Se solo il Baratro non fosse giunto in quel momento, presentando la minaccia che condusse gli uomini alla disperazione, sia nelle loro azioni che nelle loro credenze.

18

«Uccidilo» sussurrò Dio.

Zane era sospeso in silenzio nelle nebbie, guardando attraverso le portefinestre aperte del balcone di Elend. Le nebbie mulinavano attorno a lui, celandolo alla vista del re.

«Dovresti ucciderlo» disse di nuovo Dio.

In un certo senso, Zane odiava Elend, anche se non aveva mai incontrato quell'uomo fino a quel giorno. Elend era tutto ciò che Zane sarebbe dovuto essere: favorito, privilegiato e viziato. Era il nemico di Zane, un ostacolo sulla strada verso il dominio, ciò che stava trattenendo Straff - perciò Zane - dal controllare la Dominazione Centrale.

Ma era anche il fratello di Zane.

Zane si lasciò precipitare attraverso le nebbie, cadendo in silenzio a terra fuori dalla Fortezza Venture. Tirò le sue ancore in mano: tre barrette che aveva Spinto per mantenersi fermo sul posto. Vin sarebbe tornata presto, e lui non voleva essere nelle vicinanze della fortezza quando fosse accaduto. Lei aveva la singolare capacità di sapere dove si trovava Zane; i suoi sensi erano molto più acuti di qualunque allomante lui avesse conosciuto o combattuto. Ovviamente, era stata addestrata dal Sopravvissuto in persona.

Mi sarebbe piaciuto conoscerlo, pensò Zane mentre si muoveva in silenzio per il cortile. Era un uomo che comprendeva il potere dell'essere Mistborn. Un uomo che non lasciava che altri lo controllassero. Un uomo che faceva quello che andava fatto, per quanto spietato potesse sembrare. O così dicevano le voci.

Zane si soffermò accanto alle mura esterne della fortezza, sotto un contrafforte. Si chinò a smuovere una pietra del selciato e trovò il messaggio lasciato lì dalla sua spia all'interno del palazzo di Elend. Zane lo recuperò, rimise a posto la pietra, poi lasciò cadere ima moneta e si lanciò nella notte.

Zane non si muoveva furtivo. Non strisciava, non si appostava, non si rannicchiava. In effetti, non gli piaceva nemmeno nascondersi.

Perciò si avvicinò all'accampamento dell'esercito Venture con passo determinato.

Gli sembrava che i Mistborn passassero troppa parte della loro vita in segretezza.

Certo, l'anonimato offriva una qualche libertà. Però, stando alla sua esperienza, li vincolava più che liberarli. Permetteva che fossero controllati e consentiva alla società di fingere che non esistessero.

Zane si diresse verso un posto di guardia, dove due soldati sedevano attorno a un grande fuoco. Scosse il capo: erano praticamente inutili, accecati dalla luce delle fiamme. Gli uomini normali temevano le nebbie, e questo li rendeva meno preziosi.

Non era arroganza: era un semplice fatto. Gli allomanti erano più utili, pertanto più preziosi degli uomini normali. Ecco perché Zane aveva posto anche dei Percettori di guardia al buio. I soldati normali non erano altro che una formalità.

«Uccidili» ordinò Dio mentre Zane raggiungeva il posto di guardia. Zane ignorò la voce, anche se diventava sempre più difficile riuscirci.

«Alt!» intimò una delle guardie, abbassando una lancia. «Chi è là?»

Zane Spinse la lancia in modo sbrigativo, deviandone la punta verso l'alto. «Chi altri potrebbe essere?» sbottò, entrando nel cerchio di luce.

«Lord Zane!» disse l'altro soldato.

«Andate a chiamare il re» gli intimò Zane, superando il posto di guardia. «Ditegli di venire da me nella tenda di comando.»

«Ma mio signore» replicò la guardia. «L'ora è tarda. Sua Maestà sta probabilmente...»

Zane si voltò, rivolgendo al soldato un'occhiata perentoria. Le nebbie turbinarono attorno a loro. Zane non dovette nemmeno usare l'allomanzia emozionale su di lui: l'uomo si limitò a rivolgergli il saluto, poi si allontanò di corsa nella notte per fare come gli era stato ordinato.

Zane attraversò il campo a lunghi passi. Non indossava alcuna uniforme o nebbiomanto, ma i soldati si fermavano e gli rivolgevano il saluto al suo passaggio.

Era così che doveva essere. Lo conoscevano, sapevano chi era e il rispetto che gli era dovuto.

E tuttavia una parte di lui riconosceva che, se Straff non avesse tenuto nascosto il suo figlio bastardo. Zane forse non sarebbe stato la potente arma che era oggi.

Quella segretezza aveva costretto Zane a condurre un'esistenza squallida mentre il suo fratellastro, Elend, aveva avuto tutti i privilegi. Ma significava anche che Straff era stato in grado di mantenere nascosto Zane per la maggior parte della sua vita.

Anche se si stavano diffondendo voci sull'esistenza del Mistborn di Straff pochi si rendevano conto che Zane era il suo stesso figlio.

Inoltre, quella vita dura aveva insegnato a Zane a sopravvivere per conto proprio.

Era diventato spietato e potente. Cose che sospettava che Elend non avrebbe mai capito. Purtroppo, un effetto collaterale della sua fanciullezza era che, apparentemente, l'aveva reso pazzo.

«Uccidilo» bisbigliò Dio mentre Zane superava un'altra guardia. La voce gli parlava ogni volta che vedeva una persona: era l'onnipresente e sommessa compagna di Zane. Lui capiva di essere matto. Non era stato così difficile da determinare tutto sommato. La gente normale non sentiva le voci. Zane sì.

Però non riteneva che la follia fosse una scusa per un comportamento irrazionale.

Alcuni uomini erano ciechi, altri collerici. Altri ancora sentivano voci. Era la stessa cosa. Un uomo non era considerato per i suoi difetti, ma per come li superava.

E così Zane ignorava la voce. Uccideva quando voleva, non quando era questa a ordinarglielo. A suo giudizio, era in effetti piuttosto fortunato. Altri folli avevano delle visioni o non riuscivano a distinguere le loro illusioni dalla realtà. Zane almeno, era in grado di controllarsi.

In buona misura.

Spinse uno dei ganci metallici sui lembi della tenda di comando. I lembi si ripiegarono all'indietro, aprendosi per lui mentre le guardie da ambo i lati gli rivolgevano il saluto. Zane si chinò per entrare.

«Mio signore!» scattò l'ufficiale al comando del turno di notte.

«Uccidilo» ordinò Dio. «Non è così importante.»

«Carta» ordinò Zane, dirigendosi verso l'ampio tavolo della stanza. L'ufficiale si affrettò a obbedire, prendendo una pila di fogli. Zane Tirò la punta di una penna, facendola volteggiare per la stanza fino alla sua mano. L'ufficiale portò l'inchiostro.

«Questi sono i punti dove sono concentrate le truppe e i percorsi delle ronde notturne» disse Zane, scribacchiando sulla carta alcuni numeri e segni. «Li ho osservati stanotte, mentre ero a Luthadel.»

«Ottimo, mio signore» commentò il soldato. «Apprezziamo il vostro aiuto.»

Zane si interruppe. Poi continuò lentamente a scrivere. «Soldato, tu non sei un mio superiore. Non sei nemmeno un mio pari. Io non vi sto 'aiutando'. Sto provvedendo ai bisogni del mio esercito. Capito?»

«Certo, mio signore.»

«Bene» concluse Zane, terminando le sue note e porgendo il foglio al soldato.

«Ora vai... oppure farò come mi ha suggerito un amico e ti conficcherò questa penna in gola.»

Il soldato prese il foglio, poi si allontanò rapidamente. Zane attese con impazienza. Straff non arrivava. Alla fine. Zane imprecò sottovoce e, aprendo la tenda con una Spinta, uscì a grandi passi. La tenda di Straff era un rosso faro scintillante nella notte, ben illuminata da numerose lanterne. Zane superò le guardie, che sapevano che non era il caso di importunarlo, ed entrò nella tenda del re.

Straff stava consumando la sua cena a un'ora tarda. Era un uomo alto, castano come entrambi i suoi figli - i due che avevano importanza, perlomeno. Aveva mani delicate da nobile con le quali era solito mangiare con grazia. Non reagì all'ingresso di Zane.

«Sei in ritardo» osservò Straff

«Uccidilo» sussurrò Dio.

Zane strinse i pugni. L'ordine della voce fu il più difficile da ignorare. «Sì» disse.

«Sono in ritardo.»

«Cos'è successo stanotte?» chiese Straff

Zane landò un'occhiata ai servitori. «Dovremmo occuparci di questo nella tenda di comando.»

Straff continuò a sorseggiare la zuppa, rimanendo dov'era, sottintendendo che Zane non aveva l'autorità di dargli ordini. Era frustrante, ma non inatteso. Zane aveva usato praticamente la stessa tattica sull'ufficiale del turno di notte solo pochi momenti prima. Aveva imparato dal migliore.

Alla fine. Zane sospirò, mettendosi a sedere. Appoggiò le braccia sul tavolo, rigirando lentamente fra le mani un coltello mentre osservava suo padre mangiare.

Un servitore si avvicinò per chiedere a Zane se voleva cenare, ma lui lo scacciò con un gesto.

«Uccidi Straff» ordinò Dio. «Dovresti esserci tu al suo posto. Sei più forte di lui.

Sei più competente.»

Ma non sano di mente quanto lui, pensò Zane.

«Ebbene?» chiese Straff. «Hanno l'atium del lord Reggente o no?»

«Non ne sono certo» rispose Zane.

«La ragazza si fida di te?» domandò Straff.

«Sta iniziando a farlo» disse Zane. «L'ho vista usare dell'atium, quella volta, per combattere gli assassini di Cett.»

Straff annuì pensieroso. Era davvero competente: grazie a lui, la Dominazione Settentrionale aveva evitato il caos che aveva prevalso nel resto dell'Ultimo Impero.

Gli skaa di Straff rimanevano sotto controllo, i suoi nobili domati. Certo, era stato costretto a giustiziare parecchie persone per dimostrare che era al comando. Ma faceva ciò che andava fatto. In un uomo, quella era la qualità che Zane rispettava più di ogni altra.

Specialmente dal momento che aveva problemi a mostrarla lui stesso.

«Uccidilo!» urlò Dio. «Tu lo odi! Ti ha tenuto nello squallore, costringendoti a lottare per la tua sopravvivenza quando eri un bambino.»

Mi ha reso forte, pensò Zane.

«Allora usa quella forza per ucciderlo!»

Zane afferrò il coltello per affettare dal tavolo. Straff alzò gli occhi dal suo pasto, poi sussultò appena un poco quando Zane si apri un lungo squarcio in cima all'avambraccio, n dolore lo aiutava a non dar retta alla voce.

Straff osservò per un momento, poi fece cenno a un servitore di portare a Zane un asciugamano in modo da non far colare sangue sul tappeto.

«Devi indurla a usare ancora l'atium» disse Straff. «Può darsi che Elend sia riuscito a tirare insieme una o due perline. Conosceremo la verità solo se lei lo esaurisce.» Si interruppe, tornando al proprio pasto. «Per l'esattezza, quello che devi fare è indurla a dirti dov'è nascosta la riserva, sempre che ce l'abbiano.»

Zane si sedette, osservando il sangue colare dal taglio sull'avambraccio. «E più capace di quanto tu pensi, padre.»

Straff si stupì. «Non crederai davvero a quelle storie. Zane? Le menzogne su lei e II lord Reggente?»

«Come fate a sapere che sono menzogne?»

«Per via di Elend» rispose Straff. «Quel ragazzo è uno sciocco; controlla Luthadel soltanto dal momento che ogni nobile, con solo metà cervello, ha lasciato la città. Se quella ragazza fosse tanto potente da sconfiggere II lord Reggente, dubito davvero che tuo fratello potrebbe averne mai ottenuto la lealtà.»

Zane si ferì nuovamente al braccio. Non tagliò così in profondità da causare un vero danno, e II dolore funzionò come al solito. Straff si ritrasse dal suo pasto, mascherando un'espressione di disgusto. Una piccola parte contorta di Zane provò piacere nel vedere quello sguardo negli occhi del padre. Forse era un effetto collaterale della sua follia.

«Comunque,» riprese Straff «ti sei incontrato con Elend?»

Zane annuì. Si voltò verso una servitrice. «Tè» ordinò, agitando il braccio sano.

«Elend è rimasto sorpreso. Voleva incontrarsi con te, ma ovviamente non gli è piaciuta l'idea di venire nel tuo accampamento. Dubito che verrà.»

^ «Forse» concesse Straff. «Ma non sottovalutare la stupidità del ragazzo. A ogni modo, forse ora comprende come proseguirà il nostro rapporto.»

Quante manfrine, pensò Zane. Mandando questo messaggio Straff aveva preso una posizione netta: non si sarebbe spostato o anche solo scomodato per Elend.

Essere costretto a un assedio ti ha scomodato, però, pensò Zane sorridendo. A Straff sarebbe piaciuto un attacco diretto, conquistando la città senza discutere o negoziare. L'arrivo del secondo esercito l'aveva reso impossibile. Se avesse attaccato ora, Straff sarebbe stato sconfitto da Cett.

Questo voleva dire aspettare e continuare l'assedio finché Elend non avesse compreso e fosse stato disposto a unirsi a suo padre. Ma aspettare era qualcosa che Straff detestava. A Zane non importava. Gli avrebbe dato più tempo per confrontarsi con la ragazza. Sorrise.

Quando il tè arrivò. Zane chiuse gli occhi, poi bruciò stagno per aumentare i propri sensi. Le ferite gli bruciarono, i dolori quasi impercettibili si fecero intensi, riscuotendolo fino a uno stato di allerta.

C'erano alcune verità che non stava dicendo a Straff. Lei sta arrivando a fidarsi di me, pensò. E c'è dell'altro. Le piaccio. Forse... potrebbe capirmi.

Forse potrebbe salvarmi.

Sospirò, aprendo gli occhi e usando l'asciugamano per pulirsi il braccio. La sua follia lo spaventava, a volte. Ma sembrava più debole con Vin nei paraggi. Era tutto quello su cui poteva confidare in quel momento. Accettò il suo tè dalla servitrice -

treccia lunga, petto sodo, fattezze ordinarie - e prese una sorsata del cinnamomo caldo.

Straff sollevò la propria tazza, poi esitò, odorando delicatamente. «Tè avvelenato.

Zane?»

Zane non disse nulla.

«Betullamara, per di più» commentò Straff. «Questa mossa è deprimente e priva di originalità da parte tua.»

Zane non disse nulla.

Straff fece un gesto di taglio con la mano. La ragazza alzò gli occhi terrorizzata mentre una delle guardie di Straff le si avvicinava. Guardò verso Zane, aspettandosi qualche sorta di aiuto, ma lui si limitò a distogliere lo sguardo. Urlò in modo patetico mentre la guardia la trascinava via per essere giustiziata.

Voleva l'opportunità di ucciderlo, pensò lui. Le avevo detto che probabilmente non avrebbe funzionato.

Straff scosse II capo e basta. Pur non essendo un Mistborn completo. Il re era un Percettore. Tuttavia, anche per uno con le sue doti, distinguere al fiuto la betullamara in mezzo al cinnamomo era un'impresa notevole.

«Zane, Zane...» lo rimproverò Straff. «Cosa avresti fatto se fossi davvero riuscito a uccidermi?»

Se avessi veramente voluto ucciderti, penso Zane, avrei usato quel coltello, non II veleno. Ma che Straff pensasse pure ciò che voleva. Il re si aspettava tentativi di assassinio. Così Zane glieli forniva.

Straff tenne qualcosa sollevato... una perlina d'atium. «Avevo intenzione di dartela. Zane. Ma vedo che dovremo aspettare. Devi smetterla con questi sciocchi attentati alla mia vita. Se per caso dovessi avere successo, dove prenderesti il tuo atium?»

Straff non capiva, naturalmente. Pensava che l'atium fosse come una droga e supponeva che i Mistborn godessero nell'usarla. Perciò pensava di poter controllare Zane con esso. Zane lo lasciava continuare a credere a quel malinteso, senza mai svelargli di avere la sua personale riserva di quel metallo.

Questo, però, lo riportò al vero problema che dominava la sua vita. I sussurri di Dio stavano tornando, ora che II dolore stava svanendo. E di tutte le persone a cui la voce faceva riferimento, Straff Venture era quella che più meritava di morire.

«Perché?» chiese Dio. «Perché non vuoi ucciderlo?»

Zane abbassò lo sguardo verso i propri piedi. Perché è mio padre, pensò, ammettendo finalmente la propria debolezza. Altri uomini facevano quello che dovevano fare. Erano più forti di Zane.

«Tu sei pazzo. Zane» affermò Straff.

Zane alzò lo sguardo.

«Credi davvero di riuscire a conquistare l'impero per conto tuo, nel caso mi uccidessi? Considerando la tua... particolare infermità, credi che saresti in grado di gestire anche solo una città?»

Zane distolse lo sguardo. «No.»

Straff annuì. «Sono lieto che ci intendiamo, su questo.» «Dovresti attaccare e basta» disse Zane. «Possiamo trovare l'atium una volta che avremo Luthadel sotto controllo.»

Straff sorrise, poi sorseggiò il tè. Il tè avvelenato.

Inconsciamente, Zane ebbe un sussulto e si raddrizzò.

«Non avere la presunzione di credere di conoscere i miei piani. Zane» asserì Straff. «Non capisci nemmeno la metà di quanto supponi.»

Zane sedette in silenzio, osservando suo padre bere quello che restava del tè.

«E la tua spia?» chiese Straff.

Zane appoggiò la nota sul tavolo. «Teme che possano sospettare di lui. Non ha trovato informazioni sull'atium.»

Straff annuì, posando la tazza vuota. «Tornerai in città e continuerai a farti amica la ragazza.»

Zane annuì lentamente, poi si voltò e uscì dalla tenda.

Straff pensò di percepire già la betullamara che gli si diffondeva per le vene, facendolo tremolare. Si costrinse a rimanere in controllo delle sue facoltà. Ad aspettare qualche momento.

Una volta certo che Zane fosse lontano, chiamò una guardia. «Portami Amaranta»

ordinò Straff. «Presto!»

Il soldato si precipitò a eseguire il volere del suo padrone. Straff sedette in silenzio, la tenda che frusciava nella brezza della sera, un sbuffo di nebbia che fluttuava sul pavimento dal lembo che era stato aperto. Bruciò stagno, intensificando i propri sensi. Sì... poteva percepire II veleno dentro di sé. Che rendeva insensibili i suoi nervi. Aveva tempo, però. Almeno un'ora, forse, quindi si rilassò.

Per un uomo che affermava di non voler uccidere Straff, Zane di certo si sforzava molto per provarci. Per fortuna, Straff disponeva di uno strumento di cui nemmeno suo figlio era a conoscenza... uno strumento che aveva la forma di una donna. Straff sorrise mentre le sue orecchie migliorate dallo stagno udivano passi lievi che si avvicinavano nella notte.

I soldati fecero entrare subito Amaranta. Straff non aveva portato tutte le sue amanti con sé in quel viaggio... solo le dieci o quindici favorite. Mischiate assieme a quelle che al momento si portava a letto, però, c'erano donne che teneva più per la oro efficacia che non per la loro bellezza. Amaranta era un buon esempio. Era stata piuttosto attraente un decennio prima, ma ora si stava avvicinando alla trentina. I seni aveva no cominciato ad afflosciarsi dopo la sua maternità, e ogni volta che Straff la guardava, notava rughe che le apparivano sulla fronte e attorno agli occhi.

Si era sbarazzato di parecchie delle sue donne molto prima che raggiungessero quell'età.

Questa, però, aveva delle capacità che gli erano utili. Se Zane avesse sentito che Straff aveva mandato a chiamare la donna questa notte, avrebbe ritenuto semplicemente che Straff voleva portarsela a letto. Sarebbe stato in errore.

«Mio signore» disse Amaranta, inginocchiandosi. Iniziò a spogliarsi. .

Be', almeno è ottimista, pensò Straff. Pensava che dopo quattro anni senza essere chiamata nel suo letto, lei avrebbe capito. Le donne non si rendevano conto di quando erano troppo vecchie per essere attraenti?

«Tieni addosso i vestiti, donna» sbottò.

Amaranta assunse un'espressione delusa e appoggiò le mani in grembo, lasciando l'abito sfilato per metà, un seno esposto - come se stesse cercando di tentarlo con la nudità che ormai invecchiava.

«Ho bisogno del tuo antidoto» la informò lui. «In fretta.»

«Quale, mio signore?» chiese lei. Non era l'unica erborista che Straff teneva con sé; aveva appreso odori e sapori da quattro persone diverse. Amaranta, però, era la migliore di loro.

«Betullamara» disse Straff. «E... forse qualcos'altro. Non ne sono sicuro.»

«Un'altra pozione generica, allora, mio signore?» chiese Amaranta.

Straff annuì rapido. Amaranta si alzò, dirigendosi verso l'armadietto dei veleni del sovrano. Accese II fornelletto lì accanto, facendo bollire un pentolino d'acqua mentre si affrettava a mischiare polveri, erbe e liquidi. Quel preparato era la sua specialità: un misto di tutti gli antidoti per veleni di base, i farmaci e i reagenti nel suo assortimento. Straff sospettava che Zane avesse usato la betullamara per coprire qualcos'altro. Di qualunque cosa si trattasse, però, se ne sarebbe occupato il preparato di Amaranta... o almeno l'avrebbe identificato.

Straff attese a disagio mentre Amaranta lavorava, ancora mezza nuda. Il miscuglio doveva essere preparato al momento ogni volta, ma valeva la pena aspettare. Alla fine lei gli portò una tazza fumante. Straff la tracannò, ingurgitando II liquido sgradevole nonostante II sapore amaro. Cominciò immediatamente a sentirsi meglio.

Sospirò - un'altra trappola evitata - mentre beveva il resto della tazza per essere sicuro. Amaranta si inginocchiò di nuovo con aria di aspettativa.

«Va'» le ordinò Straff.

Amaranta annuì in silenzio. Si rinfilò la manica del vestito, poi si allontanò dalla tenda.

Straff sedette con la tazza vuota e fumante che gli si raffreddava in mano. Sapeva di essere in vantaggio. Fino a che fosse apparso forte davanti a Zane, Il Mistborn avrebbe continuato a fare ciò che gli ordinava. Probabilmente.