Non ho dubbi che, se Alendi raggiungerà il Pozzo dell'Ascensione, prenderà il potere e poi - nel nome del presunto bene superiore - lo cederà.
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«Sono questi i tizi che volevate, lady Cett?»
Allrianne passò in rassegna la vallata - e l'esercito che conteneva - poi abbassò lo sguardo verso il bandito, Hobart. Lui esibiva un sorriso entusiasta, o meglio quello che poteva essere considerato un sorriso. Hobart aveva più dita che denti, e gli mancavano un paio anche delle prime.
Allrianne gli sorrise di rimando da sopra il suo cavallo. Stava in sella di lato, le redini tenute leggermente fra le dita. «Sì, credo di sì, mastro Hobart.»
Hobart guardò indietro verso la sua banda di briganti, sogghignando. Allrianne li Sobillò tutti un poco, ricordandogli quanto desideravano la ricompensa che lei aveva promesso. L'esercito di suo padre si stendeva di fronte a loro in lontananza. Lei aveva vagato per un giorno intero, viaggiando verso est, per trovarlo. Ma era andata nella direzione sbagliata. Se non si fosse imbattuta nella piccola, provvidenziale banda di Hobart, sarebbe stata costretta a dormire all'addiaccio.
E quello sarebbe stato piuttosto spiacevole.
«Vieni, mastro Hobart» lo esortò, facendo avanzare il suo cavallo. «Andiamo a incontrare mio padre.»
Il gruppo la seguì allegramente, mentre uno di loro conduceva il suo cavallo da soma. Gli uomini semplici come la banda di Hobart avevano un certo fascino.
Volevano davvero solo tre cose: denaro, cibo e sesso. E di solito potevano usare la prima per ottenere le altre due. Quando si era imbattuta per la prima volta in questo gruppo, aveva benedetto la propria fortuna, malgrado il fatto che fossero corsi giù per il pendio di una collina in un'imboscata, con l'intento di derubarla e violentarla.
Un'altra dote di uomini come questi consisteva nel fatto che erano piuttosto inesperti con l'allomanzia.
Allrianne mantenne una salda stretta sulle proprie emozioni mentre cavalcavano giù verso l'accampamento. Non voleva che raggiungessero nessuna conclusione deludente, come per esempio: 'I riscatti sono di solito più sostanziosi delle ricompense.' Non poteva controllarli del tutto, naturalmente: poteva solo influenzarli.
Comunque, con uomini così grezzi, era piuttosto facile capire cosa passava per la loro testa. Era divertente quanto in fretta una piccola promessa di ricchezza poteva trasformare dei bruti in dei quasi gentiluomini.
Ovviamente non era una grande sfida trattare con uomini come Hobart. No...
nessuna sfida, non come con Breezy. Quello sì che era stato divertente. E anche appagante. Allrianne dubitava che avrebbe mai trovato un uomo così conscio delle proprie emozioni, così come di quelle altrui, quanto Breezy. Indurre un uomo come lui - così esperto nell'allomanzia, così deciso che la propria età lo rendesse inappropriato per lei - ad amarla... be', quello sì che era stato un vero successo.
Ah, Breezy, rimuginò lei mentre uscivano dalla foresta e procedevano per il fianco della collina davanti all'esercito. Qualcuno dei tuoi amici si rende conto di che uomo nobile sei?
Loro non lo trattavano abbastanza bene. Ovviamente c'era da aspettarselo. Era quello che voleva Breezy. La gente che ti sottovalutava era più facile da manipolare.
Sì, Allrianne comprendeva piuttosto bene questo concetto, poiché c'erano poche cose che venivano ignorate più rapidamente di una giovane, sciocca ragazzina.
«Alt!» intimò un soldato, avvicinandosi a cavallo con una scorta. Avevano le spade sguainate. «Tu, allontanati da lei!»
Oh, suvvia, pensò Allrianne roteando gli occhi. Sobillò un gruppo di soldati, aumentando il loro senso di calma. Non voleva nessun incidente.
«Per favore, capitano» lo bloccò mentre Hobart e la sua banda estraevano le armi, assiepandosi attorno a lei incerti «Questi uomini mi hanno salvata dalla natura selvaggia e mi hanno portato sana e salva a casa, con grande rischio e costo personale.»
Hobart annuì con fare deciso, un gesto sminuito solo un po' quando si asciugò il naso sulla manica. Il capitano passò in rassegna il gruppo di banditi sporchi di cenere e dagli abiti scompagnati, poi si accigliò.
«Assicuratevi che a questi uomini sia dato un buon pasto, capitano» continuò lei con disinvoltura, spronando il suo destriero in avanti. «E poi un posto per la notte.
Hobart, manderò la vostra ricompensa non appena mi sarò incontrata con mio padre.»
Banditi e soldati si agitarono dietro di lei, e Allrianne si accertò di Sobillarli entrambi, aumentando il loro senso di fiducia. Fu un'impresa difficile per i soldati, in special modo quando il vento cambiò direzione, soffiando tutto il lezzo della banda di banditi verso di loro. Tuttavia raggiunsero il campo senza incidenti.
I gruppi si divisero, con Allrianne che consegnava il cavallo a un aiutante e mandava a chiamare un paggio affinché avvisasse suo padre che era tornata. Tolse la polvere dal suo abito per cavalcare, poi si addentrò a grandi passi nell'accampamento, sorridendo piacevolmente e non vedendo l'ora di godersi un bel bagno e gli altri agi che l'esercito poteva offrire, pur se pochi. Comunque, prima c'erano altre faccende di cui doveva occuparsi.
A suo padre piaceva trascorrere le serate nel suo padiglione per i consigli di guerra dai lati aperti, e ora sedeva lì, discutendo con un messaggero. Osservò Allrianne mentre scivolava nel padiglione, rivolgendo dolci sorrisi a lord Galivan e lord Detor, i generali di suo padre.
Cett sedeva su una sedia dalle gambe alte, in modo da poter vedere bene il tavolo e le mappe. «Be', dannazione» esclamò. «Sei tornata.»
Allrianne sorrise, aggirando il tavolo dei consigli di guerra, guardando la mappa.
Mostrava in modo dettagliato le linee di rifornimento fino alla Dominazione Occidentale. Quello che vide non era affatto buono.
«Ribellioni in patria, padre?» chiese.
«E briganti che attaccano i miei carri di provviste» aggiunse Cett. «Quel ragazzo Venture li ha comprati, ne sono certo.»
«Sì, l'ha fatto» confermò Allrianne. «Ma ora questo non ha più importanza. Ti sono mancata?» Si assicurò di dare un bello strattone Sobillatorio al senso di devozione di suo padre.
Cett sbuffò, tirandosi la barba. «Sciocca ragazza» disse. «Avrei dovuto lasciarti a casa.»
«In modo che potessi cadere in mano ai tuoi nemici quando avessero sollevato una ribellione?» chiese lei. «Sapevamo entrambi che lord Yomen si sarebbe mosso non appena tu avessi portato le tue armate fuori dalla Dominazione.»
«E io avrei dovuto permettere a quel dannato stipulatore di averti!»
Allrianne rimase senza fiato. «Padre! Yomen mi avrebbe tenuta prigioniera per ottenere un riscatto. Sapete come deperisco terribilmente quando sono rinchiusa.»
Cett le lanciò un'occhiata, poi - apparentemente senza volerlo - iniziò a ridacchiare. «Lo avresti indotto a darti da mangiare delle prelibatezze prima della fine della giornata. Forse avrei dovuto lasciarti indietro. In quel caso, perlomeno, avrei saputo dov'eri, piuttosto che preoccuparmi dove saresti scappata dopo. Non avrai mica portato con te quell'idiota di Breeze, vero?»
«Padre!» esclamò Allrianne. «Breezy è un brav'uomo.»
«I brav'uomini muoiono in fretta in questo mondo, Allrianne» ribattè Cett. «Io lo so: ne ho uccisi un bel po'.»
«Oh, sì» fece Allrianne. «Voi siete molto saggio. E assumere un atteggiamento aggressivo contro Luthadel ha avuto un esito davvero positivo, dico bene? Cacciato via con la coda fra le gambe? Sareste morto, ora, se la cara Vin avesse avuto poca coscienza come voi.»
«Quella 'coscienza' non le ha impedito di uccidere circa trecento dei miei uomini»
le fece notare Cett.
«È una giovane lady molto confusa» la difese Allrianne. «A ogni modo, sento l'obbligo di ricordarvi che avevo ragione. Avreste dovuto stipulare un'alleanza col ragazzo Venture, invece di minacciarlo. Questo significa che mi dovete cinque vestiti nuovi!»
Cett si sfregò la fronte. «Questo non è un dannato gioco ragazza.»
«La moda, padre, non è un gioco» ribattè Allrianne con fermezza. «Non posso ammaliare come si deve delle truppe di banditi e indurle a riportarmi a casa sana e salva se assomiglio a una monella di strada, giusto?»
«Altri banditi, Allrianne?» chiese Cett con un sospiro. «Sai quanto ci abbiamo messo per liberarci dell'ultimo gruppo?»
«Hobart è un uomo meraviglioso» proruppe Allrianne in tono irritato. «Per non parlare del fatto che ha delle buone connessioni con la criminalità locale. Dategli un po' d'oro e qualche prostituta e potreste riuscire a convincerlo ad aiutarvi con quei briganti che stanno attaccando le vostre linee di rifornimento.»
Cett indugiò, dando un'occhiata alla mappa. Poi cominciò a tirarsi la barba con fare pensieroso. «Bene, sei tornata» tagliò corto. «Immagino che dovremo prenderci cura di te. Suppongo che tu voglia qualcuno che ti porti su una lettiga mentre ci dirigiamo a casa.»
«In realtà,» rispose Allrianne «non andremo alla Dominazione. Torneremo a Luthadel.»
Cett accantonò subito quel commento: di solito riusciva a capire quando lei era seria. Invece si limitò a scuotere la testa. «A Luthadel non c'è nulla per noi, Allrianne.»
«Non possiamo nemmeno tornare alla Dominazione» ribattè Allrianne. «I nostri nemici sono troppo forti, e alcuni di loro hanno allomanti. Ecco la ragione per cui siamo venuti qui. Non possiamo lasciare la zona finché non avremo denaro o alleati.»
«Non c'è denaro a Luthadel» dichiarò Cett. «Credo a quello che ha detto Venture a proposito dell'atium.»
«Sono d'accordo» disse Allrianne. «Ho ispezionato a dovere il palazzo, ma non ne ho trovato nemmeno un pezzetto. Questo significa che dobbiamo andarcene da qui con amici, invece di denaro. Tornate indietro, aspettate che inizi una battaglia, poi aiutate qualunque fazione sembri in procinto di vincere. Si sentiranno in debito verso di noi, potrebbero perfino decidere di lasciarci vivere.»
Cett rimase in silenzio per un momento. «Questo non aiuterà a salvare il tuo amico Breeze, Allrianne. La sua fazione è
di gran lunga la più debole: perfino se mi alleassi al ragazzo Venture, dubito che potremmo sconfiggere Straff o quei koloss. Non senza aver accesso alle mura cittadine e senza tempo in abbondanza per prepararci. Se torniamo indietro, sarà per aiutare i nemici del tuo Breeze.»
Allrianne scrollò le spalle. Non potete aiutarlo se non siete lì, padre, pensò lei.
Perderanno comunque, ma se voi siete in zona, c'è una possibilità che finiate per aiutare Luthadel.
Una possibilità davvero minima, Breeze. Questo è il meglio che posso darti, mi dispiace.
Elend Venture si svegliò quel terzo giorno lontano da Luthadel, sorpreso di quanto poteva sentirsi riposato dopo una notte passata in una tenda nelle terre disabitate. Ovviamente, parte di questo poteva essere dovuto alla compagnia.
Vin giaceva raggomitolata accanto a lui nel giaciglio imbottito, la sua testa appoggiata contro il petto di Elend. Lui si sarebbe aspettato che avesse il sonno leggero, considerando quanto era nervosa, ma pareva che si sentisse a suo agio nel dormirgli accanto. Sembrava che diventasse perfino un po' meno ansiosa quando lui la cingeva fra le braccia.
Abbassò lo sguardo su di lei con affetto, ammirando la forma del suo viso, la leggera ondulazione dei capelli neri. Il taglio sulla sua guancia ora era quasi invisibile, e lei si era già tolta i punti. Bruciare peltro in maniera bassa ma costante dava al suo corpo una notevole capacità di recupero. Non favoriva più neanche il suo braccio destro, nonostante il taglio alla spalla, e la sua debolezza dovuta al combattimento sembrava del tutto scomparsa.
Ancora non gli aveva fornito molte spiegazioni su quella notte. Si era scontrata con Zane - che a quanto pareva era il fratellastro di Elend - e TenSoon il kandra se riera andato. Tuttavia, nessuna di quelle cose pareva aver potuto causare l'angoscia che Elend aveva percepito in lei quando era corsa nelle sue stanze.
Non sapeva se avrebbe mai ottenuto le risposte che voleva. Tuttavia stava arrivando a rendersi conto di poterla amare anche se non la capiva del tutto. Si chinò e la baciò in cima alla testa.
Lei si tese immediatamente, aprendo gli occhi. Si mise a sedere, esponendo il torso nudo, poi si guardò attorno nella piccola tenda. Era fiocamente illuminata dalla luce dell'alba Infine scosse il capo, squadrandolo. «Hai una cattiva influenza su di me.»
«Eh?» chiese lui, sorridendo mentre si appoggiava su un braccio.
Vin annuì, passandosi una mano fra i capelli. «Mi stai facendo abituare a dormire, la notte» spiegò. «Inoltre non dormo più vestita.»
«Se l'avessi fatto, avrebbe complicato un po' le cose.»
«Sì,» convenne lei «ma se venissimo attaccati durante la notte? Dovrei combattere nuda.»
«Non mi dispiacerebbe stare a guardare.»
Lei gli rivolse un'occhiata perentoria, poi allungò una mano verso una camicia.
«Anche tu stai avendo una cattiva influenza su di me, sai» disse lui, osservandola vestirsi.
Lei sollevò un sopracciglio.
«Mi stai facendo rilassare» continuò lui. «E smettere di preoccuparmi. Di recente sono stato così impelagato con le faccende della città che avevo dimenticato com'era essere un eremita scortese. Purtroppo, durante il nostro viaggio, ho avuto il tempo per leggere non solo uno, ma tutti e tre i volumi delle Arti del Sapere di Troubeld.»
Vin sbuffò, mettendosi in ginocchio nella bassa tenda mentre si stringeva la cintura; poi strisciò verso di lui. «Non so come fai a leggere mentre cavalchi» disse.
«Oh, è piuttosto semplice, se non hai paura dei cavalli.»
«Io non ho paura» ribattè Vin. «È solo che a loro non piaccio. Sanno che posso correre più veloce di loro e per questo mi tengono il broncio.»
«Oh, davvero?» chiese Elend sorridendo, tirandola a sé e mettendosela a cavalcioni.
Lei annuì, poi si chinò a baciarlo. Terminò dopo un attimo, però, facendo per alzarsi. Schiaffeggiò via le mani di Elend mentre lui cercava di tirarla giù di nuovo.
«Dopo tutta la fatica che ho fatto per vestirmi?» chiese. «E poi ho fame.»
Lui sospirò, reclinandosi all'indietro mentre Vin strisciava fuori dalla tenda, nella luce rossa del sole mattutino.
Giacque lì per un po', rammentandosi in silenzio la propria fortuna. Non era ancora certo che la loro relazione avesse preso a funzionare o semplicemente del perché questo lo rendesse così felice, ma era più che disposto a godere di quell'esperienza.
Infine scrutò i suoi vestiti. Aveva portato solo una delle sue linde uniformi -
assieme a quella per cavalcare - e non voleva indossare nessuna delle due troppo spesso. Non aveva più dei servitori che gli lavassero via la cenere; in effetti, nonostante i doppi lembi della tenda, un po' di cenere era riuscita a intrufolarsi durante la notte. Ora che erano fuori dalla città, non c'erano lavoratori che spalassero via la cenere, e questa si diffondeva dappertutto.
Perciò si mise un abito molto più semplice: un paio di pantaloni per cavalcare, non diversi da quelli che Vin indossava spesso, con una camicia a bottoni grigia e una giacca scura. Non era mai stato costretto a cavalcare per lunghe distanze prima -
di solito preferiva le carrozze - ma lui e Vin stavano prendendo il viaggio in modo particolarmente lento. Non avevano nessuna vera urgenza. Gli esploratori di Straff non li avevano seguiti per molto e nessuno li stava aspettando a destinazione.
Avevano tempo per cavalcare con comodo, prendendosi delle pause e ogni tanto camminando in modo da non avere dolori per il troppo tempo in sella.
Fuori trovò Vin che attizzava il fuoco del mattino e Spook che si occupava dei cavalli. Il giovane aveva viaggiato a lungo e sapeva come prendersi cura degli animali, qualcosa che Elend si vergognava di non aver mai imparato.
Elend si unì a Vin presso la buca per il fuoco. Sedettero per qualche istante, con lei che dava dei colpetti alle braci. Pareva pensierosa.
«Cosa c'è?» domandò Elend.
Lei rivolse un'occhiata a sud. «Io...» Poi scosse il capo. «Non è nulla. Avremo bisogno di più legna.» Diede uno sguardo di lato, verso il punto dove un'ascia giaceva accanto alla tenda. L'arma volteggiò in aria, schizzando verso di lei con la lama in avanti. Vin fece un passo di lato, afferrando il manico mentre passava fra lei ed Elend. Poi si diresse verso un albero caduto. Vibrò due colpi, poi lo abbatté facilmente con un calcio spezzandolo in due.
«Ha un modo tutto suo di far sentire noialtri un po' ridondanti, non è vero?»
chiese Spook, accostandosi a Elend.
«A volte» rispose lui con un sorriso.
Spook scosse il capo. «Qualunque cosa io veda e senta, lei la percepisce meglio, ed è in grado di combattere qualunque cosa trovi. Ogni volta che torno a Luthadel, mi sento semplicemente... inutile.»
«Immagina essere una persona normale» ribattè Elend. «Almeno tu sei un allomante.»
«Forse» ammise Spook, al suono di Vin che tagliava la legna proveniente da un lato. «Ma la gente ti rispetta, El. Io non vengo neanche preso in considerazione.»
«Io ti prendo in considerazione, Spook.»
«Eh?» chiese il giovane. «Quand'è stata l'ultima volta che ho fatto qualcosa di importante per la banda?»
«Tre giorni fa» rispose Elend. «Quando hai acconsentito a venire con Vin e me.
Non sei qui solo per occuparti dei cavalli, Spook: sei qui per le tue capacità di esploratore e di Percettore. Pensi ancora che ci stiano seguendo?»
Spook esitò, poi scrollò le spalle. «Non posso esserne certo. Penso che gli esploratori di Straff siano tornati indietro, ma continuo a scorgere qualcuno là dietro. Non sono mai riuscito a cogliere una buona occhiata, però.»
«È lo spirito di nebbia» spiegò Vin, passando accanto a loro e lasciando cadere un carico di legna accanto alla buca per il fuoco. «Ci sta inseguendo.»
Spook ed Elend si scambiarono un'occhiata. Poi Elend annuì, rifiutandosi di fingere sotto lo sguardo inquisitorio di Spook. «Be', finché se ne sta alla larga da noi non è un problema, giusto?»
Vin si strinse nelle spalle. «Spero di no. Se lo vedete, però, chiamatemi. I resoconti dicono che può essere pericoloso.»
«D'accordo» acconsentì Elend. «Lo faremo. Ora decidiamo cosa mangiare per colazione.»
Straff si svegliò. Quella fu la sua prima sorpresa.
Giaceva nel letto, all'interno della sua tenda, sentendosi come se qualcuno l'avesse preso e sbattuto contro il muro alcune volte. Grugni, mettendosi a sedere.
Sul suo corpo non c'erano lividi, ma era dolorante e la testa gli martellava. Uno dei guaritori dell'esercito, un giovane uomo con una folta barba e occhi sporgenti, sedeva accanto al suo letto. L'uomo esaminò Straff per un momento.
«Voi, mio signore, dovreste essere morto» gli annunciò il giovane.
«Non lo sono» replicò Straff, mettendosi a sedere. «Datemi dello stagno.»
Un soldato si accostò con una fiala di metallo. Straff la ingurgitò, poi aggrottò la fronte per quanto la sua gola era secca e dolorante. Bruciò lo stagno solo in modo lieve: gli faceva avvertire le ferite in modo più profondo, ma era diventato dipendente dal leggero vantaggio che i sensi potenziati gli davano.
«Quanto tempo?» chiese.
«Quasi tre giorni, mio signore» rispose il guaritore. «Noi... non eravamo sicuri di cosa aveste mangiato o perché. Abbiamo pensato di provare a farvi rigettare, ma sembrava che aveste preso la pozione per vostra stessa scelta, così...»
«Avete fatto bene» lo interruppe Straff, tenendo il braccio sollevato davanti a sé.
Tremava ancora un poco e non riusciva a farlo fermare. «Chi è al comando dell'esercito?»
«Il generale Janarle» rispose il guaritore.
Straff annuì. «Perché non mi ha fatto uccidere?»
Il guaritore sbatté le palpebre dalla sorpresa, lanciando un'occhiata ai soldati.
«Mio signore,» si inserì Grent, il soldato «chi oserebbe tradirti? Chiunque ci provasse finirebbe ucciso nella propria tenda. Il generale Janarle era assai preoccupato per la vostra sicurezza.»
Ma certo, si rese conto Straff sbigottito. Non sanno che Zane se n'è andato.
Insomma, se io morissi, tutti suppongono che Zane stesso prenderebbe il controllo o si vendicherebbe di quelli che reputasse responsabili. Straff proruppe in una risata, sconcertando quelli che lo stavano sorvegliando. Zane aveva cercato di ucciderlo, ma gli aveva accidentalmente salvato la vita grazie alla semplice forza della sua reputazione.
Ti ho battuto, comprese Straff. Tu te ne sei andato e io sono vivo. Questo naturalmente non voleva dire che Zane non sarebbe tornato, ma, d'altro canto, forse non l'avrebbe fatto. Forse, solo forse, Straff si era liberato di lui per sempre.
«Il Mistborn di Elend» si ricordò all'improvviso Straff.
«L'abbiamo seguita per un po', mio signore» disse Grent «Ma si erano allontanati troppo dall'esercito e lord Janarle ha ordinato agli esploratori di tornare indietro.
Pare che sia diretta a Terris.»
Lui si accigliò. «Chi altro c'era con lei?»
«Pensiamo che anche vostro figlio Elend sia fuggito» lo informò il soldato. «Ma potrebbe essersi trattato di un inganno.»
Zane ce l'ha fatta, pensò Straff sconcertato. Si è davvero liberato di lei.
A meno che non si tratti di un qualche trucco. Ma in tal caso...
«L'esercito di koloss?» chiese Straff.
«Ci sono stati parecchi scontri fra i loro ranghi di recente, signore» disse Grent.
«Quelle bestie paiono più irrequiete.»
«Ordina al nostro esercito di smontare il campo» richiese Straff.
«Immediatamente. Ci ritiriamo verso la Dominazione Settentrionale.»
«Mio signore?» chiese Grent sbigottito. «Penso che lord Janarle stia pianificando un assalto, in attesa solo di un vostro ordine. La città è debole e il loro Mistborn se n'è andato.»
«Ci ritiriamo» ripetè Straff con un sorriso. «Per un po', almeno.» Vediamo se il tuo piano funziona, Zane.
Sazed sedeva in una piccola alcova della cucina, le mani sul tavolo davanti a lui con un anello metallico che scintillava su ciascun dito. Erano piccoli, per essere delle metalloscorte, ma accumulare attributi feruchemici richiedeva tempo. Ci sarebbe voluta una settimana per riempire la quantità di metallo di un solo anello, e lui aveva a malapena qualche giorno. In effetti, Sazed era sorpreso che i koloss avessero atteso così a lungo.
Tre giorni. Non molto tempo, ma Sazed sospettava che avrebbero avuto bisogno di qualunque vantaggio disponibile nell'ormai prossimo conflitto. Finora era stato in grado di immagazzinare una piccola quantità di ciascun attributo. Abbastanza per darsi uno slancio in caso di emergenza, una volta che le altre sue metalloscorte si fossero esaurite.
Clubs zoppicò nella cucina. A Sazed sembrava una forma indistinta. Perfino portando i suoi occhiali - per aiutare a compensare la vista che stava immagazzinando in una stagnoscorta - gli risultava difficile vedere.
«Ci siamo» disse Clubs con voce attutita - un'altra stagno- scorta si stava riempiendo dell'udito di Sazed. «Alla fine se ne sono andati.»
Sazed esitò per un momento, cercando di decifrare il commento. I suoi pensieri si muovevano come attraverso una zuppa densa e impiegò un momento per capire quello che Clubs aveva detto.
Se ne sono andati. Gli uomini di Straff. Si sono ritirati. Tossì piano prima di replicare. «Ha mai risposto a nessuno dei messaggi di lord Penrod?»
«No» disse Clubs. «Ma ha giustiziato l'ultimo messaggero.»
Be', questo non è un buon segno, rifletté rallentando Sazed. Ovviamente non c'erano stati molti segni positivi nel corso degli ultimi giorni. La città era sul punto di morire di fame, e la breve tregua data dal clima un po' più mite era terminata.
Stasera avrebbe nevicato, se la supposizione di Sazed era giusta. Questo lo fece sentire ancora più in colpa a starsene seduto in quel cantuccio della cucina, accanto a un focolare caldo, sorseggiando del brodo mentre le sue metalloscorte attingevano da lui forza, salute, sensi e capacità di pensare. Di rado aveva provato a riempirne così tante allo stesso tempo.
«Non hai l'aria di star bene» notò Clubs, sedendosi.
Sazed sbatté le palpebre, cercando di capire quel commento. «La mia...
aureoscorta» disse lentamente. «Mi sottrae salute, immagazzinandola.» Diede m'occhiata alla sua scodella di brodo. «Devo mangiare per mantenermi in forze»
spiegò, preparandosi mentalmente a prenderne un sorso.
Era uno strano procedimento. I suoi pensieri si muovevano così lenti che gli occorse un momento per decidere di mangiare. Poi il suo corpo reagì con lentezza, il braccio che impiegava alcuni secondi per muoversi. Nonostante ciò, i muscoli tremarono, la loro forza succhiata via e immagazzinata nella peltroscorta. Infine riuscì a portare una cucchiaiata alla bocca e a sorseggiarla piano. Aveva un sapore blando: Sazed stava riempiendo anche l'olfatto, e senza di esso, il suo senso del gusto era gravemente compromesso.
Avrebbe dovuto distendersi, ma in tal modo probabilmente si sarebbe addormentato. E, durante il sonno, non poteva riempire le metalloscorte... o, perlomeno, poteva riempirne solo una. Una bronzoscorta, il metallo che conservava veglia, lo avrebbe costretto a dormire di più in cambio di permettergli di andare avanti più a lungo senza dormire in un'altra occasione.
Sazed sospirò, appoggiando con attenzione il cucchiaio, poi tossì. Aveva fatto tutto il possibile per aiutare a sventare il conflitto. Il suo piano migliore era stato inviare una lettera a lord Penrod, esortandolo a informare Straff Venture che Vin non era più in città. Aveva sperato che allora Straff sarebbe stato disposto a stipulare un patto. Apparentemente quella tattica non aveva avuto successo. Nessuno aveva avuto notizie da Straff per giorni.
Il loro destino si avvicinava come l'inevitabile alba. Penrod aveva consentito a tre gruppi separati di cittadini - uno dei quali composto da nobili - di provare a scappare da Luthadel. I soldati di Straff, più cauti dopo la fuga di Elend, avevano catturato e sterminato ogni gruppo. Penrod aveva perfino mandato un messaggero da lord Jastes Lekal, sperando di stipulare qualche accordo con il governante del Sud, ma l'emissario non era tornato dall'accampamento koloss.
«Be',» fece Clubs «almeno li abbiamo trattenuti per qualche giorno.»
Sazed ci pensò su per un momento. «È stato semplicemente un modo per ritardare l'inevitabile, temo.»
«Certamente» convenne Clubs. «Ma è stato un ritardo importante. Elend e Vin saranno almeno a quattro giorni di distanza, a quest'ora. Se i combattimenti fossero iniziati troppo presto, puoi scommettere che la piccola signorina Mistborn sarebbe tornata indietro e si sarebbe fatta ammazzare per cercare di salvarci.»
«Ah» fece Sazed lentamente, costringendosi ad allungarsi per prendere un'altra cucchiaiata di brodo. Il cucchiaio era un peso morto nelle sue dita intorpidite: Il suo senso del tatto, naturalmente, stava venendo travasato in una stagnoscorta. «Le difese della città?» chiese, armeggiando con il cucchiaio.
«Pessime» rispose Clubs. «Ventimila uomini possono sembrare molti, ma prova a distribuirli per una città così grande.»
«Ma i koloss non avranno alcun equipaggiamento d'assedio» notò Sazed, concentrato sul cucchiaio. «O arcieri.»
«Sì» disse Clubs. «Ma abbiamo otto cancelli cittadini da proteggere, e i koloss possono raggiungere uno qualsiasi di cinque di essi. Nessuno di quei cancelli è stato costruito per sopportare un attacco. E, per come stanno le cose, posso a malapena mettere due migliaia di uomini a ciascuno di essi, dal momento che non so proprio quale sarà il punto da cui i koloss giungeranno.»
«Oh» disse Sazed piano.
«Cosa ti aspettavi, Terrisiano?» chiese Clubs. «Buone notizie? I koloss sono più grossi, forti e pazzi di noi. E sono in superiorità numerica.»
Sazed chiuse gli occhi, il cucchiaio tremante tenuto a metà strada verso le labbra.
All'improvviso percepì una debolezza che non era relativa alle sue metalloscorte.
Perché non è andata con loro? Perché non è scappata?
Mentre Sazed apriva gli occhi, vide Clubs che faceva cenno a una servitrice di portargli qualcosa da mangiare. La giovane tornò con una scodella di zuppa. Clubs la scrutò con disappunto per un momento, poi però sollevò una mano rugosa e iniziò a sorseggiarla. Scoccò un'occhiata a Sazed. «Ti aspetti delle scuse da me, Terrisiano?» chiese fra una cucchiaiata e l'altra.
Sazed rimase sbigottito per un momento. «Niente affatto, lord Cladent» rispose infine.
«Bene» ribatté Clubs. «Sei una persona piuttosto rispettabile. Sei solo confuso.»
Sazed sorseggiò la zuppa, sorridendo. «È confortante da sentire, ritengo.» Rifletté per un momento. «Lord Cladent, ho una religione per voi.»
Clubs si accigliò. «Non ti arrendi mai, vero?»
Sazed abbassò lo sguardo. Gli ci volle un momento per rimettere insieme quello a cui stava pensando prima. «Quello che avete detto in precedenza, lord Cladent.
Sulla moralità volubile. Mi ha fatto pensare a una fede conosciuta come Dadradah. I suoi praticanti erano diffusi fra molti popoli e stati; credevano che esistesse un solo Dio e che ci fosse solo un modo giusto per adorarlo.»
Clubs sbuffò. «Non ho proprio alcun interesse in una delle tue religioni morte, Terrisiano. Penso che...»
«Erano artisti» lo interruppe Sazed piano.
Clubs esitò.
«Ritenevano che l'arte avvicinasse a Dio» continuò «Erano più interessati in colori e sfumature, e adoravano scrivere poesie che descrivevano le tinte che vedevano nel mondo attorno a loro.»
Clubs rimase in silenzio per un po'. «Perché predicare a me questa religione?»
domandò. «Perché non sceglierne una più diretta, come sono io? O una che adorava la guerra e i soldati?»
«Perché, lord Cladent...» rispose Sazed. Sbatté le palpebre, richiamando alla mente con uno sforzo dei ricordi attraverso la mente annebbiata. «Questo non siete voi. È quello che dovete fare, ma non siete voi. Gli altri dimenticano, ritengo, che voi eravate un carpentiere. Un artista. Quando vivevamo nella vostra bottega, vi vedevo spesso apporre delle rifiniture su pezzi che i vostri apprendisti avevano intagliato. Vedevo la cura che usavate. Quel negozio non era una semplice facciata per voi. Vi manca, lo so.»
Clubs non rispose.
«Dovete vivere come un soldato» disse Sazed, tirando fuori qualcosa dalla sua fusciacca con una mano indebolita. «Ma potete ancora sognare come un artista.
Ecco. Ho fatto realizzare questo per voi. È un simbolo della fede Dadradah. Per la sua gente, essere un artista era una vocazione superiore perfino all'essere un sacerdote.»
Appoggiò il disco di legno sul tavolo. Poi, con sforzo, sorrise a Clubs. Era passato molto tempo dall'ultima volta che aveva predicato una religione, e non era sicuro di cosa gli avesse fatto decidere di offrire questa a Clubs. Forse era per dimostrare a sé stesso che in esse c'era valore. Forse era ostinazione, reagendo a quello che Clubs aveva affermato in precedenza. A ogni modo, trovò soddisfazione nel modo in cui Clubs fissò il semplice disco ligneo al cui interno c'era la figura intagliata di un pennello.
L'ultima volta che ho predicato una religione, ricordò, fu in quel villaggio a sud dove mi trovò Marsh.
Cosa gli è accaduto, comunque? Perché non è tornato in città?
«La tua donna ti sta cercando» lo informò infine Clubs, alzando lo sguardo e lasciando il disco sul tavolo.
«La mia donna?» chiese Sazed. «Ecco, noi non...» Lasciò morire la frase mentre Clubs lo squadrava. L'imbronciato generale era piuttosto esperto con quelle occhiate significative.
«Molto bene» sospirò Sazed. Lanciò un'occhiata verso le proprie dita e i dieci anelli scintillanti che portavano. Quattro erano di stagno: vista, udito, odorato e tatto. Questi continuò a riempirli: non l'avrebbero penalizzato troppo. Lasciò andare la peltroscorta, però, così come l'acciaioscorta e la zincoscorta.
Il suo corpo si riempì nuovamente di forza all'istante, i suoi muscoli smisero di essere flosci, facendolo tornare da emaciato a sano. L'intontimento gli abbandonò la mente, permettendogli di pensare con chiarezza, e quella lentezza densa e goffa evaporò. Si mise in piedi, rinvigorito.
«È affascinante» borbottò Clubs.
Sazed abbassò lo sguardo.
«Ho potuto vedere il cambiamento» continuò Clubs. «Il tuo corpo è diventato più forte e i tuoi occhi più concentrati. Le tue braccia hanno smesso di tremare.
Suppongo che tu non voglia affrontare quella donna senza tutte le tue facoltà, eh?
Non ti biasimo.» Clubs grugnì fra sé, poi continuò a mangiare.
Sazed salutò l'uomo, poi si avviò fuori dalla cucina. Si sentiva ancora i piedi e le mani come protuberanze quasi insensibili. Eppure avvertì un'energia. Non c'era nulla come il semplice contrasto per svegliare il senso di indomabilità di un uomo.
E non c'era nulla che potesse fiaccare quella sensazione più rapidamente della prospettiva di incontrare la donna che amava. Perché Tindwyl era rimasta? E se fosse stata decisa a non tornare a Terris, perché lo aveva evitato in questi ultimi giorni? Perché era arrabbiata con lui per aver mandato via Elend? Era delusa che lui avesse insistito per rimanere ad aiutare?
La trovò all'interno della sontuosa sala da ballo della Fortezza Venture. Lui esitò per un momento, impressionato - come sempre - dall'innegabile maestosità della stanza. Lasciò andare la stagnoscorta della vista solo per un momento, togliendosi gli occhiali nel guardarsi attorno per quello spazio imponente.
Enormi finestre rettangolari a vetri colorati arrivavano fino al soffitto lungo le due pareti opposte della grandissima stanza. Stando su un lato, Sazed si sentì insignificante rispetto ai massicci pilastri che supportavano una piccola galleria che correva sotto le finestre da ambo i lati della sala. Ogni pezzo di roccia nella stanza pareva intagliato: ogni piastrella era parte di un mosaico o un altro, ogni frammento di vetro colorato sembrava lì per scintillare nella luce della prima sera.
È passato così tanto tempo, pensò. La prima volta che aveva visto questa stanza, l'aveva fatto scortando Vin al suo primo ballo. Era allora, mentre impersonava il ruolo di Valette Renoux, che lei aveva incontrato Elend. Sazed l'aveva rimproverata per aver attirato così incautamente l'attenzione di un uomo tanto potente.
E ora era stato lui stesso a officiare il loro matrimonio. Sorrise, rimettendosi gli occhiali e riprendendo a riempire la stagnoscorta della vista. Che possano gli dèi dimenticati vegliare su di te, figliola. Cerca di trarre qualcosa dal nostro sacrificio, se puoi.
Tindwyl era lì a parlare con Dockson e un gruppetto di funzionari al centro della stanza. Erano assiepati attorno a un grande tavolo, e quando Sazed si avvicinò potè vedere cosa c'era disteso sopra.
La mappa di Marsh, pensò. Era una vasta e dettagliata rappresentazione di Luthadel, completa di annotazioni sulle attività del Culto. Sazed conservava un'immagine della mappa, così come una sua descrizione particolareggiata, in una delle sue cupriscorte - e ne aveva inviato una copia fisica al Sinodo.
Tindwyl e gli altri avevano coperto la grande mappa di proprie annotazioni.
Sazed si avvicinò lentamente e, non appena Tindwyl lo vide, gli fece cenno di accostarsi.
«Ah, Sazed» lo salutò Dockson in tono pratico, la voce ovattata alle orecchie indebolite di Sazed. «Bene. Per favore, vieni qui.»
Sazed salì sulla bassa pista da ballo, unendosi a loro presso il tavolo.
«Disposizione delle truppe?» chiese.
«Penrod ha preso il comando delle nostre armate» lo informò Dockson «e ha affidato tutti e venti i battaglioni a dei nobili. Non siamo certi che questa situazione ci piaccia.»
Sazed squadrò gli uomini al tavolo. Erano un gruppo di scribi addestrati da Dockson in persona, tutti skaa. Dèi! pensò Sazed. Non è possibile che, di tutti i momenti, stia architettando una ribellione proprio adesso, o no?
«Non avere quell'aria così spaventata, Sazed» disse Dockson. «Non abbiamo intenzione di fare nulla di troppo drastico. Penrod sta comunque lasciando che sia Clubs a organizzare la difesa della città, e pare che lui stia prendendo consigli dai suoi comandanti militari. Inoltre è ormai troppo tardi per tentare qualcosa di ambizioso.»
Dockson sembrava quasi deluso.
«Comunque,» continuò, indicando la mappa «non mi fido di questi nobili che ha messo al comando. Non sanno nulla sull'arte della guerra, e nemmeno sulla sopravvivenza. Hanno passato le loro vite a ordinare da bere o a organizzare ricevimenti.»
Perché li odiate così tanto?, pensò Sazed. Ironia della sorte, Dockson era quello che all'interno della banda aveva più l'aspetto da nobile. Indossava un completo con maggior naturalezza di Breeze, ed era più eloquente nel parlare di Clubs o Spook.
Solo la sua ostinazione nel portare una mezza barba non proprio aristocratica lo rendeva distinguibile.
«I nobili possono non conoscere l'arte della guerra,» osservò Sazed «ma sono esperti nel comando, ritengo.»
«Vero» confermò Dockson. «Ma anche noi lo siamo. Ecco perché voglio uno di noi vicino a ogni cancello, solo nell’'eventualità in cui le cose vadano male e ci sia bisogno di qualcuno competente che prenda il comando.»
Dockson indicò il tavolo, verso uno dei cancelli: il Cancello d'Acciaio. Riportava l'annotazione di mille uomini in una formazione difensiva. «Questo è il tuo battaglione, Sazed. Il Cancello d'Acciaio è il più lontano da raggiungere per i koloss, perciò può darsi che tu non veda nemmeno la battaglia. Comunque, quando il combattimento inizierà, ti voglio lì con un gruppo di messaggeri per informare la Fortezza Venture nel caso in cui il tuo cancello venga attaccato. Disporremo un posto di comando qui nella sala da ballo principale: è facilmente accessibile con quelle ampie porte, e può ospitare parecchio movimento.»
Ed era uno smacco non così sottile nei confronti di Elend Venture e della nobiltà in generale utilizzare una sala così bella come il luogo da cui gestire una guerra.
Non c'è da meravigliarsi che mi abbia spalleggiato nel mandar via Elend e Vin Ora che non ci sono, lui ha ottenuto il controllo indiscusso della banda di Kelsier.
Non era un male. Dockson era un genio dell'organizzazione e un maestro nell'escogitare rapidamente dei piani. Aveva taluni pregiudizi, però.
«So che non ti piace combattere, Sazed» disse Dockson, appoggiandosi sul tavolo con entrambe le mani. «Ma abbiamo bisogno di te.»
«Ritengo che si stia preparando per la battaglia, lord Dockson» si inserì Tindwyl, fissando Sazed. «Quegli anelli che porta alle dita indicano chiaramente le sue intenzioni.»
Sazed lanciò uno sguardo verso di lei oltre il tavolo. «E qual è il tuo ruolo in tutto questo, Tindwyl?»
«Lord Dockson è venuto da me per dei consigli» rispose Tindwyl. «Lui stesso ha poca esperienza con l'arte della guerra e desiderava conoscere quello che avevo studiato sui generali del passato.»
«Ah» fece Sazed. Si voltò verso Dockson, accigliando la fronte con aria pensierosa. Alla fine annuì. «Molto bene. Prenderò parte al vostro progetto... ma devo mettervi in guardia dal creare delle divisioni. Vi prego, dite ai vostri uomini di non rompere la catena di comando a meno che non sia assolutamente necessario.»
Dockson annuì.
«Ora, lady Tindwyl,» disse Sazed «possiamo parlare per un momento in privato?»
Lei annuì ed essi si scusarono, camminando sotto la galleria sovrastante più vicina. Nelle ombre, dietro uno dei pilastri, Sazed si voltò verso Tindwyl. Lei pareva così pura - così calma, così posata - malgrado la situazione difficile. Come ci riusciva?
«Stai immagazzinando una gran quantità di attributi, Sazed» notò Tindwyl, scoccando di nuovo un'occhiata alle sue dita. «Di certo hai altre metalloscorte preparate da prima.»
«Ho usato tutta la mia veglia e la mia velocità per il viaggio a Luthadel» le confidò Sazed. «E non ho da parte nessuna salute: ho terminato l'ultima che avevo per sconfiggere una malattia mentre stavo insegnando al Sud. Ho sempre avuto intenzione di riempirne un'altra, ma siamo stati troppo occupati. Ho a disposizione una gran quantità di forza e di peso, così come una vasta selezione di stagnoscorte.
Comunque non si può mai essere troppo preparati, ritengo.»
«Forse» concesse Tindwyl. Tornò a lanciare un'occhiata al gruppo attorno al tavolo. «Se ci fornisce qualcosa a parte il pensare all'inevitabile, allora la preparazione non è stata invano, ritengo.»
Sazed fu percorso da un brivido. «Tindwyl,» disse lui piano «perché sei rimasta?
Questo non è posto per te.»
«Non è posto nemmeno per te, Sazed.»
«Questi sono miei amici» ribatté lui. «Non li abbandonerò.»
«Allora perché hai convinto i loro capi ad andarsene?»
«Per fuggire e vivere» spiegò Sazed.
«La sopravvivenza non è un lusso di cui i governanti possono godere spesso»
ribatté Tindwyl. «Quando accettano la devozione di altri, devono anche accettare la responsabilità che ne deriva. Questa gente morirà, ma non era necessario che si sentisse tradita.»
«Non è stata...»
«Si aspettavano di essere salvati, Sazed» sibilò Tindwyl piano. «Anche quegli uomini laggiù - perfino Dockson, il più pratico di questo gruppo - pensano che sopravvivranno. E sai perché? Perché, in profondo dentro di loro, credono che qualcosa li salverà. Qualcosa che li ha salvati prima, l'unico pezzo del Sopravvissuto che gli rimane. Per loro lei rappresenta la speranza. E tu l'hai mandata via.»
«Perché vivesse, Tindwyl» ribadì Sazed. «Sarebbe stato uno spreco perdere Vin ed Elend qui.»
«La speranza non è mai uno spreco» disse Tindwyl. Gli occhi dei Terrisiani scintillavano. «Ritenevo che tu, fra tutti quanti, l'avresti capito. Pensi che sia stata l'ostinazione a mantenermi in vita tutti questi anni nelle mani dei Riproduttori?»
«Ed è l'ostinazione o la speranza che ti ha trattenuto qui, in città?» chiese lui.
Tindwyl alzò lo sguardo verso di lui. «Nessuna delle due.»
Sazed la guardò per un lungo istante nell'alcova in ombra. Nella sala da ballo gli altri continuavano con i loro piani, e udivano riecheggiare le loro voci. Fasci di luce dalle finestre si riflettevano sui pavimenti di marmo, gettando schegge di illu-minazione lungo le pareti. In modo lento e goffo, Sazed cinse Tindwyl con le braccia. Lei sospirò, permettendogli di tenerla a sé.
Sazed lasciò andare le sue stagnoscorte e consentì ai suoi sensi di tornare di colpo.
La morbidezza della pelle di Tindwyl e il calore del suo corpo si riversarono in lui mentre lei si abbandonava di più al suo abbraccio, appoggiandogli la testa contro il petto. L'odore dei suoi capelli - non profumati, ma puliti e freschi - gli riempì le narici, la prima cosa che odorava da tre giorni. Con una mano goffa, Sazed si tolse gli occhiali in modo da vederla chiaramente. Mentre i suoni tornavano appieno alle sue orecchie, potè udire Tindwyl respirare accanto a lui.
«Sai perché ti amo, Sazed?» chiese lei piano.
«Non riesco a immaginarlo» rispose lui con sincerità.
«Perché non ti arrendi mai» spiegò. «Altri uomini sono forti come mattoni: solidi, inflessibili, ma se li martelli abbastanza a lungo, si rompono. Tu... tu sei forte come il vento. Sempre lì, così disposto a piegarti, ma senza mai scusarti per le volte in cui devi essere deciso. Non penso che nessuno dei tuoi amici capisca quale risorsa avevano in te.»
Avevano, notò lui. Già pensa a tutto questo parlando al passato. E le sembra giusto farlo. «Temo che qualunque cosa io abbia, non sarà sufficiente a salvarli»
sussurrò Sazed.
«È stato sufficiente a salvare tre di loro, però» ricordò Tindwyl. «Hai avuto torto nel mandarli via, ma forse hai avuto anche ragione.»
Sazed si limitò a chiudere gli occhi e a tenerla stretta, maledicendola per essere rimasta, eppure amandola comunque per averlo fatto.
In quel momento i tamburi di avvertimento in cima alle mura iniziarono a suonare.