Gli aviatori caduti
Il rombo del fuoco d'artiglieria di Pootung era echeggiato oltre il fiume per tutta la mattina. Una colonna di fumo incendiario, più larga del complesso di depositi in fiamme, gravava ora sull'acqua, oscurando il litorale di Nantao. Dal sedile anteriore della Buick, ferma sulla piana di fango, Jim osservava i lampi di cannone riflessi dal parabrezza impolverato. I cannoni americani serviti dai nazionalisti emettevano un suono sgradevole, bagnato, come avessero le canne piene d'acqua Nascosta dal sole, un'aria fosca gravava sulla debole risacca. La canna rossa dell'obice del Kuo-min-tang dietro il molo di Pootung lampeggiò sulle nocche di Jim, strette sul volante, e illuminò la torretta di comando del sottomarino arenato a 100 iarde di distanza. Dalla nube di fumo, scuotendosi di dosso le bave di vapore nero che gli facevano scia alle ali, spuntò un ricognitore. Da sud-ovest s'avvicinò una squadriglia di 3 bombardieri americani.
Il cannoneggiamento cessò, e una torpediniera rinforzata di sacchetti di sabbia si staccò dalla riva del fiume per andare a recuperare eventuali contenitori caduti fuori lancio. I B-29 lanciarono una dozzina di paracadute, che calarono rapidamente a terra. Nei contenitori non c'erano Spam, Klim e Reader's Digest, bensì munizioni ed esplosivi per le truppe del Kuo-min-tang. Il battaglione, appoggiato dall'artiglieria, stava snidando le ultime unità comuniste rimaste fra le rovine dei depositi di Pootung. Sul molo, cadaveri di soldati comunisti accatastati come legna da ardere. Nel silenzio che seguì il passaggio dei bombardieri, Jim poté udire il doloroso martellìo degli sbarramenti d'artiglieria di Hungjao e della campagna aperta a ovest di Shanghai. Attorno alla città stavano concentrandosi almeno 3 armate nazionaliste, che si disputavano a vicenda il controllo degli aeroporti, dei cantieri navali e delle ferrovie, e, soprattutto, delle scorte di armi e munizioni abbandonate dai giapponesi. Collaboravano con loro, e, all'occasione, si battevano contro di loro, i resti degli eserciti del governo-fantoccio, gruppi di disertori del Kuo-min-tang ricacciati verso la costa, e miliziani di varia provenienza reclutati dai locali signori della guerra al loro ritorno a Shanghai. Sul fronte di queste armate rivali, spazzati via come polvere allo scontro fra scope diverse, stavano decine di migliaia di contadini cinesi. Colonne di profughi, che l'avanzata delle unità nazionaliste aveva respinto dalle porte di Shanghai, erravano per la campagna, alla ricerca d'un rifugio tra i campi o nei villaggi saccheggiati.
Erano questi profughi, queste bande di coolies mezzo morti di fame e armati di coltelli e zappe, che Jim temeva soprattutto. Nel tentativo di evitarli, Basie e la sua banda si tenevano sempre vicini ai luoghi di battaglia. Ai margini orientali di Nantao, fra i cantieri e la base aeronavale, si stendeva una terra di nessuno: una zona di moli, magazzini e casermaggi deserti, che i miliziani del Kuo-min-tang e i contadini profughi trovavano troppo vicina ai combattimenti in corso a Pootung, oltre il fiume. In questa zona erano appunto accampati, nelle casematte e nei forti di cemento, Basie e gli ultimi 6 membri della banda, ai quali non restavano quasi altro che la Buick d'anteguerra e la vaga speranza di potersi vendere a qualche generale nazionalista. Ma ora anche la macchina si stava rivelando un bersaglio fin troppo ovvio per gli artiglieri del Kuo-min-tang.
- Tu mettiti al volante, Jim, e fa' finta di star guidando tu questa bella macchina. - aveva detto Basie quando i banditi avevano lasciato la Buick nella piana di fango.
- Posso davvero, Basie...? - aveva chiesto Jim, reggendo il volante mentre i banditi, ritti sul litorale nero accanto all'auto, le facce tirate in una smorfia a ogni esplosione d'oltrefiume, preparavano le armi. - Andate allo stadio, Basie?
- Si, Jim. Ricorda gli anni di Lunghua: abbiamo un investimento da tutelare. I nazionalisti vogliono pigliarsi Shanghai ed escludere gl'interessi finanziari stranieri.
- Che saremmo noi, Basie?
- Che saresti tu, Jim. Perché tu fai parte della comunità mercantile straniera.
Quando torniamo, avrai una pelliccia e una cassetta di whisky scozzese per il tuo papà.
Basie fissava i depositi sventrati e i cadaveri accatastati sul molo come se avesse davanti tutti i tesori dell'oriente pronti per essere imbarcati per Frisco. Jim provava dispiacere per lui, ed era tentato di avvertirlo che lo stadio era probabilmente vuoto, spogliato ormai dalle truppe del Kuo-min-tang delle poche cose di valore sopravvissute al sole e alla pioggia. Ma Basie aveva inghiottito l'esca e correva ormai bramoso verso la fiocina. Con un po' di fortuna, se fosse sopravvissuto all'assalto allo stadio, avrebbe potuto gettare il fucile e tornare a Shanghai. in pochi giorni, si sarebbe ritrovato cameriere addetto ai vini al Cathay Hotel, e avrebbe potuto servire, con gusti appropriati, tutti gli ufficiali americani sbarcati dall'incrociatore ancorato presso il Bund... Quando Basie e gli altri furono svaniti tra le macerie dei depositi lungo il molo, Jim studiò le riviste che aveva accanto. Ora ne era sicuro che la seconda guerra mondiale era finita: ma la terza, era cominciata o no? Guardando le foto dello sbarco in Normandia, del passaggio del Reno e della presa di Berlino, sentì che quegli eventi facevano parte di una guerra su scala ridotta: di una prova del conflitto vero cominciato in Estremo Oriente col lancio delle bombe atomiche su Nagasaki e Hiroshima. E ricordò la luce che aveva gravato sulla terra, quell'ombra di un altro sole. Sì, la guerra definitiva che avrebbe deciso il futuro del pianeta, sarebbe stata combattuta là, alle foci dei grandi fiumi dell'Asia... Il cannoneggiamento dal litorale di Pootung riprese, ed egli pulì il volante del suo sangue. Il naso gli sanguinava, a intermittenza, da 4 giorni. Inghiottendo il sangue, osservò la strada aperta che correva dai moli al lontano stadio. A 100 iarde dalla Buick, 2 miliziani cinesi erano montati sulla prua del sottomarino arenato. Fucili a tracolla, ignorando la battaglia in corso oltre il fiume, percorsero il ponte in direzione della torretta di comando. Jim aprì la portiera dell'autista. Era tempo di andare, prima che i miliziani notassero la Buick. Dal mucchio di barattoli, di stecche di sigarette e di caricatori di munizioni ammassato sul pavimento, prese una tavoletta di cioccolato, una scatola di Spam e una copia di Life; poi, quando i 2 cinesi disparvero dietro la torretta del sommergibile, scese dalla macchina. Curvo in modo da non sporgere dal muretto della banchina, corse verso la rampa di pietra di una gettata riservata alla Polizia Fluviale di Shanghai. Poco più di 2 miglia a nord sorgevano i casamenti e i magazzini della Città Vecchia, e, al di là, gl'immobili d'uffici del centro: ma Jim ignorandoli, si diresse ancora una volta al campo d'aviazione di Lunghua. Dallo stadio olimpico saliva del fumo: una sottile piuma bianca, nutrita da un'unica fiamma, come se Basie e la sua banda avessero fatto un falò del mobilio delle tribune. Il fuoco di sbarramento da Pootung e Hungjao era cessato, e Jim poteva udire le brevi raffiche di fucileria all'interno dello stadio. Alla ricerca di un riparo, lasciò la strada esposta per inoltrarsi nella canna da zucchero selvatica che copriva il terreno abbandonato a lato del margine settentrionale del campo d'aviazione di Lunghua.
1 schermo d'alberi e di serbatoi arrugginiti di carburante lo separava ora dalla spianata della pista d'atterraggio e dalle rovine delle aviorimesse e della Pagoda. L'angusto sentiero ai suoi piedi era sparso di bossoli vuoti, gettoni d'una pista di ottone. Seguì la linea ora floscia del filo spinato, scansando i nugoli di mosche addensati sopra la pergola in miniatura delle ortiche recline.
Su entrambi i lati del sentiero giacevano, nel punto in cui erano stati fucilati o uccisi a colpi di baionetta, i cadaveri dei giapponesi del campo d'aviazione.
Giunto a un fosso irriguo poco profondo, nel quale giaceva un aviere semplice, mani legate dietro la schiena, faccia divorata, trasformata in una maschera ronzante, da centinaia di mosche aggrumate, si arrestò. Poi, svolta la tavoletta di cioccolato, s'infilò, spazzando le mosche dal viso con la rivista, nella canna da zucchero. Fra le ortiche giacevano, come se fossero piovuti dal cielo, dozzine di giapponesi, membri di un'armata di fanciulli abbattuti mentre tentavano di tornare in volo agli aeroporti della patria. Scavalcato un tratto abbattuto di recinzione, si avviò fra gli aerei abbandonati tra gli alberi. Le loro fusoliere avevano pianto fiumi di ruggine sotto la pioggia estiva. Le mosche ronzavano furiose alla luce del mattino, in una grande rabbia senza oggetto. Lui le lasciò alla loro furia e s'incamminò per la spianata erbosa.
All'interno di un'aviorimessa rovinata un gruppo di giapponesi attendeva nell'ombra, l'orecchio teso alla fucileria dello stadio. Ignorato da loro, Jim attraversò il campo e si fermò a fissare la pista di cemento ai suoi piedi. Con sua meraviglia, la trovò malamente crepata e chiazzata d'olio, e tutta strisciature di pneumatici e montanti. Ma ora che la terza guerra mondiale era cominciata, la costruzione di una nuova pista non poteva tardare... Giunto all'estremità della pista, si diresse, attraverso l'erba, verso il perimetro meridionale del campo. Il terreno ascendeva verso le collinette coperte di erbacce che erano quanto restava dello sterro originario, poi digradava nella valle in cui i camion giapponesi avevano usato scaricare i loro carichi di detriti e tegole da colma. La foltezza delle ortiche e il cocente sole settembrino non impedivano alla valle di sembrare ancora coperta della medesima polvere cenericcia. Le prode del canale erano pallide come la condotta di un torrente funerario adibito al lavacro dei morti. Nell'acqua bassa giaceva, simile a una grossa tartaruga che si fosse addormentata durante il tentativo di seppellire la testa nel fango, l'involucro crepato di una bomba inesplosa.
Consapevole che la vibrazione di un Mustang in volo a bassa quota avrebbe potuto farne scattare il detonatore, Jim si affrettò a proseguire, scostando le ortiche col giornale. Dopo un po', gettò in aria la scatola di Spam e la riprese con una mano; ma, al secondo lancio, la perse fra le canne e dovette cercarla tra l'erba folta. Quando la trovò, sul bordo dell'acqua, decise di mangiarne il contenuto prima che gli sfuggisse di mano definitivamente. Seduto sulla proda del canale, pulì il bordo della scatola dallo sporco. Dal naso gli cadde nell'acqua una goccia di sangue, che subito venne assalita da sciami di pesci non più lunghi d'una capocchia di fiammifero. Quando alla prima ne seguì una seconda, scoppiò una violenta lotta che parve coinvolgere intere nazioni di pesci minuti: pesci guizzanti per l'acqua, incuranti della superficie illuminata dal sole e solo occupati ad attaccarsi ferocemente a vicenda. Raschiandosi la bocca, Jim si chinò a sputare una palla di pus dalle gengive infette. La palla cadde fra i pesci come una carica di profondità, scatenandone il panico: e, nel giro di un secondo, nell'acqua non si vide più altro che il pus in dissoluzione. Perso interesse ai pesci, Jim si stese fra i giunchi e si mise a studiare gli annunci pubblicitari della rivista, l'orecchio teso al brontolìo profondo del fuoco d'artiglieria. I cannoni di Siccawei e Hungjao mandavano un rombo più sonoro: segno che le armate nazionaliste rivali andavano stringendo la morsa su Shanghai. Meglio, dunque, mangiare la Spam e tornare quindi, con un ultimo sforzo, a Shanghai. Certamente, Basie e i suoi non sarebbero mai tornati alla Buick: se l'avevano lasciato alla piana di fango era solo perché si tirasse addosso i soldati cinesi che avrebbero potuto seguir loro al fiume. Nell'erba, a pochi passi di distanza, una testa annuì 2 volte, come approvando tale strategia. Sconcertato da questa apparizione intima, Jim s'irrigidì, la gola bloccata dall'ultimo morso di cioccolato. Fra i giunchi era disteso qualcuno, le ginocchia quasi al margine dell'acqua: un qualcuno che annuì per la terza volta, come a rassicurarlo. Jim allungò una mano a scostare l'erba, e studiò con attenzione la faccia della figura distesa. Le guance tonde e il naso molle, segnati dalle privazioni di un'infanzia di guerra, erano quelli di un asiatico sui 10 anni, di un Figlio di contadini venuto al canale a pescare. Disteso sulla schiena e riparato da una cortina d'erba e di canne, il ragazzo pareva dividere con lui un letto a baldacchino, e ascoltarne in silenzio i pensieri. Jim si tirò su a sedere, brandendo alta sopra la testa la rivista arrotolata e rimanendo in attesa, fra il ronzìo degli sciami di mosche, di un fruscio di passi tra l'erba.
Ma la valle era deserta, nella sua serenità divorata dalle mosche. La figura si mosse appena, schiacciando l'erba. Troppo pigro per far lo sforzo di arrestarsi, il ragazzo si lasciò scivolare, giù per la proda, nell'acqua. Con tutta la cautela appresa nei lunghi anni di guerra, Jim si mise in ginocchio; poi, alzatosi, entrò nel canneto, e, imponendosi la calma, abbassò lo sguardo sulla figura sonnecchiante. Di fronte a lui, vestito d'una insanguinata tuta di volo con le insegne di una speciale sezione d'attacco, giaceva il corpo del giovane pilota giapponese.