E così, ho rischiato un'ultima volta.
51
La caliginosa luce rossa del mattino era qualcosa che non sarebbe dovuta esistere.
La nebbia moriva prima dell'alba. Il calore la faceva evaporare; perfino rinchiuderla dentro una stanza chiusa la faceva condensare e scomparire. Non sarebbe dovuta essere in grado di sopportare la luce del sole nascente.
Eppure lo faceva. Più si allontanavano da Luthadel, più le nebbie indugiavano al mattino. Il cambiamento era lieve - erano ancora soltanto a pochi giorni di cavallo da Luthadel - ma Vin lo sapeva. Vedeva la differenza. Questa mattina le nebbie parevano ancora più forti di quanto aveva previsto: non si indebolirono nemmeno quando il sole sorse. Ne oscuravano la luce.
Nebbia, pensò lei. Baratro. Era sempre più sicura di avere ragione al riguardo, anche se non poteva saperlo con certezza. Tuttavia le sembrava corretto per qualche motivo. Il Baratro non era stato qualche mostro o tiranno, ma una forza più naturale, e pertanto più spaventosa. Una creatura poteva essere uccisa. Le nebbie erano molto più terrificanti. Il Baratro non avrebbe oppresso con sacerdoti, ma avrebbe usato lo stesso timore superstizioso della gente. Non avrebbe sterminato con eserciti, ma facendo morire di fame.
Come si combatteva qualcosa di più grande di un continente? Un'entità che non poteva provare rabbia, dolore, speranza o pietà?
Tuttavia, il compito di Vin era fare proprio questo. Si sedette in silenzio su un grosso macigno accanto alla fossa del fuoco notturno, le gambe tirate su, le ginocchia contro il petto. Elend dormiva ancora; Spook era fuori in esplorazione.
Vin non metteva più in discussione il proprio ruolo. O era pazza, oppure era il Campione delle Ere. Sconfiggere le nebbie era la sua missione. Eppure... pensò lei, accigliandosi. Le pulsazioni dovrebbero diventare più forti, non più deboli. Quanto più viaggiavano, tanto più deboli sembravano le pulsazioni. Era ormai troppo tardi?
Era successo qualcosa al Pozzo per attenuarne il potere? Qualcun altro l'aveva già preso?
Dobbiamo continuare a muoverci.
Un'altra persona al suo posto avrebbe potuto domandarsi perché era stata scelta.
Vin aveva conosciuto diversi uomini - sia nella banda di Camon, sia nel governo di Elend - che si lamentavano ogni volta che veniva assegnato loro un compito.
«Perché io?» chiedevano. Quelli insicuri non pensavano di esserne all'altezza. Quelli pigri non avevano voglia di lavorare.
Vin non si considerava motivata o sicura di sé. Tuttavia, non vedeva alcuno scopo nel chiedersi perché. La vita le aveva insegnato che a volte le cose accadevano e basta. Spesso Reen non aveva avuto una ragione specifica per picchiarla. E le ragioni erano comunque un debole sollievo. I motivi che a Kelsier erano serviti per morire le erano chiari, ma non per questo lui le mancava di meno.
Vin aveva un compito da eseguire. Il fatto che non lo comprendesse non le impediva di riconoscere che doveva cercare di portarlo a termine. Sperava semplicemente che avrebbe saputo cosa fare una volta giunto il momento. Anche se le pulsazioni erano più deboli, erano comunque lì. La attiravano avanti. Verso il Pozzo dell'Ascensione.
Dietro di lei, poteva percepire la vibrazione minore dello spirito di nebbia. Non scompariva mai finché non lo facevano le nebbie stesse. Era stato lì tutta la mattina, immobile proprio dietro di lei.
«Conosci il segreto di tutto questo?» chiese lei sottovoce, voltandosi verso lo spirito nella nebbia rossastra. «Hai...»
La pulsazione allomantica dello spirito di nebbia stava giungendo direttamente da dentro la tenda che condivideva con Elend.
Vin balzò giù dalla roccia, atterrando sul terreno coperto di brina e affrettandosi verso la tenda. Spalancò i lembi. Elend dormiva all'interno, la testa appena visibile che faceva capolino fra le coperte. La nebbia riempiva la piccola tenda, vorticando, turbinando... e questo di per sé era già strano. La nebbia di solito non entrava nelle tende.
E lì, nel mezzo delle nebbie, c'era lo spirito. Proprio sopra Elend.
Non era nemmeno lì per davvero. Era solo una sagoma nelle nebbie, un motivo ripetuto causato da un movimento caotico. E tuttavia era reale. Vin poteva percepirlo e poteva vederlo mentre alzava la testa, incontrando il suo sguardo con occhi invisibili.
Occhi colmi d'odio.
Sollevò un braccio incorporeo e Vin vide qualcosa guizzare. Lei reagì immediatamente, estraendo un pugnale, facendo irruzione nella tenda e attaccando.
Il suo colpo incontrò qualcosa di tangibile nella mano dello spirito. Un suono metallico riecheggiò nell'aria immota, e Vin avvertì un potente gelo intirizzirle il braccio. I peli le si rizzarono sull'intero corpo.
E poi scomparve. Svanendo, come il tintinnio della sua lama in qualche modo dotata di sostanza. Vin sbatté le palpebre, poi si voltò per guardare attraverso un lembo sollevato della tenda. Le nebbie all'esterno erano scomparse; il giorno infine aveva vinto.
Non sembrava che rimanessero molte vittorie.
«Vin?» chiese Elend, sbadigliando e stiracchiandosi.
Lei placò il proprio respiro. Lo spirito se riera andato. La luce del giorno voleva dire sicurezza, per ora. Una volta erano le notti quelle che trovavo sicure, pensò lei.
Kelsier me le aveva date.
«Cosa c'è che non va?» chiese Elend. Come poteva qualcuno, perfino un nobiluomo, essere così lento ad alzarsi, così indifferente alla vulnerabilità che mostrava nel dormire?
Lei rinfoderò il pugnale. Cosa posso dirgli? Come posso proteggerlo da qualcosa che vedo a malapena? Aveva bisogno di pensare. «Non è stato nulla» mormorò.
«Solo io... ancora nervosa.»
Elend si rotolò fuori, sospirando con aria contenta. «Spook sta facendo la sua ricognizione mattutina?»
«Sì.»
«Svegliami quando torna.»
Vin annuì, ma probabilmente lui non poteva vederla. Si inginocchiò, osservandolo mentre il sole saliva dietro di lei. Si era data completamente a lui, non solo col corpo né col cuore. Aveva abbandonato ogni sua razionalizzazione, aveva messo da parte tutte le sue riserve per Elend. Non poteva più permettersi di pensare di non essere degna di lui, non poteva più concedersi il falso conforto di credere che non sarebbero mai stati insieme.
Non si era mai fidata di qualcuno fino a questo punto. Non di Kelsier, non di Sazed, non di Reen. Elend aveva tutto. Quella consapevolezza la fece tremare dentro. Se avesse perduto lui, avrebbe perduto sé stessa.
Non devo pensare a questo!, si disse alzandosi. Lasciò la tenda, richiudendo silenziosamente i lembi dietro di sé. In lontananza le ombre si mossero. Spook apparve un attimo dopo.
«C'è decisamente qualcuno là dietro» disse lui piano. «Non spiriti, Vin. Cinque uomini, con un campo.»
Vin si accigliò. «Ci seguono?»
«Di sicuro.»
Esploratori di Straff, comprese lei. «Lasceremo decidere a Elend cosa fare con loro.»
Spook scrollò le spalle, accostandosi a lei per sedersi sulla roccia. «Hai intenzione di svegliarlo?»
Vin si voltò indietro. «Lascialo dormire ancora un po'.»
Spook si strinse di nuovo nelle spalle. La osservò mentre lei si dirigeva alla buca per il fuoco e scopriva la legna che avevano messo al riparo la notte prima, per poi iniziare ad accendere un fuoco.
«Sei cambiata, Vin» osservò Spook.
Lei continuò a lavorare. «Tutti cambiano» ribatté. «Non sono più una ladra e ho degli amici che mi sostengono.»
«Non è questo che intendo» chiarì Spook. «Voglio dire di recente. Quest'ultima settimana. Sei diversa da com'eri prima.»
«Diversa come?»
«Non lo so. Non sembri spaventata tutto il tempo.»
Vin esitò. «Ho preso delle decisioni. Su chi sono e su chi sarò. Su cosa voglio.»
Lavorò in silenzio per un momento e infine riuscì a far attecchire una scintilla.
«Sono stanca di misurarmi con l'idiozia» disse infine. «Di altre persone e mia. Ho deciso di agire, invece di stare a lambiccarmi. Forse è un modo più immaturo di guardare le cose. Ma mi sembra giusto, per ora.»
«Non è immaturo» disse Spook.
Vin sorrise, alzando gli occhi su di lui. A sedici anni e non ancora del tutto cresciuto, aveva la stessa età che aveva lei quando era stata reclutata da Kelsier.
Stava socchiudendo gli occhi contro la luce, anche se il sole era basso.
«Smorza il tuo stagno» gli consigliò Vin. «Non è necessario tenerlo così forte.»
Spook scrollò le spalle. Lei poteva vedere l'incertezza in lui. Voleva così fortemente essere utile. Vin conosceva quella sensazione.
«E tu, Spook?» chiese lei, voltandosi per prendere le provviste per la colazione.
Ancora brodo e pagnotte. «Cos'hai fatto di recente?»
Lui scrollò le spalle ancora una volta.
Mi ero quasi dimenticata di com'era tentare di avere una conversazione con un adolescente, pensò lei sorridendo.
«Spook...» esitò, come saggiando il suo nome. «Cosa pensi di quel soprannome, comunque? Ricordo quando tutti ti chiamavano col tuo vero nome.» Lestibournes...
Vin aveva cercato di sillabarlo, una volta: era arrivata a malapena a cinque lettere.
«Kelsier mi ha dato il mio nome» rispose Spook, come se fosse una ragione sufficiente per mantenerlo. E forse lo era. Vin vedeva lo sguardo negli occhi di Spook quando menzionava Kelsier; Clubs poteva essere lo zio di Spook, ma era stato Kelsier quello che lui aveva preso a modello.
Ovviamente Kelsier era stato il modello di tutti.
«Vorrei essere potente, Vin» le confidò Spook piano, le braccia che gli cingevano le ginocchia mentre sedeva sulla roccia. «Come te.»
«Hai le tue capacità.»
«Stagno?» chiese Spook. «Quasi inutile. Se fossi un Mistborn, potrei fare grandi cose. Essere una persona importante.»
«Essere importante non è così meraviglioso, Spook» ribatté Vin, ascoltando le pulsazioni nella sua testa. «La maggior parte del tempo è solo irritante.»
Spook scosse il capo. «Se fossi Mistborn, potrei salvare la gente, aiutare quelli che hanno bisogno. Potrei impedire che la gente morisse. Ma sono solo Spook.
Debole. Un codardo.»
Vin lo guardò, accigliandosi, ma aveva la testa chinata e lui non incontrava i suoi occhi.
E questo cosa voleva dire?, si domandò.
Sazed usò un po' di forza per aiutarlo a salire i gradini tre alla volta. Sbucò dalle scale appena dietro Tindwyl, e poi loro due si unirono ai restanti membri della banda in cima alle mura. I tamburi suonavano ancora; ognuno aveva un diverso ritmo nel riecheggiare sopra la città. Quel miscuglio di colpi riverberava in modo caotico da edifici e vicoli.
L'orizzonte settentrionale sembrava spoglio senza l'esercito di Straff. Se solo quello stesso vuoto si fosse esteso a nordest, dove l'accampamento koloss pareva in subbuglio.
«Qualcuno riesce a distinguere cosa sta succedendo?» chiese Breeze.
Ham scosse il capo. «Troppo distante.»
«Uno dei miei esploratori è un Percettore» spiegò Clubs, zoppicando verso di loro. «È stato lui a dare l'allarme. Ha detto che i koloss stavano combattendo.»
«Mio caro,» obiettò Breeze «quelle orrende creature non combattono sempre?»
«Molto spesso» disse Clubs. «Enormi risse.»
Sazed provò un rapido barlume di speranza. «Stanno combattendo?» chiese.
«Forse si uccideranno a vicenda!»
Clubs lo squadrò con una di quelle sue occhiate. «Leggi uno dei tuoi libri, Terrisiano. Cosa insegnano sulle emozioni dei koloss?»
«Che ne hanno solo due» rispose Sazed. «Noia e rabbia. Ma...»
«Questo è il modo in cui cominciano sempre una battaglia» interloquì Tindwyl piano. «Iniziano combattendo fra loro, facendo infuriare un numero sempre maggiore, e poi...»
Lasciò morire la frase, e Sazed lo vide. La macchia scura a est diventava più chiara. Si disperdeva. Si separava in membri individuali.
Per assaltare la città.
«Dannazione» imprecò Clubs, poi cominciò a zoppicare rapidamente giù dalle scale. «Via i messaggeri!» urlò. «Arcieri sulle mura! Difendete le grate del fiume!
Battaglioni, in posizione! Pronti a combattere! Volete che quelle cose facciano irruzione qui e prendano i vostri bambini?»
Seguì il caos. Gli uomini cominciarono a precipitarsi in tutte le direzioni. I soldati si affrettarono a salire per le scale, intasando la via per scendere, impedendo alla banda di muoversi.
Sta accadendo, pensò Sazed nella sua mente intorpidita.
«Una volta che le scale saranno sgombre,» disse con calma Dockson «voglio che ciascuno di voi vada al proprio battaglione. Tindwyl, tu hai il Cancello di Stagno, a nord della Fortezza Venture. Potrei aver bisogno dei tuoi consigli, ma per ora resta con quei ragazzi. Ti ascolteranno: rispettano i Terrisiani. Breeze, tu hai uno dei tuoi Sedatori in ciascun battaglione da quattro a dodici?»
Breeze annuì. «Non sono molto, ma...»
«Fa' solo in modo che mantengano quei ragazzi a combattere!» esclamò Dockson.
«Non lasciare che i nostri uomini vadano in rotta!»
«Mille uomini sono troppi perché un solo Sedatore li possa gestire, amico mio»
disse Breeze.
«Ordina loro di fare il meglio che possono» ribatté Dockson. «Tu e Ham prendete il Cancello di Peltro e il Cancello di Zinco: sembra che sarà lì che i koloss colpiranno per primi. Clubs dovrebbe portare dei rinforzi.»
I due uomini annuirono; poi Dockson guardò Sazed. «Sai dove andare?»
«Sì... sì, penso di sì» rispose Sazed, afferrandosi al muro. Nell'aria, fiocchi di cenere iniziarono a cadere dal cielo.
«Va', allora!» disse Dockson mentre un'ultima squadra di arcieri spuntava dalle scale.
«Mio lord Venture!»
Straff si voltò. Con degli stimolanti, era in grado di rimanere abbastanza in forze da restare in sella, anche se non si sarebbe arrischiato a combattere. Naturalmente non si sarebbe battuto comunque. Non era sua abitudine. Era per quello che portava con sé le armate.
Voltò il suo animale mentre il messaggero si avvicinava. L'uomo sbuffò, mettendosi le mani sulle ginocchia mentre si fermava accanto alla cavalcatura di Straff, mentre dei pezzetti di cenere turbinavano ai suoi piedi.
«Mio signore» disse l'uomo. «L'esercito koloss ha attaccato Luthadel!»
Proprio come avevi detto tu, Zane, pensò Straff meravigliato.
«I koloss attaccano?» chiese lord Janarle, accostando il proprio cavallo a quello di Straff. L'avvenente lord si accigliò, poi fissò Straff. «Ve lo aspettavate, mio signore?»
Janarle pareva impressionato.
«Trasmetti un altro ordine agli uomini, Janarle» comandò Straff. «Voglio che questa colonna inverta la marcia e si diriga verso Luthadel!»
«Possiamo essere lì in un'ora, mio signore!» disse Janarle.
«No» replicò Straff. «Prendiamocela comoda. Non vorremo affaticare le nostre truppe, vero?»
Janarle sorrise. «Certo che no, mio signore.»
Le frecce parevano avere poco effetto sui koloss.
Sazed rimase immobile, paralizzato e sgomento, in cima alla torre di guardia del cancello. Non era ufficialmente al comando degli uomini, perciò non aveva nessun ordine da impartire. Se ne stava semplicemente con gli esploratori e i messaggeri, in attesa di vedere se era necessario o no.
Questo gli lasciò tempo in abbondanza per osservare l'orrore rivelarsi. I koloss non stavano ancora caricando la sua sezione delle mura, per fortuna, e i suoi uomini stavano a osservare in preda alla tensione mentre le creature si avventavano contro Il Cancello di Stagno e il Cancello di Peltro in lontananza.
Perfino da quella distanza - con la torre che gli permetteva di dominare la parte della città dove si trovava il Cancello di Stagno - Sazed poteva vedere i koloss correre nel bel mezzo di raffiche di frecce. Alcuni di quelli più piccoli parevano essere crollati a terra morti o feriti, ma la maggior parte continuò la carica. Gli uomini accanto a lui sulla torre mormorarono.
Non siamo pronti per questo, pensò Sazed. Anche con mesi per prepararci e fare piani, non siamo pronti.
Ecco quello che abbiamo ottenuto, a essere governati da un dio per mille anni.
Mille anni di pace... pace tirannica, ma comune pace. Non abbiamo generali: abbiamo uomini che sanno ordinare che gli venga preparato un bagno. Non abbiamo strateghi: abbiamo burocrati. Non abbiamo guerrieri: abbiamo dei ragazzini con dei bastoni.
Perfino mentre fissava il loro imminente destino, la sua mente da studioso ragionava in modo analitico. Attingendo vista, potè scorgere che molte delle creature in lontananza - in particolar modo quelle più grosse - portavano piccoli alberi sradicati. Erano pronti, a loro modo, per fare irruzione nella città. Gli alberi non sarebbero stati efficaci come veri arieti d'assedio, ma d'altro canto i cancelli cittadini non erano stati costruiti per sopportare un vero e proprio assedio.
Questi koloss sono più intelligenti di come li avevamo considerati, si rese conto.
Riescono a riconoscere il valore astratto delle monete, anche se non hanno un'economia. Riescono a capire di aver bisogno di strumenti per abbattere le nostre porte, anche se non sanno come costruirli.
La prima ondata di koloss raggiunse le mura. Uomini iniziarono a scagliare giù pietre e altri oggetti. Lo stesso settore di Sazed aveva simili pile, una proprio accanto all'arcata del cancello, e lui si trovava lì vicino. Ma le frecce non avevano quasi effetto: a cosa sarebbero servite poche rocce? I koloss si accalcarono alla base del muro, come acqua di un fiume arrestata da una diga. Tonfi distanti risuonarono mentre le creature iniziavano a percuotere i cancelli.
«Battaglione sedici!» chiamò un messaggero da sotto, salendo sul cancello di Sazed. «Lord Culee!»
«Eccomi!» gridò un uomo dalla cima delle mura accanto alla torre di Sazed.
«Il Cancello di Peltro ha bisogno immediato di rinforzi! Lord Penrod vi ordina di portare sei compagnie e seguirmi!»
Lord Culee iniziò a impartire gli ordini. Sei compagnie... pensò Sazed. Seicento dei nostri mille. Le parole di Clubs di prima gli ritornarono in mente: ventimila uomini possono sembrare molti, finché non li si vede distribuiti in ranghi tanto sottili.
Le sei compagnie marciarono via, lasciando il cortile davanti al cancello di Sazed preoccupantemente vuoto.
I quattrocento uomini rimasti - trecento nel cortile, cento sulle mura - si muovevano in silenzio, agitati.
Sazed chiuse gli occhi e attinse dalla sua stagnoscorta dell’'udito. Poteva sentire...
legno che batteva contro legno. Urla. Urla umane. Rilasciò rapidamente la stagnoscorta, poi attinse di nuovo vista, sporgendosi in fuori e guardando verso la sezione di mura dove si stava combattendo la battaglia. I koloss stavano tirando indietro le rocce che gli erano state scagliate, ed erano molto più precisi dei difensori. Sazed sobbalzò alla vista della testa fracassata di un giovane soldato, il suo corpo gettato giù dalle mura per la forza del colpo. Sazed rilasciò la stagnoscorta, con respiro affannoso.
«Siate saldi, uomini!» gridò uno dei soldati sulle mura. Non era che un adolescente. Un nobile, ma non poteva avere più di sedici anni. Naturalmente, molti degli uomini nell’'esercito avevano quell'età.
«Restate saldi» ripetè il giovane comandante. La sua voce suonava incerta, e si spense quando notò qualcosa in lontananza. Sazed si voltò, seguendo lo sguardo del ragazzo.
I koloss si erano stancati di starsene lì ad ammassarsi contro un singolo cancello.
Si stavano muovendo per circondare la città, e grossi gruppi di loro si staccavano per guadare il fiume Channerel verso altri cancelli.
Cancelli come quello di Sazed.
Vin atterrò proprio nel mezzo del campo. Gettò una manciata di polvere di peltro nella buca del fuoco, poi Spinse, sollevando braci, fuliggine e fumo su un paio di guardie sorprese, che stavano preparando la colazione. Si protese e Tirò fuori i picchetti dalle tre piccole tende.
Tutte e tre crollarono. Una era vuota, ma delle urla provennero dalle altre due. I teloni delinearono delle figure confuse che si dibattevano, una nella tenda più grande, due in quella più piccola.
Le guardie barcollarono all'indietro, sollevando le braccia per proteggersi gli occhi dalla fuliggine e dalle scintille, mentre le loro mani andavano alle spade. Vin sollevò un pugno verso di loro... e mentre sbattevano le palpebre per schiarirsi gli occhi, lei lasciò cadere a terra un'unica moneta.
Le guardie si immobilizzarono, poi allontanarono le mani delle loro spade. Vin scrutò le tende. La persona al comando si sarebbe trovata dentro a quella più grande, e quello era l'uomo con cui doveva trattare. Probabilmente uno dei capitani di Straff, anche se le guardie non portavano le insegne dei Venture. Forse...
Jastes Lekal fece capolino dalla tenda, imprecando mentre si districava dai teloni.
Era cambiato molto nei due anni dall’'ultima volta in cui Vin l'aveva visto.
Comunque c'erano stati indizi su che uomo sarebbe diventato. La sua figura esile era diventata allampanata; la testa dalla calvizie incipiente aveva esaudito la sua promessa. Eppure, come aveva fatto il suo volto a diventare così smunto, così vecchio? Aveva la stessa età di Elend.
«Jastes» si stupì Elend, uscendo dal suo nascondiglio nella foresta. Entrò nella radura, con Spook al suo fianco. «Perché sei qui?»
Jastes riuscì a mettersi in piedi mentre gli altri due soldati si erano liberati dalla loro tenda. Fece loro cenno di rimanere dov'erano. «El,» esordì «io... non sapevo dove altro andare. I miei esploratori mi hanno detto che stavi fuggendo, e pareva una buona idea. Dovunque tu stia andando, voglio venire con te. Possiamo nasconderci lì, forse. Possiamo...»
«Jastes!» esclamò Elend, avvicinandosi a grandi passi per mettersi accanto a Vin.
«Dove sono i tuoi koloss? Li hai mandati via?»
«Ho provato» disse Jastes, abbassando gli occhi. «Non volevano andarsene... non dopo aver visto Luthadel. E poi...»
«Cosa?» domandò Elend.
«Un incendio» raccontò Jastes. «Ai nostri... carri di rifornimenti.»
Vin si accigliò.
«I vostri carri di rifornimenti?» chiese Elend. «I carri in cui trasportavi le tue monete di legno?» «Sì.»
«Lord Reggente, amico!» esclamò Elend, venendo avanti. «E tu li hai semplicemente lasciati lì, senza una guida, fuori dalle nostre case?»
«Mi avrebbero ucciso, El!» si giustificò Jastes. «Stavano cominciando a lottare così tanto, a esigere più monete, a chiedere che attaccassimo la città. Se fossi rimasto, mi avrebbero massacrato! Sono bestie... bestie che hanno a malapena la forma di un uomo.»
«E tu te ne sei andato» disse Elend. «Hai abbandonato Luthadel a loro.»
«Anche tu l'hai abbandonata» replicò Jastes. Avanzò, le mani supplicanti mentre si avvicinava a Elend. «Ascolta, El. So che ho sbagliato. Pensavo di poterli controllare. Non avevo intenzione che accadesse questo!»
Elend rimase in silenzio, e Vin potè vedere della durezza farsi strada nei suoi occhi. Non una durezza pericolosa come quella di Kelsier. Più un... portamento regale. Il senso che lui fosse più di quello che voleva essere. Si erse dritto, guardando dall'alto in basso l'uomo implorante davanti a lui.
«Hai radunato un esercito di mostri violenti e li hai condotti in un dispotico assalto, Jastes» gli rinfacciò Elend. «Hai causato il massacro di villaggi innocenti.
Poi hai abbandonato quell'esercito senza una guida o controllo fuori dalla città più popolata di tutto l'Ultimo Impero.»
«Perdonami» implorò Jastes.
Elend fissò l'uomo negli occhi. «Ti perdono» disse con calma. Poi, con un movimento fluido, estrasse la spada e spiccò la testa di Jastes dalle spalle. «Ma il mio regno non può.»
Vin rimase a fissare la scena inebetita mentre il cadavere crollava a terra. I soldati di Jastes urlarono, estraendo le armi. Elend si voltò, con espressione solenne, e sollevò la punta della propria spada verso di loro. «Credete che questa sentenza sia stata eseguita ingiustamente?»
Le guardie esitarono. «No, mio signore» rispose infine uno di loro, abbassando lo sguardo.
Elend si inginocchiò e ripulì la sua spada sul mantello di Jastes. «Considerando ciò che ha fatto, è una morte migliore di quella che meritava.» Elend rinfoderò l'arma. «Ma era mio amico. Seppellitelo. Una volta che avrete terminato, sarete liberi di viaggiare con me fino a Terris, oppure potete tornare alle vostre case.
Scegliete come volete.» Detto questo, ritornò nei boschi.
Vin indugiò, guardando le guardie. Solennemente, quelle si mossero per prendere il corpo. Lei fece un cenno col capo a Spook, poi scattò verso la foresta dietro a Elend. Non dovette andare lontano. Lo trovò seduto su una roccia poco distante, che fissava il terreno. Era cominciata a cadere una pioggia di cenere, ma molti dei fiocchi rimanevano impigliati fra gli alberi, rivestendo le foglie come muschio nero.
«Elend?» domandò lei.
Lui alzò gli occhi, guardando verso la foresta. «Non sono sicuro del perché l'ho fatto, Vin» disse piano. «Perché dovrei essere io colui che porta giustizia? Non sono nemmeno re. Eppure doveva essere fatto. L'ho sentito, e lo sento ancora.»
Lei gli appoggiò una mano sulla spalla.
«È il primo uomo che abbia mai ucciso» le confidò Elend. «Lui e io avevamo certi sogni, un tempo: avremmo alleato due delle più potenti casate imperiali, unendo Luthadel come mai in precedenza. Il nostro non sarebbe stato un trattato basato sulla cupidigia, ma una vera alleanza politica stipulata per aiutare a rendere la città un posto migliore.»
Elend alzò lo sguardo verso di lei. «Ora credo di capire come devi sentirti, Vin. In un certo senso, siamo entrambi pugnali... siamo entrambi strumenti. Non l'uno per l'altro, ma per questo regno. Per questa gente.»
Lei lo cinse con le braccia, tenendolo a sé, appoggiandogli la testa contro il proprio petto. «Mi dispiace» sussurrò.
«Doveva essere fatto» disse lui. «La parte più triste è che lui ha ragione. Anch'io li ho abbandonati. Dovrei prendere la mia stessa vita con questa spada.»
«Tu te ne sei andato per una buona ragione, Elend» gli ricordò Vin. «Te ne sei andato per proteggere Luthadel e fare in modo che Straff non attaccasse.»
«E se i koloss attaccassero prima di Straff?»
«Forse non lo faranno» ipotizzò Vin. «Non hanno un capo... forse attaccheranno l'esercito di Straff, invece.»
«No» disse la voce di Spook. Vin si voltò, vedendolo avvicinarsi attraverso la foresta, strizzando gli occhi contro la luce.
Quel ragazzo brucia fin troppo stagno, pensò.
«Cosa intendi?» chiese Elend girandosi.
Spook abbassò lo sguardo. «Non attaccheranno l'esercito di Straff, El. Non sarà più lì.»
«Cosa?» domandò Vin.
«Io...» Spook distolse lo sguardo, la vergogna che appariva sul suo volto.
'Sono un codardo.' A Vin tornarono in mente le sue parole di prima. «Tu sapevi»
lo accusò Vin. «Sapevi che i koloss avrebbero attaccato.»
Spook annuì.
«Questo è ridicolo» fece Elend. «Non potevi sapere che Jastes ci stava seguendo.»
«Non lo sapevo» disse Spook, mentre un grumo di cenere cadeva da un albero dietro di lui, distruggendosi nel vento e svolazzando al suolo in centinaia di fiocchi diversi. «Ma mio zio ha capito che Straff avrebbe ritirato il suo esercito e lasciato che i koloss attaccassero la città. Ecco perché Sazed ha deciso di mandarci via.»
Vin fu attraversata da un brivido improvviso.
'Ho scoperto l'ubicazione del Pozzo dell'Ascensione' aveva detto Sazed. 'A nord.
Nelle Montagne di Terris...'
«È stato Clubs a dirtelo?» stava chiedendo Elend.
Spook annuì.
«E tu non mi hai informato?» domandò Elend, alzandosi in piedi.
Oh, no...
Spook esitò, poi scosse il capo. «Avresti voluto tornare indietro! Io non volevo morire, El! Mi dispiace. Sono un codardo.» Si fece piccolo, lanciando un'occhiata alla spada di Elend, ritraendosi.
Elend esitò quando realizzò che si stava avvicinando al ragazzo. «Non ho intenzione di farti del male, Spook» disse. «Sono solo deluso da te.» Spook abbassò gli occhi, poi si lasciò cadere a terra, sedendosi con la schiena contro un pioppo.
Le pulsazioni, si fanno più deboli...
«Elend» sussurrò Vin.
Lui si voltò.
«Sazed ha mentito. Il Pozzo non è a nord.»
«Cosa?»
«È a Luthadel.»
«Vin, questo è ridicolo. L'avremmo trovato.»
«Ma non l'abbiamo fatto» ribatté lei con decisione, alzandosi e guardando a sud.
Concentrandosi, poteva percepire le pulsazioni che si riversavano su di lei. La attiravano.
A sud.
«Il Pozzo non può essere a sud» disse Elend. «Secondo tutte le leggende, è situato a nord, fra le Montagne di Terris.»
Vin scosse il capo, confusa. «Si trova lì» gli assicurò. «Ne sono certa. Non so come, ma è lì.»
Elend la guardò, poi annuì, fidandosi dei suoi istinti.
Oh, Sazed, pensò lei. Probabilmente avevi buone intenzioni, ma potresti averci condannato tutti. Se la città fosse caduta in mano ai koloss...
«Quanto in fretta possiamo tornare?» chiese Elend.
«Dipende» rispose lei.
«Tornare?» chiese Spook, alzando gli occhi. «El, sono tutti morti. Mi hanno detto di rivelarvi la verità una volta giunti a Tathingdwen, in modo che non rimaneste uccisi scalando le montagne in inverno per niente. Ma quando Clubs mi ha parlato, è stato anche per dirmi addio. Potevo leggerglielo negli occhi. Sapeva che non mi avrebbe più rivisto.»
Elend indugiò e Vin potè vedere un momento di incertezza nei suoi occhi. Un guizzo di dolore. Conosceva quelle emozioni, poiché la colpirono allo stesso momento.
Sazed, Breeze, Ham...
Elend l'afferrò per un braccio. «Tu devi andare, Vin» la esortò. «Potrebbero esserci dei sopravvissuti... profughi. Avranno bisogno del tuo aiuto.»
Lei annuì, la fermezza nella stretta di Elend - la determinazione nella sua voce -
che le dava forza.
«Spook e io ti seguiremo» continuò. «Dovremmo impiegarci solo un paio di giorni di dura cavalcata. Ma un allomante col peltro può andare più veloce di qualunque cavallo sulle lunghe distanze.»
«Non voglio lasciarti» sussurrò lei.
«Lo so.»
Era comunque dura. Come poteva correre via e lasciarlo, quando lo aveva appena scoperto di nuovo? Tuttavia poteva percepire il Pozzo dell'Ascensione con urgenza ancora maggiore adesso che era certa della sua ubicazione. E se qualcuno dei suoi amici fosse realmente sopravvissuto all'attacco...
Vin digrignò i denti, poi aprì la sua sacca e tirò fuori quello che rimaneva della polvere di peltro. La trangugiò con una sorsata d'acqua dalla sua fiasca. Scendendo le raschiò la gola. Non è molto, pensò. Non mi manderà in peltrazione a lungo.
«Sono tutti morti» borbottò di nuovo Spook.
Vin si voltò. Le pulsazioni risuonavano con insistenza. Da sud.
Sto arrivando.
«Elend,» disse lei «per favore, fa' qualcosa per me. Non dormire di notte, quando ci sono le nebbie. Viaggia durante la notte, se puoi, e rimani sempre in guardia. Sta'
attento allo spirito di nebbia: penso che possa volerti fare del male.»
Lui si accigliò, ma annuì.
Vin avvampò peltro, poi partì di corsa verso la strada maestra.