I miei fratelli ignorano gli altri fatti. Non riescono a collegare gli strani avvenimenti che stanno accadendo. Sono sordi alle mie obiezioni e sono ciechi alle mie scoperte.

3

Elend lasciò cadere la penna sulla sua scrivania con un sospiro, poi si appoggiò all'indietro sulla sedia e si sfregò la fronte.

Immaginava di saperne più di chiunque altro al mondo sulle teorie politiche. Di certo aveva letto di economia, studiato forme di governo e tenuto dibattiti politici più di chiunque conoscesse. Conosceva tutte le teorie su come rendere una nazione stabile e giusta, e aveva cercato di metterle in pratica nel suo nuovo regno.

Non si era reso conto di quanto potesse essere incredibilmente frustrante un'assemblea parlamentare.

Si alzò e andò a versarsi del vino ghiacciato. Poi esitò nel guardare fuori dalle portefinestre del suo balcone. In lontananza, un chiarore indistinto brillava fra le nebbie: i fuochi da campo dell'esercito di suo padre.

Posò il vino. Era già esausto, e l'alcol probabilmente non avrebbe aiutato. Non posso permettermi di dormire finché non avrò concluso!, pensò, costringendosi a tornare al suo posto. L'Assemblea si sarebbe riunita presto, e lui aveva bisogno di terminare la proposta per quella notte.

Elend sollevò il foglio, esaminandone i contenuti. La sua calligrafia risultava illeggibile perfino ai suoi occhi, e la pagina era disseminata di cancellature e annotazioni: un riflesso della sua difficoltà. Erano ormai settimane che sapevano che l'esercito si stava avvicinando, e l'Assemblea cavillava ancora sul da farsi.

Alcuni dei suoi membri volevano offrire un trattato di pace, altri pensavano di dover semplicemente consegnare la città. Altri ancora reputavano di dover attaccare senza indugio. Elend temeva che la fazione della resa stesse guadagnando consensi; da cui la sua proposta. La mozione, se approvata, gli avrebbe dato più tempo. In qualità di re, spettava a lui il diritto di parlamentare con un tiranno straniero. La proposta avrebbe impedito all'Assemblea di fare qualcosa di avventato almeno finché lui non si fosse incontrato con suo padre.

Elend sospirò di nuovo, lasciando cadere il foglio. L'Assemblea era composta da soli ventiquattro uomini, ma metterli d'accordo su qualcosa era più difficoltoso di qualunque problema su cui avessero discusso. Elend si voltò, guardando oltre la lampada solitaria sulla sua scrivania, fuori attraverso le portefinestre aperte del balcone e verso i fuochi. Udì un rumore di passi sul tetto: Vin che andava in giro per le sue ronde notturne.

Elend sorrise con affetto, ma nemmeno pensare a Vin fu in grado di ridargli il buonumore. Quel gruppo di assassini che ha combattuto stanotte... posso usarlo in qualche modo?, pensò. Forse se avesse reso pubblico quell'attentato, l'Assemblea si sarebbe ricordata del disprezzo di Straff per la vita umana, e sarebbe stata meno orientata a consegnargli la città. Ma... forse avrebbero temuto che potesse mandare degli assassini anche contro di loro e sarebbero stati più propensi alla resa.

A volte Elend si domandava se il lord Reggente non fosse stato nel giusto. Non nell'opprimere le persone, ovviamente, ma nel tenere tutto il potere per sé. L'Ultimo Impero se non altro era stato stabile. Era durato mille anni, soffocando le ribellioni, mantenendo una salda stretta sul mondo.

Il lord Reggente era immortale, però, pensò Elend. Questo è un vantaggio che di certo io non avrò mai.

L'Assemblea era il mezzo migliore. Dando al popolo un parlamento con vera autorità legale, Elend avrebbe creato un governo stabile. La gente avrebbe avuto un re, un uomo che avrebbe fornito continuità, un simbolo di unione. Un uomo che non sarebbe stato corrotto dal bisogno di essere rieletto. Ma avrebbero avuto anche un'Assemblea: un consiglio composto dai loro pari che poteva esprimere le loro preoccupazioni.

Suonava tutto stupendo, in teoria. Sempre che fossero riusciti a sopravvivere ai mesi successivi.

Elend si sfregò gli occhi, poi intinse la penna e cominciò a scribacchiare nuove frasi in fondo al documento.

Il lord Reggente era morto.

Perfino un anno dopo, Vin a volte trovava quel concetto difficile da afferrare. Il lord Reggente era stato... tutto. Re e dio, legislatore e autorità suprema. Era stato eterno e assoluto, e adesso era morto.

Vin l'aveva ucciso.

Naturalmente la verità non era così emozionante come le storie. Non era stata una forza eroica o un potere mistico a permettere a Vin di sconfiggere l'imperatore.

Aveva soltanto capito il trucco che usava per rendersi immortale e per fortuna -

quasi per caso - aveva sfruttato quella sua debolezza. Non era stata coraggiosa o intelligente. Solo fortunata.

Vin sospirò. I suoi lividi pulsavano ancora, ma aveva sofferto ben di peggio. Era seduta in cima al palazzo - già Fortezza Venture - proprio sopra il balcone di Elend.

La sua reputazione poteva essere immeritata, ma aveva contribuito a mantenere in vita Elend. Anche se dozzine di tiranni si accapigliavano nella terra che era stata un tempo l'Ultimo Impero, nessuno di loro aveva marciato su Luthadel.

Finora.

I fuochi bruciavano fuori dalla città. Presto Straff avrebbe saputo che i suoi assassini avevano fallito. Cos'avrebbe fatto allora? Attaccato la città? Ham e Clubs avevano avvertito che Luthadel non avrebbe resistito a un attacco in forze. Straff doveva esserne al corrente.

Tuttavia, per il momento, Elend era al sicuro. Vin era diventata piuttosto brava nel trovare e uccidere assassini; non passava mese in cui non acciuffasse qualcuno che cercava di intrufolarsi nel palazzo. Molti erano solo spie, e pochissimi erano allomanti. Comunque il pugnale d'acciaio di un uomo normale avrebbe ucciso Elend allo stesso modo di quello di vetro di un allomante.

Lei non avrebbe lasciato che accadesse. Qualunque cosa fosse successa, qualunque sacrificio avesse richiesto, Elend doveva rimanere in vita.

Improvvisamente apprensiva, scivolò verso il lucernario per controllarlo. Elend era seduto alla scrivania lì sotto, al sicuro, scribacchiando qualche nuovo editto o proposta. Il ruolo di re lo aveva cambiato decisamente poco. Circa quattro anni più vecchio di lei - ossia poco più che ventenne - Elend era un uomo che faceva molto affidamento sull'istruzione ma poco sull'aspetto. Si preoccupava di pettinarsi solo in occasione di una cerimonia importante, e riusciva a indossare con un'aria sciatta perfino dei completi su misura-Era probabilmente l'uomo migliore che Vin avesse mai conosciuto. Serio, determinato, intelligente e generoso. E, per qualche ragione, lui l'amava. A volte questo fatto le risultava perfino più stupefacente del suo ruolo nella morte del lord Reggente.

Vin alzò gli occhi, scrutando di nuovo verso le luci dell'esercito. Poi si guardò attorno. L'Osservatore non era tornato. Spesso in notti come quella lui la metteva alla prova, arrivando pericolosamente vicino alle stanze di Elend prima di scomparire nella città.

Naturalmente, se avesse voluto uccidere Elend, avrebbe potuto farlo mentre stavo combattendo gli altri, rifletté-

Era un pensiero inquietante. Vin non riusciva a sorvegliare Elend in ogni momento. Era vulnerabile per un terrificante lasso di tempo.

Certo, Elend aveva altre guardie del corpo, e alcune erano perfino allomanti.

Anche loro, però, erano troppo poche per quel compito. Gli assassini di quella notte erano stati i più abili e pericolosi che avesse mai affrontato. Rabbrividì ripensando al Mistborn celato in mezzo a loro. Non era stato molto bravo, ma non avrebbe avuto bisogno di molta abilità per bruciare atium e poi colpire Vin proprio nel punto giusto.

Le nebbie mutevoli continuavano a vorticare. La presenza dell'esercito sussurrava una verità inquietante: i vicini tiranni stavano cominciando a consolidare i loro domini e stavano prendendo in considerazione di espandersi. Anche se Luthadel avesse in qualche modo resistito contro Straff, altri sarebbero venuti.

In silenzio, Vin chiuse gli occhi e bruciò bronzo, ancora preoccupata che l'Osservatore - o qualche altro allomante - potesse trovarsi nei paraggi, pianificando di assalire Elend cogliendoli alla sprovvista dopo il tentativo di assassinio. Molti Mistborn consideravano il bronzo come un metallo relativamente inutile, dato che poteva essere annullato con facilità. Col rame, un Mistborn poteva camuffare la propria allomanzia, per non parlare del fatto che poteva proteggersi dalla manipolazione emotiva di ottone o zinco. Parecchi Mistborn consideravano sciocco non avere il proprio rame acceso in ogni momento.

E tuttavia... Vin possedeva la capacità di penetrare le cuprinubi.

Una cuprinube non era qualcosa di visibile. Era più vaga. Una bolla d'aria rarefatta in cui gli allomanti potevano bruciare i loro metalli senza preoccuparsi che chi aveva il bronzo acceso potesse percepirli. Vin era in grado di avvertire allomanti che usavano metalli all'interno di una cuprinube. Ancora non era certa del perché.

Perfino Kelsier, l'allomante più potente che avesse conosciuto, non era stato in grado di penetrare una cuprinube.

Stanotte, però, non percepiva nulla.

Aprì gli occhi con un sospiro. Il suo strano potere la disorientava, ma non era l'unica a possederlo. Marsh aveva confermato che gli Inquisitori d'Acciaio potevano penetrare le cuprinubi, e lei era certa che il lord Reggente ne fosse stato in grado.

Ma... perché lei? Perché Vin - una ragazza con alle spalle a malapena un paio d'anni di addestramento come Mistborn - ci riusciva?

C'era dell'altro. Aveva ancora un ricordo nitido di quando aveva combattuto il lord Reggente. C'era stato qualcosa in quell'avvenimento che non aveva detto a nessuno, in parte perché le faceva temere che le dicerie e le leggende su di lei fossero vere. Aveva attinto dalle nebbie, usandole per alimentare la sua allomanzia invece dei metalli.

Era stato solo grazie a quel potere, il potere delle nebbie, che alla fine era stata in grado di sconfiggere il lord Reggente. Le piaceva ripetere a sé stessa che era stata semplicemente fortunata nel capire i trucchi del lord. Ma... c'era stato qualcosa di strano quella notte, qualcosa che lei aveva fatto. Qualcosa che non era mai stata capace di ripetere.

Vin scosse il capo. C'era così tanto che non sapevano, e non soltanto sull'allomanzia. Lei e gli altri capi del giovane regno di Elend facevano del loro meglio, ma senza Kelsier a guidarli, Vin si sentiva come cieca. Piani, successi e perfino obiettivi erano come figure sfumate nella nebbia, indistinte e senza forma.

Non avresti dovuto lasciarci, Kell, pensò lei. Hai salvato il mondo... ma avresti dovuto farlo senza morire. Kelsier, il Sopravvissuto di Hathsin, l'uomo che aveva concepito e messo in atto il crollo dell'Ultimo Impero. Vin l'aveva conosciuto, aveva lavorato con lui, da lui era stata addestrata. Era una leggenda e un eroe. Eppure era stato anche un uomo. Fallibile. Imperfetto. Era facile per gli skaa venerarlo, poi incolpare Elend e gli altri per l'ardua situazione che Kelsier aveva creato.

Quel pensiero le lasciò un sapore amaro. Ricordare Kelsier le faceva spesso quell'effetto. Forse era il senso di abbandono, o forse si trattava della scomoda consapevolezza che Kelsier - come Vin stessa - non era stato del tutto all'altezza della propria reputazione.

Vin sospirò, chiudendo gli occhi e ancora bruciando bronzo. Il combattimento di quella sera le era costato molto e stava iniziando a temere le ore che ancora aveva intenzione di trascorrere di sentinella. Sarebbe stato difficile rimanere in allerta, quando...

Percepì qualcosa.

Aprì gli occhi di scatto, avvampando il suo stagno. Ruotò su sé stessa e si chinò contro il tetto per celare il proprio profilo. C'era qualcuno lì fuori, che bruciava metallo. Le pulsazioni di bronzo battevano deboli, vaghe, quasi impercettibili, come qualcuno che stesse suonando i tamburi molto piano. Erano attutite da una cuprinube. La persona - chiunque fosse - pensava che il rame l'avrebbe nascosta.

Finora Vin non aveva lasciato vivo nessuno, eccetto Elend e Marsh, che fosse al corrente del suo strano potere.

Vin strisciò in avanti, le dita di mani e piedi infreddolite dalle tegole di rame del tetto. Cercò di determinare la direzione delle pulsazioni. C'era qualcosa di... strano in esse. Aveva problemi a individuare il metallo che il suo nemico stava brucando.

Era il rapido tonfo regolare del peltro? O era il ritmo del ferro? Le pulsazioni sembravano indistinte, come increspature nel fango denso.

Provenivano da qualche parte molto vicino... Sul tetto... proprio di fronte a lei.

Vin si immobilizzò accucciandosi, la brezza notturna alzava una spessa coltre di nebbia davanti a lei. Dove si trovava quel tipo? I suoi sensi erano in disaccordo l'uno con l'altro: il suo bronzo diceva che c'era qualcosa proprio di fronte a lei, ma i suoi occhi si rifiutavano di essere d'accordo.

Esaminò le nebbie scure, lanciò uno sguardo verso l'alto giusto per essere sicura, poi si alzò in piedi. Questa è la prima volta che il mio bronzo sbaglia, pensò accigliata.

Poi la vide.

Non qualcosa nelle nebbie, ma qualcosa delle nebbie. La figura era in piedi a poca distanza da lei, era facile lasciarsela sfuggire, poiché la sagoma era solo vagamente delineata dalla nebbia. Vin rimase senza fiato e fece un passo all'indietro.

La figura continuò a stare dove si trovava. Lei non riusciva a capire molto: le sue fattezze erano nebulose e vaghe, contornate dai turbinii caotici della nebbia agitata dal vento. Se non fosse stato per la persistenza di quella forma, lei avrebbe potuto reputarla come la sagoma di un animale vista per un attimo fra le nuvole.

Ma essa rimase. Ogni nuovo arricciamento della nebbia aggiungeva definizione al suo corpo esile e alla testa allungata. La sagoma sembrava quella di un umano, ma era priva della compattezza dell'Osservatore. Aveva una sensazione...

un'apparenza... poco convincente.

La figura fece un passo in avanti.

Vin reagì all'istante, gettando in alto una manciata di monete e Spingendole attraverso l'aria. I pezzi di metallo schizzarono fra la nebbia, seguiti da scie, e passarono proprio attraverso la figura indistinta. Quella rimase immobile per un momento. Poi semplicemente scomparve, dissipandosi nelle volute irregolari della nebbia.

Elend scrisse l'ultima riga con eleganza, anche se sapeva che avrebbe incaricato uno scriba di ricopiare la proposta.

Tuttavia era orgoglioso. Pensava di essere stato in grado di elaborare un'argomentazione per convincere l'Assemblea che non potevano assolutamente arrendersi a Straff.

Guardò verso una pila di carte sulla sua scrivania. In cima a esse era posata una lettera gialla dall'aspetto innocente, ancora ripiegata, una sbavatura di cera color sangue rotta all'altezza del sigillo. La lettera era breve. Elend ne ricordava facilmente le parole.

Figlio,

confido che tu abbia provveduto a prenderti cura degli interessi dei Venture a Luthadel. Ho sotto controllo la Dominazione Settentrionale e sarò di ritorno a breve alla nostra fortezza a Luthadel. Allora potrai passarmi il dominio della città.

Re Straff Venture

Di tutti i tiranni e i despoti che avevano afflitto l'Ultimo Impero dalla morte del lord Reggente, Straff era il più pericoloso. Elend lo sapeva per esperienza diretta.

Suo padre era un vero nobiluomo: considerava la vita come una competizione fra i lord per vedere chi sarebbe riuscito a guadagnare la fama maggiore. Aveva giocato bene la partita, rendendo la casata Venture la più potente fra le famiglie nobili prima del Crollo.

Il padre di Elend non vedeva la morte del lord Reggente come una tragedia o una vittoria... solo come un'opportunità. Il fatto che quel suo figlio in apparenza sciocco e smidollato ora affermasse di essere re della Dominazione Centrale probabilmente gli causava enorme ilarità.

Elend scosse il capo, ritornando alla proposta. Qualche altra rilettura, pochi aggiustamenti e finalmente potrò dormire un poco, pensò.

Una figura avvolta in un mantello piombò dal lucernario nel tetto e atterrò con un tonfo dietro di lui.

Elend sollevò un sopracciglio, voltandosi verso la figura accucciata. «Sai, lascio il balcone aperto per un motivo. Potresti entrare da là, se volessi.»

«Lo so» disse Vin. Poi guizzò per la camera, muovendosi con la sovrannaturale flessuosità di un allomante. Controllò sotto il letto, poi si spostò verso l'armadio e spalancò le ante. Balzò all'indietro come un animale in allerta, ma all'interno trovò nulla che non fosse di suo gradimento, poiché si diresse a sbirciare dalla porta che conduceva al resto delle stanze di Elend.

Elend la guardò con affetto. Gli era occorso del tempo per abituarsi alle particolari... idiosincrasie di Vin. La prendeva in giro definendola paranoica; lei affermava di essere cauta. Nonostante tutto, la metà delle volte che visitava le sue stanze controllava sotto il letto e nell'armadio. In altre occasioni si tratteneva, ma Elend spesso la coglieva a lanciare occhiate sospette verso potenziali nascondigli.

Era molto meno apprensiva quando non aveva una ragione particolare per preoccuparsi per lui. Comunque, Elend stava iniziando a capire che c'era una persona davvero complessa che si nascondeva dietro il volto della ragazza che una volta aveva conosciuto come Valette Renoux. Si era innamorato del suo lato raffinato senza mai conoscere quello furtivo e nervoso da Mistborn. Era ancora un po' difficile vedere le due parti assieme come la stessa persona.

Vin chiuse la porta, poi si soffermò per un breve istante a osservarlo con i suoi occhi tondi e scuri. Elend si ritrovò a sorridere. Malgrado le sue stranezze - o probabilmente proprio per via di esse - amava questa donna esile dallo sguardo determinato e dal temperamento schietto. Era diversa da chiunque avesse mai conosciuto, una donna dalla bellezza e dall'intelligenza semplice ma sincera.

A volte, però, lo impensieriva.

«Vin?» chiese lui, alzandosi in piedi.

«Hai visto qualcosa di strano stanotte?»

Elend esitò. «A parte te?»

Lei si accigliò, percorrendo la stanza con ampie falcate. Elend osservò la sua forma minuta, abbigliata con pantaloni neri e una camicia da uomo provvista di bottoni, le strisce del suo nebbiomanto che si trascinavano dietro di lei. Teneva il cappuccio del mantello abbassato, come al solito, e camminava con una grazia flessuosa: l'eleganza inconscia di una persona che brucia peltro.

Concentrati!, disse a sé stesso. Sei davvero esausto. «Vin? Cosa c'è che non va?»

Vin lanciò un'occhiata verso il balcone. «Quel Mistborn, l'Osservatore, è di nuovo in città.»

«Ne sei sicura?»

Vin annuì. «Ma... non penso che verrà per te stanotte.»

Elend si accigliò. Le portefinestre del balcone erano ancora aperte e volute di nebbia vi spiravano attraverso, strisciando lungo il pavimento fino a evaporare.

Oltre quelle porte c'era... oscurità. Caos.

È solo nebbia, si disse. Vapore acqueo. Nulla di cui avere paura. «Cosa ti fa pensare che il Mistborn non verrà per me?»

Vin scrollò le spalle. «Ho semplicemente la sensazione che non lo farà.»

Rispondeva spesso a quel modo. Vin era cresciuta come una creatura di strada e si fidava dei propri istinti. Stranamente era così anche per Elend. La scrutò, il suo corpo era in allerta. Qualcos'altro l'aveva turbata quella notte. Elend tenne gli occhi fissi nei suoi per un momento, finché lei non distolse lo sguardo.

«Cosa c'è?» chiese lui.

«Ho visto... qualcos'altro» rispose Vin. «O penso di averlo visto. Qualcosa nella nebbia, come una persona fatta di fumo. Potevo anche percepirla, con l'allomanzia.

E scomparsa, però.»

Elend si accigliò ancor di più. Si fece avanti, cingendola con le braccia. «Vin, ti stai strapazzando troppo. Non puoi continuare ad aggirarti per la città di notte e poi stare sveglia tutto il giorno. Anche gli allomanti hanno bisogno di riposo.» Lei annuì con fare remissivo. Fra le sue braccia, non gli sembrava la potente guerriera che aveva ucciso il lord Reggente. Gli dava la sensazione di una donna esausta, sopraffatta dagli eventi... una donna che probabilmente provava sensazioni molto simili a quelle di Elend.

Lei si lasciò abbracciare. Sulle prime c'era una certa rigidità nella sua posa. Era come se una parte di lei si aspettasse ancora di essere ferita, un primitivo frammento che non riusciva a capire che era possibile essere toccati per amore e non solo per rabbia. Poi, però, si rilassò. Elend era uno dei pochi che lei sopportava di avere attorno. Quando Vin lo abbracciava - lo abbracciava davvero - si aggrappava a lui con una disperazione che quasi sconfinava in terrore. Nonostante le sue potenti doti di allomante e la sua ostinata determinazione, Vin era spaventosamente vulnerabile.

Pareva aver bisogno di Elend. Per questo, lui si reputava fortunato.

Frustrato, a volte. Ma fortunato. Non avevano più discusso della proposta di matrimonio di Elend e del rifiuto di Vin, anche se lui ci ripensava spesso.

Le donne sono già abbastanza difficili da capire, pensò, e io dovevo proprio andarmi a scegliere la più strana di tutte. Tuttavia non poteva davvero lamentarsi.

Lei lo amava. Elend poteva convivere con le sue idiosincrasie.

Vin sospirò, poi alzò gli occhi verso di lui, rilassandosi finalmente mentre lui si chinava a baciarla. Rimasero così per un lungo momento. Dopo il bacio, gli appoggiò la testa sulla spalla. «Abbiamo un altro problema» disse piano. «Stanotte ho usato l'ultima perlina di atium.»

«Per combattere gli assassini?» Vin annuì.

«Be', sapevamo che prima o poi sarebbe successo. La nostra scorta non poteva durare per sempre.»

«Scorta?» chiese Vin. «Kelsier ci ha lasciato solo sei sferette.»

Elend sospirò, poi la strinse forte a sé. Il suo nuovo governo avrebbe dovuto ereditare le riserve di atium del lord Reggente: si supponeva che, assieme a uno sbalorditivo tesoro, vi fosse un'ingente scorta di quel metallo. Kelsier aveva contato sul fatto che il suo nuovo regno si impadronisse di quelle ricchezze; era morto con quell'aspettativa. C'era un unico problema. Nessuno aveva mai trovato quella scorta.

Avevano recuperato qualche piccolo pezzo: l'atium di cui erano composti i braccialetti che il lord Reggente aveva usato come batteria feruchemica per conservare l'età. Comunque li avevano spesi per comprare provviste per la città, e in effetti contenevano solo una minima quantità di atium. Di certo non la scorta che si pensava che il lord Reggente possedesse. Doveva ancora esserci da qualche parte nella città un tesoro di atium mille volte più vasto di quei braccialetti.

«Dovremo semplicemente farne a meno» disse Elend.

«Se un Mistborn dovesse attaccarti, non sarò in grado di ucciderlo

«Solo se lui avrà dell'aduni» replicò Elend. «Sta diventando sempre più raro.

Dubito che gli altri re ne abbiano molto.»

Kelsier aveva distrutto le Fosse di Hathsin, l'unico posto in cui l'atium poteva essere estratto. Eppure, se Vin si fosse trovata a combattere qualcuno con dell'aduni...

Non ci pensare, si disse. Continua a cercare e basta. Forse possiamo comprarne un po'. O forse troveremo la scorta del lord Reggente. Sempre che esista...

Vin alzò lo sguardo verso di lui, leggendo la preoccupazione nei suoi occhi, ed Elend seppe che era arrivata alle sue stesse conclusioni. C'era poco da fare al momento.

Vin aveva agito bene nel conservare il loro atium così a lungo. Tuttavia, mentre lei si faceva indietro e lo lasciava tornare alla sua scrivania, Elend non riuscì a fare a meno di pensare a come avrebbero potuto spendere quell'atium. Il suo popolo aveva bisogno di cibo per l'inverno.

Ma, vendendo il metallo, pensò nel sedersi, avremmo messo una delle più pericolose armi allomantiche nelle mani dei nostri nemici. Meglio lasciarlo a Vin.

Mentre ricominciava a lavorare, lei fece capolino con la testa sopra la sua spalla, facendogli ombra. «Di che si tratta?» chiese.

«E la proposta per bloccare l'Assemblea fino a che non avrò avuto il mio diritto a parlamentare.»

«Ancora?» domandò lei, inclinando la testa e stringendo gli occhi nel cercare di decifrare la sua grafia.

«L'Assemblea ha respinto l'ultima versione.»

Vin si accigliò. «Perché non ti limiti a dir loro che devono accettarla? Tu sei il re.»

«Ecco, insomma,» disse Elend «è proprio ciò che sto cercando di dimostrare. Io sono solo un uomo, Vin: forse la mia opinione non è migliore della loro. Se lavoriamo tutti assieme sulla mia proposta, ne uscirà meglio che se l'avesse fatta un singolo uomo per conto suo.»

Vin scosse il capo. «Sarà troppo debole. Dovresti confidare di più in te stesso.»

«Non è una questione di fiducia. Si tratta di cos'è giusto. Abbiamo passato mille anni a opporci al lord Reggente: se io faccio le cose allo stesso modo, quale sarà la differenza fra me e lui?»

Vin si voltò e lo guardò negli occhi. «Il lord Reggente era un uomo malvagio. Tu sei un brav'uomo. E questa la differenza.»

Elend sorrise. «Per te è tutto così semplice, non è vero?»

Vin annuì.

Elend si protese all' insù e la baciò di nuovo. «Be', alcuni di

• devono rendere le cose un po' più complicate, perciò dovrai assecondarci. Ora, per favore, spostati dalla luce in modo che possa tornare al lavoro.»

Lei sbuffò, ma si alzò e fece il giro della scrivania, lasciandosi dietro una flebile scia di profumo. Elend si accigliò. Quando se l'è messo?, si chiese. Molti dei suoi movimenti erano così rapidi che non riusciva a notarli.

Profumo: solo un'altra delle apparenti contraddizioni della donna che si chiamava Vin. Non l'avrebbe indossato fuori nelle nebbie: di solito lo metteva solo per lui. A Vin piaceva non essere appariscente, ma adorava i profumi... e si irritava con lui quando non si accorgeva che ne stava provando uno nuovo. Sembrava sospettosa e paranoica, tuttavia si fidava in tutto e per tutto dei suoi amici. Di notte usciva vestita di nero e grigio, cercando in tutti i modi di nascondersi, ma Elend l'aveva vista ai balli un anno fa, e lei era sembrata così naturale in lunghi abiti da sera.

Per qualche motivo aveva smesso di indossarli. Non aveva mai spiegato perché.

Elend scosse il capo, tornando alla sua proposta. Paragonata a Vin, la politica sembrava fin troppo semplice. Lei appoggiò le braccia sulla scrivania, osservandolo lavorare, sbadigliando.

«Dovresti riposati un po'» le disse, intingendo di nuovo la penna.

Vin esitò, poi annuì. Si tolse il nebbiomanto, se lo avvolse attorno, poi si rannicchiò sul tappeto accanto alla scrivania.

Elend indugiò per un momento. «Non intendevo qui, Vin» disse divertito.

«C'è ancora un Mistborn da qualche parte là fuori» replicò lei con voce stanca e ovattata. «Non ho intenzione di lasciarti solo.» Si rigirò nel mantello, ed Elend colse una breve smorfia di dolore sul suo volto. Le faceva ancora male il fianco.

Non gli raccontava spesso i dettagli dei suoi combattimenti. Non voleva preoccuparlo. Ma questo non serviva a nulla.

Elend represse la sua preoccupazione e si costrinse a ricominciare a leggere.

Aveva quasi terminato, solo un altro po' e...

Qualcuno bussò alla porta.

Elend si voltò, domandandosi la causa di questa nuova interruzione. Ham fece capolino dalla soglia un secondo più tardi.

«Ham?» disse Elend. «Sei ancora sveglio?»

«Purtroppo» rispose Ham, entrando nella stanza.

«Mardra ti ucciderà per essere rimasto ancora a lavorare fino a tardi» osservò Elend posando la penna. Per quanto potesse lamentarsi di alcune delle bizzarrie di Vin, lei condivideva le sue abitudini notturne.

Ham si limitò a roteare gli occhi a quel commento. Indossava i suoi soliti pantaloni e farsetto. Aveva acconsentito a essere capitano della guardia di Elend a un'unica condizione: non dover mai indossare un'uniforme. Vin socchiuse appena un occhio quando Ham entrò nella stanza, poi si rilassò di nuovo.

«Comunque sia,» proseguì Elend «a cosa devo la visita?»

«Pensavo volessi sapere che abbiamo identificato gli assassini che hanno cercato di uccidere Vin.»

Elend annuì. «Probabilmente si tratta di uomini che conosco.» Parecchi allomanti erano nobili, e lui conosceva tutti quelli del seguito di Straff.

«In realtà ne dubito» ribatté Ham. «Sono Occidentali.»

Elend esitò, accigliandosi, e Vin alzò il capo. «Ne sei certo?»

Ham annuì. «Il che rende piuttosto improbabile che sia stato tuo padre a mandarli... a meno che non abbia fatto un reclutamento massiccio a Fadrex. Erano perlopiù delle casate Gardre e Conrad.»

Elend si appoggiò allo schienale. Suo padre era stanziato a Urteau, la patria ereditaria della famiglia Venture. Fadrex si trovava quasi dall'altra parte dell'impero rispetto a Urteau, per un tempo di viaggio di diversi mesi. Le probabilità che suo padre avesse accesso a un gruppo di allomanti occidentali erano scarse.

«Hai sentito di Ashweather Cett?» chiese Ham.

Elend annuì. «Uno degli uomini che si è proclamato re nella Dominazione Occidentale. Non so molto su di lui.»

Vin si accigliò e si mise a sedere. «Pensi che sia stato lui a mandarli?»

Ham annuì. «Probabilmente hanno atteso l'opportunità per intrufolarsi in città, e il viavai ai cancelli in questi ultimi giorni deve avergliela offerta. Questo rende l'arrivo dell'esercito di Straff e l'attentato alla vita di Vin una sorta di coincidenza»

^Elend lanciò uno sguardo verso Vin. Lei incontrò i suoi occhi e lui poté capire che non era del tutto convinta che non fosse stato Straff a inviare gli assassini.

Elend, però, non era così scettico. Quasi ogni tiranno della zona aveva cercato di sbarazzarsi di lui. Perché non Cett?

È quell'atium, pensò Elend in preda alla frustrazione. Non aveva mai trovato la scorta del lord Reggente, ma questo non impediva ai despoti nell'impero di credere che lui la stesse nascondendo da qualche parte.

«Be', almeno non è stato tuo padre a mandare gli assassini» cercò di confortarlo Ham, sempre ottimista.

Elend scosse il capo. «La nostra parentela non lo fermerebbe, Ham. Fidati di me.»

«È tuo padre» replicò Ham con aria turbata.

«Cose del genere non importano a Straff. Probabilmente non ha mandato degli assassini perché non reputa che io ne valga la pena. Se resistiamo a lungo, però, lo farà.»

Ham scosse il capo. «Ho sentito di figli che hanno ucciso i loro padri per prenderne il posto, ma padri che uccidono i figli... Mi domando cosa lasci intendere sulla mente del vecchio Straff, il fatto che sarebbe disposto a ucciderti. Si potrebbe pensare che...»

«Ham?» lo interruppe Elend.

«Sì?»

«Sai che di solito gradisco una bella discussione, ma in questo momento non ho proprio tempo per filosofeggiare.»

«Oh, d'accordo.» Ham esibì un debole sorriso, poi fece per andare. «Comunque devo tornare da Mardra.»

Elend annuì, sfregandosi la fronte e riprendendo in mano la penna ancora una volta. «Fa' in modo di riunire la banda per un incontro. Abbiamo bisogno di organizzare i nostri alleati, Ham. Se non ci inventiamo qualcosa di incredibilmente ingegnoso, questo regno potrebbe essere condannato.»

Ham si voltò indietro, ancora sorridendo. «Lo fai suonare così disperato, El.»

Elend lo scrutò. «L'Assemblea è un caos, mezza dozzina di tiranni con eserciti più numerosi mi stanno col fiato sul collo, non passa mese senza che qualcuno mandi degli assassini a uccidermi e la donna che amo mi sta lentamente facendo impazzire.»

Vin sbuffò a quell'ultima parte.

«Oh, tutto qui?» replicò Ham. «Vedi? Non va così male, dopotutto. Voglio dire, potremmo dover affrontare un dio immortale e i suoi potentissimi sacerdoti.»

Elend esitò un momento, poi ridacchiò senza volere. «Buonanotte, Ham» disse, ritornando alla sua proposta.

«Buonanotte, Vostra Maestà.»