Alendi non è mai stato il Campione delle Ere. Io ho amplificato le sue virtù, creando un eroe dove non c'era. Nella peggiore delle ipotesi, temo che tutto ciò in cui crediamo possa essere stato corrotto.

36

Una volta quel magazzino aveva contenuto spade e armature, sparpagliate per terra in cumuli, come un qualche mitico tesoro. Sazed si ricordava di averlo attraversato, meravigliandosi per i preparativi che Kelsier aveva organizzato senza allertare gli altri membri della banda. Quell'equipaggiamento aveva armato la ribellione la sera stessa della morte del Sopravvissuto, permettendole di prendere la città.

Quelle armi erano adesso depositate in armadietti e panoplie. Al loro posto, gente abbattuta e disperata se ne stava rannicchiata nelle coperte che era riuscita a trovare.

C'erano pochi uomini, nessuno dei quali in grado di combattere; quelli erano stati costretti da Straff a unirsi al suo esercito. A questi altri - i deboli, i feriti, i malati -

era stato permesso di andare a Luthadel, sapendo che Elend non li avrebbe cacciati via.

Sazed si mosse fra loro, offrendo qualunque conforto poteva. Non avevano mobili, e perfino i cambi di vestiario cominciavano a scarseggiare in città. I mercanti, rendendosi conto che il calore sarebbe stata una merce ricercata per l'inverno ormai prossimo, avevano iniziato ad alzare i prezzi di tutte le merci, non solo del cibo.

Sazed si chinò accanto a una donna in lacrime. «Pace, Genedere» la salutò, ricordando il suo nome grazie alla sua cupriscorta.

Lei scosse il capo. Aveva perso tre figli nell'attacco dei koloss, poi altri due nella fuga verso Luthadel. Ora l'ultimo - il neonato che aveva portato fra le braccia per tutto il tragitto - era ammalato. Sazed prese il bambino da lei, studiandone attentamente i sintomi. Poco era cambiato dal giorno prima.

«C'è qualche speranza, mastro Terrisiano?» chiese Genedere.

Sazed abbassò lo sguardo verso il bimbo debole e con gli occhi vitrei. Le prospettive non erano buone. Come poteva dirle una cosa del genere?

«Finché respira c'è speranza, cara donna» affermò Sazed. «Chiederò al re di aumentare la tua razione di cibo: hai bisogno di forza per allattarlo. Devi tenerlo al caldo. Resta vicino ai fuochi e usa un panno bagnato per versargli acqua nella bocca anche quando non sta mangiando. Ha enorme bisogno di liquidi.»

Genedere annuì intontita, riprendendo il bambino. Sazed desiderava poterle dare di più. Una dozzina di religioni diverse gli passò attraverso la mente. Aveva passato la sua intera vita cercando di incoraggiare la gente a credere in qualcosa di diverso dal lord Reggente. Eppure, per qualche ragione, in questo momento trovò difficile predicare una di esse a Genedere.

Era stato diverso prima del Crollo. Ogni volta che aveva parlato di una religione, Sazed aveva percepito un sottile senso di ribellione. Perfino se le persone non avevano accettato le cose che insegnava - e di rado l'avevano fatto - le sue parole avevano ricordato loro che una volta erano esistite credenze diverse dalla dottrina del Culto d'Acciaio.

Ora non c'era nulla contro cui ribellarsi. Di fronte alla terribile sofferenza che vedeva negli occhi di Genedere, trovava difficile parlare di religioni morte da molto tempo, dèi a lungo dimenticati. Le materie esoteriche non avrebbero alleviato il dolore di questa donna.

Sazed si rimise dritto, muovendosi verso il gruppo successivo di persone.

«Sazed?»

Lui si voltò. Non aveva notato Tindwyl entrare nel magazzino. Le porte della grossa struttura erano chiuse per tenere fuori la notte ormai prossima e i fuochi emanavano una luce inconsistente. Nel tetto erano stati aperti dei buchi per far uscire il fumo; se qualcuno guardava in alto, poteva vedere tracce di nebbia strisciare nella stanza, anche se evaporavano a metà strada nella loro discesa verso il pavimento.

I profughi non guardavano spesso in alto.

«Sei stato qui quasi tutto il giorno» osservò Tindwyl. La stanza era straordinariamente silenziosa, considerando quant'era affollata. I fuochi crepitavano e la gente giaceva quieta nel proprio dolore o intontimento.

«Ci sono molti feriti qui» rispose Sazed. «Io sono la persona migliore per prendersi cura di loro, ritengo. Non sono solo: Il re ha mandato altri, e lord Breeze è qui, Sedando la disperazione della gente.»

Sazed fece un cenno col capo da un lato, dove Breeze era accomodato su una sedia, apparentemente leggendo un libro. Pareva del tutto fuori posto in quella stanza, indossando un elegante completo a tre pezzi. Tuttavia, la sua sola presenza era qualcosa di straordinario, agli occhi di Sazed.

Questa povera gente, pensò Sazed. La loro vita era terribile sotto il lord Reggente.

Ora perfino quel poco che avevano gli è stato sottratto. E questi erano solo un numero esiguo: quattrocento, a paragone delle centinaia di migliaia che ancora vivevano a Luthadel.

Cosa sarebbe successo una volta terminate le ultime scorte di cibo? Si stavano già diffondendo le voci sui pozzi avvelenati, e Sazed aveva appena sentito che anche parte delle loro scorte immagazzinate era stata sabotata. Cosa sarebbe successo a queste persone? Per quanto poteva continuare l'assedio?

In effetti, cosa sarebbe successo una volta terminato? Cosa sarebbe successo quando gli eserciti avessero infine cominciato ad attaccare e saccheggiare? Quale distruzione, quali sofferenze avrebbero causato i soldati nella loro ricerca dell'atium nascosto?

«Tieni davvero a loro» disse Tindwyl piano, avvicinandosi.

Sazed si voltò verso di lei. Poi abbassò lo sguardo. «Non quanto dovrei, forse.»

No» ribatté Tindwyl. «Posso vederlo. Mi confondi, Sazed.»

«Pare che abbia un talento in proposito.»

«Sembri stanco. Dov'è la tua bronzoscorta?»

All'improvviso Sazed sentì la fatica. La stava ignorando, ma le parole di Tindwyl parvero rievocarla come un'ondata che si riversava su di lui.

Sazed sospirò. «Ho usato buona parte della mia veglia nella mia corsa fino a Luthadel. Ero così impaziente di arrivare qui...» I suoi studi erano stati tralasciati di recente. Con i problemi in città e l'arrivo dei profughi non aveva avuto molto tempo.

Inoltre aveva già trascritto il calco. Ulteriore lavoro avrebbe richiesto un dettagliato confronto incrociato con altre opere, in cerca di indizi. Probabilmente non avrebbe avuto nemmeno il tempo per...

Notò lo strano sguardo negli occhi di Tindwyl.

«D'accordo» sospirò lei. «Mostrami.»

«Mostrarti cosa?»

«Quello che hai trovato» rispose lei. «La scoperta che ti ha portato a correre per due intere dominazioni. Mostramela.»

All'improvviso tutto sembrò alleviarsi. La fatica, la preoccupazione, perfino la tristezza. «Ne sarei lieto» disse in tono calmo.

Un altro lavoro ben fatto, pensò Breeze, congratulandosi con sé stesso mentre osservava i due Terrisiani lasciare il magazzino.

Parecchie persone, perfino i nobili, fraintendevano i poteri di un Sedatore. Li credevano una sorta di controllo mentale, e perfino quelli che ne sapevano di più presumevano che Sedare le emozioni fosse una cosa terribile e invasiva.

Breeze non l'aveva mai considerato a quel modo. Sedare non era un processo invasivo. E se così poteva essere ritenuto, era paragonabile alla normale interazione con un'altra persona. Quando veniva fatto bene, non era una violazione di un'altra persona più di quanto non lo fosse una donna che indossava un abito scollato oppure un individuo che parlava con tono imperioso. Tutte e tre le cose provocavano reazioni comuni, comprensibili e - soprattutto - naturali nelle persone.

Sazed, per esempio. Era 'invasivo' rendere l'uomo meno affaticato, in modo che potesse andare in giro a dispensare le sue cure in maniera migliore? Era sbagliato Sedare il suo dolore - solo un poco - così da renderlo in grado di convivere maggiormente con la sofferenza?

Tindwyl era un esempio ancora migliore. Forse qualcuno avrebbe potuto pensare che, Sedando il suo senso di responsabilità e il suo disappunto nel vedere Sazed, Breeze si immischiasse. Ma Breeze non aveva creato le emozioni che quel disappunto stava mettendo in ombra. Emozioni come curiosità. Rispetto. Amore.

No, se Sedare fosse stato un semplice 'controllo mentale', Tindwyl avrebbe voltato le spalle a Sazed non appena i due avessero lasciato la zona di influenza di Breeze. Ma Breeze sapeva che lei non l'avrebbe fatto. Era stata presa una decisione cruciale, e non era stato Breeze a compierla per lei. Erano settimane che quel momento andava prendendo corpo: sarebbe successo con o senza Breeze.

Lui aveva solo aiutato a farlo accadere prima.

Sorridendo fra sé, Breeze controllò il suo orologio da taschino. Aveva ancora qualche minuto, perciò si reclinò contro lo schienale della sedia, emettendo una generica onda Sudatoria, attenuando il dolore e la sofferenza della gente.

Concentrandosi su così tanti allo stesso tempo, non poteva essere molto specifico: qualcuno si sarebbe ritrovato intontito a livello emozionale, essendo stato Spinto in modo un po' troppo forte. Ma nel complesso sarebbe stato positivo per il gruppo.

Non leggeva il suo libro; per la verità, non riusciva a capire come Elend e gli altri passassero così tanto tempo con essi. Così mortalmente noiosi. Breeze si immaginava a leggere solo nel caso in cui non ci fosse stato nessuno attorno. Tornò invece a fare quello a cui era intento prima che Sazed avesse attirato la sua attenzione. Esaminò i rifugiati, cercando di stabilire quello che ciascuno stava provando.

Questo era l'altro grande fraintendimento sui poteri Sedatori. L'allomanzia non era lontanamente importante quanto il talento nell'osservazione. Vero, avere un tocco sottile aiutava. Comunque, la capacità di Sedare non conferiva a un allomante l'abilità di conoscere le sensazioni di qualcuno. Quelle Breeze le doveva indovinare per conto suo.

Si riduceva tutto a ciò che era naturale. Perfino il più inesperto degli skaa si sarebbe reso conto che veniva Sedato se emozioni inattese avessero iniziato a rimbalzare dentro di lui. La vera sottigliezza nel Sedare consisteva nell'incoraggiare emozioni naturali, obiettivo che si raggiungeva attenuando con cautela quelle giuste. La gente era un coacervo di sensazioni; di solito quello che pensavano di 'provare' in quel momento era solo correlato a quali emozioni erano dominanti attualmente dentro di loro.

Il Sedatore attento vedeva quel che c'era sotto la superficie. Comprendeva ciò che un uomo stava provando, perfino quando quello stesso individuo non capiva - o non riconosceva - quelle emozioni. Era questo il caso di Sazed e Tindwyl.

Strana coppia, quella, pensò Breeze fra sé, Sedando con noncuranza uno degli skaa per renderlo più rilassato mentre tentava di dormire. Il resto della banda è convinto che quei due siano nemici. Ma l'odio di rado crea tanta amarezza e frustrazione. No, quelle due emozioni provengono da un insieme di problemi del tutto diverso.

Ovviamente, Sazed non dovrebbe essere un eunuco? Mi domando come sia accaduto tutto questo...

Le sue speculazioni vennero interrotte quando le porte del magazzino si aprirono.

Elend entrò, purtroppo accompagnato da Ham. Elend indossava una delle sue uniformi bianche, completa di guanti e spada. Il bianco era un simbolo importante: con tutta la cenere e la fuliggine nella città, un uomo in bianco era piuttosto sorprendente. Le uniformi di Elend dovevano essere fatte di speciali tessuti progettati per essere resistenti alla cenere, e dovevano comunque essere pulite strofinando con forza ogni giorno. L'effetto valeva lo sforzo.

Breeze intervenne all'istante sulle emozioni di Elend, rendendo l'uomo meno stanco, meno insicuro - anche se questa seconda cosa stava diventando sempre meno necessaria. Questo era dovuto in parte alla Terrisiana: Breeze era rimasto impressionato dalla sua capacità di cambiare l'animo delle persone, considerando la sua mancanza di allomanzia.

Breeze lasciò invariate le emozioni di disgusto e di pietà di Elend, erano appropriate per quell'ambiente. Diede un colpetto a Ham per renderlo meno polemico; Breeze al momento non era dell'umore adatto per le chiacchiere dell'uomo.

Si alzò mentre i due si avvicinavano. La gente alzò la testa nel vedere Elend; la sua presenza in qualche modo portava loro una speranza che Breeze non poteva emulare con l'allomanzia. Sussurrarono, chiamando Elend 're'.

«Breeze» lo salutò Elend con un cenno del capo. «Sazed è qui?»

«Se n'è appena andato, temo» rispose Breeze.

Elend pareva distratto. «Ah, bene» disse. «Lo troverò più tardi.» Elend si guardò attorno per la stanza, le labbra increspate all'ingiù. «Ham, domani voglio che raduni i mercanti di vestiario di Kenton Street e li porti qui a vedere questo.»

«Potrebbe non piacergli, Elend» notò Ham.

«Spero che sia così» replicò Elend. «Ma vedremo come la penseranno sui loro prezzi una volta che avranno visitato questa stanza. Posso capire il prezzo del cibo, considerando che scarseggia. Ma non c'è alcun motivo tranne l'avidità per negare il vestiario a queste persone.»

Ham annuì, ma Breeze poteva vedere la reticenza nella sua postura. Gli altri si rendevano conto di quanto Ham si stesse comportando in modo stranamente remissivo? Gli piaceva discutere con gli amici, ma di rado arrivava a qualche conclusione nel suo filosofeggiare. Inoltre detestava assolutamente litigare con degli estranei; Breeze lo aveva sempre reputato una strana caratteristica in una persona che, essenzialmente, era assunta per colpire la gente. Diede a Ham una piccola Spinta Sudatoria per renderlo meno preoccupato in merito al confronto con i mercanti.

«Non avrai intenzione di stare qui tutta la notte, vero, Breeze?» chiese Elend.

«Lord Reggente, no!» rispose lui. «Mio caro, sei fortunato per il solo fatto di avermi convinto a venire. Sinceramente, questo non è posto per un gentiluomo. Lo sporco, l'atmosfera deprimente... per non parlare dell'odore!»

Ham si accigliò. «Breeze, un giorno dovrai imparare a pensare alle altre persone.»

«Fin quando posso pensare a loro da lontano, Hammond, sarò felice di dedicarmi a tale attività.»

Ham scosse il capo. «Sei senza speranza.»

«Stai tornando a palazzo, allora?» chiese Elend.

«Sì, in effetti» rispose Breeze, controllando il suo orologio da taschino.

«Hai bisogno di un passaggio?»

«Ho portato la mia carrozza» rispose Breeze.

Elend annuì, poi si voltò verso Ham e i due tornarono da dove erano venuti, parlando del prossimo incontro di Elend con uno degli altri delegati.

Breeze entrò nel palazzo poco tempo dopo. Fece un cenno alle guardie alla porta.

Sedando via la loro fatica mentale. Loro drizzarono il capo in risposta, osservando le nebbie con rinnovata vigilanza. Non sarebbe durato a lungo, ma piccoli tocchi del genere erano come una seconda natura per Breeze.

Si stava facendo tardi e poca gente circolava per i corridoi. Si fece strada fino alle cucine, dando lievi Spinte alle sguattere per renderle più ciarliere. Avrebbe fatto in modo che il tempo che dovevano passare a pulire trascorresse più in fretta. Oltre le cucine trovò una stanzetta di pietra, illuminata da un paio di semplici lampade, con un piccolo tavolo. Era una delle salette da pranzo singole, simili a piccoli comparti.

Clubs sedeva in un angolo, la gamba claudicante allungata sulla panca. Scrutò Breeze con un'occhiataccia. «Sei in ritardo.»

«Sei in anticipo» ribatté Breeze, scivolando sulla panca di fronte a Clubs.

«Fa lo stesso» borbottò Clubs.

C'era una seconda coppa sul tavolo, assieme a una bottiglia di vino. Breeze si sbottonò il farsetto, sospirò piano e si versò una coppa mentre si stendeva con le gambe sulla panca.

Clubs sorseggiò il vino.

«Hai la tua nube alzata?» chiese Breeze.

«Con te nei paraggi?» replicò Clubs. «Sempre.»

Breeze sorrise, prendendo un sorso e rilassandosi. Anche se ormai aveva di rado delle opportunità per usare i suoi poteri, Clubs era un Offuscatore. Quando bruciava rame, le capacità di tutti gli allomanti all'interno erano invisibili a coloro che bruciavano bronzo. Ma cosa più importante - almeno per Breeze - bruciare rame rendeva Clubs immune a ogni forma di allomanzia emozionale.

«Non capisco perché questo ti renda così felice» fece Clubs. «Credevo che ti piacesse giocare con le emozioni.»

«È così» disse Breeze.

«Allora perché vieni a bere con me ogni sera?» chiese Clubs.

«Ti dà fastidio la compagnia?»

Clubs non rispose. Quello era più o meno il suo modo per dire che non gliene dava. Breeze scrutò il burbero generale. La maggior parte degli altri membri della banda se ne stava alla larga da Clubs; Kelsier l'aveva coinvolto all'ultimo momento, poiché il Cuprinube di cui si avvalevano di solito era morto.

«Sai com'è, Clubs?» chiese Breeze. «Essere un Sedatore?»

«No.»

«Ti conferisce un controllo notevole. È una sensazione stupenda, essere in grado di influenzare quelli attorno a te, avere sempre l'impressione di disporre di un appiglio sul modo in cui la gente reagirà.»

«Sembra piacevole» disse Clubs in tono piatto.

«Eppure ha un effetto su di te. Passo la maggior parte del tempo a osservare le persone, interferendo con le loro emozioni, Sedandole e dando lievi Spinte. È stato questo a cambiarmi. Io non... guardo la gente allo stesso modo. È difficile essere semplicemente amici con qualcuno quando lo vedi come qualcosa da influenzare e cambiare.»

Clubs mugugnò. «Allora è questo il motivo per cui non ti abbiamo mai visto con delle donne.»

Breeze annuì. «Non posso più farci niente. Tocco sempre le emozioni di chiunque attorno a me. Così, quando una donna arriva ad amarmi...» Gli piaceva pensare di non essere invasivo. Tuttavia, come poteva fidarsi di una persona che diceva di amarlo? Era lui oppure la sua allomanzia a cui rispondeva?

Clubs si riempì la coppa. «Sei molto più sciocco di quanto fingi.»

Breeze sorrise. Clubs era una delle poche persone a essere del tutto immune al suo tocco. L'allomanzia emozionale non funzionava su di lui, ed era sempre completamente schietto con le sue sensazioni: tutto lo rendeva intrattabile.

Manipolarlo attraverso mezzi non allomantici si era rivelato un infruttuoso spreco di tempo.

Breeze osservò il proprio vino. «La cosa divertente è che per poco non ti sei rifiutato di unirti alla banda a causa mia.»

«Dannati Sedatori» borbottò Clubs.

«Ma tu sei immune a noi.»

«Alla vostra allomanzia, forse» replicò Clubs. «Ma non è l'unico modo in cui voi agite. Un uomo deve sempre stare attento con voi Sedatori nei paraggi.»

«Allora perché mi permetti di unirmi a te ogni sera a bere del vino?»

Clubs rimase in silenzio per un momento e Breeze quasi pensò che non avrebbe risposto. Infine Clubs borbottò: «Non sei sgradevole come molti altri.»

Breeze trangugiò un po' di vino. «Questo è il complimento più sincero che abbia mai ricevuto.»

«Non lasciare che ti rovini» ribatté Clubs.

«Oh, penso che sia troppo tardi per questo» Breeze svuotò la coppa. «Questa banda... il piano di Kelsier... ci hanno già rovinato per bene.»

Clubs annuì in assenso.

«Cosa ci è successo, Clubs?» chiese Breeze. «Mi sono unito a Kell per la sfida.

Non ho mai saputo perché l'hai fatto tu.»

«Denaro.»

Breeze annuì. «Il suo piano è andato a catafascio, il suo esercito è stato distrutto e noi siamo rimasti. Poi lui è morto e noi siamo rimasti ancora. Questo dannato regno di Elend è condannato, sai.»

«Non dureremo un altro mese» convenne Clubs. Non era vano pessimismo: Breeze conosceva le persone abbastanza bene da capire quando erano serie.

«Eppure eccoci qui» continuò Breeze. «Ho passato tutto il giorno a far sentire meglio alcuni skaa sul fatto che le loro famiglie fossero state massacrate. Tu hai passato tutto il giorno a addestrare soldati che - con o senza il nostro aiuto - dureran-no a malapena qualche secondo contro un nemico determinato. Seguiamo un re ragazzino che non sembra avere la minima percezione di quanto sia grave la sua situazione. Perché?»

Clubs scosse il capo. «Kelsier ci ha dato una città, ci ha fatto pensare che avessimo la responsabilità di proteggerla.»

«Ma noi non siamo quel tipo di persone» disse Breeze. «Siamo ladri e truffatori.

Non dovrebbe importarcene. Voglio dire... mi sono ridotto a Sedare delle sguattere in modo che possano trascorrere più felici il loro tempo al lavoro! A questo punto posso anche cominciare a vestirmi di rosa e andare

in giro a cogliere fiori. Magari potrei raggranellare un bel gruzzoletto ai matrimoni.»

Clubs sbuffò. Poi sollevò la coppa. «Al Sopravvissuto» brindò. «Che sia dannato per averci conosciuto meglio di noi stessi »

Breeze sollevò la coppa. «Che sia dannato» concordò in tono sommesso.

I due rimasero in silenzio. Parlare con Clubs tendeva a farlo diventare... be', taciturno. Comunque, Breeze provava una semplice soddisfazione. Sedare era meraviglioso: lo rendeva quello che era. Ma era anche uno sforzo. Perfino gli uccelli non potevano volare tutto il tempo.

«Eccoti qua.»

Breeze spalancò gli occhi. Allrianne si trovava all'ingresso della stanzetta, proprio al bordo del tavolo. Indossava un abito azzurro; dove si era procurata così tanti vestiti? Il suo trucco, naturalmente, era impeccabile e c'era un fiocco tra i suoi capelli. Quei lunghi capelli biondi - comuni all'Ovest ma quasi mai visti nella Dominazione Centrale - e quella briosa, invitante figura.

Il desiderio sbocciò immediatamente dentro di lui. No! pensò Breeze. Ha la metà dei tuoi anni. Sei un sordido vecchio. Sordido! «Allrianne,» disse a disagio «non dovresti essere a letto o cose del genere?»

Lei roteò gli occhi, allontanandogli le gambe dalla panca in modo da potersi sedere accanto a lui. «Sono solo le nove, Breezy. Ho diciott'anni, non dieci.»

È come se ne avessi dieci, pensò lui, distogliendo lo sguardo da Allrianne e cercando di concentrarsi su qualcos'altro. Sapeva di dover esser più forte, di non dover lasciare che la ragazza gli si avvicinasse, ma non fece nulla mentre lei gli scivolava accanto e prendeva una sorsata dalla sua coppa.

Breeze sospirò, mettendole un braccio attorno alle spalle. Clubs si limitò a scuotere il capo, un accenno di sorriso sulle labbra.

«Bene,» fece Vin piano «questo risponde a una domanda.»

«Padrona?» domandò OreSeur, seduto dall'altra parte del tavolo rispetto a lei nella stanza scura. Con le sue orecchie da allomante, poteva sentire con esattezza cosa stava accadendo nel comparto accanto.

«Allrianne è un'allomante» svelò Vin.

«Davvero?»

Vin annuì. «È dal suo arrivo che sta Sobillando le emozioni di Breeze, rendendolo più attratto da lei.»

«Si potrebbe pensare che l'avrebbe notato» disse OreSeur.

«Tu potresti pensarlo» ribatté Vin. Probabilmente non si sarebbe dovuta sentire tanto divertita. La ragazza poteva essere un Mistborn... anche se l'idea di vedere quella smorfiosetta svolazzare fra le nebbie pareva ridicola.

Il che probabilmente è proprio quello che lei vuole farmi pensare, rifletté Vin.

Devo ricordarmi di Kliss e Shan: nessuna di loro si è rivelata la persona che credevo che fosse.

«È probabile che Breeze non pensi che le sue emozioni sono innaturali» spiegò Vin. «Dev'essere già attratto da lei.»

OreSeur chiuse la bocca e inclinò la testa, la sua versione canina di un cipiglio.

«Lo so» convenne Vin. «Ma almeno sappiamo che non è Breeze a usare l'allomanzia per sedurre lei. A ogni modo, questo è irrilevante. Clubs non è il kandra.»

«Come fate a saperlo, padrona?»

Vin esitò. Clubs accendeva sempre il suo rame quando c'era Breeze nelle vicinanze; era una delle poche occasioni in cui lo usava. Comunque era difficile capire se qualcuno stava bruciando rame. Dopotutto, se accendeva il metallo, si nascondeva in modo automatico.

Ma Vin poteva penetrare le cuprinubi. Poteva avvertire il potere Sobillatorio di Allrianne; poteva perfino percepire una debole pulsazione provenire da Clubs stesso, quella allomantica del rame, qualcosa che Vin sospettava che poche persone a parte lei e il lord Reggente avessero mai sentito.

«Lo so e basta» tagliò corto Vin.

«Se lo dite voi, padrona» replicò OreSeur. «Ma... non avevate già stabilito che la spia era Demoux?»

«Volevo controllare comunque Clubs» disse lei. «Prima di fare qualcosa di drastico.» «Drastico?»

Vin sedette in silenzio per un momento. Non aveva molte prove, ma aveva il suo istinto, e quell'istinto le diceva che Demoux era la spia. Il modo furtivo in cui era uscito l'altra notte, la logica evidente di scegliere lui... tutto tornava.

Si alzò in piedi. Le cose stavano diventando troppo pericolose, troppo delicate.

Non poteva più ignorarlo. «Andiamo» disse, lasciandosi alle spalle la stanzetta. «È

ora di mettere Demoux in prigione.»

«Cosa significa che l'hai perso?» chiese Vin, fuori dalla porta della stanza di Demoux.

Il servitore arrossì. «Mia signora, sono spiacente. L'ho sorvegliato come mi avete detto... ma è uscito di pattuglia. Avrei dovuto seguirlo? Voglio dire, non pensate che sarebbe parso sospetto?»

Vin imprecò sottovoce fra sé. Sapeva di non avere un vero e proprio diritto di essere arrabbiata, però. Avrei dovuto dirlo a Ham fin dall'inizio, pensò in preda alla frustrazione.

«Mia signora, se n'è andato solo pochi minuti fa» spiegò il servitore.

Vin lanciò un'occhiata a OreSeur, poi si avviò lungo il corridoio. Non appena raggiunsero una finestra, Vin balzò fuori nella notte scura, OreSeur dietro di lei, cadendo per la breve distanza che li separava dal cortile.

L'ultima volta l'ho visto tornare attraverso i cancelli ai terreni del palazzo, ricordò correndo fra la nebbia. Lì trovò un paio di soldati di guardia.

«Il capitano Demoux è passato di qui?» domandò, irrompendo nel cerchio di luce delle torce.

Loro drizzarono il capo, sulle prime sbigottiti, poi confusi.

«Lady Erede?» disse uno di loro. «Sì, è appena uscito di pattuglia, uno o due minuti fa.»

«Da solo?» chiese Vin.

Loro annuirono.

«Non è un po' strano?»

Non parvero sorpresi. «A volte va da solo» fece uno. «Noi non facciamo domande. È il nostro superiore, dopotutto.»

«Da che parte?» domandò Vin.

Uno indicò e Vin si diresse da quella parte, seguito da OreSeur. Avrei dovuto sorvegliarlo meglio. Avrei dovuto ingaggiare delle vere spie per tenerlo d'occhio.

Avrei dovutosi immobilizzò. Più avanti, camminando lungo una strada silenziosa ammantata nella nebbia, c'era una figura diretta in città: Demoux.

Vin lasciò cadere una moneta e si lanciò in aria, passando in alto sopra la sua testa, atterrando in cima a un edificio. Lui proseguì, ignaro. Demoux o kandra, non avrebbe comunque avuto poteri allomantici.

Vin si soffermò, i pugnali sfoderati, pronta a balzare. Ma... non aveva comunque alcuna prova. La parte di lei che Kelsier aveva trasformato, la parte che era arrivata a fidarsi, pensò al Demoux che conosceva.

Credo davvero che sia lui il kandra?, si domandò. O è solo che voglio che sia il kandra, in modo da non dover sospettare dei miei veri amici?

Lui continuò a camminare lì sotto, mentre le orecchie potenziate di Vin distinguevano facilmente i suoi passi. Dietro, OreSeur si arrampicò sulla sommità del tetto, poi avanzò verso di lei e le si sedette accanto.

Non posso attaccare e basta, pensò lei. Devo almeno sorvegliarlo, vedere dove sta andando. Raccogliere delle prove e forse apprendere qualcosa nel frattempo.

Fece un gesto a OreSeur, ed entrambi seguirono Demoux in silenzio lungo i tetti, pedinandolo. Presto Vin notò qualcosa di strano: il guizzo di una luce che illuminava le nebbie a poche strade di distanza, creando ombre opprimenti dagli edifici. Vin lanciò un'occhiata a Demoux, seguendolo con gli occhi mentre procedeva lungo un vicolo, muovendosi verso la zona illuminata.

Cosa...?, si chiese.

Vin si gettò giù dal tetto. Le bastarono tre salti per raggiungere la fonte di luce.

Un modesto falò crepitava al centro di una piazzetta. Degli skaa erano rannicchiati attorno a esso per riscaldarsi, parendo un po' spaventati nelle nebbie. Vin fu sorpresa di vederli. Non aveva visto degli skaa star fuori nelle nebbie fin dalla notte del Crollo.

Demoux si avvicinò da una strada laterale, salutando diversi skaa. Alla luce del falò, Vin potè confermare con certezza che si trattava di lui - o perlomeno di un kandra con la sua faccia.

C'erano forse duecento persone nella piazza. Demoux si mosse come per sedersi sul selciato, ma qualcuno si affrettò ad accostarglisi con una sedia. Una giovane donna gli portò una tazza di qualcosa di fumante, che lui ricevette con gratitudine.

Vin balzò su un tetto, tenendosi bassa per non esporsi alla luce del fuoco.

Arrivarono altri skaa, perlopiù a gruppi, ma alcuni coraggiosi giunsero da soli.

Da dietro di lei provenne un suono, e Vin si voltò mentre OreSeur - che apparentemente era a malapena riuscito a effettuare il salto - si arrampicava oltre il bordo del tetto. Guardò verso la strada sottostante, scosse il capo, poi zampettò per unirsi a lei. Vin portò un dito alle labbra, facendo un cenno col capo verso il gruppo di persone sempre più numeroso. OreSeur inclinò il capo a quella vista, ma non parlò.

Infine Demoux si alzò, tenendo fra le mani la tazza ancora fumante. La gente si radunò attorno a lui, sedendosi sui ciottoli freddi, rannicchiata sotto coperte o mantelli.

«Non dovremmo temere le nebbie, amici miei» esordì Demoux. La sua era la voce di un capo forte o di un vigoroso comandante militare: era la voce di una giovinezza temprata, un po' esitante ma comunque che imponeva rispetto.

«Il Sopravvissuto ce l'ha insegnato» proseguì. «So che è molto difficile pensare alle nebbie senza ricordare gli spettri delle nebbie o altri orrori. Ma il Sopravvissuto ha dato le nebbie a noi. Dovremmo cercare di ricordarlo, attraverso di esse.»

Lord Reggente..., pensò Vin sconcertata. È uno di loro... un membro della Chiesa del Sopravvissuto! Titubò, incerta su cosa pensare. Era il kandra o no? Perché il kandra si sarebbe incontrato con un gruppo di persone del genere? Ma... perché Demoux stesso l'avrebbe fatto?

«So che è difficile,» disse Demoux lì sotto «senza il Sopravvissuto. So che avete paura degli eserciti. Fidatevi, lo so. Anch'io li vedo. So che soffrite sotto questo assedio. Io... non so se posso semplicemente dirvi di non essere preoccupati. Il Sopravvissuto stesso ha patito grandi sofferenze: la morte di sua moglie, la carcerazione nelle Fosse di Hathsin. Ma è sopravvissuto. È questo il punto, non è vero? Dobbiamo continuare a vivere, non importa quanto tutto diventa difficile.

Vinceremo, alla fine. Proprio come lui.»

Stava in piedi con la tazza fra le mani, senza avere affatto l'aria dei predicatori skaa che Vin aveva visto. Kelsier aveva scelto un uomo appassionato per fondare la sua religione - o, più precisamente, per fondare la rivoluzione da cui la religione era nata. Kelsier aveva avuto bisogno di condottieri

che potessero accendere i sostenitori, spronarli a una sollevazione distruttiva.

Demoux era qualcosa di diverso. Non urlava, ma parlava con tranquillità. Eppure la gente prestava attenzione. Sedeva sul selciato attorno a lui, guardandolo con occhi speranzosi, adoranti, perfino.

«La lady Erede» sussurrò uno di loro. «E lei?»

«Su lady Vin grava una grossa responsabilità» spiegò Demoux. «Potete vedere il peso che la costringe a piegarsi e quanto sia frustrata per i problemi della città. È

una donna schietta, e non credo che le piaccia il cavillare politico dell'Assemblea.»

«Ma lei ci proteggerà, giusto?»

«Sì» rispose Demoux. «Sì, credo che lo farà. A volte penso che sia perfino più potente del Sopravvissuto. Sapete che lui si è esercitato solo per due anni come Mistborn? E lei ha avuto all'inarca lo stesso tempo.»

Vin distolse lo sguardo. Si ritorna a questo, pensò. Sembrano razionali finché non parlano di me, e poi...

«Ci porterà la pace, un giorno» predicò Demoux. «L'erede riporterà il sole, farà smettere le piogge di cenere. Ma fino ad allora dobbiamo sopravvivere. E dobbiamo lottare. L'intera opera del Sopravvissuto è stata vedere il lord Reggente morto e renderà liberi. Quale gratitudine mostriamo se fuggiamo ora che gli eserciti sono arrivati?

«Andate a dire ai vostri delegati che non volete che lord Cett, o anche lord Penrod, sia il vostro sovrano. Il voto avverrà un solo giorno, ed è necessario essere sicuri che venga eletto re l'uomo giusto. Il Sopravvissuto ha scelto Elend Venture, ed è lui quello che dobbiamo seguire.»

Questa è una novità, si stupì Vin.

«Lord Elend è debole» obiettò una delle persone. «Non d difenderà

«Lady Vin lo ama» ribatté Demoux. «Lei non amerebbe un uomo debole. Penrod e Cett vi trattano come gli skaa erano soliti essere trattati, e questo è il motivo per cui li ritenete forti. Ma quella non è forza: è oppressione. Dobbiamo essere meglio di questo! Dobbiamo fidarci del giudizio del Sopravvissuto!»

Vin si rilassò contro il bordo del tetto, la tensione che si dissipava un poco. Se Demoux era davvero la spia, questa notte non le avrebbe fornito alcuna prova. Perciò mise via i suoi pugnali, poi si appoggiò con le braccia incrociate sul bordo del tetto. Il fuoco scoppiettava nella fredda serata invernale, mandando pennacchi di fumo a mischiarsi con le nebbie, e Demoux continuò a parlare nella sua voce calma e rassicurante, insegnando alla gente di Kelsier.

Non è nemmeno una vera religione, pensò Vin mentre ascoltava. La teologia è così semplice, del tutto diversa dalle complesse credenze di cui parla Sazed.

Demoux insegnava concetti basilari. Portava Kelsier come modello, parlando di sopravvivenza, di come sopportare le difficoltà. Vin poteva capire il motivo per cui gli skaa erano attratti da quelle parole dirette. La gente in realtà aveva solo due scelte: lottare o arrendersi. Gli insegnamenti di Demoux davano loro una scusa per continuare a vivere.

Agli skaa non servivano rituali, preghiere o codici. Non ancora. Erano troppo inesperti con la religione in generale, ne erano troppo spaventati per volere cose del genere. Ma più Vin ascoltava, più comprendeva la Chiesa del Sopravvissuto. Era quello di cui avevano bisogno: prendeva quello che gli skaa già avevano - una vita piena di stenti - e lo elevava a un piano superiore, più ottimistico.

E gli insegnamenti erano ancora in evoluzione. Vin si era aspettata la deificazione di Kelsier; perfino la venerazione nei suoi confronti era comprensibile. Ma dove aveva preso Demoux le promesse che Vin avrebbe fermato la cenere e avrebbe riportato il sole? Come poteva predicare di erba verde e cieli azzurri, descrivendo il mondo com'era noto solo in alcuni dei testi meno conosciuti al mondo?

Parlava di uno strano mondo di colori e bellezza, un luogo estraneo e difficile da concepire, ma in qualche modo comunque meraviglioso. I fiori e le piante verdi erano cose strane, aliene per queste persone; perfino Vin aveva problemi a visualizzarle, e aveva sentito le descrizioni di Sazed.

Demoux stava dando agli skaa un paradiso. Doveva essere qualcosa di completamente diverso dall'esperienza normale, poiché il mondo ordinario non era un luogo di speranza. Non con un inverno senza cibo alle porte, non con la minaccia degli eserciti e il governo in subbuglio.

Vin si tirò indietro mentre Demoux terminava finalmente l'incontro. Rimase stesa lassù per un momento, cercando di decidere come si sentiva. Era stata quasi certa su Demoux, ma adesso i suoi sospetti sembravano infondati. Era uscito di notte, vero, ma ora lei aveva visto cosa stava facendo. Inoltre aveva agito in modo molto sospetto allontanandosi furtivamente.

Riflettendoci su, le pareva che un kandra avrebbe saputo come andarsene in giro in un modo molto più naturale.

Non è lui, pensò. Oppure, se lo è, non sarà così semplice da smascherare come avevo creduto. Si sentì frustrata. Infine si limitò a sospirare, alzandosi e dirigendosi dall'altro lato del tetto. OreSeur la seguì e Vin gli lanciò un'occhiata. «Quando Kelsier ti ordinò di prendere il suo corpo,» gli chiese «cosa volle che predicassi a queste persone?»

«Padrona...» chiese OreSeur.

«Ti fece apparire come se tu fossi lui tornato dalla tomba.»

«Sì.»

«Ebbene, cosa ti fece dire?»

OreSeur scrollò le spalle. «Cose molto semplici, padrona. Dissi loro che il tempo per la ribellione era giunto. Che io - Kelsier - ero tornato per dargli la speranza di vittoria.»

'Io rappresento quello che non sei mai riuscito a uccidere, per quanto tu ci abbia provato.' Quelle erano state le ultime parole di Kelsier, pronunciate faccia a faccia col lord Reggente. Io sono la speranza.

'Io sono la speranza.'

C'era da meravigliarsi che questo concetto fosse diventato centrale per la Chiesa che era sorta attorno a lui? «Ti ordinò di insegnare cose come quelle che abbiamo appena sentito dire da Demoux?» chiese Vin. «Sulla cenere che non sarebbe più caduta e il sole che sarebbe diventato giallo?»

«No, padrona.»

«Proprio come pensavo.» Vin udì un fruscio sul selciato sottostante. Lanciò un'occhiata oltre il lato dell'edificio e vide Demoux tornare a palazzo.

Vin si lasciò cadere nel vicolo dietro di lui. Demoux la udì ~ bisognava riconoscerglielo - e ruotò su sé stesso, la mano sul bastone da duello.

«Pace, capitano» salutò lei alzandosi.

«Lady Vin?» chiese sorpreso.

Lei annuì, avvicinandosi in modo che lui potesse vedere meglio nella notte. La luce sempre più fievole delle torce illuminava l'aria, e mulinelli di nebbia giocavano con le ombre

«Non sapevo che fossi un membro della Chiesa del Sopravvissuto» disse lei piano.

Demoux abbassò lo sguardo. Anche se era ben due spanne più alto di Vin, parve farsi un po' più piccolo di fronte a lei. «So... so che vi mette a disagio. Mi dispiace.»

«È tutto a posto» rispose lei. «Fai qualcosa di buono per il popolo. Elend apprezzerà sapere della tua lealtà.»

Demoux alzò gli occhi. «Dovete proprio dirglielo?»

«Gli occorre sapere quello che la gente crede, capitano. Perché vorresti che lo tenessi segreto?»

Demoux sospirò. «È solo che... non voglio che la banda pensi che sono qui fuori a sfruttare la gente. Ham sostiene che predicare del Sopravvissuto sia sciocco, e lord Breeze dice che l'unica ragione per incoraggiare la Chiesa è rendere la gente più influenzabile.»

Vin lo scrutò nell'oscurità. «Tu credi davvero, non è così?»

«Sì, mia signora.»

«Ma conoscevi Kelsier» disse lei. «Eri con noi quasi fin dall’'inizio. Sai che non è un dio.»

Demoux sollevò lo sguardo, un accenno di sfida negli occhi. «Egli è morto per rovesciare il lord Reggente.»

«Questo non lo rende divino.»

«Ci ha insegnato a sopravvivere, ad avere speranza.»

«Siete sopravvissuti prima» replicò Vin. «La gente aveva speranza prima che Kelsier venisse gettato in quelle fosse.»

«Non come ora» ribatté Demoux. «Inoltre, lui aveva potere, mia signora. Lo sentii.»

Vin indugiò. Conosceva la storia: Kelsier aveva usato Demoux come esempio per il resto dell'esercito in un combattimento con uno scettico, guidando i suoi colpi con l'allomanzia, facendo sembrare come se Demoux avesse poteri sovrannaturali.

«Oh, so dell'allomanzia adesso» disse Demoux. «Ma lo sentii Spingere contro la mia spada, quel giorno. Lo sentii usarmi, rendermi più forte di quello che ero. Penso di poterlo ancora percepire, a volte. Che rafforza il mio braccio, che guida la mia lama.»

Vin si accigliò. «Ricordi la prima volta che ci incontrammo?»

Demoux annuì. «Sì. Veniste alle caverne dove ci stavamo nascondendo il giorno in cui l'esercito fu distrutto. Io ero di guardia. Sapete, mia signora, perfino allora io sapevo che Kelsier sarebbe venuto per noi. Sapevo che sarebbe venuto e avrebbe preso coloro fra noi che erano stati fedeli e ci avrebbe guidato di nuovo a Luthadel.»

Andò a quelle caverne perché lo costrinsi io. Voleva farsi ammazzare combattendo da solo un esercito.

«La distruzione dell'esercito fu una prova» continuò Demoux, alzando lo sguardo fra le nebbie. «Queste armate, l'assedio... sono solo prove. Per vedere se sopravvivremo o no.»

«E la cenere?» chiese Vin. «Dove hai sentito che smetterà di cadere?»

Demoux tornò a voltarsi verso di lei. «Ce l'ha insegnato il Sopravvissuto, no?»

Vin scosse il capo.

«Molta gente lo dice» continuò Demoux. «Dev'essere vero. Si accorda con tutto il resto: il sole giallo, il cielo blu, le piante.»

«Sì, ma dove hai sentito per la prima volta queste cose?»

«Non ne sono certo, mia signora.»

Dove hai sentito che sarei io quella che le porterà?, pensò, ma in qualche modo non riuscì a decidersi a esprimere ad alta voce la domanda. Comunque, lei conosceva la risposta: Demoux non lo sapeva. Le voci si stavano diffondendo.

Sarebbe stato difficile rintracciarne la fonte ora.

«Torna a palazzo» ordinò Vin. «Devo riferire a Elend quello che ho visto, ma gli chiederò di non dirlo al resto della banda.»

«Grazie, mia signora.» Demoux si inchinò, si voltò e si affrettò ad allontanarsi.

Un secondo più tardi, Vin udì un tonfo da dietro: OreSeur che saltava giù in strada.

Si voltò. «Ero certa che fosse lui.»

«Padrona?»

«Il kandra» spiegò Vin, voltandosi di nuovo verso Demoux che scompariva.

«Pensavo di averlo scoperto.»

«Invece?»

Vin scosse il capo. «È come Dockson. Penso che Demoux

conosca troppo per star fingendo. Mi dà la sensazione di essere... reale.»

«I miei fratelli...»

«Sono piuttosto abili» terminò Vin con un sospiro. «Sì, lo so. Ma non lo arresteremo. Non stanotte, almeno. Lo terremo d'occhio, ma non penso più che sia lui.»

OreSeur annuì.

«Andiamo» disse lei. «Voglio controllare Elend.»