Una passione retrospettiva

Nel dare con una mano, si tende a togliere con l’altra: se si riconosce una virtù, è spesso per contrapporle un difetto.

A questa compensazione non si sottrae la fortuna degli scrittori, neanche post mortem: si riconosce a Maupassant di essere un maestro del racconto, ma per aggiungere che come romanziere è mancato.

Non direi però che la lettura confermi la discriminazione.

Il suo ultimo romanzo, Forte come la morte, merita ad esempio, come suggerisce il titolo, la sopravvivenza (nel testo si dice addirittura che l’amore è più forte della morte, ma poi l’autore deve averci ripensato).

Questa storia di un amore che si sdoppia, di un pittore che si innamora della figlia della propria amante, ritrovando in lei l’incanto giovanile della madre, viene evocata con sommesso lirismo e precisione delicata.

Sottratti alla banalità o alla sofisticazione, vi traspaiono temi complessi: la sovrapposizione dei due amori, l’angoscia retrospettiva di una passione al tramonto. E le correzioni mentali cui ricorre il lettore per superare certe parti opache e talora corrive – come il finale melodrammatico – sono ripagate dalla ricchezza del contesto.

Piccolo toro brettone, secondo Flaubert, toro triste, secondo Taine, toro dal viso umano, secondo Morand; e, secondo Savinio, uomo carnale, che, nella predilezione per le amanti formose, avrebbe ridotto «il problema della donna» a un problema elementare o piuttosto alimentare: sembra che gli scrittori stentino a perdonare a Maupassant la sua brama malinconica del piacere.

Eppure la sua pagina se ne nutre come di una forza vitale.

E aveva probabilmente ragione Renard quando scriveva:

«Può darsi che Maupassant, una volta letto tutto, non si rilegga. Ma quelli che vogliono essere riletti, non saranno letti.»

[1978]