Alcuni di voi possono sapere della mia strabiliante memoria. È

vero: non mi serve la metalloscorta di un feruchemista per memorizzare le parole scritte su un foglio in un istante.

42

«Bene» disse Elend, usando un bastoncino di carbone per tracciare un cerchio attorno a un'altra sezione della mappa davanti a lui. «E qui?»

Demoux si grattò il mento. «Campodigrano? È un quartiere nobile, mio signore.»

«Lo era» specificò Elend. «Campodigrano era pieno di casate cugine dei Venture.

Quando mio padre se ne andò dalla città, molti di loro fecero lo stesso.»

«Allora probabilmente troveremo le case colme di vagabondi skaa, suppongo.»

Elend annuì. «Sloggiateli.»

«Prego, mio signore?» chiese Demoux. I due si trovavano nella vasta rimessa delle carrozze della Fortezza Venture. I soldati si muovevano affaccendati per la stanza spaziosa. Molti di loro non indossavano uniformi: non erano in missione ufficiale per la città. Elend non era più re, ma erano comunque giunti su sua richiesta.

Questo era indice di qualcosa, almeno.

«Dobbiamo far sgomberare gli skaa da lì» continuò Elend. «Le case dei nobili sono perlopiù residenze di pietra con molte piccole stanze. Sono estremamente difficili da riscaldare, richiedendo un focolare separato o una stufa per ogni stanza.

Gli alloggi skaa sono deprimenti, ma hanno enormi focolari e stanzoni aperti.»

Demoux annuì lentamente.

«Il lord Reggente non avrebbe lasciato che i suoi lavoratori congelassero» disse Elend. «Quei casamenti sono il modo migliore per avere cura di una vasta popolazione con risorse limitate.»

«Capisco, mio signore» ribattè Demoux.

«Non costringeteli, Demoux» si raccomandò Elend. «La mia guardia personale -

pur incrementata da volontari dell’'esercito - non ha autorità ufficiale in città. Se una famiglia vuole restare nella casa aristocratica che ha occupato, lasciateli fare.

Accertatevi solo che sappiano che esiste un'alternativa al morire di freddo.»

Demoux annuì, poi andò a trasmettere gli ordini. Elend si voltò all'arrivo di un messaggero. L'uomo dovette farsi strada a zig zag attraverso un capannello organizzato di soldati intenti a ricevere ordini e a fare piani.

Elend salutò il nuovo arrivato con un cenno del capo. «Fai parte del gruppo di esploratori delle demolizioni, giusto?»

L'uomo annuì mentre si inchinava. Non indossava l'uniforme: era un soldato, non uno della guardia di Elend. Era giovane, mascella squadrata, calvizie incipiente e sorriso sincero.

«Ci conosciamo?» chiese Elend.

«Vi ho aiutato un anno fa, mio signore» gli ricordò l'uomo. «Vi condussi nel palazzo del lord Reggente per aiutarvi a salvare lady Vin.»

«Goradel» disse Elend, ricordando. «Eri nella guardia personale del lord Reggente.»

L'uomo annuì. «Mi unii al vostro esercito dopo quel giorno. Mi sembrava la cosa giusta da fare.»

Elend sorrise. «Non è più il mio esercito, Goradel, ma apprezzo che tu sia venuto ad aiutarci oggi. Qual è il tuo rapporto?»

«Avevate ragione, mio signore,» lo informò Goradel «gli skaa hanno già depredato il mobilio dalle case vuote. Ma pochi hanno pensato alle pareti. Una buona metà delle residenze abbandonate ha pareti di legno all'interno, e molti dei casamenti skaa sono fatti di legno. Quasi tutti hanno tetti di legno.»

«Bene» disse Elend. Passò in rassegna la massa di uomini che si stavano radunando. Non aveva illustrato loro i suoi piani: aveva semplicemente chiesto dei volontari che lo aiutassero con del lavoro manuale. Non si era aspettato che avrebbero risposto in centinaia.

«Pare che stiamo radunando un gruppo numeroso, mio signore» annunciò Demoux, tornando accanto a Elend.

Elend fece un cenno col capo per dare a Goradel il permesso di allontanarsi.

«Potremo tentare un progetto perfino più ambizioso di quello che avevo in mente.»

«Mio signore,» disse Demoux «siete certo di voler cominciare ad abbattere la città attorno a noi?»

«O perdiamo quegli edifici, o perdiamo la gente, Demoux» rispose Elend.

«Meglio gli edifici.»

«E se il re cerca di fermarci?»

«Allora obbediremo» disse Elend. «Ma non penso che lord Penrod obietterà. È

troppo occupato a cercare di far approvare all'Assemblea una risoluzione per consegnare la città a mio padre. Inoltre è probabile che per lui sia meglio avere questi uomini qui a lavorare che non seduti a preoccuparsi nelle caserme.»

Demoux tacque. Elend fece lo stesso: entrambi sapevano quanto era precaria la loro posizione. Era passato solo poco tempo dal tentativo di assassinio e dal passaggio di consegne, e la città era ancora sgomenta. Cett era ancora rintanato all'interno della Fortezza Hasting e le sue armate si erano mosse in posizione per attaccare la città. Luthadel era come un uomo con un coltello premuto alla gola.

Ogni respiro tagliava la pelle.

Ora non posso far molto al riguardo, pensò Elend. Devo assicurarmi che la gente non muoia congelata nelle prossime notti. Poteva sentire il freddo pungente nonostante la luce del sole, il mantello e il riparo. C'erano molte persone a Luthadel, ma se fosse riuscito a fare in modo che abbastanza uomini abbattessero un numero sufficiente di edifici, sarebbe riuscito a fare del bene.

«Mio signore!»

Elend si voltò mentre un uomo basso con baffi cascanti si avvicinava. «Ah, Felt»

fece. «Hai novità?» L'uomo stava lavorando al problema del cibo avvelenato, nello specifico su come era stato possibile che accadesse.

L'esploratore annuì. «Proprio così, mio signore. Abbiamo interrogato i profughi con un Sobillatore e non abbiamo ottenuto nulla. Poi, però, ho iniziato a pensare. I rifugiati mi sembravano troppo ovvi. Estranei in città? Di sicuro sarebbero stati i nostri primi sospettati. Ho ipotizzato che, con tutto quello che è andato storto con i pozzi, il cibo e tutto il resto, qualcuno deve essere sgusciato dentro e fuori dalla città.»

Elend annuì. Avevano sorvegliato molto attentamente i soldati di Cett all'interno della Fortezza Hasting. Il Mistborn di Straff rimaneva una possibilità, ma Vin non aveva mai creduto che fosse dietro gli avvelenamenti. Elend sperava che la traccia -

se fossero riusciti a trovarla - avrebbe condotto a qualcuno nel suo stesso palazzo, magari rivelando chi fra il suo personale era stato rimpiazzato da un kandra.

«Ebbene?» chiese Elend.

«Ho interrogato le persone che gestiscono i passamura» continuò Felt. «Non credo che la colpa sia loro.»

«Passamura?»

Felt annuì. «Passaggi segreti per uscire dalla città. Cunicoli o cose del genere.»

«Esistono cose simili?» chiese Elend sorpreso.

«Ma certo, mio signore» ribatté Felt. «Spostarsi fra le città era molto difficile per i ladri skaa durante il regno del lord Reggente. Chiunque entrava a Luthadel era soggetto a un colloquio e a un interrogatorio. Perciò erano molto diffusi modi per entrare in segreto in città. Parecchi sono stati chiusi - quelli che facevano salire o scendere la gente con corde sulle mura. Alcuni funzionano ancora, ma non penso che lascino passare le spie. Non appena quel primo pozzo è stato avvelenato, tutti coloro che gestiscono i passamura sono diventati paranoici che poteste dar loro la caccia. Da allora, si sono limitati a lasciar uscire la gente dalla città: quelli che volevano scappare dall'assedio e simili.»

Elend si accigliò. Non era certo di cosa pensare sul fatto che la gente stesse disobbedendo al suo ordine che ogni cancello fosse sigillato, senza poter uscire.

«Poi» proseguì Felt «ho provato il fiume.»

«Ci abbiamo pensato» lo informò Elend. «Le grate sull'acqua sono tutte ben chiuse.»

Felt sorrise. «Proprio così. Ho mandato alcuni uomini

sott'acqua per cercare in giro, e abbiamo trovato diverse serrature laggiù, che tenevano le grate al loro posto.»

«Cosa?»

«Qualcuno le ha divelte, mio signore,» disse Felt «poi le ha richiuse e rimesse a posto in modo che non sembrasse sospetto. In questo modo potevano nuotare dentro e fuori a piacimento.»

Elend sollevò un sopracciglio.

«Volete che rimpiazziamo le grate?» domandò Felt.

«No» rispose Elend. «No, limitatevi a rimpiazzare quelle serrature con altre nuove, poi appostate alcuni uomini di guardia. La prossima volta che quegli avvelenatori tentano di entrare in città, voglio che si trovino intrappolati.»

Felt annuì, ritirandosi con un sorriso allegro sul viso. Le sue capacità come spia non erano state impiegate molto, di recente, e pareva che gradisse i compiti che Elend gli stava assegnando. Elend fece una nota mentale di mettere Felt al lavoro per individuare la spia kandra. Sempre supponendo, ovviamente, che la spia non fosse lo stesso Felt.

«Mio signore» disse Demoux avvicinandosi. «Penso di poter fornire una seconda spiegazione sugli avvelenamenti che stanno accadendo.»

Elend si voltò. «Eh?»

Demoux annuì, facendo cenno a un uomo di avvicinarsi da un lato della stanza.

Era giovane, forse diciottenne, e aveva la faccia e gli abiti sporchi di un operaio skaa.

«Questo è Larn,» lo presentò Demoux «un membro della mia congregazione.»

Il giovane si inchinò davanti a Elend, con postura nervosa.

«Puoi parlare, Larn» lo esortò Demoux. «Riferisci a lord Venture quanto hai visto.»

«Be', mio signore» esordì il giovane. «Ho cercato di andarlo a dire al re. Il nuovo re, intendo.» Arrossì dall'imbarazzo.

«È tutto a posto» lo tranquillizzò Elend. «Continua.»

«Gli uomini lì mi hanno allontanato. Hanno detto che il re non aveva tempo per me. Perciò sono venuto da lord Demoux. Ho immaginato che potesse credermi.»

«Su cosa?» domandò Elend.

«Un Inquisitore» svelò l'uomo a bassa voce. «Ne ho visto uno in città.»

Elend sentì un brivido. «Ne sei certo?» Il giovane annuì. «Ho trascorso tutta la mia vita a Luthadel, mio signore. Ho assistito alle esecuzioni parecchie volte. Rico-noscerei uno di quei mostri, ne sono sicuro. L'ho visto. Spuntoni attraverso gli occhi, alto e con indosso una veste, che si aggirava furtivo nella notte. Vicino alle piazze centrali della città, ve l'assicuro.»

Elend scambiò un'occhiata con Demoux.

«Non è il solo, mio signore» aggiunse lui piano. «Anche altri membri della mia congregazione hanno affermato di aver visto un Inquisitore aggirarsi attorno Kredik Shaw. Ho ignorato i primi, ma Larn è affidabile. Se dice di aver visto qualcosa, l'ha vista. Quello ha occhi buoni quasi quanto un Percettore.»

Elend annuì lentamente e ordinò a una pattuglia della sua guardia personale di tenere d'occhio la zona indicata. Dopodiché tornò a rivolgere la sua attenzione agli sforzi per raccogliere legna. Impartì gli ordini, organizzando gli uomini in squadre, mandandone alcune a cominciare il lavoro, altre a radunare reclute. Senza carburante, molte delle fucine della città avevano chiuso i battenti e i lavoratori se ne stavano senza far niente. Magari avrebbero apprezzato qualcosa da fare per occupare il tempo.

Elend vide energia negli occhi degli uomini mentre cominciavano a dividersi.

Conosceva quella determinazione, quella risolutezza di occhio e braccio. Proveniva dalla soddisfazione di fare qualcosa, di non starsene seduti ad aspettare i capricci del fato - o dei re.

Elend tornò a voltarsi verso la mappa, scribacchiando alcune annotazioni. Con la coda dell'occhio, vide Ham entrare. «Allora è qui che erano finiti tutti quanti!»

esclamò Ham. «I campi di addestramento sono vuoti.»

Elend alzò lo sguardo sorridendo.

«Sei tornato all'uniforme, allora?» chiese Ham.

Elend lanciò un'occhiata verso la sua divisa bianca. Pensata per risaltare, per distinguerlo da una città macchiata di cenere. «Sì.»

«Peccato» sospirò Ham. «Nessuno dovrebbe essere costretto a indossare un'uniforme.»

Elend sollevò un sopracciglio. Di fronte a un innegabile inverno, Ham aveva finalmente iniziato a indossare una camicia sotto il farsetto. Non portava né mantello né giacca però.

Elend tornò a voltarsi verso la mappa. «Questo abbiglia mento mi si addice» si schernì. «Lo sento adatto. Comunque quel tuo farsetto è un'uniforme quanto questa.»

«No, non lo è.»

«Eh?» chiese Elend. «Nulla grida Lottatore quanto un uomo che se ne va in giro in inverno senza una giacca, Ham Hai usato il tuo abbigliamento per cambiare il modo in cui la gente reagisce a te, per fargli sapere chi sei e cosa rappresenti, il che essenzialmente è quello che fa un'uniforme.»

Ham indugiò. «È un modo interessante per vedere la faccenda.»

«Cosa?» disse Elend. «Non hai mai discusso di qualcosa del genere con Breeze?»

Ham scosse il capo mentre si voltava per guardare i gruppi di uomini che ascoltavano quelli che Elend aveva incaricato di dare ordini.

È cambiato, pensò Elend. Gestire questa città, affrontare tutto questo, ha cambiato perfino lui. Il Lottatore era più posato ora, più concentrato. Ovviamente lui aveva perfino più interesse salvare la città del resto della banda. A volte era difficile ricordare che quel Bruto dallo spirito libero era un uomo che aveva famiglia. Ham tendeva a non parlare molto di Mardra o dei suoi due bambini. Elend sospettava che fosse abitudine; Ham aveva passato molto del suo matrimonio lontano dalla famiglia per tenerla al sicuro.

Questa intera città è la mia famiglia, si disse Elend, osservando i soldati allontanarsi per fare il loro lavoro. Alcuni potevano aver pensato che qualcosa di semplice come raccogliere legna da ardere fosse un compito ordinario o di poca rilevanza in una città minacciata da tre eserciti. Ma Elend sapeva che la popolazione skaa che pativa il freddo avrebbe ricevuto quel combustibile con altrettanto apprezzamento come se fossero stati salvati dagli eserciti.

La verità era che Elend si sentiva un po' come i suoi soldati. Provò un senso di soddisfazione - di eccitazione, perfino - per aver fatto qualcosa... qualunque cosa per aiutare.

«E se giungesse l'attacco di Cett?» chiese Ham, ancora scrutando i soldati. «Una buona fetta dell'esercito sarà sparpagliata per la città.»

Perfino se avessimo mille uomini nelle mie squadre, non sarebbero che una tacca nelle nostre forze. Inoltre, Clubs pensa che ci sarà parecchio tempo per radunarli.

Abbiamo organizzato dei messaggeri.»

Elend tornò a guardare la mappa. «Comunque non penso che Cett abbia già intenzione di attaccare. È piuttosto al sicuro in quella fortezza. Non lo prenderemo mai: dovremmo togliere troppi uomini dalle difese cittadine, rimanendo vulnerabili.

L'unica cosa di cui si deve davvero preoccupare è mio padre.»

Le parole di Elend gli morirono in bocca.

«Cosa?» chiese Ham.

«Ecco perché Cett è qui» comprese Elend, sbattendo le palpebre dalla sorpresa.

«Non capisci? È rimasto di proposito senza alternative. Se Straff attacca, gli eserciti di Cett finiranno per combattere al fianco del nostro. Ha legato il suo destino al nostro.»

Ham si accigliò. «Sembra una mossa piuttosto disperata.»

Elend annuì, ripensando al suo incontro con Cett. «'Disperata'» ripetè. «È una buona definizione. Cett è disperato per qualche motivo... uno che non sono stato in grado di capire. Comunque, mettendosi qui dentro, si schiera con noi contro Straff, che voglia o meno l'alleanza.»

«Ma... se l'Assemblea consegnasse la città a Straff? Se i suoi uomini si unissero a lui e attaccassero Cett?»

«È questo il rischio che ha corso» disse Elend. Cett non è mai stato intenzionato a mettersi nella posizione di ritirarsi dal confronto qui a Luthadel. Vuole prendere la città o essere distrutto. Sta aspettando, sperando che Straff attaccherà, temendo che ci arrenderemo a lui. Ma non può accadere nulla finché Straff teme Vin. Uno stallo a tre. Con i koloss come quarto elemento che nessuno può prevedere.

Qualcuno doveva fare qualcosa per riequilibrare la bilancia. «Demoux» disse Elend. «Sei pronto a prendere il comando qui?»

Il capitano Demoux lo guardò e annuì.

Elend si voltò verso Ham. «Ho una domanda per te, Ham.»

Ham sollevò un sopracciglio.

«Quanto ti senti folle al momento?»

Elend condusse il suo cavallo fuori dal cunicolo, uscendo nel paesaggio irregolare fuori Luthadel. Si voltò, allungando il collo per guardare la cima delle mura. Se tutto era andato come previsto, i soldati avevano ricevuto il suo messaggio e non l'avrebbero scambiato per una spia o un esploratore di uno degli eserciti nemici.

Avrebbe preferito non finire nelle storie di Tindwyl come l'ex re che era morto trafitto da una freccia scagliata da uno dei suoi stessi uomini.

Ham condusse una piccola donna ingrigita fuori dal cunicolo. Come Elend aveva supposto, per Ham era stato facile trovare un passamura adatto per portarli fuori dalla città.

«Bene, ecco qua» fece la donna anziana appoggiandosi al suo bastone.

«Grazie, brava donna» disse Elend. «Hai servito bene la tua Dominazione, quest'oggi.»

La donna sbuffò, sollevando un sopracciglio - anche se, da quello che Elend riusciva a vedere, era quasi del tutto cieca. Elend sorrise, tirando fuori un borsellino e porgendoglielo. La donna vi affondò dita nodose ma sorprendentemente agili e contò il contenuto. «Tre in più?»

«Un supplemento perché lasci qui qualcuno di guardia» spiegò Elend. «Perché attenda il nostro ritorno.»

«Ritorno?» chiese la donna. «Non state fuggendo?»

«No» rispose Elend. «Ho solo delle faccende da sbrigare con uno degli eserciti.»

La donna sollevò di nuovo il sopracciglio. «Be', non sono affari di nonna»

borbottò, voltandosi di nuovo verso il buco, picchiettando col bastone. «Per tre soldini, posso trovare un nipote che si sieda qui fuori per qualche ora. Solo il lord Reggente sa quanti ne ho.»

Ham la guardò allontanarsi con una scintilla d'affetto negli occhi.

«Da quanto sai di questo posto?» chiese Elend, osservando un paio di uomini corpulenti che chiudevano la sezione di roccia nascosta. Per metà scavato, per metà tagliato dalle pietre stesse del muro, quel cunicolo era un'impresa notevole. Perfino dopo aver sentito dell'esistenza di questi passaggi da Felt poco prima, era stato comunque sconcertante attraversarne uno celato a pochi minuti a cavallo dalla stessa Fortezza Venture.

Ham si voltò di nuovo verso di lui mentre il falso muro si richiudeva con uno scatto. «Oh, conosco questo da anni e anni» disse. «Nonna Hilde era solita darmi dolci quando ero ragazzino. Naturalmente era soltanto un modo economico per ottenere un po' di pubblicità discreta - eppure ben mirata - per il suo passamura. Una volta cresciuto, lo usai spesso per far entrare o uscire Mardra e i bambini dalla città quando venivano in visita.»

«Aspetta» lo bloccò Elend. «Sei cresciuto a Luthadel?»

«Ma certo.»

«Sulle strade, come Vin?»

Ham scosse il capo. «Non proprio come Vin» disse con voce sommessa, scrutando le mura. «Non penso che nessuno sia davvero cresciuto come Vin. Io avevo genitori skaa: era mio nonno il nobile. Ero coinvolto con la criminalità, ma ebbi i genitori per buona parte della mia fanciullezza. Inoltre ero un ragazzo... e bello grosso.» Si voltò verso Elend. «Immagino che faccia una bella differenza.»

Elend annuì.

«Non hai intenzione di chiudere questo posto, vero?» chiese Ham.

Elend si voltò sbigottito. «Perché dovrei?»

Ham scrollò le spalle. «Non sembra esattamente il tipo di impresa onesta che tu approveresti. Probabilmente c'è gente che scappa ogni notte dalla città attraverso questo buco. Si sa che nonna Hilde prende i soldi e non fa domande; perfino se brontola un poco.»

L'obiezione di Ham aveva senso. È probabile che sia questo il motivo per cui non mi ha detto di questo posto finché non gliel'ho chiesto specificamente. I suoi amici camminavano sul filo, vicini ai loro vecchi legami con la criminalità, tuttavia lavorando sodo per costruire il governo che avevano sacrificato così tanto per creare.

«Non sono re» sottolineò Elend, conducendo il cavallo lontano dalla città.

«Quello che fa nonna Hilde non è un mio problema

Ham gli si accostò con espressione sollevata. Elend potè vedere quel sollievo dissiparsi, però, quando la realtà di quello che stavano facendo prese il sopravvento.

«Non mi piace questo, El.»

Smisero di camminare mentre Elend montava in sella «Nemmeno a me.»

Ham trasse un profondo respiro, poi annuì.

I miei vecchi amici nobili avrebbero cercato di convincermi a non farlo, pensò Elend divertito. Perché mi circondo di persone che sono state leali al Sopravvissuto?

Si aspettano che il loro capo corra rischi irrazionali.

«Verrò con te» affermò Ham.

«No» ribatté Elend. «Non farà differenza. Rimani qui, aspetta di vedere se torno.

In caso contrario, di' a Vin cos'è accaduto.»

«Sicuro, glielo dirò» replicò Ham in tono asciutto. «Poi mi occuperò di togliermi dal petto i suoi pugnali. Tu fa' solo in modo di tornare, d'accordo?»

Elend annuì, prestando a malapena attenzione. I suoi occhi erano concentrati sull'esercito in lontananza. Un esercito senza tende, carri, vettovaglie o servitori. Un esercito che aveva mangiato la vegetazione sul terreno lasciando un ampio vuoto attorno a sé: koloss.

Il sudore rese scivolose le redini fra le mani di Elend. Questa situazione era diversa dalle altre, quando era andato fra l'esercito di Straff e nella fortezza di Cett.

Stavolta era da solo. Vin non poteva tirarlo fuori se le cose fossero volte al peggio: si stava ancora ristabilendo dalle ferite, e nessuno sapeva quello che Elend stava facendo tranne Ham.

Cosa devo alla gente di questa città?, si chiese Elend. M hanno rifiutato. Perché insisto ancora a cercare di proteggerli?

«Riconosco quello sguardo, El» disse Ham. «Torniamo indietro.»

Elend chiuse gli occhi, emettendo un sommesso sospiro. Poi li riaprì di colpo e spronò il suo cavallo al galoppo.

Erano passati anni dall'ultima volta che aveva visto dei koloss, e aveva vissuto quell'esperienza solo perché suo padre aveva insistito. Straff non si fidava di quelle creature e non gli era mai piaciuto averne delle guarnigioni nella Dominazione Settentrionale, con una di esse a solo pochi giorni di marcia dalla sua città natale di Urteau. Quei koloss erano stati un promemoria, un monito del lord Reggente.

Elend fece accelerare il cavallo, come usando il suo slancio per rafforzare la propria determinazione. A parte quell'unica breve visita alla guarnigione koloss di Urteau, tutto quello che sapeva delle creature proveniva dai libri, ma l'istruzione di Tindwyl aveva indebolito la sua fiducia in ciò che aveva appreso, una volta assoluta anche se un po' ingenua.

Dovrà essere sufficiente, concluse Elend mentre si avvicinava al campo. Digrignò i denti, rallentando il suo animale mentre raggiungeva un drappello vagante di koloss.

Era come si ricordava. Una grossa creatura - con pelle rotta e segnata dall'allungamento in modo nauseabondo - guidava alcune bestie di medie dimensioni, i cui squarci sanguinanti stavano appena iniziando ad apparire agli angoli della bocca e ai margini degli occhi. Un numero esiguo di creature più piccole - la loro pelle cascante si infossava sotto i loro occhi e braccia - accompagnava quelle più grandi.

Elend arrestò il cavallo, trottando verso la bestia più grossa. «Portami da Jastes.»

«Scendi da cavallo» ordinò il koloss.

Elend guardò la creatura dritto negli occhi. In sella al cavallo, era quasi alla sua stessa altezza. «Portami da Jastes.»

Il koloss lo squadrò con un paio di occhietti luccicanti e indecifrabili. Aveva uno squarcio da un occhio all'altro, sopra il naso, e uno più piccolo gli segnava una curva verso una delle narici. Il naso stesso era così tirato da essere contorto e appiattito, tenuto contro l'osso spostato a pochi centimetri dal centro.

Questo era il momento. I libri dicevano che la creatura avrebbe fatto come le veniva ordinato oppure l'avrebbe semplicemente attaccato. Elend sedette in preda alla tensione.

«Vieni» sbottò il koloss, voltandosi e avviandosi verso il campo. Il resto delle creature circondò il cavallo di Elend, e l'animale si agitò nervosamente. Elend tenne strette le redini e diede un colpetto di talloni per farlo avanzare. Il destriero rispose in modo insicuro.

Si sarebbe dovuto sentire sollevato per quella piccola vittoria, ma la sua tensione non fece che aumentare. Procedettero all'interno dell'accampamento koloss. Era come essere inghiottiti. Come lasciarsi trascinare da una valanga. I koloss alzarono lo sguardo al suo passaggio, osservandolo con occhi rossi e privi di emozione. Molti altri si limitarono a star sene in silenzio attorno ai fuochi da campo, senza la minima reazione, come uomini che fossero nati inebetiti e privi di intelletto.

Altri combattevano. Si uccidevano a vicenda, lottando per terra di fronte ai loro incuranti compagni. Nessun filosofo scienziato o studioso era stato in grado di determinare con esattezza cosa faceva scattare un koloss. La cupidigia pareva un buon motivo scatenante. Eppure a volte attaccavano quando c'era cibo in abbondanza, uccidendo un compagno per il suo pezzo di manzo. Il dolore era un altro buon motivo, apparentemente, così come una sfida all'autorità. Ragioni carnali, viscerali. E tuttavia pareva che esistessero occasioni in cui attaccavano senza causa o motivazione.

E dopo aver combattuto, si spiegavano in toni calmi, come se le loro azioni fossero perfettamente razionali. Elend rabbrividì nel sentire urla, dicendosi che probabilmente sarebbe andato tutto bene finché avesse raggiunto Jastes. Di solito i koloss si attaccavano solo fra loro.

A meno che non entrassero in uno stato di frenesia sanguinaria.

Scacciò via quel pensiero, concentrandosi invece su quello che Sazed aveva menzionato a proposito del suo viaggio all'interno dell'accampamento koloss. Le creature portavano le grosse, rozze spade di ferro che Sazed aveva descritto. Quanto più grande era il koloss, tanto più grande era l'arma. Quando un koloss raggiungeva dimensioni tali da pensare che gli servisse una spada più grossa, aveva solo due opzioni: trovarne una abbandonata oppure uccidere qualcuno e prendere la sua. Una popolazione di koloss poteva spesso essere sommariamente controllata aumentando o diminuendo il numero di spade disponibili.

Nessuno degli studiosi sapeva come si riproducessero quelle creature.

Come Sazed aveva spiegato, questi koloss avevano degli strani borsellini legati alle cinghie delle loro spade. Cosa sono?, si chiese Elend. Sazed ha detto di aver visto i koloss più grossi che ne avevano tre o quattro. Ma quello che guida il mio gruppo ne ha quasi venti. Perfino i koloss piccoli nel gruppo di Elend ne avevano tre.

Ecco la differenza, rifletté. Qualunque cosa ci sia in quei sacchetti, potrebbe essere il modo in cui Jastes controlla le creature?

Non c'era verso di saperlo, tranne chiedere a un koloss di dargliene uno, e dubitava che se ne sarebbero separati.

Mentre camminava, notò un'altra stranezza: alcuni dei koloss indossavano dei vestiti. In precedenza li aveva visti solo con dei perizomi, come riferito da Sazed.

Tuttavia, molti di questi koloss avevano pantaloni, camicie o gonne sopra i loro corpi. Portavano gli indumenti senza curarsi della taglia, e molti di essi erano così tesi da essersi strappati. Altri erano così flosci da dover essere legati. Elend vide alcuni dei koloss più grandi che avevano indumenti simili a bandane legati attorno alle braccia o alla testa.

«Noi non siamo koloss» proruppe il capo del suo gruppo, voltandosi verso Elend mentre camminavano.

Elend si accigliò. «Spiega.»

«Tu pensi che noi siamo koloss» disse attraverso labbra che erano troppo tirate per funzionare a dovere. «Noi siamo umani. Noi vivremo nella vostra città. Vi uccideremo e la prenderemo.»

Elend rabbrividì, comprendendo da dove provenivano quegli abiti scompagnati: dal villaggio che i koloss avevano attaccato, quello da cui arrivavano i profughi che si erano riversati dentro Luthadel. Questo pareva un nuovo sviluppo nel modo di pensare dei koloss. Oppure era sempre stato lì, represso dal lord Reggente? Lo studioso dentro Elend era affascinato. La parte restante era semplicemente terrorizzato.

La sua guida koloss si soffermò davanti a un piccolo gruppo di tende, le uniche strutture del genere nell'accampamento. Poi il koloss in capo si voltò e lanciò un urlo, spaventando il cavallo di Elend. Lui lottò per impedire che il destriero lo disarcionasse mentre il koloss saltava e attaccava uno dei suoi compagni, apprestandosi a colpirlo con un enorme pugno.

Elend riuscì nel proprio intento. Il koloss al comando invece no.

Elend smontò da cavallo, dando delle pacche sul collo dell’'animale, mentre il koloss che era stato attaccato estraeva la spada dal petto del suo ex capo. Il sopravvissuto - che ora esibiva sulla pelle diversi tagli non dovuti all'allungamento -

si chinò per raccogliere i sacchetti legati alla schiena del cadavere. Elend osservò con muto stupore mentre il koloss si alzava e parlava.

«Non è mai stato un buon capo» commentò con voce strascicata.

Non posso permettere che questi mostri attacchino la mia città, pensò Elend.

Devo fare qualcosa. Fece avanzare il cavallo, voltando la schiena ai koloss mentre entrava nella parte isolata del campo, sorvegliata da un gruppo di giovani nervosi in divisa. Elend porse le redini a uno di loro.

«Badagli per me» disse Elend, avanzando a grandi passi.

«Aspetta!» esclamò uno dei soldati. «Fermo!»

Elend si voltò bruscamente, fronteggiando l'uomo più basso, che stava cercando di sollevare la lancia verso Elend e allo stesso tempo tenere d'occhio i koloss. Elend non cercò di essere severo: voleva solo tenere sotto controllo la propria apprensione e procedere. A ogni modo, l'occhiataccia che ne risultò probabilmente avrebbe impressionato perfino Tindwyl.

Il soldato si fermò con un sussulto.

«Io sono Elend Venture» si presentò. «Conosci questo nome?»

L'uomo annuì.

«Puoi annunciarmi a lord Lekal» disse Elend. «Basta che entri nella tenda prima di me.»

Il giovane si avviò di scatto. Elend lo seguì, dirigendosi verso la tenda dove si trovavano altri soldati dall'atteggiamento esitante.

Come deve aver influito su di loro, si domandò Elend, vivere circondati da koloss, in una tale, terribile inferiorità numerica? Provando una punta di pietà, non cercò di farsi strada con prepotenza. Rimase lì con simulata pazienza finché una voce non chiamò da dentro. «Fatelo entrare.»

Elend superò le guardie e aprì il lembo della tenda.

I mesi non erano stati buoni con Jastes Lekal. In qualche modo i pochi ciuffi di capelli sembravano più patetici di quanto lo sarebbe stato un cranio completamente calvo. La sua giacca era sciatta e macchiata, gli occhi segnati da un paio di profonde occhiaie. Stava camminando avanti e indietro, e sobbalzò un poco all'ingresso di Elend.

Poi restò immobile per un momento, gli occhi sgranati. Infine sollevò una mano tremante per ravvivare i capelli che non aveva. «Elend?» chiese. «Nel nome del lord Reggente, cosa ti è successo?»

«Responsabilità, Jastes» rispose Elend in tono calmo. «Pare che nessuno di noi fosse pronto per essa.»

«Fuori» ordinò Jastes, facendo un cenno alle guardie. Quelle oltrepassarono Elend, chiudendosi la tenda alle spalle.

«È passato un po' di tempo, Elend.» Jastes ridacchiò debolmente.

Elend annuì.

«Ricordo quei giorni,» rammentò Jastes «seduti nel tuo studiolo o nel mio, a fare una bevuta assieme a Telden. Eravamo così innocenti, non è vero?»

«Innocenti,» disse Elend «ma pieni di speranza.»

«Vuoi qualcosa da bere?» chiese Jastes, voltandosi verso lo scrittoio. Elend fissò le bottiglie e le fiasche gettate in un angolo della stanza. Erano tutte vuote. Jastes prese una bottiglia piena dalla scrivania e versò a Elend una piccola coppa: la quantità e il colore chiaro indicavano che non si trattava di un semplice vino da pasto.

Elend accettò la coppa, ma non bevette. «Cos'è successo, Jastes? Come ha fatto l'intelligente, ponderato filosofo che conoscevo a trasformarsi in un tiranno?»

«Tiranno?» sbottò Jastes, tracannando la sua coppa in un sorso solo. «Io non sono un tiranno. È tuo padre il tiranno. Io sono solo una persona realistica.»

«Starsene al centro di un esercito di koloss non mi pare una posizione molto realistica.»

«Posso controllarli.»

«E Suisna?» domandò Elend. «Il villaggio che hanno sterminato?»

Jastes titubò. «Quello è stato uno sfortunato incidente.»

Elend abbassò lo sguardo verso la bevanda che aveva in mano, poi la gettò via, il liquore che schizzava sul polveroso pavimento della tenda. «Questo non è lo studiolo di mio padre, e noi non siamo più amici. Non chiamerò amico un uomo che guida qualcosa del genere contro la mia città. Cos'è successo al tuo onore, Jastes Lekal?»

Jastes sbuffò, lanciando un'occhiata al liquore versato. «Questo è stato sempre il problema con te, Elend. Così sicuro, così ottimista, così moralista.»

«Era il nostro ottimismo» ribatté Elend, facendosi avanti «Volevamo cambiare le cose, Jastes, non distruggerle!»

«Ah, davvero?» controbatté Jastes, mostrando una collera che Elend non aveva mai visto nel suo amico. «Vuoi sapere perché sono qui, Elend? Non hai nemmeno prestato attenzione a quello che stava succedendo nella Dominazione Meridionale mentre tu ti trastullavi a Luthadel?»

«Sono spiacente per quello che è successo alla tua famiglia, Jastes.»

«Spiacente?» gli fece eco Jastes, afferrando la bottiglia dalla scrivania. «Sei spiacente? Io ho messo in atto i tuoi piani, Elend. Ho fatto tutto quello di cui avevamo parlato: libertà, correttezza politica. Mi sono fidato dei miei alleati invece di schiacciarli per costringerli all'obbedienza. E sai cos'è successo?»

Elend chiuse gli occhi.

«Hanno ucciso tutti quanti, Elend» continuò Jastes. «Ecco cosa fai quando prendi il potere. Uccidi i tuoi rivali e le loro famiglie, perfino le ragazzine, perfino i neonati. E lasci i loro corpi come monito. Questa è una politica efficace. È così che rimani al potere!»

«È facile credere in qualcosa quando vinci sempre, Jastes» ribatté Elend aprendo gli occhi. «Le perdite sono ciò che definisce la fede di un uomo.»

«Perdite?» domandò Jastes. «Mia sorella è stata una perdita?»

«No, intendo...»

«Basta!» esclamò Jastes, sbattendo la bottiglia sulla scrivania. «Guardie!»

Due uomini scostarono il lembo della tenda ed entrarono nella stanza.

«Prendete prigioniero Sua Maestà» ordinò Jastes con un gesto insicuro della mano. «Mandate un messaggero in città per riferire che vogliamo negoziare.»

«Non sono più re, Jastes» lo informò Elend.

Jastes si fermò.

«Pensi davvero che sarei venuto qui e mi sarei lasciato catturare, se fossi stato re?» chiese Elend. «Mi hanno deposto. L'Assemblea ha invocato una clausola di sfiducia e ha scelto un nuovo sovrano.»

«Tu, maledetto idiota» lo insultò Jastes.

«Perdite, Jastes» replicò Elend. «Per me non è stata dura quanto lo è stata per te, ma penso di capire.»

«Dunque» disse Jastes, passandosi una mano fra i 'capelli' «quella bella divisa e quel taglio di capelli non ti hanno salvato, eh?»

«Prendi i tuoi koloss e vattene, Jastes.»

«Questa suona come una minaccia, Elend» osservò Jastes. «Non sei re, non hai un esercito e non vedo il tuo Mistborn da nessuna parte. Su quali basi fai delle minacce?»

«Sono koloss» disse Elend. «Vuoi davvero che entrino in città? È la tua casa, Jastes... o lo era una volta. Ci sono migliaia di persone lì dentro!»

«Io posso... controllare il mio esercito» gli ricordò Jastes.

«No, dubito che tu possa» ribatté Elend. «Cos'è successo, Jastes? Hanno deciso che avevano bisogno di un re? Hanno deciso che è così che facevano gli 'umani', quindi anche loro avrebbero dovuto farlo? Cos'è che portano in quei sacchetti?»

Jastes non rispose.

Elend sospirò. «Cosa succederebbe se uno di loro all'improvviso ti attaccasse?»

Jastes scosse il capo. «Mi dispiace, Elend» mormorò. «Non posso lasciare che Straff prenda quell'atium.»

«E la mia gente?»

Jastes esitò solo un poco, poi abbassò gli occhi e fece un cenno alle guardie. Una appoggiò una mano sulla spalla di Elend.

La reazione di Elend sorprese perfino lui stesso. Sbatté il gomito contro la faccia dell'uomo, fracassandogli il naso, poi fece cadere l'altro con un caldo alla gamba.

Prima che Jastes potesse fare qualcosa a parte lanciare un grido, Elend balzò in avanti.

Estrasse dallo stivale un pugnale di ossidiana - datogli da Vin - e afferrò Jastes per la spalla. Elend sbatacchiò in giro l'uomo, spingendolo all'indietro contro la scrivania, poi - riflettendo a malapena sulle proprie azioni - conficcò il coltello nella spalla del suo vecchio amico.

Jastes emise un urlo fragoroso e patetico.

«Se ucciderti fosse utile a qualcosa, Jastes,» ringhiò Elend «lo farei in questo istante. Ma non so come controlli queste cose, e non voglio lasciarle libere.»

I soldati si riversarono nella stanza. Elend non alzò lo sguardo. Schiaffeggiò Jastes, interrompendo le sue urla di dolore.

«Ora ascolta» gli intimò Elend. «Non m'importa se sei stato ferito, non m'importa se non credi più nei nostri ideali e non m'importa niente se ti fai ammazzare giocando alla politica con Straff e Cett.

«Ma m'importa se minacci il mio popolo. Voglio che guidi il tuo esercito fuori dalla mia Dominazione: va' ad attaccare la patria di Straff, o magari quella di Cett.

Sono entrambe indifese. Ti prometto che non lascerò che i tuoi nemici prendano l'atium.

«E, come amico, ti darò un piccolo consiglio. Rifletti per un po' su questa ferita al braccio, Jastes. Io ero il tuo migliore amico e ti ho quasi ucciso. Cosa accidenti stai facendo seduto nel mezzo di un intero esercito di koloss impazziti?»

I soldati lo circondarono. Elend si mise in piedi, strappando il coltello dal corpo di Jastes e facendo voltare l'uomo, premendogli l'arma contro la gola.

Le guardie si immobilizzarono.

«Me ne vado» annunciò Elend, spingendo il confuso Jastes davanti a sé e uscendo dalla tenda. Notò con qualche preoccupazione che le guardie umane erano a malapena una dozzina. Sazed ne aveva contate di più. Dove le aveva perse Jastes?

Non c'era segno del cavallo di Elend. Perciò tenne d'occhio con cautela i soldati, trascinando Jastes verso la linea invisibile fra l'accampamento umano e quello koloss. Elend si voltò quando raggiunse il perimetro, poi spinse Jastes verso i suoi uomini. Quelli lo afferrarono, mentre uno tirava fuori una benda per il suo braccio.

Gli altri fecero per inseguire Elend, poi si fermarono, colmi di esitazione.

Elend aveva attraversato la linea che li separava dal campo koloss. Rimase lì in silenzio, osservando il patetico gruppo di giovani soldati e Jastes in mezzo a loro.

Anche mentre gli prestavano le prime cure, Elend potè vedere lo sguardo nei suoi occhi. Odio. Non si sarebbe ritirato. L'uomo che Elend aveva conosciuto era morto, rimpiazzato da questo prodotto di un nuovo mondo che non vedeva di buon occhio filosofi e idealisti.

Elend si voltò, camminando fra i koloss. Subito un gruppo delle creature si avvicinò. Lo stesso di prima? Non poteva esserne sicuro.

«Portami fuori» ordinò Elend, incontrando gli occhi del koloss più grosso del drappello. O Elend adesso sembrava più imperioso, oppure questo koloss si lasciava intimidire più facilmente, poiché non sollevò obiezioni. La creatura si limitò ad annuire e iniziò a procedere verso l'esterno del campo, mentre la sua squadra circondava Elend.

Questo viaggio è stato una perdita di tempo, rimuginò Elend frustrato. Tutto quello che è ho fatto è stato inimicarmi Jastes. Ho rischiato la vita per nulla.

Se solo potessi scoprire cosa c'è in quei sacchetti!

Scrutò il capannello di koloss attorno a lui. Era un gruppo tipico, che per dimensioni andava da un metro e mezzo a una mostruosità alta tre metri.

Procedevano con posture sciolte, ingobbite.

Elend aveva ancora in mano il pugnale.

Questo è stupido, pensò. Per qualche ragione ciò non gli impedì di scegliere il koloss più piccolo del gruppo, inspirare profondamente, e attaccarlo.

Il resto dei koloss si fermò a guardare. La creatura che Elend aveva scelto ruotò, ma nella direzione sbagliata. Si voltò per fronteggiare il suo compagno koloss, quello più simile a luì per dimensioni, mentre Elend lo ingaggiava, conficcandogli il coltello nella schiena.

Perfino se era alto solo un metro e mezzo e aveva una corporatura piuttosto piccola, il koloss era incredibilmente forte. Si scrollò via Elend, mugghiando dal dolore. Elend, però, riuscì a mantenere la stretta sul suo pugnale.

Non posso lasciare che impugni quella spada, pensò, rimettendosi in piedi e piantando il coltello nella coscia della creatura. Il koloss cadde, sferrando un pugno verso Elend con un braccio e cercando a tentoni la sua spada con l'altro. Elend ricevette il pugno in pieno petto e crollò all'indietro sul terreno coperto di fuliggine.

Gemette, annaspando in cerca d'aria. Il koloss estrasse la spada, ma aveva problemi a mettersi in piedi. Da entrambe le ferite che gli aveva inferto colava un sangue color rosso; Il liquido pareva più acceso, più riflettente di quello umano, ma forse si trattava solo del contrasto con la pelle color blu scuro.

Il koloss riuscì infine a mettersi in piedi, ed Elend si rese conto del proprio errore.

Aveva lasciato che l'adrenalina del confronto con Jastes - la frustrazione per l'incapacità di fermare gli eserciti - lo guidasse. Si era allenato molto, di recente, ma non era a un livello tale da affrontare un koloss.

Ma ormai era troppo tardi per preoccuparsene.

Elend rotolò via mentre una spada spessa e pesante si schiantava al suolo accanto a lui. L'istinto ebbe il sopravvento sul terrore e lui riuscì quasi del tutto a evitare il fendente di ritorno. Lo colpì di striscio sul fianco, facendo schizzare una macchia di sangue sulla sua uniforme un tempo bianca, ma sentì a malapena il taglio.

C'è solo un modo per vincere un combattimento con un pugnale quando il tuo avversario ha una spada, si disse Elend, stringendo la presa sul coltello. Il pensiero, stranamente, non proveniva da uno dei suoi allenatori, e neanche da Vin. Non era sicuro della sua provenienza, ma si fidò.

Avvicinati il più in fretta possibile e uccidi rapidamente.

Ed Elend attaccò. Anche il koloss vibrò un colpo. Elend riuscì a vedere l'attacco, ma non potè farci nulla. Potè solo gettarsi in avanti, Il pugnale sollevato, i denti serrati.

Conficcò il coltello nell'occhio del koloss, riuscendo a malapena a entrare nell'allungo della creatura. Ciò nonostante, l'elsa della spada lo colpì nello stomaco.

Entrambi caddero a terra.

Elend gemette piano, diventando lentamente consapevole della terra dura e intrisa di cenere e delle erbacce mangiate fino alla radice. Un ramoscello caduto gli stava graffiando la guancia. Strano che lo notasse, considerando il dolore al petto. Si tirò in piedi barcollando. Il koloss che aveva attaccato non si alzò. I suoi compagni rimasero immobili, con aria imperturbata, anche se i loro occhi erano concentrati su di lui. Parevano volere qualcosa.

«Lui ha mangiato il mio cavallo» affermò Elend, dicendo la prima cosa che gli era passata per la testa annebbiata.

Il gruppo di koloss annuì. Elend barcollò in avanti, pulendosi via la cenere dalla guancia con una mano intontita mentre si inginocchiava accanto alla creatura morta.

Strappò via il coltello, infilandoselo di nuovo nello stivale. Poi slacciò i sacchetti; questo koloss ne aveva due.

Infine, non certo del perché, afferrò la grande spada della creatura e se l'appoggiò sulla spalla. Era così pesante che riusciva a malapena a trasportarla, e di certo non sarebbe stato in grado di maneggiarla. Come fa una creatura così piccola a usare qualcosa del genere?

I koloss lo osservarono mentre svolgeva quelle operazioni senza alcun commento; poi lo condussero fuori dall'accampamento. Una volta che si furono ritirati, Elend aprì uno dei borselli e vi guardò dentro.

Quello che vi trovò non avrebbe dovuto sorprenderlo. Jastes aveva deciso di controllare il proprio esercito alla vecchia maniera.

Li stava pagando.