Fu solo parecchi anni dopo che mi convinsi che Alendi fosse il Campione delle Ere. Campione delle Ere: colui che a Khlennium viene chiamato Rabzeen, l'Anamnesor. Il Salvatore.
12
Una fortezza si ergeva fra le tenebre nebbiose della sera.
Riposava sul fondo di una vallata scoscesa simile a un cratere, e così ampia che perfino alla luce del giorno Sazed sarebbe stato a malapena in grado di vedere l'altro lato. Col calare dell'oscurità, avvolta dalle nebbie, l'estremità opposta dell'enorme buco era solo un'ombra profonda.
Sazed sapeva molto poco di strategia e tattica; anche se le sue metalloscorte contenevano dozzine di libri su quegli argomenti, si era dimenticato i contenuti per poterli immagazzinare. Il poco che sapeva gli disse che quella fortezza - la Canonica di Seran - non era molto difendibile. Aveva rinunciato a una posizione più elevata, e i lati del cratere avrebbero fornito un'ottima posizione alle macchine d'assedio per lanciare rocce contro le mura.
Questa fortezza, però, non era stata eretta per essere difesa da soldati nemici. Era stata costruita per offrire solitudine. Il Patere la rendeva difficile da trovare, poiché un leggero rialzo nel territorio accanto all'orlo della depressione la rendeva Praticamente invisibile finché qualcuno non si fosse avvicinato. Nessuna strada o sentiero indicava la via, e i viaggiatori avrebbero avuto difficoltà a scendere per le pendici scoscese.
Gli Inquisitori non volevano visite.
«Ebbene?» chiese Marsh.
Lui e Sazed si trovavano sul lato settentrionale del cratere davanti a uno strapiombo di diverse centinaia di metri. Sazed attinse dalla sua stagnoscorta, estraendone un po' della vista che vi aveva immagazzinato. Gli angoli della sua visuale si offuscarono, ma le cose dritto di fronte a lui parvero farsi più vicine.
Attinse un altro po' di vista, ignorando la nausea derivante dall'accumularne così tanta.
La vista aumentata gli permise di esaminare la Canonica come se si trovasse proprio lì davanti. Poteva vedere ogni tacca nelle scure pareti di pietra - piatte, ampie, imponenti. Poteva distinguere ogni pezzo di ruggine sulle grandi piastre d'acciaio che pendevano assicurate contro le pietre esterne del muro. Poteva vedere ogni angolo incrostato di licheni e ogni sporgenza macchiata di cenere. Non c'erano finestre.
«Non lo so» osservò Sazed lentamente, abbandonando la sua stagnoscorta della vista. «Non è facile capire se la fortezza sia disabitata o meno. Non c'è movimento, nessuna luce. Ma forse gli Inquisitori si stanno nascondendo all'interno.»
«No» disse Marsh, la sua voce inflessibile risuonava nell'aria della sera. «Se ne sono andati.»
«Perché avrebbero dovuto? Questo è un luogo di grande forza, ritengo. Poche difese contro un esercito, ma grandi contro il caos dei tempi.»
Marsh scosse il capo. «Se ne sono andati.»
«Come fai a esserne così sicuro?»
«Non lo so.»
«Dove sono andati, allora?»
Marsh lo guardò, poi si voltò e lasciò vagare lo sguardo sopra la spalla. «A nord.»
«Verso Luthadel?» chiese Sazed, preoccupato.
«Fra le altre cose» disse Marsh. «Andiamo. Non so se torneranno, ma dovremmo sfruttare questa opportunità.»
Sazed annuì. Era questo il motivo per cui erano venuti, dopotutto. Tuttavia, una parte di lui esitava. Era un uomo di libri e garbato servizio. Viaggiare per la campagna per visitare villaggi era abbastanza estraneo alla sua esperienza da essere sconcertante. Infiltrarsi nella roccaforte degli Inquisitori-Marsh evidentemente non si curava dei conflitti interiori del suo compagno.
L'Inquisitore si voltò e iniziò a camminare lungo l'orlo del cratere. Sazed si gettò lo zaino in spalla, poi lo seguì. Giunsero infine a un marchingegno simile a una gabbia, pensato per essere calato sul fondo con funi e pulegge. La gabbia era fissata al suo posto, sulla piattaforma superiore, e Marsh vi si fermò a fianco, ma non entrò.
«Cosa c'è?» domandò Sazed.
«Il sistema di carrucole» gli fece notare Marsh. «Questa gabbia è fatta per essere calata da uomini che la reggono da sotto.»
Sazed annuì, accorgendosi che era vero. Marsh fece un passo avanti e azionò una leva. La gabbia cadde. Le corde iniziarono a fumare e le carrucole stridettero mentre quel cubo massiccio piombava verso il fondo dell'abisso. Uno schianto ovattato riecheggiò fra le rocce.
Se laggiù c'è qualcuno, pensò Sazed, ora saprà che siamo qui.
Marsh si voltò verso di lui, i dischi dei suoi spuntoni-occhi che scintillavano debolmente nella luce del tramonto. «Seguimi, se vuoi» disse. Poi assicurò la fune e cominciò a calarsi giù.
Sazed si avvicinò al bordo della piattaforma, osservando Marsh che scendeva balzellando lungo la fune penzoloni fin nell'abisso avvolto dall'oscurità e dalle nebbie. Poi si inginocchiò e aprì lo zaino. Sganciò i grossi bracciali di metallo che aveva attorno alla parte superiore e inferiore delle braccia: le sue cupriscorte principali. Contenevano le memorie di un Custode, la conoscenza immagazzinata di secoli passati. Li mise da parte con rispetto, poi ne tirò fuori un paio più piccoli -
uno di ferro, uno di peltro - dallo zaino. Metalloscorte per un guerriero.
Marsh comprendeva quanto Sazed fosse impreparato in quest'ambito? Una forza strepitosa non faceva di un uomo un guerriero. Ciò nonostante, Sazed agganciò i due braccialetti alle caviglie. Poi estrasse due anelli - stagno e rame - e se li infilò alle dita.
Chiuse lo zaino e se lo gettò in spalla, poi raccolse le sue cupriscorte principali.
Individuò attentamente un buon nascondiglio - una cavità isolata fra due macigni - e ve le fece scivolare dentro. Qualunque cosa fosse accaduta laggiù, non voleva rischiare che venissero prese e distrutte dagli Inquisitori.
Per poter riempire una cupriscorta con delle memorie Sazed aveva ascoltato un altro Custode recitare la sua intera raccolta di cronache, fatti e racconti. Aveva memorizzato ogni frase, poi aveva inserito quei ricordi nella cupriscorta per poterli recuperare in seguito. Rammentava molto poco dell'esperienza vera e propria, ma poteva tirar fuori qualunque libro o saggio desiderasse, trasferendolo nella sua mente e ottenendo la capacità di rievocarlo in modo tanto vivido quanto la prima volta che lo aveva memorizzato. Doveva solo avere addosso i bracciali.
Essere senza le sue cupriscorte lo rendeva ansioso. Scosse il capo, tornando alla piattaforma. Marsh si stava muovendo molto rapidamente verso il fondo dell'abisso: come tutti gli Inquisitori, aveva i poteri di un Mistborn. Anche se come li avesse ottenuti - e come riuscisse a vivere malgrado gli spuntoni che gli erano stati conficcati attraverso il cervello - restava un mistero. Marsh non aveva mai risposto alle domande di Sazed sull'argomento.
Sazed chiamò a gran voce, attirando l'attenzione di Marsh, poi sollevò lo zaino e lo lasciò cadere. L'altro allungò una mano e lo zaino sussultò, Tirato verso di lui dai metalli che conteneva. L'Inquisitore se lo gettò in spalla prima di continuare la discesa.
Sazed annuì soddisfatto poi saltò giù dalla piattaforma. Mentre cominciava a cadere, si protese mentalmente verso la sua ferroscorta, cercando il potere che vi aveva immagazzinato. Riempire una metalloscorta aveva sempre un prezzo: per poter accumulare vista, Sazed era stato costretto a passare settimane vedendoci poco. Durante quel periodo, aveva indossato un braccialetto di stagno, stivando la vista in eccesso per poterla usare in seguito.
Il ferro era un po' diverso dagli altri metalli. Non immagazzinava vista, forza, resistenza o memorie. Racchiudeva qualcosa di completamente diverso: peso.
Quel giorno Sazed non usò il potere immagazzinato all'interno della ferroscorta: ciò lo avrebbe reso più pesante. Cominciò invece a riempire la ferroscorta, lasciando che succhiasse via il suo peso. Avvertì una sensazione familiare di leggerezza, quasi non sentì la massa vigorosa del suo corpo.
La sua caduta rallentò. I filosofi terrisiani avevano molto Ha dire sull'uso di una ferroscorta. Spiegavano che il potere non cambiava realmente la mole o le dimensioni di un individuo: semplicemente mutava in qualche maniera il modo in cui la terra Tirava contro di lui. La caduta di Sazed non fu rallentata grazie alla sua diminuzione di peso: fu rallentata perché all'improvviso aveva una superficie relativamente ampia esposta al vento della sua discesa e un corpo più leggero ad accompagnarla.
A prescindere dalle ragioni scientifiche, Sazed non cadde così velocemente. I sottili braccialetti di metallo sulle gambe erano le cose più pesanti sul suo corpo, e lo mantennero con i piedi puntati all'ingiù. Lui allargò le braccia e piegò leggermente il corpo, lasciando che il vento spingesse contro di lui. La sua discesa non fu terribilmente lenta... non come quella di una foglia o di una piuma. Non precipitò neanche. Cadde in un modo controllato, quasi con comodo. Gli abiti che sventolavano, le braccia allargate, superò Marsh, che lo osservò con un'espressione incuriosita.
Mentre si avvicinava al suolo, Sazed usò la sua peltroscorta, estraendone una piccolissima quantità di forza per prepararsi. Colpì il suolo, ma dal momento che il corpo era così leggero, il contraccolpo fu minimo. Quasi non ebbe bisogno di piegare le ginocchia per assorbire la forza dell'impatto.
Smise di riempire la ferroscorta, rilasciò il peltro, e attese pazientemente Marsh.
Accanto a lui, la gabbia di trasporto giaceva a pezzi. Sazed si trovò a disagio nel notare delle catene di ferro rotte, segno che alami di quelli che avevano visitato la Canonica non l'avevano fatto per libera scelta.
Quando Marsh si fu avvicinato al fondo, le nebbie erano dense nell'aria. Sazed aveva vissuto con esse per tutta la vita, e mai prima di allora aveva provato inquietudine standovi in mezzo. Eppure adesso quasi si aspettava che iniziassero a soffocarlo. A ucciderlo, come pareva che avessero fatto col vecchio Jed, lo sfortunato contadino sulla cui morte Sazed aveva indagato.
Marsh si lasciò cadere per gli ultimi due o tre metri, atterrando con l'agilità accresciuta di un allomante. Perfino dopo aver passato così tanto tempo con dei Mistborn, Sazed era impressionato dai talenti allomantici. Ovviamente non era mai stato geloso di essi... non proprio. Certo, l'allomanzia era migliore per i combattimenti, ma non poteva espandere la mente, dando accesso ai sogni, alle speranze e alle credenze di mille anni di cultura. Non poteva fornire la conoscenza per curare una ferita o aiutare a insegnare in un villaggio povero come usare moderne tecniche di fertilizzazione. Le metalloscorte feruchemiche non avevano effetti vistosi, ma rappresentavano un valore molto più duraturo per la società.
Inoltre, Sazed conosceva alcuni trucchi con la feruchemia che avrebbero sorpreso di sicuro anche il guerriero più preparato.
Marsh gli porse lo zaino. «Vieni.»
Sazed annuì, mettendoselo in spalla e seguendo l'Inquisitore per il terreno roccioso. Camminare accanto a Marsh era strano, poiché Sazed non era abituato a stare vicino a persone della sua stessa statura. I Terrisiani erano alti di natura, e Sazed ancora di più: le braccia e le gambe erano un po' troppo lunghe per il suo corpo, una condizione causata dalla castrazione subita da ragazzino. Anche se il lord Reggente era morto, la cultura terrisiana avrebbe risentito a lungo degli effetti dei suoi programmi di riproduzione e di costrizione al ruolo di maggiordomi, metodi con i quali aveva cercato di annullare i poteri feruchemici nella popolazione di Tetris.
La Canonica di Seran incombeva nelle tenebre, il suo aspetto ancora più sinistro ora che Sazed si trovava nel cratere. Marsh si diresse dritto verso le porte principali e Sazed lo seguì. Non era spaventato, non per davvero. La paura non era mai stata una forte motivazione nella sua vita. Comunque era preoccupato. Erano rimasti così pochi Custodi; se lui fosse morto, ci sarebbe stata una persona in meno a viaggiare, restituire verità perdute e insegnare alla gente.
Non che io stia facendo nulla del genere, al momento, pensò.
Marsh osservò le massicce porte d'acciaio. Poi si gettò di peso contro una, bruciando peltro per aumentare la propria forza. Sazed si unì a lui, Spingendo forte.
La porta non si mosse.
Impensierito per il dispendio di energie, Sazed accedette alla sua peltroscorta e attinse forza. Ne usò molta più di quanto aveva fatto atterrando, e all'istante i suoi muscoli crebbero di dimensioni. A differenza dell'allomanzia, la feruchemia aveva spesso effetti diretti sul corpo di una persona. Sotto le vesti, Sazed acquisì la mole di un guerriero consumato, diventando due volte più forte di quanto era stato un momento prima. Con i loro sforzi combinati, i due riuscirono a spingere fino ad aprire la porta.
Non cigolò. Scivolò lentamente ma senza intoppi verso l'interno, rivelando un lungo corridoio scuro.
Sazed rilasciò la peltroscorta, tornando alle sue normali dimensioni. Marsh entrò nella Canonica, scalciando la nebbia che aveva cominciato a riversarsi attraverso la porta aperta.
«Marsh?» chiese Sazed.
L'Inquisitore si voltò.
«Non sarò in grado di vedere lì dentro.»
«La tua feruchemia...»
Sazed scosse il capo. «Mi permette di vedere meglio al buio, ma solo se c'è un minimo di luce. Inoltre, usare così tanta vista prosciugherebbe la mia stagnoscorta nel giro di pochi minuti. Mi servirà una lanterna.»
Marsh esitò, poi annuì. Si voltò nell'oscurità, sparendo rapidamente dalla visuale di Sazed.
Allora, pensò Sazed, agli Inquisitori non occorre luce per vedere. C'era da aspettarselo: gli spuntoni riempivano le orbite di Marsh, distruggendo completamente i bulbi oculari. Qualunque fosse lo strano potere che consentiva agli Inquisitori di vedere, apparentemente funzionava bene tanto al buio completo quanto alla luce del sole.
Marsh tornò qualche momento dopo, portando con sé una lampada. Dalle catene che Sazed aveva visto sulla gabbia per scendere, sospettava che gli Inquisitori avessero tenuto qui un considerevole numero di schiavi e servitori a occuparsi dei loro bisogni. In tal caso, dov'era andata tutta quella gente? Era fuggita?
Sazed accese la lampada con un acciarino preso dal suo zaino. La luce spettrale illuminò un atrio spoglio e lugubre. Entrò nella Canonica, tenendo in alto la lampada, e iniziò a "empire il piccolo anello di rame sul dito: quel processo lo trasformava in una cupriscorta.
«Stanze vaste,» sussurrò «senza decorazioni.» Non gli ^correva pronunciare davvero le parole, ma aveva scoperto . e parlare lo aiutava a formare ricordi nitidi.
Poi poteva ferirli nella cupriscorta.
«Gli Inquisitori, ovviamente, avevano una predilezione per l'acciaio» continuò.
«Ciò non è sorprendente, considerando che la loro religione era spesso denominata il Culto d'Acciaio Alle pareti pendono massicce placche d'acciaio, sulle quali non c'è ruggine, a differenza di quelle all'esterno. Molte non sono completamente lisce, bensì istoriate con alcuni motivi interessanti incisi... quasi brillantati... sulla loro superficie.»
Marsh si accigliò, voltandosi verso di lui. «Cosa stai facendo?»
Sazed sollevò la mano destra, mostrando l'anello di rame. «Devo redigere un resoconto di questa visita. Avrò bisogno di ripetere quest'esperienza agli altri Custodi quando si presenterà l'occasione. C'è tanto da imparare da questo posto, ritengo.»
Marsh si girò di nuovo. «Non dovresti interessarti degli Inquisitori. Non sono degni dei tuoi resoconti.»
«Non è una questione di dignità, Marsh» spiegò Sazed sollevando la lampada per esaminare un pilastro quadrato. «La conoscenza di tutte le religioni è preziosa. Devo assicurarmi che queste cose perdurino.»
Osservò il pilastro per un momento, poi chiuse gli occhi e ne formò un'immagine dentro la sua testa, che poi aggiunse alla cupriscorta. La memoria visuale, comunque, era meno utile di quella orali. Le visualizzazioni sparivano molto rapidamente una volta estratte da una cupriscorta, subendo la distorsione della mente. In più non potevano essere trasmesse ad altri Custodi.
Marsh non rispose al commento di Sazed sulla religione; si limitò a voltarsi e a procedere sempre più in profondità nell'edificio. Sazed lo seguì a passo più lento, parlando fra sé, registrando le parole nella cupriscorta. Era un'esperienza interessante. Mentre parlava, sentiva i pensieri che venivano succhiati via dalla mente, lasciandosi dietro un vuoto completo. Aveva difficoltà a ricordare i dettagli di quello che aveva appena detto. Comunque, una volta terminato di riempire la cupriscorta, sarebbe stato in grado di usare quei ricordi in seguito e rievocarli con nitida chiarezza.
«La stanza è alta» disse. «Ci sono alcuni pilastri, anch'essi avvolti nell'acciaio.
Sono solidi e squadrati, piuttosto che cilindrici. Ho la sensazione che questo posto sia stato creato
da gente a cui non importava la sofisticatezza. Ignoravano piccoli dettagli in favore di linee ampie e geometrie piene.
«Mentre ci muoviamo oltre l'atrio principale, questo tema architettonico continua.
Non ci sono dipinti alle pareti, né decorazioni lignee o piastrelle. Invece ci sono solo i lunghi e ampi corridoi con linee severe e superfici lustre. Il pavimento è costruito con riquadri d'acciaio, i cui lati sono di qualche decina di centimetri. Sono... freddi al tocco.
«È strano non vedere gli arazzi, le finestre a vetri colorati e le pietre scolpite che sono così comuni nell'architettura di Luthadel. Non ci sono guglie o volte qui. Solo quadrati e rettangoli. Linee... così tante linee. Non c'è nulla di morbido qui. Niente tappeti, niente finestre. È un posto per persone che vedono il mondo in maniera differente dagli uomini comuni.
«Marsh ha proseguito dritto lungo questo enorme corridoio, incurante del suo arredo. Lo seguirò, poi tornerò per registrare altro più tardi. Pare che stia seguendo qualcosa... qualcosa che io non riesco a percepire. Forse è...»
Sazed lasciò morire la frase quando svoltò e vide Marsh fermo sulla soglia di un'ampia camera. La luce della lampada guizzò irregolare mentre il braccio di Sazed tremava.
Marsh aveva trovato i servitori.
Erano morti da così tanto tempo che Sazed non aveva notato l'odore finché non erano arrivati vicini. Forse era proprio quello che Marsh stava seguendo: i sensi di un uomo che bruciava stagno potevano essere piuttosto acuti.
Gli Inquisitori avevano svolto il loro compito in modo accurato. Quelli erano i resti di un massacro. La stanza era grande, ma aveva un'unica uscita, e i corpi erano ammucchiati in un alta pila vicino al fondo, uccisi da quelli che sembravano impietosi colpi di spada o ascia. I servitori, ormai moribondi, si erano rannicchiati sul muro in fondo.
Sazed si voltò dall'altra parte.
Marsh, però, rimase sulla soglia. «C'è un'aria cattiva in questo posto» disse infine.
«L'hai notato solo ora?» chiese Sazed.
Marsh si voltò, guardandolo dritto negli occhi. «Non dovremmo trascorrere molto tempo qui. Ci sono delle scale fine del corridoio dietro di noi. Io andrò su: sono lì gli
alloggi degli Inquisitori. Se ciò che cerco è qui, la troverò lassù Tu puoi restare o puoi scendere. Comunque, non seguirmi»
Sazed si accigliò. «Perché?»
«Devo stare da solo lì. Non posso spiegarlo. Non mi importa se assisti alle atrocità degli Inquisitori. Solo... non desidero essere con te mentre lo fai.»
Sazed abbassò la lampada, allontanando la luce dall'orribile scena. «Molto bene.»
Marsh si voltò, passando accanto a Sazed e sparendo nel corridoio buio. E Sazed rimase solo.
Cercò di non pensarci molto. Ritornò al corridoio principale, descrivendo il massacro alla sua cupriscorta prima di fornire una spiegazione più dettagliata dell'architettura e dell'arte - se così potevano essere definiti, in effetti, i diversi motivi sulle piastre appese alle pareti.
Mentre lavorava - la voce che riecheggiava piano contro la rigida architettura, la lampada una debole goccia di luce riflessa nell'acciaio - i suoi occhi vennero attirati verso il fondo del corridoio. Lì c'era una zona avvolta nell'oscurità. Una scalinata che conduceva verso il basso.
Mentre tornava alla sua descrizione di uno dei supporti a muro, sapeva che alla fine si sarebbe diretto verso quelle tenebre. Era sempre così: la curiosità, il bisogno di comprendere l'ignoto. Era questo che l'aveva portato a diventare un Custode, che l'aveva condotto nella compagnia di Kelsier. La sua ricerca della verità non riusciva mai essere appagata, ma non poteva nemmeno essere ignorata. Così alla fine si voltò e si avvicinò alla scalinata, con la propria voce come unico compagno.
«Le scale sono simili a quello che ho visto nell'ingresso. Sono ampie ed estese, come i gradini che salgono verso un tempio o un palazzo. Tranne che queste scendono nell'oscurità. Sono grandi, probabilmente intagliate nella pietra e poi rivestite con l'acciaio. Sono alte, fatte per una falcata decisa.
«Mentre cammino, mi domando quali segreti gli Inquisitori abbiano ritenuto degni di essere nascosti sotto terra, nel sotterraneo della loro roccaforte. Questo intero edificio è un segreto. Cosa facevano qui, in queste sale enormi e nelle stanze aperte e vuote?
«La scalinata termina in un'altra grande camera quadrata.
Ho notato una cosa: qui le soglie non hanno porte. Ogni stanza è aperta, visibile dall'esterno. Mentre cammino, scrutando nelle stanze sotto terra, trovo camere cavernose con poco mobilio. Niente librerie, niente divani. Diverse contengono grossi blocchi di metallo che potrebbero essere altari. «C'è qualcosa di diverso qui in quest'ultima stanza. Non certo della sua funzione. Una camera di tortura, forse? Ci sono tavoli - tavoli di metallo - fissati al pavimento. Sono coperti di sangue, anche se non ci sono cadaveri. Il sangue forma scaglie e si polverizza ai miei piedi: molti uomini sono morti in questa stanza, ritengo. Pare che non ci siano altri strumenti di tortura oltre a...
«Spuntoni. Come quelli negli occhi degli Inquisitori. Attrezzi pesanti e massicci, come quelli che possono essere conficcati nel suolo con un grosso maglio. Alcuni sembrano coperti di sangue, anche se non credo che li toccherò. Questi altri... sì, paiono indistinguibili da quelli negli occhi di Marsh. Eppure certi sono di metalli differenti.»
Sazed posò lo spuntone su un tavolo, metallo che tintinnava contro metallo.
Rabbrividì, passando di nuovo in rassegna la stanza. Un posto per creare nuovi Inquisitori, forse? All'improvviso ebbe una terrificante visione delle creature - che un tempo erano solo qualche dozzina - che potevano aver ingrossato i loro ranghi nel corso dei mesi trascorsi in reclusione nella Canonica.
Ma quello non gli sembrava giusto. Erano un gruppo riservato, esclusivo. Dove avrebbero trovato abbastanza uomini degni di unirsi ai loro ranghi? Perché non rendere Inquisitori gli schiavi al piano di sopra, piuttosto che ucciderli?
Sazed aveva sempre sospettato che un uomo dovesse essere un allomante per essere tramutato in un Inquisitore. L'esperienza dello stesso Marsh suffragava quell'ipotesi: Marsh era stato un Cercatore, un uomo in grado di bruciare bronzo, prima della sua trasformazione. Sazed guardò di nuovo il sangue, gli spuntoni e i tavoli, e decise di non essere certo di voler sapere come veniva creato un nuovo Inquisitore.
Stava per lasciare la stanza quando la lampada rivelò qualcosa in fondo. Un'altra soglia.
Procedette, cercando di ignorare il sangue secco ai suoi piedi, ed entrò in una stanza che pareva diversa dal resto dell'architettura della Canonica. Era scolpita direttamente nella pietra e si avvolgeva verso il basso fino a una piccola scala.
Incuriosito, Sazed scese la rampa di gradini di pietra consumati. Per la prima volta da quando era entrato nell'edificio, provò un senso di costrizione e dovette incurvarsi per raggiungere la fine della scala ed entrare in una piccola camera. Si rimise dritto e sollevò la lampada per rivelare...
Una parete. La stanza terminava bruscamente, e la luce sfavillò contro il muro. Vi era appesa una lastra di acciaio, come quelle di sopra. Questa era di un metro e mezzo abbondante di larghezza e quasi altrettanto alta. E vi era scritto qualcosa.
Subito interessato, Sazed posò a terra il suo zaino e si fece avanti, sollevando la lanterna per leggere le prime parole. Il testo era in terrisiano.
Era un vecchio dialetto, certo, ma Sazed poteva decifrarlo anche senza la cupriscorta linguistica. La mano gli tremolò nel leggere quelle parole.
Scrivo queste parole nell'acciaio, poiché nulla che non sia scritto nel metallo può essere affidabile. Ho iniziato a chiedermi se io sia l'unico uomo sano di mente.
Come è possibile che gli altri non capiscano? Hanno atteso così a lungo l'avvento del loro eroe - quello annunciato nelle profezie di Terris - che balzano rapidamente alle conclusioni, presumendo che ogni storia e leggenda si riferisca a quest'uomo.
I miei fratelli ignorano gli altri fatti. Non riescono a collegare gli strani avvenimenti che stanno accadendo. Sono sordi alle mie obiezioni e sono ciechi alle mie scoperte. Forse hanno ragione. Forse sono pazzo, o geloso, o semplicemente stupido. Il mio nome è Kwaan. Filosofo, studioso, traditore. Sono colui che ha scoperto Alendi e sono colui che per primo lo riconobbe come il Campione delle Ere. Sono colui che ha dato inizio a tutto quanto.
E sono colui che ha tradito Alendi, poiché ora so che non gli dev'essere consentito di portare a termine la sua missione.
«Sazed.»
Sazed fece un balzo, quasi lasciando cadere la lampada. Marsh si trovava sulla soglia dietro di lui. Imperioso, inquietante e così oscuro. Era adatto a questo posto, con le sue linee e la sua durezza.
«Gli alloggi ai piani superiori sono vuoti» lo informò Marsh. «Questo viaggio è stato vano: i miei fratelli hanno portato con sé qualunque cosa utile.»
«Non è stato vano, Marsh» disse Sazed, voltandosi di nuovo verso la lastra col testo. Non l'aveva nemmeno letta tutta. Il testo era scritto con una grafia stretta e serrata, le incisioni ricoprivano la parete. L'acciaio aveva preservato le parole a dispetto del tempo. Il cuore di Sazed prese a battere più forte.
Era un frammento di testo precedente al dominio del lord Reggente. Un frammento scritto da un filosofo terrisiano: un sant'uomo. Malgrado secoli di ricerche, i Custodi non avevano mai portato a termine lo scopo originale della loro creazione: non avevano mai scoperto la loro stessa religione terrisiana.
Il lord Reggente aveva soffocato gli insegnamenti religiosi terrisiani poco dopo la sua ascesa al potere. La persecuzione del popolo Terrisiano - il suo stesso popolo -
era stata la più completa del suo lungo regno, e i Custodi non avevano trovato nulla più di vaghi frammenti su quello in cui un tempo credeva la loro stessa gente.
«Devo copiarlo, Marsh» disse Sazed, allungando una mano verso il suo zaino. La memoria visuale non avrebbe funzionato: nessun uomo poteva fissare così tanto testo e poi ricordarne le parole. Forse avrebbe potuto leggerle nella sua cupriscorta.
Però ne voleva una copia fisica, una che preservasse alla perfezione la struttura delle righe e la punteggiatura.
Marsh scosse il capo. «Non rimarremo qui. Penso che non saremmo neanche dovuti venire.»
Sazed esitò, alzando lo sguardo. Poi tirò fuori diversi grossi fogli di carta dallo zaino. «Molto bene, allora» replicò. «Farò un calco. Sarà comunque meglio, ritengo.
Mi permetterà di vedere il testo esattamente com'è stato scritto.»
Marsh annuì e Sazed estrasse un carboncino.
Che scoperta, pensò con eccitazione. Questo sarà come il diario di Rashek. Ci stiamo avvicinando!
Però, mentre iniziava il calco - le sue mani si muovevano con cautela e precisione
- gli venne in mente un altro pensiero. Con un testo del genere in suo possesso, il senso del dovere non gli avrebbe più permesso di andarsene in giro per villaggi.
Doveva tornare a nord per condividere quello che aveva trovato, aveva paura di morire e che quel testo andasse perduto. Doveva andare a Terris.
O... a Luthadel. Da lì poteva mandare messaggi a nord Aveva una scusa valida per tornare al centro dell'attenzione, per rivedere gli altri membri della banda.
Perché questo lo faceva sentire ancora più in colpa?