L'ospedale
- Jim...! Sei lassù...? Sei ferito...?
Il dottor Ransome lo chiamava a gran voce, in piedi fra le macerie dell'aula magna, da sotto l'emiciclo. Esausto per lo sforzo della corsa dal Blocco D, gli s'udivano rantolare i polmoni nel torace. Gli anni a Lunghua l'avevano fatto sembrare più alto, ma la sua grossa ossatura era ormai tenuta insieme quasi unicamente da un sartiame di tendini. Il suo unico occhio sano, che Si stagliava sopra la barba rugginosa, aveva scorto il cranio di Jim, bianco di polvere e come invecchiato per via dell'incursione aerea.
- Ho bisogno di te all'ospedale, Jim. Il sergente Nagata dice che puoi stare con me per l'appello.
Jim si scosse dalla sua fantasticheria. Come per magia, l'alone proiettato dal corpo in fiamme del pilota americano seguitava ad aleggiare sulla campagna vuota: ma, di quell'illusione ottica, al dottor Ransome, no, era meglio non fare parola. Dalla Pagoda venne la sirena del cessato-allarme, e il segnale fu ripetuto dal clacson del corpo di guardia. Jim lasciò la balconata e sgusciò giù per la scala. -Eccomi, dottore. Eh sì, quasi quasi ci restavo. Ci sono morti?
- Speriamo di no. - Appoggiato alla balaustrata, il dottor Ransome si spolverò la barba col cappello di paglia da coolie Benché scosso dall'incursione, lanciò a Jim 1 sguardo stanco ma paziente. Dopo le incursioni, quando le guardie giapponesi cominciavano a maltrattare i prigionieri, aveva spesso i nervi a fior di pelle, come se ritenesse lui responsabile. Ora gli mise la mano fra i capelli e, spazzata la polvere di cemento, gli esaminò il cranio per accertare se vi fossero tracce di sangue. - Jim, eravamo d'accordo che non saresti più salito lassù, durante le incursioni. I giapponesi hanno già abbastanza preoccupazioni: vuoi che pensino che tenti di fare segnalazioni ai piloti americani?
- Be', i segnali li ho fatti davvero, ma loro non li hanno Visti, I Mustang sono così veloci... - E, siccome il dottor Ransome gli piaceva, continuò, per rassicurarlo: - Però, la mia ora di latino l'ho fatta lo stesso, dottore.
Sorprendentemente, il dottor Ransome non dimostrò interesse per il suo studio del paradigma passivo di amare: Si avviò invece a grandi passi verso l'ospedale, ossia verso il gruppo di ripari di bambù che i prigionieri, realisticamente valutando le risorse mediche del campo, avevano eretto accanto al cimitero.
L'adunata essendo già cominciata, i sentieri erano deserti. Guardie giapponesi si muovevano pesantemente fra le baracche, e fracassavano i vetri superstiti delle finestre coi calci dei fucili. Il signor Sekura, il comandante del campo, andava sostenendo che si trattava di una misura precauzionale a protezione dei prigionieri dall'onda d'urto delle esplosioni: in realtà, però, era una rappresaglia per l'incursione, come i prigionieri avrebbero constatato a proprie spese quella sera stessa, quando sarebbe giunto, per le migliaia di zanzare della malaria, Il momento di levarsi dagli stagni attorno al campo in cerca di nutrimento. Sui gradini del Blocco E, 1 dei dormitori per soli maschi, il sergente Nagata stava urlando in faccia al capoblocco, il signor Ralston, organista del cinema Metropole di Shanghai. Alle spalle del sergente, 3 guardie con le baionette innestate sembravano aspettare di vedersi piombare addosso, dall'edificio, un plotone di marines americani. Le centinaia di prigionieri attendevano con pazienza nei loro cenci. A misura che la guerra volgeva verso l'anno conclusivo, i giapponesi diventavano sempre più agitati e pericolosi.
- Dottor Ransome, che cosa succederà, se gli americani sbarcano a Woosung? - Quel porto alla foce dello Yangtze controllava l'approccio fluviale a Shanghai, e tutti, nel campo, ne erano consapevoli.
- Be', per sbarcare, è probabile che ci sbarchino, a Woosung. E io ho sempre pensato che tu dovresti stare al quartier generale di MacArthur, Jim. - Il dottor Ransome si fermò per riprendere fiato, e aspirò di forza l'aria nel torace ossuto, fissando il riflesso della propria immagine sulla punta delle sue scarpe. -Cerca di non pensarci, hai già tante cose che ti frullano per la testa... E poi, può anche darsi che non ci sbarchino, a Woosung.
- Ma, se sbarcano, i giapponesi si batteranno.
- Sì, Jim, si batteranno. Come tu hai sempre lealmente sostenuto, i giapponesi sono i soldati più coraggiosi del mondo.
- Be', ecco... - Il discorso del coraggio lo imbarazzava. La guerra, col coraggio, non aveva niente a che fare. 2 anni prima, quand'era più piccolo, gli era sembrato importante stabilire chi fossero i soldati più coraggiosi in assoluto: era stato un tentativo, fra gli altri, di assorbire in sé gli scombussolamenti subiti dalla sua vita. Di sicuro, i giapponesi venivano in cima, i cinesi in fondo, e i britannici in un incerto mezzo. Ma, ripensando agli aerei americani che avevano solcato il cielo, no, per quanto coraggiosi, i giapponesi non potevano nulla contro quelle belle macchine che si muovevano senza sforzo. - I giapponesi sono coraggiosi - concesse quindi. - Ma il coraggio non è importante, adesso.
- Non ne sono tanto sicuro. Io, Jim, sei coraggioso?
- No... certo che no. Però potrei esserlo. - rispose Jim con sicurezza.
- Io credo che tu lo sia.
Sebbene gettato lì, il commento del dottor Ransome aveva una punta di veleno.
Chiaramente, ce l'aveva con lui, come se la colpa dell'incursione dei Mustang fosse sua. Forse perché lui aveva imparato a godere della guerra? Continuò a chiederselo mentre raggiungevano l'ospedale. Per terra, accanto ai consunti gradini di bambù, c'era il cono intatto di un proietto antiaereo. Quando lo raccolse per sentire se fosse ancora caldo, il dottor Ransome glielo prese e lo scagliò oltre il reticolato. Ritto sui gradini marci, Jim si molleggiò coi piedi sulle canne di bambù. Quel proietto, era stato tentato di strapparglielo di mano, al dottore. Ora era alto quasi quanto lui, e, per molti aspetti, anche più forte, negli ultimi 3 anni, mentre lui cresceva, il grande corpo del dottore s'era rinsecchito e sciupato. Quando pensava che l'aveva conosciuto grande e grosso, coi capelli rossi, gambe e braccia possenti, 2 volte la mole dei soldati giapponesi... Ma, nei primi 2 anni al campo, quell'uomo gli aveva passato molta, troppa parte del suo cibo. Entrarono nell'ospedale, e Jim prese il proprio posto all'esternò del dispensario col dottor Bowen, un otorinolaringoiatra dell'Ospedale Generale di Shanghai, e le 4 vedove missionarie che fungevano da infermiere. In attesa dell'appello del sergente Nagata, diede un'occhiata ai reparti adiacenti, dove 30 malati giacevano in letti di legno. Le incursioni aeree facevano sempre qualche morto, per choc o esaurimento. Il pensiero della fine imminente della guerra sembrava incoraggiare certa gente a render l'anima: e, per i decisi a sopravvivere, una morte era una buona notizia. Per lui, una morte significava una vecchia cintura o un paio di bretelle, una stilografica, o magari, come quella miracolosa volta, un orologio da polso (che aveva portato 3 giorni prima di consegnarlo, insieme col resto, a Basie). I giapponesi avevano sequestrato gli orologi d'ogni tipo, perché i prigionieri restassero senza tempo, secondo il dottor Ransome. E lui, in quei 3 giorni, aveva misurato il tempo occorrente per ogni cosa. La maggioranza dei malati soffriva di malaria, dissenteria o affezioni cardiache da denutrizione. Jim si sentiva turbato soprattutto dai malati di beri-beri. Gambe gonfie, polmoni allagati, costoro avevano la mente così confusa, da pensare di star morendo in Inghilterra, e, nelle ultime ore di vita, avevano diritto a un privilegio speciale: l'unica zanzariera del campo, che li avvolgeva in un provvisorio sepolcro prima della consegna al Cimitero accanto all'orto di cucina. Mentre il sergente Nagata si avvicinava all'ospedale accompagnato da 2 soldati, Jim diede 1 sguardo al reparto maschile. Il signor Barraclough, segretario del Circolo sportivo di Shanghai, stava in agonia ormai da giorni, e lui ne aveva adocchiato l'anello d'oro con sigillo, be', d'oro magari non era (mai che ciò che offriva a Basie lo fosse), però qualcosa valeva sempre. Ritegno di rubare ai morti? Oh no, lui non ne aveva davvero. Gli unici malati tanto sciocchi da venire all'ospedale erano quelli privi di parenti o di amici che li potessero assistere nelle baracche o nei dormitori. Perché, a parte la totale mancanza di medicinali (i soli, concessi dai giapponesi erano finiti il primo anno), l'ospedale era raramente in grado di curare chicchessia. I giapponesi, infatti, calcolando, e a ragione, che chiunque sceglieva l'ospedale non avrebbe tardato a morire dimezzavano immediatamente le razioni di cibo dei ricoverati. Anche così, però, rifletteva Jim, poteva volerci un tempo notevole prima che il dottor Ransome e il dottor Bowen dichiarassero ufficialmente morto un ricoverato; e lui sapeva bene che gran parte delle patate extra che aveva mangiate erano razioni di uomini già morti. Il dottor Ransome, tuttavia, sgobbava forte per i malati, e a lui spiaceva che, negli ultimi tempi, fosse apparso perdere la speranza.
- Eccoli - disse il dottor Ransome dall'interno. - Jim, sull'attenti Niente discussioni col sergente Nagata, oggi. E non parlargli dell'incursione. Notati gli occhi di Jim sull'anello con sigillo, girò la testa verso il sergente Nagata che stava salendo rumorosamente i gradini di bambù. Lui disapprovava la spoliazione dei morti sebbene fosse al corrente che Jim barattava fibbie e bretelle contro cibo. Solamente, come Jim rifletteva senza scomporsi, il dottore aveva anche lui le sue fonti d'approvvigionamento. Diversamente dalla maggioranza dei prigionieri di Lunghua, a cui era stato concesso di preparare una valigia prima dell'internamento, il dottore era infatti arrivato al campo con nient'altro che la camicia, i calzoni corti e i sandali di cuoio che aveva addosso, eppure il suo cubicolo del Blocco D conteneva una mole impressionante di cose: un cambio completo d'indumenti, un grammofono portatile con vari dischi, una racchetta da tennis, un pallone da rugby, e quello scaffale di libri di testo che era servito a lui, Jim, per la sua istruzione. I libri, come tutti i vestiti, da lui, Jim, consumati in quegli anni, e come le magnifiche scarpe da golf che avevano immediatamente attirato l'occhio del sergente Nagata, il dottor Ransome li aveva avuti dalla folla di pazienti che andavano ogni sera nel suo cubicolo del Blocco D. Molti non avevano nulla da dare, ma le mogli più giovani portavano sempre un modesto cumshaw e come ricompensa per i misteriosi servigi da lui prestati. Richard Pearce aveva perfino riconosciuto una sua vecchia camicia addosso a Jim, ma troppo tardi. Il sergente Nagata si fermò davanti ai prigionieri. Le proporzioni dell'incursione americana l'avevano manifestamente scosso. Serrando le mascelle, si fece schizzare alle labbra qualche goccia di sputo. I peli setolosi attorno alla bocca vibrarono come minuscole antenne percorse da un segnale d'avviso della rabbia montante. Ma, mentre lavorava a costruire il suo furore, fu distratto dalle punte brillanti delle scarpe di Jim. come tutti i soldati giapponesi, infatti, il sergente portava degli scarponi sdruciti, dai quali sporgevano, come pollici immensi, le sue grosse dita.
- Ragazzo... - disse, sostando davanti a Jim, e battendogli in testa col rotolo della lista, ciò che provocò il sollevarsi di una nuvola di polvere bianca. Il soldato Kimura sapeva che Jim era coinvolto in ogni attività illecita del campo, ma non era mai riuscito a coglierlo sul fatto. Scostata la polvere con un gesto della mano, pronunciò con sforzo le uniche 2 parole consecutive d'inglese che gli anni di Lunghua gli avessero insegnato: - Ragazzo difficile... Jim rimase in attesa del seguito, affascinato dallo sputo sulle labbra. Un resoconto oculare dell'incursione, il sergente Nagata l'avrebbe magari apprezzato... Ma il sergente avanzò nel reparto maschile, urlando in giapponese ai 2 medici. Poi abbassò lo sguardo sui moribondi, per i quali non aveva mai mostrato il minimo interesse: e Jim pensò d'improvviso, esilarato, che il dottor Ransome stesse nascondendo un pilota americano ferito. Ah, che voglia di toccare quel pilota prima che i giapponesi lo uccidessero, di palparne casco e tuta di volo, di far scorrere le dita sulla polvere e l'olio degli occhiali! -Jim...! Smetti di pensare...! - La signora Philips, una delle vedove missionarie, lo bloccò mentre già si lasciava andare in avanti, quasi in deliquio dinanzi all'immagine della figura d'arcangelo caduta fra le risaie. Jim si rimise sull'attenti, fingendo una debolezza da fame e sforzandosi di stornare lo sguardo sospettoso della sentinella giapponese ferma sulla porta del dispensario. Aspettando la fine dell'appello, rifletté sulle possibilità di bottino offerte da un pilota americano morto. I giapponesi, un americano almeno, dovevano pur abbatterlo sul campo di Lunghua: quale degli edifici in rovina era il più adatto per nasconderne il cadavere? Equipaggiamento e oggetti personali, se ceduti a poco a poco con accortezza, potevano venir barattati con Basie contro patate extra per mesi e mesi, magari anche contro un cappotto caldo per l'inverno. E ci sarebbero state patate dolci anche per il dottor Ransome, che egli era risoluto a tenere in vita. Dondolandosi sui talloni, ascoltò il pianto di una vecchia nel reparto adiacente. Nella finestra si stagliava la Pagoda del campo d'aviazione di Lunghua. Già la torre contraerea appariva sotto una nuova luce. Jim rimase in riga con le vedove missionarie per un'ora ancora, sotto la sorveglianza della sentinella. Il dottor Ransome e il dottor Bowen si erano avviati col sergente Nagata all'ufficio del comandante, probabilmente per esservi interrogati. Le guardie circolavano per il campo silenzioso coi loro elenchi di nomi, facendo e rifacendo appelli. La guerra stava per finire, e l'ossessione suprema dei giapponesi era quella di conoscere esattamente il numero di prigionieri custoditi... Jim chiuse gli occhi per riposare la mente, ma la sentinella gli fece un urlaccio, persuasa che egli si stesse privatamente divertendo a qualche gioco sicuramente disapprovato dal sergente Nagata. Il ricordo dell'incursione lo eccitava. Vedeva ancora i Mustang saettare attraverso il campo in direzione della torre antiaerea, S'immaginò al posto di comando di un caccia: cadere a terra dopo l'esplosione dell'apparecchio, e rialzarsi come 1 dei kamikaze dal volto fanciullesco inneggianti all'imperatore prima di lanciare i loro 0 contro le portaerei americane di Okinawa... Un giorno sarebbe stato anche lui un pilota ferito, abbattuto fra tumuli funerari e pagode fortificate: frammenti di tuta di volo e paracadute, e magari pezzi del suo corpo, si sarebbero sparsi per le risaie, a nutrire i prigionieri oltre il reticolato e i Cinesi affamati al cancello... -Jim..! - sibilò la signora Philips. - Esercitati col tuo latino.
Sforzandosi di non batter ciglio, ciò che irritava la sentinella giapponese, Jim fissò lo sguardo nel sole, attraverso la finestra del dispensario. Il paesaggio silenzioso sembrava avvampare di fiamme: l'alone del corpo ardente del pilota americano... La luce lambiva il filo rugginoso del reticolato e gl'impolverati ciuffi della canna da zucchero selvatica, e sbiancava le ali delle carcasse d'aerei e le ossa dei contadini dei tumuli funerari. Desiderando con forza l'incursione seguente, e sognando della luce violenta, Jim si sentì mozzare il fiato da quella fame che il dottor Ransome aveva riconosciuta, ma mai avrebbe potuto soddisfare.