangue che gli calava dai risvolti. Tutti i locali da gioco e le fumerie d'oppio delle strade laterali dietro l'ippodromo avevano chiuso i battenti, e saracinesche metalliche bloccavano gli ingressi di banchi di pegni e istituti bancari. Anche i gobbi della guardia d'onore del Cathay Theatre avevano disertato il loro posto, e questa assenza aumentò il disagio di Jim. Senza i mendicanti, la città sembrava ancora più povera. I ritmi monotoni della nuova Shanghai erano scanditi dal suono incessante dei clacson giapponesi. Le strade sembravano più dure di quanto non le ricordasse dalle passeggiate di una volta, e già si sentiva stanco, le mani più fredde del manubrio. Sforzandosi di tener su il morale, decise di visitare tutti i posti di Shanghai in cui i suoi genitori erano conosciuti, a cominciare dall'ufficio paterno. Gl'impiegati cinesi della direzione gli avevano sempre dimostrato grande simpatia, e dunque ora si sarebbero fatti in 4 per aiutarlo. La Szechwan Road era stata chiusa dai giapponesi. Barriere di filo spinato ne bloccavano entrambe le estremità, e centinaia di civili giapponesi entravano e uscivano dalle banche estere e dagli edifici commerciali portandosi dietro macchine da scrivere e schedari. Jim scese per il Bund, ora dominato dalla sagoma grigia dell'incrociatore Idzumo. Ancorato a 4 iarde di distanza dalla banchina, fumaioli decrepiti verniciati di fresco, tendoni sgargianti sopra le torrette dei cannoni, l'Idzumo aveva, poco più a monte di se, l'USS
Wake, Sole nascente sventolante dall'albero e vivaci caratteri giapponesi sulle fiancate di prua. Davanti allo Shanghai Club stava avendo luogo un'elaborata cerimonia battesimale. Gruppi di alti funzionari giapponesi in frac, mescolati a tedeschi e italiani in stravaganti uniformi fasciste, assistevano a una sfilata di marinai e ufficiali giapponesi. 2 carri armati, svariati pezzi d'artiglieria e un cordone di fanti di marina cingevano la temporanea piazza d'armi costituita dai binari circolari del capolinea tranviario. L'acciaio dei binari risuonava sotto gli scarponi, diagramma della vittoria giapponese sulle cannoniere britannica e americana. Il mento appoggiato al manubrio, Jim osservò i soldati, baionetta innestata, di guardia all'ingresso del Palace Hotel. Di certo, nessuno di loro parlava inglese, o poteva vedere in lui, piccolo europeo su una bici scassata, un civile nemico. Però, non si accostava sotto gli occhi dei cinesi condotti a forza alla sfilata, sarebbe stato scaraventato a terra. Così, s'allontanò dal Bund e cominciò il lungo viaggio di ritorno all'appartamento dei Maxted. Attraversato il posto di controllo dell'Avenue Joffre, si sentì troppo stanco per pedalare ancora, e proseguì a piedi spingendo il suo piccolo veicolo attraverso la falla di contadine in odore di elemosina e di colies sonnecchianti nei risciò. Salito nell'appartamento, sedette al tavolo della sala da pranzo e mangiò qualche canapè e olive annaffiandoli con acqua di seltz. Poi s'addormentò sul letto dell'amico, sotto il volo circolare ininterrotto dell'aereo che, là sul soffitto, pareva nuotare come un pesce alla ricerca d'una via d'uscita dal cielo. Nei giorni seguenti, Jim tentò di nuovo di consegnarsi ai giapponesi.
Fermo seguace della rigida morale dei Chums Annuals, egli non aveva, al pari dei compagni di scuola, che disprezzo per chi si arrendeva, ma ora scopriva che la resa al nemico era più difficile di quanto non sembrasse. Ora, nei suoi giri per le strade insicure, si sentiva stanco la maggior parte del tempo. I soldati giapponesi di guardia al circolo sportivo e alla cattedrale erano troppo pericolosi da avvicinare. In Bubbling Well Road, un giorno, inseguì la Plymouth di un autista svizzero con la moglie, ma costoro gli gridarono di andarsene e gli gettarono in terra una moneta come a un piccolo mendicante cinese. Quando tornò a cercare il signor Guerevitch, il vecchio custode russo non era più là a sorvegliare il quartiere cintato della Shell, che stesse tentando di arrendersi pure lui?
Gli venne in mente, allora, la madre tedesca che l'aveva osservato allontanarsi dalla casa dei Raymond e che gli era sembrata preoccupata per lui, e decise di farsela tutta sino in Columbia Road. Qui, però, i cancelli della villa tedesca erano chiusi, i tedeschi andavano ritirandosi in se stessi, spaventati dai giapponesi come tutti. In Nanking Road, fu quasi sbalzato di sella da 2 macchine del comando giapponese che gli tagliarono la strada per fermare un camion di tedeschi del Graf Zeppelin Club diretti a Hongkew per una spedizione punitiva contro gli ebrei.
Fatti smontare dai sottufficiali giapponesi, i tedeschi furono alleggeriti di randelli, fucili da caccia e bracciali con la svastica, e dispersi. Una settimana dopo il suo arrivo, all'appartamento dei Maxted vennero tagliate elettricità e acqua. Jim scese nell'atrio trascinandosi la bici per le scale, e vi trovò la vecchia irachena intenta a litigare col portiere cinese. La vecchia e il portiere gli gridarono entrambi di lasciare l'appartamento, sebbene sapessero che lui ci stava ormai da una settimana. Jim fu lieto di andarsene.
Aveva mangiato gli ultimi canapè e, il giorno innanzi, il suo unico cibo era stato un pacchetto ammuffito di anacardi rimasto nella credenza. Si sentiva stanco, ma stranamente euforico: l'ultimo filo d'acqua uscito dai rubinetti del bagno l'aveva quasi ubriacato, procurandogli la medesima sensazione di quando, prima della guerra, attendeva l'ora di uscire per un ricevimento. Si sforzò di pensare ai genitori, i cui volti già sentiva svanire nella memoria. Il pensiero dominante, ora, era sempre il cibo. Nei sobborghi occidentali di Shanghai, di case sgombre e provviste di canapè e acqua di seltz (in quantità illimitata, o comunque tale da bastargli sino alla fine della guerra), dovevano essercene parecchie. Inforcata la bici, lasciò la Concessione francese e infilò la Columbia Road. Lungo gli alberi si snodavano placidi viali residenziali, e dai giardini folti d'erba incolta si ergevano case vuote. La pioggia aveva slavato l'inchiostro dei rotoli giapponesi, e sbavature scarlatte striavano ora i pannelli di quercia, quasi che tutti gli americani e gli europei fossero stati assassinati sulla porta di casa. Le forze d'occupazione giapponesi avevano troppo da fare con la presa di controllo di Shanghai per occuparsi anche delle case abbandonate. Jim scelse una via chiusa a falce di luna, appartata dalla strada principale, dove si vedeva, dietro un alto muro, una casa con ossatura in legno e pareti in stuoie intonacate. Un rotolo stinto pendeva fra le lampade gialle da carrozza. La casa era immersa nel silenzio, e Jim, dopo un po', nascose la bicicletta tra le foglie ammucchiate accanto ai gradini. Al terzo tentativo, riuscì a scalare il muro dell'autorimessa in stile Tudor e ad arrivare sul tetto a 2 spioventi. Di qui si calò nel fitto fogliame del giardino, aggrappato alla casa come un sogno cupo e inallontanabile. Stringendo in mano una tegola staccata dal tetto dell'autorimessa, attraversò il prato folto e arrivò al rialzo della casa. Qui attese che gli passasse sopra un aereo, e quindi spezzò il vetro della finestra dov'era alloggiato il condizionatore d'aria. Entrato in casa, aprì le ventole dello sfiatatoio in modo da nascondere il foro. In un rapido giro delle stanze ombrose, simili a una serie di quadri d'un museo dimenticato, constatò che la casa era piena di fotografie di una bella donna in pose da stella del cinema. Sul pianoforte a coda c'era un ritratto incorniciato, e un grande mappamondo a lato della libreria. Li ignorò.
Una volta, si sarebbe fermato a giocarci, col mappamondo, aveva insistito anni, con suo padre, per averne 1, ma ora aveva troppa fame per perdere anche un solo momento. La casa era appartenuta a un dentista belga. Nel suo gabinetto da lavoro, sotto i diplomi in cornice, c'erano degli armadietti bianchi con dozzine di dentiere. Nell'oscurità, sembrava di vedere il ghigno di tante bocche fameliche. Jim attraversò la sala da pranzo ed entrò in cucina. Scansata la chiazza d'acqua attorno al frigorifero, percorse con mano esperta gli scaffali della dispensa. Per sua sfortuna, il dentista belga e la sua affascinante compagna avevano chiaramente avuto un debole per il cibo cinese, un cibo che i suoi genitori raramente toccavano, e quindi la dispensa sembrava il ripostiglio di un compratore cinese: file di interiora e frutta essiccate! Ma c'era anche una scatola di latte condensato, d'una pienezza e dolcezza quali non ricordava di aver gustato mai. Bevve il latte nel gabinetto del dentista, seduto alla scrivania, davanti a tutti quei denti che gli sorridevano, e poi cadde addormentato in una camera da letto del piano superiore, fra lenzuola profumate del corpo della donna dal viso di stella cinematografica.