20.
Carlos Guy-Patin está enterrado en la catedral; su padre no pudo salvarle, aunque había tratado un niño siete años, que fue sangrado trece veces, y recobró la salud en quince días como por milagro.
Los antiguos sobresalían en las inscripciones fúnebres: «Aquí descansa Epitecto, decía su cipo, esclavo, contrahecho, pobre como Iro, y no obstante el favorito de los dioses.»
Camoens, entre los modernos, ha compuesto el más magnifico de los epitafios, el de Juan III de Portugal: «¿Quién yace en este soberbio sepulcro? ¿quién es el designado por los ilustres cuarteles de este macizo escudo? ¡Nada! porque este es el fin de cuanto existe... ¡Séale ahora tan ligera la tierra, cuanto fue pesada en otro tiempo a los moros!»
Mi cicerone paduano era muy hablador, no poco diferente de mi Antonio de Venecia, me hablaba sin cesar de aquel gran tirano Angelo, y en las calles me anunciaba todas las tiendas y cafés; en el Santo, quería a todo trance enseñarme la lengua bien conservada del predicador del Adriático. ¿No procederá la tradición de estos sermones de esos cantares que en la edad media, los pescadores (á ejemplo de los antiguos griegos) cantaban a los peces para adormecerlos? todavía se conservan algunas de estas baladas pelagianas en idioma anglo-sajón.
Ninguna noticia adquirí de Tito Livio; en vida de este autor, hubiera hecho con el placer, como el habitante de Cádiz, un viaje a Roma para verlo; hubiera como Panormita vendido mi campo para comprar algunos fragmentos de la Historia romana, o como Enrique IV prometido una provincia por una Década. Un longista de Saumur no opinaba así, pues hizo cubrir unas palas de jugar a la pelota con un manuscrito de Tito Livio que le había sido vendido como papel viejo por el boticario del convento de la abadía de Fontevrault.
Cuando volví a la Estrella de oro, Jacinto había regresado de Venecia, y le encargué fuese a casa de Zanze, y le hiciese presente mis escusas por haber partido sin visitarla. Encontró a la madre y a la hija muy coléricas, pues esta acababa de leer Le mie prigioni. La madre decía que Silvio era un malvado porque había escrito que Brollo le había impelido por una pierna, hallándose sobre una mesa. La hija decía a su vez: «Pellico es un calumniador y un ingrato. Después del los servicios que le he prestado, pretende deshonrarme.» Amenazaba haría recoger la obra, denunciando ante los tribunales al autor, y había empezado a escribir una refutación del libro, pues Zanze no es solo una artista, sino también una literata.
Jacinto le pidió me diese la refutación aun no terminada; Zanze vaciló, pero al fin le entregó el manuscrito, pálida y cansada de su trabajo. La vieja carcelera se obstinaba en vender los bordados de su hija, y la obra en mosaico. Si vuelvo a Venecia, cumpliré mejor con Mad. Brollo que con Abou-Gosch, caudillo de los árabes de las montañas de Jerusalén, a quien prometí un canasto de arroz de Damieta y no se le envié.
He aqui el comentario de Zanze.
«La veneziana maravigliandosi che contro di essa vi sieno persona che abbia avutto ardire di scrivero pezze di un romanzo formatto ed empitto di impic falsita, si lagna fortementc contro l'auttore mentre potteva servirsi di altra persona onde dar sfogo al suo talento, ma non prendersi spasso di una giovine onesta di educazione e religione, e questa stimattaed amatta e conosciutta a fondo da lutti.
«Comme Silvio puó dire che nclla etá mia di 13 aani (che talli erano, alorquando lui dice di avermi conoscinta), comme puó dire che io fossi giornarieramentc stattn a visitarlo nella sua abitazione? ¿se io giuro di essere sfatta se uon pochissime volte, e sempre accompagnata o dal padre, o madre, o frattello? Commi; può egli dire che io le abbia confidano un amore, che io era sempre alle mie scuulle, eche appena oominciavo a conoscere, anzi non ancor poteva ne conosceva mondo, ma solo dedicatta alti doveri dì religione, a quelli di doverosa figlia, c sempre occupata a,miei lavori, che questi erano il mio sollo piacere? lo giuro che uon ho mai parlatto con lui, ne di amore, ne di altra qual siAsí cosa. Sollo se qualche volte io lo vedeva, lo guardava con ochio di pietà, poiché il mìo cuore era per ogni mio simille, pieno di compazione; anzi io odiava il luogo che per sola combinazione mio padre si ritrovava: perchè altro impiego lo aveva sempre occupano; ma dopo essere stato un bravo soldato, avendo bene servito la repubblica e poi il suo sovrano fu slatto ammesso contro sua volontà, non che di quella di sua famiglia, in quell'impiego. Falsissimo è che io abbia mai preso una mano del sopradetto Silvio, ne comine padre, ne comme frattello; prima, perchè abenchè giovinetta e priva di esperienza, avevo abastanza avutta educazione onde conoscere il mio dovere. Comme può egli dire di esser statto da me abbracialto, che io non avrei fatto questo con un frattello nemeno; talli erano li scrupoli che aveva il mio euore, stante l'educazione avutta nelli conventi, ove il mio padre mi aveva sempre mantenuta.
«Bensì vero sarà che lui a fondo mi conoscita più di quello che io possa conoscer lui, mentre mi sentiva giornariei amente in compagnia di miei fratlelli, in una stanza a luì vissina: che questa era il luogo óve dormiva e studiava li miei sopradetti frnttcll», c comine talli mi era lecitto di stare cou loro? comme può egli dire che io ciarlassi con lui degli affari di mia famiglia, che sfogava il mio cuore contro il riguore di nìa madre e benevolenza del padre, che io non aveva motivo alcuno di lagnarmi di essa, ma fú da me sempre ammatta?
«E comme può egli dire di avermi sgridatta avendogli portato un cativo caffè? Che io non so se alcuna persona posia dire di aver avutto ardire di sgridarmi anzi di avermi per solla sua bontà tutti stimata.
«Mi formo mille maraviglie die un vomo di spirito et di tallenti abbia ardire di vantarsi di simile cose ingiuste contro una giovine onesta, onde farle perdere quella stima que tutti proffessa per essa, nonche l'amore di un rispetozo consorte, la sua pace e tranquilla in mezzo il bracio di sua famiglia e figlia.
«lo mi trovo oltremodo sdegnatta contro questo aattore, per avermi esposta in questo modo in un publico libro, di più di tanto prendersi spaso del nominare ogni momento il mio nome.
«Ha pure avutto riguardo nel mettere il nome di Tremerello in cambio di quello di Mandricardo; elio tale era il nome del servo che così bene le portava ambaciatte. E questo io potrei farle certo, perchè sapeva quanto infedclle lui era ed interessato: che pur per mangiare e bevere avrebe sacrificano qualunque persona; lui era un perfido contro tutti coloro che per sua disgrazia capitavano poveri e non poteva mangiarlo quanto voleva; trattava questi infelici pegio di bestie» Ma quando io vedeva, lo sgridava e lo diceva a mio padre, non potendo il mio cuore vedere simili traiti verso il suo simile. Lui ero buono solamente con chi le donava una buona mancia e bene le dava a mangiare.—¡II cielo le perdoni! Ma avrà da render conto delle sue cattive opere verso suoi simili, e per l'odio che a me professava e per le eorrcssioni che io le faceva. Per tale cativo sogetto Silvio a avutto riguardo, Cper me che non meritava di essere esposta, nonna avutto il minimo riguardo.
«Ma io ben saprò ricorere, ove mi verane fatta una vera giustizia, mentre non intendo ne voglio esser, ne per bene ne malie, nominatta in publico.
«Io sono felice in bracio a un marito, che tanto mi ama, e che veramente e virtuozamente corisposto, ben conoscendo il mio sentimento, non che vedendo il mio operare: e dovrò a cagione di un vuomo che si è presso un punto sopra di me, oude dar forza al li suoi mal fondati scritti, essendo questi posti in falso!
«Silvio perdonerà il mio furore; ma doveva lai bene asppetarselo quando al chiaro io era dal suo opcratto.
«Questa è la ricompensa di quanto ha fatto la mia famiglia, avendolo trattalto con quella umanità, che merita ogni creatura cadutta in talli disgrazie, e, non trattata come era liordini!
«Io intanto faccio qualunque giuramento, che tutto quello che fù detto a mio riguardo, dà falso. Forse Silvio sarà statto malie informato di me; ma non può egli dire con verità talli cose non essendo vere, ma sollo per avere un più forte motivo onde fondare il suo romanzo.
«Vorci dire di più; ma le occupazioni di mia famiglia non mi pormette di perdere di più tempo. Solfo ringraziarò intanto il signor Silvio col suo operare e di avermi senza colpa veruna posto in seno una continua inquietudine e forse una perpetua infelicità.»
TRADUCCIÓN
«La veneciana se admira de que un hombre haya tenido el valor de escribir contra ella dos escenas de una novela llena de impías falsedades. Laméntase vivamente del autor que podía servirse de otra persona para prestar asunto a su talento, y no tomar por juguete a una joven honrada, de educación y religiosa, estimada, querida y conocida perfectamente de todos.
«¿Cómo puede decir Silvio que a los trece años (esta era mi edad cuando dice me conoció), cómo puede decir que yo iba a visitarle diariamente a su encierro, si juro no haber ido a este sino muy pocas veces, y siempre acompañada de mi padre o de mi madre o de un hermano? ¿Cómo puede decir que le confié mi amor, yo que estaba siempre en mis escuelas, yo empezando apenas a adquirir algunas ideas no podía conocer ni el amor ni el mundo; consagrada únicamente a los deberes religiosos, a los de una hija obediente, y constantemente ocupada en mis labores, mis únicos deleites?
«Juro que jamás le he hablado (a Pellico) ni de amor ni de cosa relativa a esta pasión, pero si algunas veces le veía, le miraba con compasión porque mi corazón compadecía a mis semejantes desgraciados. Por esto aborrecía el destino que mi padre desempeñaba, pues había ocupado siempre otro cargo; pero después de haber sido un valiente soldado, y de haber servido fielmente a la república y luego a su soberano, fue colocado contra su voluntad y la de su familia en este empleo.
«Es muy falso (falsísimo) que yo haya tomado una vez siquiera la mano del citado Silvio, ni como la de mi padre ni como la de mi hermano; porque aunque joven y privada de experiencia, había recibido bastante educación para conocer mis deberes.
«¿Cómo puede decir que le abracé, cuando no lo hubiera hecho ni con un hermano, tales eran los escrúpulos que había impreso en mi corazón la educación recibida en los conventos en que mi padre me había mantenido siempre?
«¡Seguramente sucederá que he sido más conocida de él (Pellico), de lo que él podía serlo de mi! Yo estaba todo el día junta con mis hermanos, en un cuarto contiguo en que estos dormían y estudiaban, por consiguiente viviendo siempre con ellos, ¿cómo puede decir que hablaba con él de asuntos de mi familia, que consolaba mi corazón discurriendo sobre el rigor de mi madre y la bondad de mi padre? Lejos de tener motivos de quejarme de ella, siempre la he amado tiernamente.
«¿Cómo puede decir que gritó contra mí por haberle llevado mal café? No conozco persona alguna que pueda decir haya tenido el atrevimiento de gritar contra mí, habiéndome apreciado todos por solo su bondad.
«Me sorprende en alto grado que un hombre de razón y de talento haya tenido el valor de jactarse injustamente de tales cosas contra una joven honrada, que pudieran hacerle perder la estimación que todos le profesan, el amor de un respetable marido, y la paz y su tranquilidad en los brazos de su familia y de su hija.
«Siento una inexplicable indignación contra ese autor por haberme expuesto de tal modo en un libro publicado, y por haber tenido la insolente libertad de citar mi nombre a cada paso.
«Y no obstante, ha tenido la atención de sustituir con el nombre supuesto de Tremerello el de Mandricardo, que así se llamaba el que le traía correspondencias. Puedo dar a conocer con exactitud este hombre porque me constaba cuán infiel e interesado, le era; por beber y comer hubiera sacrificado al universo; era pérfido con todos aquellos que por su desgracia le llegaban pobres, y que no podían gratificarle tanto como deseaba, y trataba a estos infelices peor que a irracionales; pero cuando yo le veía, le reconvenía y lo participaba a mi padre, porque mi corazón no podía soportar tales tratamientos hacia mis semejantes. Mandricardo era bueno únicamente con aquellas que le daban la buonamancia, y saciaban su voracidad; ¡perdónele el cielo! pero habrá tenido que dar cuenta de sus malas acciones para con sus semejantes, y del odio que me profesaba a causa de las reprensiones que le daba. ¡Silvio ha tenido deferencias y consideraciones con hombre tan villano, y respecto de mí, que no merecía verme divulgada, no ha usado la más pequeña atención!
«Pero sabré recurrir a donde se me dispensará cumplida justicia; nada escucho ya, porque no quiero ser ni en bien ni en mal nombrada en público.
«Soy feliz en los brazos de un marido que tanto me ama y que es real y virtuosamente correspondido; él conoce no solo mi conducta sino también mis sentimientos. ¿Y debería yo, a causa de un hombre que considera oportuno explotar mi nombre en interés de sus escritos inexactos y llenos de falsedades...
Silvio me perdonará mi cólera, pero debió esperarla cuando yo hubiera llegado a conocer su conducta hacia mí.»
«He aquí la recompensa de todo lo que ha hecho mi familia habiéndole tratado con esa humanidad que merece cualquiera a quien abruma igual desgracia, y no según las órdenes.
«Yo sin embargo, juro que todo lo que ha dicho de mí es falso. Acaso Silvio habrá sido mal informado respecto de mi conducta, pero no puede decir con verdad cosas que no siendo verdaderas le sirven únicamente de un motivo más poderoso para componer su novela.
«Quisiera decir más, pero mis ocupaciones domésticas no me permiten perder más tiempo. Me limito a dar gracias al señor Silvio por su obra, y por haberme ocasionado, aunque pura de la menor falta, una continua inquietud y acaso una continua infelicidad.»
Esta traducción literal dista mucho de trasladar la vehemencia femenina, la gracia extranjera y la animada sencillez del texto; el dialecto de que Zanze se sirve, exhala un perfume propio de su suelo que no puede conservarse en otra lengua. La Apología con sus frases incorrectas y nebulosas, como las vagas extremidades de un grupo de Albano; el manuscrito con su ortografía defectuosa o veneciana, es un monumento propio de mujer griega, pero de esas mujeres de la época en que los obispos de Tesalia cantaban los amores de Theágenes y de Charidea. Prefiero las dos páginas de la joven carcelera a todos los diálogos de Isota, que no obstante ha abogado por Eva contra Adán, como Zanze aboga por sí misma contra Pellico. Mis hermanos compatriotas provenzales de otros tiempos se parecen mucho a la hija de Venecia por el idioma de estas generaciones intermedias, en quienes la lengua del vencido no está aun enteramente muerta, y la del vencedor no aun enteramente formada.
¿Quién tiene razón, Pellico o Zanze? ¿de qué se trata en este debate? de una simple confidencia, de un abrazo dudoso, el cual en el fondo no se dirige tal vez a quien lo recibe. La viva casada no quiere reconocerse en la deliciosa adolescente representada por el cautivo, pero contesta el hecho con tanto atractivo que lo prueba negándolo. El retrato de Zanze en la memoria del demandadero es tan parecido que se presenta en la réplica de la defensora; descúbrense en esta los mismos sentimientos religiosos y humanitarios, la misma reserva, el mismo tono de misterio y la misma desenvoltura insinuante y tierna.
Zanze se muestra llena de poder cuando con apasionado candor asegura que no se hubiera atrevido a abrazar a su propio hermano, y por lo tanto mucho menos a Pellico. La piedad filial de Zanze es en extremo interesante cuando trasforma a Brollo en un veterano de la república, reducido a la triste condición de carcelero per sola combinazione.
Zanze es admirable en esta justa observación: Pellico ha ocultado el nombre de un perverso y no ha temido revelar el de una joven inocente y compasiva con los infelices presos.
Zanze no se deja seducir por la idea egoísta de verse inmortalizada en una obra inmortal; ni siquiera le ocurre esta idea y solo la hiere la indiscreción de un hombre, que si hemos de dar asenso a la ofendida, sacrifica la reputación de una mujer a los juegos de su talento, sin cuidarse del mal de que pueda ser causa, y atiende únicamente a componer una novela en provecho de su fama. Un visible temor domina a Zanze; ¿no pueden despertar los celos de un esposo las revelaciones de un preso?
El rasgo que termina la Apología es patético y elocuente.
«Doy gracias al señor Silvio por su obra y por haberme ocasionado, aunque pura de la menor falta, una continua inquietud y acaso una continua infidelidad:» una continua inquietudine é forse una perpetua infelicitá.
Sobre estos últimos renglones, escritos con mano fatigada, se describe la señal de algunas lágrimas.
Yo, extraño al litigio, nada quiero perder. Creo, pues, que la Zanze de Míe Prigioni, es la Zanze según la historia. Borro la pequeña falta de estatura que había creído ver en la hija del veterano de la república; me he equivocado: Angélica de la prisión de Silvio, es ligera como el tallo de un junco o como el astil de una palmera. Le declaro que en mis Memorias ningún personaje me gusta tanto como ella, sin exceptuar mi Sílfide.
Entre Pellico y la misma Zanze, merced a un manuscrito de que soy depositario, es indudable que la veneciana pasará a la posteridad. ¡Sí, Zanze! tu ocuparás un lugar entre las sombras de las mujeres que nacen en torno del poeta, cuando ensueña al son de lira! Esas sombras delicadas, huérfanas de una armonía que ya no existe y de una ilusión desvanecida, permanecen vivas entre la tierra y el cielo y habitan a la vez su doble patria. «El bello paraíso no tendrá completas sus gracias si tú no le habitases,» decía un trovador a su amada ausente por la muerte.
Noticia inesperada.— El gobernador del reino Lombardo-Véneto.
Padua, 20 de septiembre de 1833.
La historia volvió de nuevo a estrangular la novela. No bien acababa de leer en la Estrella de Oro la defensa de Zanze, cuando Mr. de Saint-Priest entró en mi cuarto diciendo: «hay novedades.» He aquí una carta de S. A. R. que nos dice que el gobernador del reino Lombardo-Véneto se ha personado en Catajo anunciando a la princesa la imposibilidad en que estaba de dejarla proseguir su viaje, y que esta deseaba mi inmediata partida.
En este momento llama a mi puerta un ayudante de campo del gobernador y me pregunta si gusto recibir a su general; por toda contestación me dirigí a la habitación de S. E. que como yo, se había alojado en la Estrella de Oro.
El gobernador era un bello sujeto.
—Sabed, señor vizconde, me dijo, que mis órdenes contra la señora duquesa de Berry, son del 28 de agosto: S. A. R. me había hecho decir que tenía pasaportes de fecha posterior y una carta de mi emperador. Pero el 16 de este mes de septiembre, recibo un correo a media noche; un despacho fechado el 15 en Viena me manda cumplir las primeras órdenes del 28 de agosto, y no permitir que la señora duquesa pase de Udine o de Trieste. ¡Ved querido e ilustre vizconde, que desgracia tan grande para mí! ¡detener una princesa que admiro y respeto, si no quiere conformarse con el deseo de mi soberano! La princesa no me ha recibido bien y me ha contestado que haría lo que mejor le pareciese. Querido vizconde, si podéis alcanzar de S A. R. que permanezca en Venecia o en Trieste, mientras recibo nuevas instrucciones de mi corte, visaré vuestro pasaporte para Praga, a cuya capital os dirigiréis al punto, sin experimentar el más leve tropiezo, y arreglaréis todo esto, porque en realidad mi corte no ha hecho sino ceder a exigencias. Os ruego me dispenséis este servicio.
La buena fe del noble militar me cautivó; confrontando luego la fecha del 15 de septiembre con la de mi salida de París el 3 del mismo mes, me asaltó una idea: mi entrevista con la princesa y la coincidencia de la mayoría de Enrique V, podían haber alarmado al gobierno de Felipe. Un despacho del duque de Broglié trasmitido por una nota del conde de Saint-Aulaire, había tal vez determinado a la cancillería de Viena a renovar la prohibición del 28 de agosto. Es posible que yo vaticine mal, y que el hecho que imagino no haya tenido lugar; pero dos nobles, ambos pares de Francia de Luis XVIII, y ambos perjuros eran ciertamente muy dignos de ser contra una mujer, madre de su rey legitimo, los instrumentos de tan generosa política. ¿Deberá sorprendernos que la Francia actual se confirme cada vez más en la ventajosa opinión que tiene formada de los antiguos palaciegos?
Procuré ocultar el fondo de mi pensamiento, porque la persecución había cambiado mis disposiciones relativamente al viaje de Praga; hallábame a la sazón tan deseoso de emprenderlo solo, en interés de mi soberana, que me había opuesto a verificarlo con ella cuando los caminos le estaban abiertos. Disimulé mis verdaderos sentimientos, y queriendo mantener al gobernador en la favorable voluntad de darme un pasaporte, aumenté su noble inquietud, diciéndole:
—Señor gobernador, me proponéis una cosa difícil; conocéis a la señora duquesa de Berry, y que no es mujer a quien se maneja como se quiere; si ha tomado su resolución, nada bastará a disuadirla. ¿Quién sabe? tal vez le convenga ser detenida por el emperador de Austria, su tío, Así como ha sido encarcelada por Luis Felipe, su tío. Los reyes legítimos y los reyes, ilegítimos obrarán de la misma manera: Luis Felipe habrá destronado al hijo de Enrique IV, y Francisco II impedirá la reunión de la madre y del hijo; el príncipe de Metternich relevará en su puesto al general Bugnand, y todos marcharán en admirable acuerdo.
El gobernador estaba atónito y exclamó: ¡Ah, vizconde, cuánta razón tenéis! ¡La propaganda lo ha invadido todo! ¡La juventud no nos escucha ya; ni en los Estados venecianos, ni en la Lombardía y el Piamonte! —¿Y la Romanía? repuse; ¿y Nápoles? y Sicilia? ¿y las orillas del Rin? ¿y el mundo entero?
—¡Ah! ah! ah! exclamaba el gobernador, no podemos subsistir así, siempre con la mano en la espada y con un ejército sobre las armas, sin batirnos. Entre tanto la Francia y la Inglaterra sirven de ejemplo a nuestros pueblos! ¡Se ha formado una joven Italia después de los carbonarios! ¡la joven Italia! ¿quién ha oído en tiempo alguno hablar de tal cosa?
—Señor, le dije, emplearé todos mis esfuerzos para determinar a la princesa a que os conceda algunos días; tendréis la bondad de proporcionarme un pasaporte, y solo esta condescendencia impedirá tal vez que S. A. R. siga su primera resolución.
—Tomaré a mi cargo, dijo el gobernador ya tranquilo, el permitir a la señora duquesa que pase por Venecia con dirección a Trieste; si retrasa un poco su viaje, llegará a esta ciudad al mismo tiempo que las órdenes que vais a buscar y habremos salido del compromiso. El delegado de Padua os pondrá el refrendo para Praga, y vos le dejaréis una carta, anunciándole a resolución de S. A. R. de no pasar de Trieste. ¡Qué tiempo! ¡qué tiempo! Me felicito de ser viejo, querido e ilustre vizconde, para no ver lo que sucederá.
Al insistir en la demanda de pasaporte, me acusaba interiormente de abusar quizá algo de la intachable honradez del gobernador, quien podría aparecer más culpable aun por haberme dejado ir a Bohemia que por haber cedido a la duquesa de Berry. Todo mi temor era que algún agente de la policía italiana pusiese obstáculos al refrendo. Cuando el delegado de Padua vino a mi casa, descubrí en él un semblante de secretaría, un aspecto de protocolo y un aire de prefectura cual pudiera tenerlo un hombre educado en las administraciones francesas. Esta capacidad burocrática me horripiló; no bien me aseguró había sido comisario del ejército de los aliados en el departamento de las Bocas del Ródano, sentí renacer mi esperanza, y ataqué a mi enemigo por el flanco de su amor propio. Le declaré que había sido muy elogiada la severa disciplina del ejército acantonado en la Provenza; nada acerca del particular había llegado a mi noticia, pero el delegado respondiéndome con una descarga de admiraciones, se apresuró a despachar mi negocio, y no bien obtuve mi refrendo, no volví a acordarme de su persona.
Carta de la princesa a Carlos X y a Enrique V.—Mr. de Montbel.— Mi carta al gobernador.—Mi partida a Praga.
Padua, 20 de septiembre de 1833.
La duquesa de Berry volvió de Catajo a las nueve de la noche, v parecía hallarse muy animada; por lo que respecta a mí, cuanto más pacífico me había mostrado, con más ahínco quería que se aceptase el combate: se nos atacaba, y nos era indispensable defendernos. Propuse sonriéndome a S. A. R. que fuese disfrazada a Praga, y que los dos robásemos a Enrique V. Solo se trataba de saber donde deberíamos depositar nuestro hurto. La Italia no nos convenía por la debilidad de los príncipes; las grandes monarquías absolutas debían ser abandonadas por mil razones; quedaban únicamente la Holanda y la Inglaterra, de las que yo prefería la primera, porque había en ella con un gobierno constitucional un rey sabio.
Aplazamos estos partidos extremos y nos detuvimos en el más razonable, que hacía recaer sobre mí todo el peso del negocio. Reducíase este a que yo partiese solo, con una carta de la princesa, y pidiese la declaración de la mayor edad, y en vista de la respuesta de los augustos parientes, enviase un correo a S. A. R. que esperaría mis despachos en Trieste. La princesa unió a su carta al anciano monarca, otra para Enrique, la que debía entregar a este con arreglo a las circunstancias. El contenido de esta carta era únicamente una protesta contra las siniestras intenciones de Praga. He aquí entrambas cartas:
Ferrara, 19 de septiembre de 1833.
«Mi querido padre, en momentos tan decisivos como los presentes para el porvenir de Enrique, permitidme me dirija a vos con toda confianza. No me he entregado a mis propias inspiraciones acerca de tan importante asunto; he querido, por el contrario, consultar en tan graves circunstancias, a los hombres que me han mostrado más adhesión y lealtad. Al frente de estos se hallaba naturalmente Mr. de Chateaubriand.
«El me ha confirmado lo que yo sabia de antemano, esto es, que todos los realistas franceses consideran indispensable para el 29 de septiembre, la publicación de un acta que consigne terminantemente los derechos y la mayoría de Enrique. Si el leal M.*** se halla en la actualidad a vuestro lado, invoco su testimonio, pues me consta es favorable a lo que aseguro.
«Mr. de Chateaubriand explanará al rey sus ideas acerca de esta acta, dice, con razón a mi entender, que es preciso consignar meramente la mayoría de Enrique y no redactar un manifiesto; creo aprobaréis esta opinión. En fin, mi querido padre, me remito a él para que llame vuestra atención, y alcance una decision sobre este punto indispensable. De esto me ocupo, os lo aseguro, mucho más de lo que me concierne, y el interés de mi Enrique, que es el de la Francia, se antepone al mío. Le he probado, a lo que creo, que sé exponerme por él a todos los peligros, y que no retrocedo ante ningún sacrificio; siempre me encontrará la misma.
«Mr. de Montbel me ha entregado a su llegada la carta que he leído con vivo reconocimiento: volver a veros, volver a hallar a mis hijos, será siempre el más ferviente de mis deseos. Mr. de Montbel os habrá escrito que he hecho todo lo que pedíais; espero os habrá complacido mi celo por agradaros y probaros mi respeto y cariño. Solo abrigo en la actualidad un deseo: el de hallarme en Praga el 29 de septiembre, y aunque mi salud está harto quebrantada, espero que llegaré. De todos modos, Mr. de Chateaubriand me precederá. Suplico al rey le acoja benévolo y escuche todo lo que le dirá en mi nombre. Confiad, querido padre, en todos los sentimientos, etc.
«P. D. Padua, 20 de septiembre.—Estaba ya escrita mi carta; cuando se me comunica la orden de que no prosiga mi viaje: mi sorpresa iguala a mi dolor. No puedo imaginar que semejante orden proceda del corazón del rey, porque únicamente mis enemigos han podido dictarlo. ¿Qué dirá la Francia? ¡Que triunfo para Luis Felipe! Debo acelerar la marcha del vizconde de Chateaubriand, y encargarle que diga al rey lo que me seria muy penoso escribirle en este momento.»
A. S. M. Enrique V, mi muy querido hijo. Praga.
«Padua, 29 de septiembre de 1833.
«Estaba próxima a llegar a Praga y a abrazarte, mi querido Enrique, cuando un obstáculo imprevisto viene a impedir mi viaje .
«Envió a Mr. de Chateaubriand en mi lugar, para conferenciar acerca de tus asuntos y los míos. Ten confianza, mi querido amigo, en lo que te dirá de mi parte, y no dudes de mi tierno afecto. Abrazándote con la hermana, soy
«Tu cariñosa madre y amiga
«Carolina.»
Mr. de Montbel vino desde Roma a Padua en medio de nuestras quejas. La pequeña corte de Padua lo incomodó, pues se refería a Mr. de Blacas por las órdenes de Viena. Mr. de Montbel, hombre muy moderado, no tuvo otro recurso que refugiarse cerca de mí, aunque me temía: al ver este colega de Mr. de Polignac, comprendí como había escrito, sin advertirlo, la historia del duque de Reichstadt y admirado a los archiduques a sesenta leguas de Praga destierro del duque de Burdeos. Si Mr. de Montbel había sido a propósito para hundir la monarquía de San Luis y todas las monarquías de este mundo, este fue un pequeño accidente en que no había pensado. Me mostré afable con el conde de Montbel y le hablé del Coliseo. Volvía a Viena a ponerse a la disposición del príncipe de Metternich, y a servir de intermedio en la correspondencia de Mr. de Blacas. A las once escribí al gobernador la carta convenida, no olvidando la dignidad de la princesa, no comprometiéndola en lo más mínimo y reservándole toda su libertad de acción.
«Padua, 20 de septiembre de 1833.
«Señor gobernador:
«S. A. R. la señora duquesa de Berry, accede por el momento a conformarse con las órdenes que os han sido trasmitidas. Su proyecto es ir a Venecia dirigiéndose a Trieste, y en esta ciudad, según los datos que tendré el honor de dirigirle, adoptará una resolución definitiva.
«Os ruego aceptéis mis más sinceras gracias, y la consideración con que soy, señor gobernador, vuestro más atento servidor,
«Chateaubriand.»
El delegado al leer esta carta se alegró mucho, pues saliendo la princesa de la Lombardía veneciana, él y el gobernador dejaban de ser responsables; las acciones y las tentativas de la duquesa de Berry en Trieste, eran ya de la competencia de las autoridades de la Istria o del Frioul; cada cual procuraba a todo trance eximirse de la desgracia: hay un juego en el que todos se apresuran a entregar al que está más inmediato un pedazo de papel ardiendo.
A las diez me despedí de la princesa, que me confiaba su suerte y la de su hijo; me hacía rey de una Francia imaginada por ella. En una aldea de Bélgica tuve cuatro votos para ocupar el trono en que se sienta el yerno de Felipe. Dije a la princesa: «Me someto a la voluntad de V. A.. R., pero temo desvanecer sus esperanzas. Nada conseguiré en Praga» A esto me respondió conduciéndome hacia la puerta y diciendo: «Partid, podéis todo.»
A las once subí al coche, la noche estaba lluviosa, y me parecía que regresaba a Venecia, porque seguía el camino de Mestre, a decir verdad, deseaba más ver de nuevo a Zanze que a Carlos X.
Diario de Padua a Praga, desde el 20 al 26 de septiembre, de 1833.— Conegliano.—Traducción del último Abencerraje.— Udine.— La condesa de Samoyloff.— Mr. De la Ferronays.— Un sacerdote.— La Carintia.— El Drave.— Un paisanito.— Forjas.— Almuerzo en la aldea de San Miguel.
Muy sensible me fue, al pasar a Mestre hacia el fin de la noche, no poder ir al río; acaso un fanal lejano de las últimas lagunas me habría mostrado la más bella de las islas del mundo antiguo, a la manera que una débil luz descubrió a Colon la primera isla del Nuevo Mundo. En Mestre desembarqué de Venecia en mi primer viaje en 1806: fugit aetas.
Almorcé en Conegliano, donde fui obsequiado por los amigos de una señora traductora del Abencerraje, y que sin duda se parecía a Blanca: «Vio salir a una joven vestida como una de esas reinas góticas, esculpidas sobre los monumentos de nuestras antiguas abadías: una mantilla negra cubría su cabeza, y sostenía con la mano izquierda esta mantilla cruzada y cerrada como un griñón debajo de su barba, de suerte que solo se descubrían de todo su rostro sus rasgados ojos y su boca de rosa.» Pago mi deuda a la traductora de mis inspiraciones españolas, reproduciendo aquí su retrato.
Cuando subí al coche, un cura me felicitó por el Genio del Cristianismo. Atravesé en seguida el teatro de las victorias que impulsaron a Bonaparte a invadir nuestras libertades.
Udine es una hermosa ciudad; en ella vi un pórtico imitado al del palacio de los dux. Comí en la posada en el aposento que acababan de ocupar la señora condesa de Samoyloffo. Esta sobrina de la princesa de Bagration, otra injuria de los años ¿es tan bella como lo era en Roma en 1829 cuando cantaba con tanta maestría en mis conciertos? ¿Qué brisa trae de nuevo esta flor a mi camino? ¿Qué viento impele esta nube? ¡Hija del Norte! Tú gozas de la vida; ¡apresúrate! las armonías que te encamaban han cesado ya; tus días no tienen la duración del día polar.
En el registro de la fonda estaba escrito el nombre de mi noble amigo, el conde de Ferronays, que iba de Praga a Nápoles, como yo iba de Padua a Praga. El conde de la Ferronays, mi compatriota por doble titulo, puesto que es bretón y malvino, ha confundido sus destinos políticos con los míos; era embajador en San Petersburgo cuando yo era en París ministro de Negocios extranjeros; ocupó después este último destino y yo fui embajador a sus órdenes. Enviado a Roma, presenté mi dimisión al advenimiento del ministerio Polignac, y Mr. La Ferronays heredó mi embajada. Cuñado de Mr. de Blacas, es tan pobre como este es rico, ha abandonado la dignidad de par y la carrera diplomática al estallar la revolución de julio; todos le aprecian, nadie le aborrece porque su carácter es ingenuo y tolerante. En su última negociación en Praga se dejó sorprender por Carlos X, que camina a sus últimos lustros. Los viejos se complacen en hablar de bagatelas, pues nada tienen que decir que valga un ardite. Exceptuando a mi anciano rey, quisiera que se arrojase al río a todo el que no es joven; siendo yo el primero con una docena de mis amigos.
En Udine tomé el camino de Vallach y me dirigí a Bohemia por Salzburgo y Linz. Antes de subir los Alpes llegó a mis oídos el tañido de campanas y vi en la llanura un cimborrio iluminado. Hice preguntar la causa al postillón por conducto de un alemán de Estrasburgo, cicerone italiano en Venecia, que Jacinto me trajo para intérprete eslavo en Praga. Aquel regocijo tenía lugar porque un sacerdote que acababa de recibir las sagradas órdenes, debía celebrar su primera misa el día siguiente. ¡Cuántas veces esas campanas que proclaman hoy la unión indisoluble de un hombre con Dios, llamarán al santuario a este hombre, y a qué hora sonarán sobre su ataúd!
Dormí casi toda la noche al ruido de los torrentes y me desperté el 22 entre las montañas. Los valles de la Carintia son agradables, pero nada ofrecen de característico; los paisanos no usan traje particular; algunas mujeres usan pieles como las húngaras; otras llevan cofias blancas en la parte posterior de la cabeza o gorros de lana azul abultados de cordones sus bordes, y que son una especie de turbantes figura de botón.
Mudé caballos en Villach, y al salir de esta parada seguí un ancho valle a orillas del Drave, que yo conocía de otro tiempo; a fuerza de pasar los ríos encontraré al fin mi último río. Lander acaba de descubrir la embocadura del Níger; el atrevido viajero ha entrado en la eternidad en el momento que nos decía que el río misterioso de África desemboca en el Océano.
A la entrada de la noche faltó poco para que fuésemos presos en la aldea de San Palermón; tratábase de arreglar el coche: un paisano colocó el tornillo a una de las ruedas en sentido opuesto y con tanta fuerza, que era imposible quitarla. Todos los peritos de la aldea y el albéitar a la cabeza, nada lograron. Un muchacho de catorce a quince años, abandona la comitiva y vuelve con un par de tenazas, separa a los trabajadores, abraza la rosca con un hilo de arenal, lo retuerce con sus tenazas, y haciendo esfuerzos en el sentido del tornillo, arranca la matriz sin el menor esfuerzo, con lo que resonó un viva general. ¿Seria algún Arquímedes? La reina de una tribu de esquimales, aquella mujer que trazaba al capitán Parry una carta de los mares polares, miraba con atención a los marineros que soltaban en la fragua pedazos de hierro y sobrepujaba en talento a toda su raza.
En la noche del 22 al 23 atravesé una masa espesa de montañas que se extendieron a mi vista hasta Salzburgo, y no obstante, estas murallas no han defendido el imperio romano. El autor de los Ensayos, hablando del Tirol, dice con su habitual viveza de imaginación; «estas montañas son un vestido que solo vemos doblado, pero que si se viese desdoblado formaría un dilatado país. Los montes que recorría parecían un acrecentamiento de las cadenas superiores, que cubriendo un vasto terreno había formado pequeños Alpes con los diferentes accidentes de los grandes.,
Grandes cascadas bajaban por todas partes, saltando sobre capas de piedra como las rocas de los Pirineos. El camino pasaba por desfiladeros apenas accesibles al carruaje. En las inmediaciones de Gemund, muchos hornos hidráulicos mezclaban el estruendo de sus morteros al del agua; de sus chimeneas salían columnas de chispas a través de la noche, y los negros bosques de abetos; a cada golpe del fuelle, los techos descubiertos de la fábrica, se iluminaban repentinamente como la cúpula de San Pedro de Roma en un día solemne. Al cruzar la cadena del Karch, fue preciso añadir tres pares de bueyes a nuestros caballos; este largo tiro, atravesando las aguas de los torrentes y las raveras inundadas parecía un puente vivo; la cordillera opuesta del Tavern estaba sepultada bajo la nieve.
El 23 a las nueve de la mañana me detuve en la linda aldea de San Miguel, situada en el fondo de un valle. Robustas muchachas austriacas me sirvieron el almuerzo en un cuarto cuyas dos ventanas miraban a las campiñas y a la iglesia de la aldea. El cementerio que rodea la iglesia, estaba separado de mí por un corral. Las cruces de madera inscritas en un semicírculo, y de las que pendían pilas de agua bendita, elevábamos sobre la yerba de las sepulturas antiguas; cinco tumbas sin yerba todavía, anunciaban cinco recientes descansos. Algunas de estas, a la manera de surco de huerta, estaban adornadas de caléndulas en flor, y las aguzanieves tras las langostas en este jardín de los muertos. Una vieja jorobada, apoyada en una muleta, atravesaba el cementerio, y se llevaba una cruz derribada; acaso la ley le permitía apropiarse aquella cruz para su sepultura; el leño seco en los bosques, pertenece al que lo recoge.
La dormont ignores des poetes sans gloire,
Des orateurs sans voix, des héros sans victoire