C’era un ruolo per me, nella tradizione della Venuta: pensai a me stesso come all'Annunciatore, il profeta che avrebbe scoperto il Campione delle Ere. Rinunciare ad Alendi sarebbe stato rinunciare alla mia nuova posizione, al mio essere accettato dagli altri. Così non lo feci.

34

«Non funzionerà» pronosticò Elend scuotendo il capo. «Ci serve una decisione unanime - meno la persona da escludere, ovviamente - per deporre un membro dell'Assemblea. Non riusciremmo mai a estromettere tutti e otto i mercanti.»

Ham pareva un po' depresso. Elend sapeva che a Ham piaceva considerarsi un filosofo; in effetti aveva una mente portata ai ragionamenti astratti. Però non era uno studioso. Prediligeva riflettere su domande e risposte, ma non aveva l'esperienza dello studio meticoloso di un testo, cercandone i significati e le implicazioni.

Elend lanciò un'occhiata a Sazed, che sedeva con un libro aperto sul tavolo di fronte a lui. Il Custode aveva almeno una dozzina di volumi attorno a sé, seppure, cosa divertente, le sue pile erano disposte in modo ordinato, i dorsi che puntavano nella stessa direzione, le copertine pareggiate. I cumuli di Elend avevano una caratteristica disposizione irregolare, pagine di appunti che spuntavano ad angoli strani.

Era sorprendente quanti libri si potevano far entrare in una stanza, supponendo di non muoversi molto in giro. Ham

sedeva sul pavimento, una piccola pila di libri accanto a lui, anche se passava la maggior parte del tempo esprimendo un'idea o un'altra. Tindwyl aveva una sedia e non studiava. La Terrisiana trovava perfettamente accettabile addestrare Elend come re; però si rifiutava di fare ricerche e fornire proposte su come mantenere il trono.

Ai suoi occhi, questo pareva travalicare qualche linea invisibile fra l'essere un'educatrice e una persona che faceva politica attiva.

È un bene che Sazed non sia come lei, pensò Elend. Altrimenti il lord Reggente sarebbe ancora al potere. In effetti, Vin e io saremmo probabilmente morti: in realtà fu Sazed a liberarla quando venne imprigionata dagli Inquisitori. Non io.

Non gli piaceva ripensare a quel fatto. Il suo pasticciato tentativo di liberare Vin ora sembrava una metafora per tutto quello che aveva fatto di sbagliato nella sua vita. Era sempre stato animato da buone intenzioni, ma di rado aveva portato qualcosa a compimento. Questo sarebbe cambiato.

«Che ne dite di questo, Vostra Maestà?» Chi aveva parlato era l'unica altra persona nella stanza, un erudito di nome Noorden. Elend cercava di ignorare gli intricati tatuaggi attorno agli occhi dell'uomo, segno della vita precedente di Noorden come stipulatore. Portava grossi occhiali per cercare di nasconderli, ma una volta aveva rivestito una posizione piuttosto di rilievo all'interno del Culto d'Acciaio. Poteva aver rinunciato alle sue credenze, ma i tatuaggi sarebbero rimasti per sempre.

«Cos'hai trovato?» chiese Elend.

«Delle informazioni su lord Cett, Vostra Maestà» rispose Noorden. «Erano in uno dei registri che avete preso dal palazzo del lord Reggente. Pare che Cett non sia così indifferente alla politica di Luthadel come vorrebbe farci credere.» Noorden ridacchiò fra sé a quel pensiero.

Elend non aveva mai incontrato uno stipulatore allegro prima. Forse era quello il motivo per cui Noorden non aveva lasciato la città come molti del suo ordine; non sembrava certo adatto a farne parte. Era solo uno dei diversi uomini che Elend era stato in grado di trovare per ricoprire il ruolo di scribi e burocrati nel suo nuovo regno.

Elend esaminò la pagina di Noorden. Anche se sul foglio c'erano più numeri che parole, la sua mente da studioso

analizzò facilmente le informazioni. Cett aveva intrattenuto molti commerci con Luthadel. Buona parte del lavoro era stata fatta usando casate minori come prestanome. Questo poteva ingannare i nobili, ma non gli stipulatori, che dovevano essere informati sui termini di ogni accordo.

Noorden passò il registro a Sazed, il quale esaminò i numeri.

«Dunque,» disse Noorden «lord Cett voleva far credere di non aver legami con Luthadel, e la barba e il suo atteggiamento servivano solo a rafforzare quell'impressione. Tuttavia è sempre andato per il sottile con i suoi affari qui.»

«Questo cosa ci dice, quindi?» domandò Sazed.

«Che Cett è molto più abile in questo gioco di quanto non voglia far credere alla gente.» Elend si alzò e superò con un'ampia falcata una pila di libri nel tornare verso la sedia. «Ma penso che questo fosse già evidente ieri dal modo in cui ha manipolato me e l'Assemblea.»

Noorden ridacchiò. «Avreste dovuto vedere tutte le vostre facce, Vostra Maestà.

Quando Cett si è rivelato, alcuni dei delegati nobili sono letteralmente saltati sulla sedia! Credo che il resto di voi fosse troppo sbalordito per...»

«Noorden?» lo interruppe Elend.

«Sì, Vostra Maestà?»

«Per favore, concentrati sul tuo compito attuale.»

«Ehm, sì, Vostra Maestà.»

«Sazed?» chiese Elend. «Cosa ne pensi?»

Sazed alzò gli occhi dal suo libro, una versione codificata e annotata della costituzione cittadina, scritta da Elend stesso. Il Terrisiano scosse il capo. «Avete fatto un ottimo lavoro con questo, ritengo. Riesco a trovare pochissimi modi per impedire l'elezione di lord Cett, nel caso l'Assemblea lo scegliesse.»

«Siete stato fin troppo competente?» domandò Noorden.

«Un problema che, purtroppo, ho avuto di rado» disse Elend, sedendosi e sfregandosi gli occhi.

È così che Vin si sente tutto il tempo?, si chiese. Dormiva meno di lui ed era sempre in giro, a correre, combattere, spiare. Eppure sembrava sempre riposata.

Elend stava cominciando a cedere dopo solo un paio di giorni di studio intenso.

Concentrati, si intimò. Devi conoscere i tuoi nemici per poterli affrontare.

Dev'esserci una via d'uscita da tutto questo.

Dockson stava ancora compilando alcune lettere per gli altri delegati. Elend voleva incontrarsi con quelli che avessero voluto. Purtroppo aveva la sensazione che sarebbero stati in pochi. Lo avevano deposto e adesso era stata presentata loro un'alternativa che sembrava una facile soluzione ai loro problemi.

«Vostra Maestà,» disse Noorden lentamente «pensate forse che dovremmo lasciare che Cett prenda il trono? Voglio dire... cosa potrebbe fare di tanto grave?»

Elend si fermò. Una delle ragioni per cui si avvaleva dell'ex stipulatore era per via del diverso punto di vista di Noorden. Non era uno skaa; né era un alto nobile. Non era un ladro. Era solo un ometto erudito che si era unito al Culto perché gli aveva offerto un'alternativa migliore al diventare un mercante.

Per lui, la morte del lord Reggente era stata una catastrofe che aveva distrutto il suo intero stile di vita. Non era un uomo cattivo, ma non aveva una reale comprensione delle condizioni degli skaa.

«Cosa ne pensi delle leggi da me scritte, Noorden?» chiese Elend.

«Sono geniali, Vostra Maestà» rispose Noorden. «Acute rappresentazioni degli ideali professati dai vecchi filosofi, assieme a una forte componente di realismo moderno.»

«Cett rispetterà queste leggi?» domandò Elend.

«Non lo so. Non l'ho mai davvero incontrato.»

«Cosa ti dice il tuo istinto?»

Noorden esitò. «No» dichiarò infine. «Non è il tipo d'uomo che governa secondo la legge. Fa solo ciò che vuole.»

«Porterebbe solo il caos» considerò Elend. «Guarda le informazioni che abbiamo dalla sua patria e dai luoghi che ha conquistato. Sono in fermento. Ha lasciato un guazzabuglio di mezze alleanze e promesse, con minacce di invasione che fungono da filo che tiene insieme a malapena tutto quanto. Dargli il controllo di Luthadel ci porterebbe solo a un altro Crollo.»

Noorden si grattò la guancia, poi annuì pensieroso e tornò alla lettura.

Posso convincerlo, pensò Elend. Se solo potessi fare lo stesso con gli altri delegati...

Ma Noorden era uno studioso: pensava come Elend. Per lui i fatti logici erano sufficienti, e una promessa di stabilità aveva più valore di una di ricchezza. L'Assemblea era tutto un altro paio di maniche. I nobili volevano un ritorno a quello che avevano conosciuto prima; i mercanti vi vedevano un'opportunità per ottenere i tìtoli che avevano sempre invidiato; gli skaa erano semplicemente preoccupati di un brutale massacro.

Eppure perfino quelle erano generalizzazioni. Lord Penrod vedeva sé stesso come il patriarca della città: il nobiluomo di alto rango, quello che doveva portare una misura di moderazione conservatrice ai loro problemi. Kinaler, uno di quelli che lavoravano nelle acciaierie, era preoccupato che la Dominazione Centrale avesse bisogno di un'intesa con i regni attorno a essa, e vedeva un'alleanza con Cett come il modo migliore per proteggere Luthadel nel lungo periodo.

Ciascuno dei ventitré delegati aveva i propri pensieri, obiettivi e problemi. Quella era stata l'intenzione di Elend: in un ambiente del genere le idee proliferavano. Solo non si era aspettato che così tante di quelle idee contraddicessero le sue.

«Avevi ragione, Ham» ammise Elend voltandosi.

Ham alzò gli occhi, sollevando un sopracciglio.

«Quando tutto questo è iniziato, tu e gli altri volevate stringere un'alleanza con uno degli eserciti: consegnare la città in cambio di mantenerla al sicuro dagli altri.»

«Mi ricordo» disse Ham.

«Be', è proprio questo ciò che vuole la gente» fece Elend. «Con o senza il mio consenso, pare che siano intenzionati a consegnare la città a Cett. Avremmo dovuto seguire il vostro piano.»

«Vostra Maestà?» replicò Sazed in tono calmo.

«Sì?»

«Le mie scuse, ma non è vostro compito fare quello che vuole la gente.»

Elend sbatté le palpebre. «Sembri parlare come Tindwyl.»

«Ho conosciuto poche persone sagge come lei, Vostra Maestà» disse Sazed, lanciandole un'occhiata.

«Be', non sono d'accordo con nessuno di voi due» ribatte Elend. «Un governante dovrebbe comandare solo in funzione del consenso delle persone che governa.»

«Io non sono in disaccordo con questo, Vostra Maestà» disse Sazed. «O, almeno, credo nella teoria che sta alla base.

Ciò nonostante, non credo comunque che il vostro compito sia fare ciò che desidera la gente. Il vostro dovere è comandare meglio che potete, seguendo i dettami della vostra coscienza. Dovete essere fedele all'uomo che intendete diventare, Vostra Maestà. Se quell'uomo non è colui che il popolo vuole a comandarlo, sceglierà qualcun altro.»

Elend esitò. È ovvio, si disse. Se non devo essere un'eccezione alle mie stesse leggi, non dovrei essere un'eccezione nemmeno per la mia stessa etica.

Le parole di Sazed non erano che una parafrasi di cose dette da Tindwyl sulla fiducia in sé stessi, ma la spiegazione di Sazed sembrava migliore. Più sincera.

«Cercare di indovinare cosa la gente desidera che voi facciate condurrà solo al caos, ritengo» osservò Sazed. «Non potete accontentarli tutti, Elend Venture.»

La finestrella di ventilazione dello studio si aprì di botto e Vin vi passò attraverso, tirandosi dietro uno sbuffo di nebbia. Richiuse la finestra, poi esaminò la stanza.

«Altri?» chiese in tono incredulo. «Hai trovato altri libri?»

«Ma certo» rispose Elend.

«Quante di queste cose ha scritto la gente?» domandò esasperata.

Elend aprì la bocca, poi si arrestò nel vedere lo scintillio nei suoi occhi. Infine si limitò a sospirare. «Sei senza speranza» concluse, tornando alle sue lettere.

Sentì un frusciare da dietro e un attimo dopo Vin atterrò su una delle pile di libri, riuscendo in qualche modo a stare in equilibrio. Le strisce del suo nebbiomanto pendettero tutt'attorno a lei, facendo sbavare l'inchiostro sulla lettera.

Elend sospirò.

«Ops» disse Vin, tirando via il nebbiomanto. «Spiacente.»

«È proprio necessario saltellare in giro tutto il tempo, Vin?» chiese Elend.

Vin balzò a terra. «Spiacente» ripetè, mordendosi il labbro. «Sazed dice che è perché a noi Mistborn piace stare appollaiati, in modo da poter vedere tutto quello che sta succedendo.»

Elend annuì, continuando la lettera. Preferiva scriverle di suo pugno, ma avrebbe dovuto far ricopiare questa a uno scriba. Scosse la testa. Così tanto da fare...

Vin osservò Elend scribacchiare. Sazed se ne stava seduto a leggere, e così uno degli scribi di Elend, lo stipulatore. Scrutò l'uomo, e quello si rannicchiò un poco sulla sedia. Sapeva che Vin non si era mai fidata di lui. Non sarebbero dovuti esistere sacerdoti allegri.

Vin non vedeva l'ora di raccontare a Elend quello che aveva scoperto su Demoux, ma esitò. C'erano troppe persone attorno, e lei non aveva alcuna prova... solo il suo istinto. Così si trattenne, esaminando le pile di libri.

C'era una quiete smorta nella stanza. Tindwyl sedeva con gli occhi lievemente annebbiati: probabilmente stava studiando qualche antica biografia nella sua mente.

Perfino Ham stava leggendo, anche se passava da un libro all'altro, cambiando argomenti. Vin si sentì quasi in obbligo di studiare qualcosa anche lei. Pensò agli appunti che stava prendendo sul Baratro e sul Campione delle Ere, ma non riuscì a convincersi a tirarli fuori.

Non poteva dire a Elend di Demoux, non ancora, ma c'era qualcos'altro che aveva scoperto.

«Elend» sussurrò. «Ho qualcosa da dirti.»

«Uhm?»

«Ho sentito i servitori parlare mentre io e OreSeur cenavamo prima» disse Vin.

«Alcune persone che conoscono si sono ammalate di recente... molte persone. Penso che qualcuno stia manomettendo le nostre scorte.»

«Sì» confermò Elend, continuando a scrivere. «Lo so. Diversi pozzi in città sono stati avvelenati.»

«Davvero?»

Lui annuì. «Non te l'ho detto quando sei passata da me prima? È lì che siamo stati io e Ham.»

«Non me l'hai detto.»

«Pensavo di averlo fatto» ribatté Elend.

Vin scosse il capo.

«Mi scuso» disse lui, sporgendosi verso l'alto e baciandola, per poi ritornare a scribacchiare la lettera.

E un bacio dovrebbe mettere tutto a posto?, pensò lei imbronciata, rimettendosi a sedere su una pila di libri.

Era una cosa sciocca: non c'era un vero motivo per cui Elend si sarebbe dovuto affrettare a dirglielo. Eppure quello scambio le aveva lasciato una sensazione strana. Prima lui le avrebbe chiesto di fare qualcosa riguardo al problema. Ora, a quanto pareva, aveva gestito la situazione tutto da solo.

Sazed sospirò, chiudendo il volume. «Vostra Maestà, non riesco a trovare scappatoie. Ho riletto le vostre leggi più di sei volte, ora.»

Elend annuì. «Lo temevo. L'unico vantaggio che potremmo ottenere dalla legge è mal interpretarla di proposito, cosa che io non farò.»

«Siete una brava persona, Vostra Maestà» osservò Sazed. «Se aveste trovato una scappatoia nella legge, l'avreste messa a posto. Perfino se non aveste individuato i difetti, uno di noi l'avrebbe fatto, quando avete chiesto la nostra opinione.»

Permette che lo chiamino 'Vostra Maestà', pensò Vin. Aveva cercato di farli smettere. Perché lasciarglielo fare ora?

Strano che Elend avesse finalmente cominciato a sentirsi re dopo che il trono gli era stato tolto.

«Un momento» disse Tindwyl, i suoi occhi non più annebbiati. «Sazed, hai riletto questa legge prima che fosse ratificata?»

Sazed arrossì.

«Lo ha fatto» rispose Elend. «In effetti, i suggerimenti e le idee di Sazed sono stati utilissimi per aiutarmi a creare il codice attuale.»

«Capisco» disse Tindwyl fra labbra serrate.

Elend si accigliò. «Tindwyl, tu non eri invitata a questo incontro. Sei stata tollerata. I tuoi consigli sono stati apprezzati, ma non ti permetterò di insultare un amico e un ospite della mia casa, perfino se quegli insulti sono indiretti.»

«Le mie scuse. Vostra Maestà.»

«Non ti scuserai con me» ribatté Elend. «Ti scuserai con Sazed, oppure lascerai questo consesso.»

Tindwyl rimase seduta per un momento, poi si alzò e lasciò la stanza. Elend non parve offeso. Tornò semplicemente a scrivere le sue lettere.

«Non c'era bisogno che lo faceste, Vostra Maestà» intervenne Sazed. «Le opinioni di Tindwyl su di me sono fondate, ritengo

«Farò come ritengo opportuno, Sazed» Elend continuò a scrivere. «Senza offesa, amico mio, ma il tuo passato è pieno

di gente che ti ha trattato male. Non lo permetterò nella mia casa: insultando l'aiuto che mi hai dato per le leggi, lei ha insultato anche me.»

Sazed annuì, poi allungò una mano per prendere un altro volume.

Vin sedette in silenzio. Sta cambiando così in fretta. Quanto è passato dall'arrivo di Tindwyl? Due mesi? Nessuna delle cose che Elend diceva era molto diversa da quelle che avrebbe detto prima, ma il modo era completamente differente. Era deciso, imperioso in un modo tale da sottintendere che esigeva rispetto.

È per via della perdita del trono, del pericolo degli eserciti, pensò Vin. Le difficoltà lo stanno costringendo a cambiare, o per ascendere al comando o per essere schiacciato. Sapeva dei pozzi. Quali altre cose aveva scoperto e non le aveva riferito?

«Elend?» lo chiamò Vin. «Ho ripensato al Baratro.»

«È meraviglioso, Vin» sorrise Elend. «Ma non ho proprio tempo adesso.»

Vin annuì e gli sorrise. I suoi pensieri, però, erano più turbati. Non è insicuro come un tempo. Non ha bisogno di affidarsi così tanto alle persone come sostegno.

Non ha più bisogno di me.

Era un pensiero sciocco. Elend l'amava; lei lo sapeva. Il suo atteggiamento non l'avrebbe resa meno preziosa per lui. Eppure Vin non riusciva a scacciare le preoccupazioni. Lui l'aveva lasciata già una volta, quando stava cercando di barca-menarsi fra le esigenze della sua casata e il suo amore per lei, e quel gesto l'aveva quasi annientata.

Cosa sarebbe successo se l'avesse abbandonata ora?

Non lo farà, si disse Vin. Non è il tipo di uomo che lo farebbe.

Ma le relazioni potevano fallire anche per le brave persone, no? Le persone si allontanavano, specialmente quelle che già all'inizio erano molto diverse.

Involontariamente, nonostante tutte le rassicurazioni che dava a sé stessa, udì una vocina spuntare in fondo alla sua mente.

Era una voce che aveva creduto di aver bandito, una voce che non si era mai aspettata di risentire.

Lascialo tu per prima, parve sussurrarle nella testa Reen, suo fratello. Farà meno male.

Vin udì un fruscio all'esterno. Drizzò un poco le orecchie, ma era stato troppo basso perché gli altri lo udissero. Si alzò, diretta verso la finestrella di ventilazione.

«Torni di ronda?» chiese Elend.

Vin si voltò e annuì.

«Magari potresti ispezionare le difese di Cett alla Fortezza Hasting» propose Elend.

Vin annuì di nuovo ed Elend le sorrise, poi tornò alle sue lettere. Vin aprì la finestra e uscì nella notte. Zane era lì nelle nebbie, i piedi appena appoggiati contro il bordo di pietra che correva sotto la finestra. Era inclinato in modo sghembo, piedi contro il muro, corpo che sporgeva nella notte.

Vin lanciò un'occhiata di lato, notando il pezzo di metallo contro cui Zane stava Tirando per tenersi immobile. Un'altra prova di maestria. Lui le sorrise nella notte.

«Zane?» sussurrò lei.

Zane lanciò uno sguardo all'insù e Vin annuì. Un secondo più tardi atterrarono entrambi in cima al tetto di metallo della Fortezza Venture.

Vin si voltò verso Zane. «Dove sei stato?»

Lui attaccò.

Vin balzò indietro dalla sorpresa mente Zane ruotava in avanti, una forma turbinante ammantata di nero, i coltelli che scintillavano. Lei atterrò con i piedi per metà fuori dal tetto, tesa. Uno scontro, dunque?, pensò.

Zane colpì, il pugnale che le arrivava pericolosamente vicino al collo mentre lei schivava di lato. C'era qualcosa di diverso nei suoi attacchi, stavolta. Qualcosa di più pericoloso.

Vin imprecò ed estrasse i pugnali, balzando indietro per evitare un altro attacco.

Mentre si muoveva, Zane fendette l'aria, tagliando la punta di una delle strisce del suo nebbiomanto.

Vin si voltò per fronteggiarlo. Lui avanzò, ma senza alcuna posa da combattimento. Pareva fiducioso, tuttavia imperturbato, come si stesse avvicinando a un vecchio amico, non che fosse in procinto di combattere.

D'accordo, allora, pensò lei, saltando avanti e attaccando con i suoi pugnali.

Zane procedette con disinvoltura, voltandosi appena di lato, schivando facilmente un coltello. Allungò una mano, afferrando l'altro braccio di lei con una mossa senza alcuno sforzo, bloccandone il colpo.

Vin rimase paralizzata. Nessuno era così abile. Zane abbassò lo sguardo verso di lei, gli occhi scuri. Indifferenti Imperturbati.

Stava bruciando atium.

Vin si liberò dalla presa con uno strattone, balzando all'indietro. Lui la lasciò andare, osservandola mentre si metteva accucciata, il sudore che le imperlava la fronte. Lei provò un'improvvisa, distinta fitta di terrore... una sensazione primitiva e viscerale. Aveva temuto questo momento dal giorno in cui aveva appreso dell'atium.

Era il terrore di sapere di essere inerme, malgrado tutti i suoi poteri e le sue abilità.

Era il terrore di sapere che stava per morire.

Si voltò per balzare via, ma Zane saltò prima ancora che lei avesse iniziato a muoversi. Sapeva quello che Vin avrebbe fatto prima che lei stessa lo sapesse. La afferrò per la spalla, strattonandola all'indietro, gettandola sul tetto.

Vin urtò contro la copertura metallica, annaspando dal dolore. Zane si sollevò sopra di lei, guardando giù, come in attesa.

Non sarò sconfitta a questo modo!, pensò Vin in preda alla disperazione. Non mi lascerò ammazzare come un topo in trappola!

Allungò una mano per vibrare un coltello contro la sua gamba, ma fu inutile. Lui la tirò indietro un poco - quel tanto che bastava - in modo che il fendente non scalfisse nemmeno il tessuto dei suoi pantaloni. Era come una bambina, tenuta a bada da un nemico molto più grosso e potente. Era così che si doveva sentire una persona normale a combattere contro di lei.

Zane rimase fermo nel buio.

«Cosa c'è?» domandò lei.

«Non ce l'hai davvero» affermò lui con calma. «La riserva d'atium del lord Reggente.»

«No» replicò lei.

«Non ne hai affatto» continuò lui in tono inespressivo.

«Ho usato l'ultima perlina il giorno in cui ho combattuto gli assassini di Cett.»

Zane rimase lì per un momento, poi si voltò, allontanandosi da lei. Vin si mise a sedere, il cuore che le martellava in petto, le mani che le tremavano appena un poco.

Si costrinse a tirarsi in piedi, poi si chinò a recuperare i pugnali che le erano caduti. Uno si era spezzato contro la copertura di rame del tetto.

Zane si voltò di nuovo verso di lei, silenzioso nelle nebbie.

Zane la osservò nell'oscurità; vide la sua paura, eppure anche la sua determinazione.

«Mio padre vuole che ti uccida» confermò Zane.

Lei si alzò in piedi, guardandolo con occhi ancora spaventati. Era forte e teneva bene a bada la paura. Le notizie riportate dalla loro spia, le parole dette da Vin durante la visita a Straff... era tutto vero. In questa città non c'era atium.

«È per questo che ti sei tenuto lontano?» chiese lei.

Lui annuì e si voltò.

«Allora?» chiese Vin. «Perché lasciarmi vivere?»

«Non ne sono certo» ammise lui. «Potrei ancora ucciderti. Ma non è necessario.

Non per portare a termine il suo ordine. Potrei semplicemente portarti via: questo avrebbe lo stesso effetto.»

Si voltò di nuovo verso di lei. Vin stava aggrottando le sopracciglia, una piccola sagoma silenziosa nelle nebbie.

«Vieni con me» propose lui. «Possiamo andarcene, tutti e due: Straff perderebbe il suo Mistborn, e anche Elend. Potremmo negare a entrambi i loro strumenti. E

potremmo essere liberi.»

Lei non rispose immediatamente. Infine scosse il capo. «Questa... cosa fra noi.

Zane. Non è quello che pensi.»

«Cosa intendi?» chiese Zane, facendosi avanti.

Vin alzò gli occhi verso di lui. «Io amo Elend, Zane. Lo amo davvero.»

E pensi che questo significhi che non puoi provare niente per me?, pensò Zane.

Nei tuoi occhi cos'ho visto di quello sguardo, di quella brama? No, non è così semplice come vorresti farla credere tu, vero? Non lo è mai.

E tuttavia, cos'altro si era aspettato? Si voltò. «Ha senso. È così che è sempre stato.»

«Questo cosa vorrebbe dire?» domandò lei.

Elend...

«Uccidilo» sussurrò Dio.

Zane strizzò gli occhi e li chiuse. Lei non si sarebbe fatta ingannare; non una donna cresciuta sulle strade, una donna

che era amica di ladri e truffatori. Era questa la parte difficile. Sarebbe stato necessario che vedesse le cose che terrorizzavano Zane.

Avrebbe dovuto vedere la verità.

«Zane?» chiese Vin. Pareva ancora un po' scossa dal suo attacco, ma era il tipo di persona che si riprendeva in fretta.

«Non riesci a vedere la somiglianza?» chiese Zane, voltandosi. «Lo stesso naso, lo stesso taglio del viso? Ho i capelli più corti di lui, ma sono ricci allo stesso modo.

È così difficile da vedere?»

Il fiato le si mozzò in gola.

«Di chi altri si potrebbe fidare Straff Venture come suo Mistborn?» chiese Zane.

«Perché altrimenti mi permetterebbe di avvicinarmi tanto, perché mai si sentirebbe così a suo agio nel mettermi in mezzo ai suoi piani?»

«Sei suo figlio» mormorò Vin. «Il fratello di Elend.»

Zane annuì.

«Elend...»

«Non sa di me» lo interruppe Zane. «Chiedigli delle abitudini sessuali di suo padre, qualche volta.»

«Me l'ha raccontato» rispose Vin. «A Straff piace circondarsi di amanti.»

«Per più di una ragione» replicò Zane. «Più donne vogliono dire più figli. Più figli vogliono dire più allomanti. Più allomanti vogliono dire più probabilità di avere un figlio Mistborn come tuo sicario.»

La nebbia sospinta dalla brezza si riversò su di loro. In lontananza, l'armatura di un soldato sferragliò nel corso del suo giro di ronda.

«Con il lord Reggente vivo, non avrei mai potuto ereditare» raccontò Zane. «Sai quanto fossero rigorosi gli stipulatoli. Crebbi nelle ombre, ignorato. Tu hai vissuto per le strade: suppongo che sia stato terribile. Ma pensa a come sarebbe crescere da parassita nella tua stessa casa, non riconosciuto da tuo padre, trattato come un mendicante. Osservare tuo fratello, un ragazzo della tua stessa età, che vive come un privilegiato. Guardare il suo sdegno per le cose che tu desideravi avere. Comodità, ozio, amore...»

«Devi odiarlo» sussurrò Vin.

«Odiarlo?» chiese Zane. «No. Perché odiare un uomo per quello che è? Elend non mi ha fatto nulla, non direttamente. Inoltre, Straff trovò un motivo per aver bisogno di me, alla fine, dopo che mi fui Infranto e lui ottenne finalmente quello che aveva cercato di ottenere, rischiando, per gli ultimi vent'anni.

No, non odio Elend. A volte, però, lo invidio. Lui ha tutto. E tuttavia... mi pare che non l'apprezzi.»

Vin si alzò in silenzio. «Mi dispiace.»

Zane agitò bruscamente il capo. «Non compatirmi, donna. Se fossi Elend, non sarei un Mistborn. Non capirei le nebbie, né saprei cosa significa crescere solo e odiato.» Si voltò, guardandola negli occhi. «Non pensi che un uomo apprezzi di più l'amore quando è stato costretto a farne a meno per così tanto tempo?»

«Io...»

Zane si girò di nuovo. «Comunque,» disse «non sono venuto qui stanotte per lamentarmi della mia infanzia. Sono venuto con un avvertimento.»

Vin si fece tesa.

«Poco tempo fa,» lo avvisò Zane «mio padre ha lasciato che diverse centinaia di rifugiati passassero attraverso la sua barricata per dirigersi in città. Sai dell'esercito di koloss?»

Vin annuì.

«Ha attaccato e saccheggiato la città di Suisna.»

Vin sussultò di paura. Suisna si trovava solo a un giorno di distanza da Luthadel.

I koloss erano vicini.

«I profughi sono andati da mio padre in cerca d'aiuto» annunciò Zane. «Lui li ha mandati da voi.»

«Per spaventare ancora di più la gente della città» disse Vin. «E per prosciugare ulteriormente le nostre risorse.»

Zane annuì. «Volevo darti un avvertimento. Sui profughi e sui miei ordini. Pensa alla mia offerta, Vin. Pensa a quest'uomo che afferma di amarti. Sai che non ti capisce. Se te ne vai, sarà meglio per tutti e due.»

Vin si accigliò. Zane chinò leggermente il capo verso di lei, poi balzò nella notte, Spingendo contro il tetto di metallo. Lei ancora non gli credeva su Elend. Poteva leggerglielo negli occhi.

Be', le prove stavano arrivando. Vin avrebbe compreso presto Fra poco avrebbe capito quello che Elend Venture pensava davvero di lei.