Lo stadio olimpico

 

Per tutto il pomeriggio marciarono verso nord attraverso la piana del fiume Whàngpoo, nel labirinto di fossi e canali tra le risaie. Il campo d'aviazione di Lunghua si perse all'oriente alle loro spalle, mentre le case d'appartamenti della concessione francese svettavano sempre più nel sole d'agosto come giganteschi cartelloni pubblicitari. Il fiume scorreva a poche centinaia di iarde sulla destra, la bruna superficie interrotta dai relitti di guardacoste e giunche a motore arenate nelle secche. Là, in vicinanza del distretto di Nantao, la devastazione compiuta dal bombardamento americano era visibile ovunque.

Crateri simili a piscine circolari s'aprivano nelle risaie, sparse qua e là di carogne di bufali indiani. Passarono davanti ai resti di un convoglio che era stato attaccato da caccia Mustang e Lightning: una fila di camion militari e di macchine di servizio immobile sotto gli alberi, smantellata come in un'officina all'aperto: ruote, portiere e assali disseminati attorno ai veicoli, paraurti e pannellatura scardinati dalla mitraglia. Sciami di mosche si levarono dai parabrezza insanguinati quando i prigionieri si fermarono per i bisogni. Qualche passo più indietro, il signor Maxted uscì dalla colonna per andare a sedere sul predellino di un carro-munizioni. Jim, valigia sempre in mano, si voltò e venne da lui.

- Ci siamo quasi, signor Maxted. Comincio già a sentire l'odore dei moli.

- Non preoccuparti, Jim. Io sto tenendo d'occhio la situazione.

- Le nostre razioni...

Il signor Maxted allungò la mano per afferrargli il polso. Scavato dalla malaria e dalla denutrizione, il suo aspetto stava per confondersi col veicolo derelitto alle sue spalle. Passarono i 3 camion, schiacciando il vetro rotto che copriva il terreno. Gl'infermi dell'ospedale giacevano accatastati come rotoli di tappeto. Il dottor Ransome stava nell'ultimo, schiena alla cabina di guida, piedi fra i corpi ammucchiati. Vedendo Jim, s'aggrappò alla fiancata del camion.

- Maxted...! Jim! Su, forza, butta la valigia!

- La guerra e finita, dottor Ransome!

Jim osservò i 30 soldati giapponesi che chiudevano la colonna. Fucili a tracolla, marciavano con aria meditabonda, come certi amici di suo padre al ritorno da una battuta di caccia a Hungjao prima della guerra. Nuvoli di polvere bianca, sollevati dai camion, nascosero il dottor Ransome. Davanti a Jim passarono i primi soldati, uomini corpulenti dagli occhi fissi a terra, che arricciarono le narici all'odore di urina. Uniformi e bardatura si coprirono d'un sottile velo bianco al loro passaggio attraverso il polverone, e Jim andò con la mente alla pista del campo d'aviazione di Lunghua.

- Su, Jim... - fece il signor Maxted, sollevandosi, e spandendo un puzzo di feci dai calzoni. - Vediamo di portarti a Nantao...

Reggendosi alla spalla di Jim, si avviò goffamente, gli zoccoli cricchianti sul vetro frantumato. Impossibilitati a superare i camion, lui e Jim s'infilarono nel polverone e si unirono ai pochi ritardatari in coda alla colonna. Un certo numero di prigionieri, arresisi alla fatica, sedevano ora con la prole sui predellini delle macchine di servizio bombardate, come una banda di zingari che s'accingesse a farsi una nuova vita tra i veicoli mezzo smantellati. Ma Jim, guardandosi la polvere fine che gli copriva gambe e scarpe, una polvere simile al talco soffiato dall'impresario di pompe funebri sulle ossa d'uno scheletro cinese al momento della seconda sepoltura, si disse che era meglio proseguire.

Nel tardo pomeriggio, lo strato di polvere che gli ammantava braccia e gambe cominciò a brillare di luce. Al calar del sole dietro le colline di Shanghai, le risaie allagate diventarono una scacchiera liquida di caselle luminescenti, una tavola di guerra con sopra posati aeroplani abbattuti e carri armati abbandonati.

Illuminati dal sole, i prigionieri parevano, là in piedi sulla massicciata della ferrovia che conduceva ai depositi di Nantao, una torma di comparse cinematografiche sotto i riflettori di un teatro di posa. Tutt'in giro, fossi e lagune colmi d'acqua color zafferano: condotte di un profumificio ostruite da muli e bufali morti, annegati nel profumo. I camion avanzavano traballando sulle traversine di legno; Jim, in equilibrio sulla rotaia d'acciaio, scrutava nel crepuscolo i magazzini in mattoni lungo la gettata. Un molo di cemento conduceva, attraverso il fiume, a un faro abbandonato. Un gruppo di soldati giapponesi osservava al binocolo lo scafo fumante di una carboniera d'acciaio, che, colpita dalle bombe americane, giaceva arenata su un banco di sabbia al centro della corrente. Abbruciacchiata dalle esplosioni, la sua tolda era altrettanto nera degli alberi e delle stive da carbone. Un miglio a valle della carboniera sorgevano la base aeronavale di Nantao e i moli funerari che avevano dato rifugio a Jim e a Basie. Chiedendosi se il cameriere di bordo fosse tornato al suo antico nascondiglio, Jim guidò il signor Maxted fra i binari, mentre i prigionieri seguivano la massicciata in direzione dell'alzaia rivieranea. A ovest dei moli, nelle acque d'una laguna poco profonda, giaceva la carcassa carbonizzata di un B-29, la coda levata nel crepuscolo come un cartellone d'argento messo là a pubblicizzare le insegne della squadriglia. Gli occhi fissi nel crepuscolo sulla gigantesca carcassa, Jim sedette accanto al signor Maxted in mezzo alla calca. Stordito dalla fame, prese a succhiarsi le nocche, gustando il suo stesso pus, poi strappò dell'erba dall'argine e ne masticò le acide foglie. Un caporale giapponese stava conducendo ai moli il dottor Ransome e la signora Pearce. Gettate e depositi, apparentemente intatti alla distanza, erano stati ridotti dalle bombe a cumuli di macerie o quasi. La marea montante cullava le chiglie arrugginite di 2 torpediniere arenate accanto al molo, e smuoveva, tra i ciuffi di giunco a 50 iarde da Jim, dei cadaveri di marinai giapponesi.

Incuranti di questi, numerosi prigionieri britannici discesero l'argine per dissetarsi. Una donna dall'aspetto esausto fece fare i suoi bisogni al figlioletto, sul fango sporco di petrolio, alla maniera delle madri cinesi, reggendolo dietro i ginocchi; poi, accosciandosi, lo imitò. Lo stesso cominciarono a fare altre donne, sicché, quando Jim scese all'acqua per bere, l'aria della sera era ormai pregna del puzzo delle loro defecazioni. Cassetta di legno ai piedi, Jim lasciò che la marea gli sciacquasse la bianca polvere dalle scarpe. Nella gavetta, l'acqua brillava dell'olio di lavato dai mercantili affondati del porto di Shanghai. Chiazze di petrolio sovrapposte coprivano la superficie del Whangpoo, come in 1 sforzo di soffocarne ogni vita. Jim bevve con cautela, poi osservò l'acqua lambire torno torno la cassetta. L'aveva portata per tutta quella strada, tenendosi stretti i pochi beni accumulati con tanto sforzo, perché aveva inteso tenere in piedi la guerra e, con essa, la sicurezza che aveva conosciuta nel campo di Lunghua. Ora, però, era tempo di sbarazzarsi di Lunghua e di affrontare a viso aperto il presente, per quanto incerto esso potesse essere, secondo quell'unica regola che l'aveva sostenuto durante gli anni di guerra. Così, spinse la cassetta sulla superficie oleosa. Nell'ultimo sprazzo del crepuscolo, l'acqua morta s'avvivò di rosa iridescenti. La cassetta s'allontanò galleggiando come una bara cinese da bambino, mentre cerchi d'olio, avventandosi ad abbracciarla, mandavano tremori di luce per il fiume. Risalito l'argine fra i prigionieri in sosta, sedette accanto al signor Maxted. Dopo avergli porto la gavetta d'acqua, si pulì le scarpe dalla sabbia.

- Tutto a posto, Jim?

- La guerra deve finire, signor Maxted.

- E finirà, Jim - disse il signor Maxted, che viveva un breve momento di ripresa.

Stanotte si torna a Shanghai.

- A Shanghai? - O delirava forse, il signor Maxted, che sembrava sognare di Shanghai come, al campo, i prigionieri moribondi avevano balbettato di ritorni in Inghilterra? - Ma non ci stanno portando nell'interno?

- Non più, ora... - rispose il signor Maxted indicando nell'oscurità il relitto fumante della carboniera.

Jim osservò il fumo che si levava dal ponte e dalla sovrastruttura della carboniera, da ogni parte di essa, anzi, meno che dal fumaiolo. In sala-motori, il fuoco aveva preso piede, e la poppa della nave avvampava ora come carbone in fornace. Quella era dunque la nave che avrebbe dovuto portarli nell'interno, ai luoghi di esecuzione oltre Soochow! Be', era un sollievo, ma anche una gran delusione...

- E le nostre razioni, signor Maxted?

- Ci aspettano a Shanghai, Jim. Proprio come ai vecchi tempi.

Jim osservò il signor Maxted riaffondare nel mondo dei prigionieri esausti. Quel suo ultimo sforzo per levarsi a sedere era stato per convincere lui che tutto andava bene, che la fortuna e l'abilità di qualche ignoto puntatore americano, che già li aveva salvati dall'imbarco sulla carboniera, avrebbe continuato ad assisterli.

- Ma lei, signor Maxted, lei vuole che la guerra finisca?

Perché bisogna che finisca presto.

- Lo è già quasi. Pensa a tua madre e a tuo padre, Jim. La guerra è finita.

- E la prossima, signor Maxted, quand'è che comincia...?

Dei soldati giapponesi avanzavano lungo la ferrovia, seguiti dal dottor Ransome e dalla signora Pearce. I caporali si gridavano a vicenda, e le loro voci giungevano come un ronzìo lungo le rotaie. Cominciò a cadere una pioggerella, e le guardie accanto ai camion s'infilarono il pastrano. Mentre i prigionieri si alzavano tenendo stretti i figli piccoli, le rotaie calde esalavano vapore.

Veniva un mormorìo di voci per l'oscurità, e le mogli s'afferravano alle mani dei mariti.

- Digby... Digby...

- Scotty...

- Jake...

- Bunty...

Una donna con un bimbo addormentato sulla spalla afferrò il braccio di Jim, ma egli la respinse e tentò di tenere in piedi il signor Maxted. L'oscurità e l'acqua viscosa del fiume avevano procurato a entrambi le vertigini, sicché, da un momento all'altro, potevano cadere fra i binari. Preceduti dai 3 camion, i prigionieri lasciarono l'argine e si adunarono sulla gettata a lato dei depositi bombardati. Un centinaio di prigionieri, troppo esausti per proseguire e ormai rassegnati a qualunque destino i giapponesi avessero in serbo per loro, non si mossero dall'alzaia, ma rimasero là, seduti sotto la pioggia, lungo la massicciata ferroviaria, sorvegliati dai soldati nei loro pastrani gocciolanti.

Quando la colonna si mosse, Jim constatò che, nel corso della giornata, un quarto degl'internati di Lunghua era rimasto indietro. Numerosi altri prigionieri s'arresero prima ancora di arrivare ai cancelli dei cantieri navali.

Un anziano scozzese del Blocco E (un contabile in pensione dell'Azienda Elettrica di Shanghai col quale Jim aveva spesso giocato a scacchi) uscì d'un tratto dalla colonna: e, come avesse scordato il luogo in cui era stato in tutti quegli anni di guerra, vagò un poco per lo spiazzo di pietra, e s'incamminò quindi nella pioggia in direzione della massicciata ferroviaria. Un'ora dopo il buio, giunsero a 1 stadio di calcio dei sobborghi occidentali di Nantao.

Costruito per ordine di Madame Chiang Kai-Shek nella speranza che potesse ospitare le Olimpiadi del 1940, quella arena di cemento era diventata, dopo l'invasione giapponese del '37, il quartier generale militare dello Scacchiere Sud di Shanghai. La colonna dei prigionieri attraversò il parcheggio silenzioso.

Dozzine di crateri di bombe avevano sconvolto la superficie catramata, ma le bianche strisce demarcatrici seguitavano a tendersi nell'oscurità. Veicoli militari malconci erano parcheggiati in file ordinate: camion e autobotti slabbrati da granate a frammentazione, carri armati senza cingoli e semicingolati blindati con 2 pezzi d'artiglieria ciascuno al traino. Jim osservò la facciata crivellata dello stadio. Schegge di bombe avevano staccato pezzi interi d'intonaco, rimettendo a nudo i caratteri cinesi originari proclamanti la potenza del Kuo-min-tang. Ora quegli slogan minacciosi incombenti sull'oscurità somigliavano ai cartelloni sovrastanti i cinema cinesi della Shanghai prebellica.

La colonna imboccò un vomitorio di cemento che conduceva nell'oscurità dell'arena. Le gradinate ovali ricordarono a Jim il centro di detenzione di Shanghai, 100 volte più pericoloso a causa della guerra. I soldati giapponesi, i pastrani grondanti pioggia che faceva rifulgere baionette e otturatori dei fucili, si disposero a cordone intorno alla pista da corsa, mentre i primi prigionieri già si sedevano sull'erba bagnata. Il signor Maxted piombò a terra ai piedi di Jim, come un animale liberato dal giogo. Jim gli s'accosciò accanto, scacciando a gesti le zanzare che avevano seguito la colonna nello stadio. I 3 camion emersero dal vomitorio e s'arrestarono sulla pista. Il dottor Ransome scavalcò i suoi pazienti e si calò dalla sponda posteriore. La signora Pearce scese dalla cabina del secondo camion, lasciando marito e figlio accanto all'autista giapponese. Attraverso la pioggia giunse a Jim la voce del dottor Ransome che discuteva coi giapponesi. Da sotto il cappuccio del pastrano, il sergente anziano della gendarmeria osservò il medico senza espressione; poi, accesa una sigaretta, s'incamminò verso le gradinate, dove si sedette in prima fila come in attesa di un'esibizione notturna di ginnastica acrobatica. Jim vide con piacere la signora Pearce tornare nella cabina del suo camion. La voce querula del dottor Ransome, i toni da lui tanto spesso assunti durante le rimostranze per i suoi giochi nel cimitero dell'ospedale, erano fuori luogo nello stadio di Nantao. A pochi minuti dall'arrivo, sui 1200 prigionieri era calato un silenzio totale. fra essi stavano raggomitolati gli uni accosto agli altri sull'erba, sotto gli occhi delle guardie schierate lungo le gradinate. Il dottor Ransome prese a circolare fra le donne e i bambini, in un tentativo di giro d'ispezione alla Lunghua. Jim aspettava solo che inciampasse nel buio: inciampò, infatti, strappando un'esclamazione sgarbata a un gruppo di uomini. La pioggia continuava a cadere, e Jim, sdraiandosi, lasciò che gli scorresse, calda, sulle guance fredde. Ma le mosche non si lasciarono intimidire, e calarono a miriadi sui prigionieri. Jim le spazzò dalla bocca del signor Maxted, al quale tentò di lavare il viso con la pioggia; ma esse gli s'aggrumarono alle labbra, suggendo le gengive. Dalla bocca del signor Maxted esalava un debole respiro.

Che fare per lui? si chiese Jim, rimpiangendo di aver gettato via la cassetta.

L'averla spinta nel fiume era stato un gesto sentimentale ma senza scopo: il suo primo atto adulto. No, sarebbe stato meglio che avesse barattato le sue cose contro un po' di cibo per il signor Maxted. Qualche soldato giapponese era cattolico, e seguiva la messa latina: insomma, una delle guardie in pastrano bagnato avrebbe magari apprezzato il Primer del Kennedy, e, chissà, accettato di prendere lezioni di latino da lui... Ma il signor Maxted dormiva tranquillo. Di tra le mosche aggrumate sulle sue labbra, come da altri prigionieri tutt'intorno, usciva un alito grigio. Un'ora più tardi, cessata la pioggia, lo stadio venne illuminato dai bagliori d'un'incursione aerea americana: bagliori simili al lampeggiare diffuso della stagione monsonica. Da piccolo, nella confortevole sicurezza della sua camera da letto di Amherst Avenue, Jim aveva osservato le vampe improvvise illuminare i topi al centro del campo da tennis e ai bordi della piscina. Dio che fotografava la malvagità di Shanghai! diceva, d'accordo con lui, Vera... Il brillìo senza rumore delle incursioni notturne in corso sulle basi navali giapponesi alla foce dello Yangtze imprimeva ora sulle sue braccia e sulle sue gambe un umido lucidore, che gli ricordava, ancora una volta, l'impalpabile polvere da lui osservata durante la costruzione della pista del campo d'aviazione di Lunghua. Era desto, dunque, ma contemporaneamente addormentato: sognava della guerra, e ne era sognato. Appoggiò la testa al petto del signor Maxted. I rapidi lampi delle incursioni aeree empivano lo stadio avvolgendo i prigionieri addormentati nei loro sudari. E se fossero stati tutti lì per partecipare alla costruzione di una pista di decollo gigantesca? Nella sua mente, il ronzìo degli aerei americani scatenava possenti premonizioni di morte. Coniugando i suoi verbi latini, ciò che era il suo massimo avvicinamento a un atto di preghiera, cadde addormentato accanto al signor Maxted, e sognò di piste d'atterraggio.