Il piccolo suonatore di cornamusa

di Thomas Crofton Croker

 

 

Non molto tempo fa, ai confini della contea Tipperary, viveva una coppia rispettabile e onesta, Mick Flannigan e Judy Muldoon. Questa povera gente era stata benedetta, come si dice, dalla nascita di quattro figli, tutti maschi: tre di loro erano i bambini più belli, forti, sani e ben fatti su cui mai avesse brillato il sole; e ogni irlandese si sarebbe sentito orgoglioso della stirpe dei suoi concittadini al vederli, verso l'una di un bel giorno d'estate, fermi sulla porta della capanna del loro padre con una bella patata grossa e fumante in mano, i capelli biondi che scendevano in riccioli attorno al viso e le guance soffuse di rosso come due mele. Mick era orgoglioso di questi bei bambini, come lo era Judy; e avevano tutti i motivi per esserlo. Ma quanto all'altro, che era il terzogenito, le cose erano assai diverse: era il marmocchio più sgradevole, brutto e disgraziato cui Dio avesse mai dato vita; era venuto su così male che non riusciva neppure a tenersi in piedi da solo, o a lasciare la culla; aveva dei lunghi capelli ispidi, arruffati e riccioluti, neri come la fuliggine; la sua faccia era di un colore giallo verdastro; i suoi occhi erano come due tizzoni ardenti e non facevano che muoversi nella testa come fossero in preda al moto perpetuo. Prima d'aver compiuto dodici mesi aveva la bocca piena di grandi denti; le mani erano come gli artigli di un nibbio, e le gambe non erano più grosse del manico di una frusta, e dritte più o meno come una falce: a peggiorare le cose, aveva l'appetito di un cormorano, e dalla sua bocca uscivano continuamente lamenti, guaiti, strilli e ululati.

Tutti i vicini sospettavano che ci fosse qualcosa di anormale, anche perché avevano osservato che, quando la gente riunita attorno al fuoco, come si usa in campagna, prendeva a parlare di religione e di cose edificanti, il marmocchio, che se ne stava steso nella culla che sua madre abitualmente metteva vicino al focolare perché potesse godersi il caldo, si alzava a sedere nel bel mezzo dei loro discorsi e cominciava a strepitare come se avesse in corpo un vero diavolo; questo, come ho detto, portò i vicini a pensare che in lui ci fosse qualcosa che non andava, e un giorno fu tenuta una gran consultazione generale per decidere cosa sarebbe stato meglio farne. Alcuni suggerirono di sbarazzarsene senza troppi complimenti, ma l'amor proprio di Judy non voleva accettare questo. Bella cosa davvero, che un suo bambino venisse preso con la pala e scagliato sul letamaio proprio come un gattino morto o un topo avvelenato; no, no, non ne voleva nemmeno sentire parlare. Una vecchia, ritenuta molto abile ed esperta in questioni di magia, le consigliò caldamente di mettere le molle nel fuoco, farle diventare incandescenti e con quelle prendergli il naso; questo trattamento sarebbe bastato, senza la minima possibilità di dubbio, a fargli dire cos'era e da dove veniva (che infatti il sospetto di tutti era che fosse stato scambiato dal «buon popolo»); ma Judy aveva il cuore troppo tenero, ed era troppo affezionata a quello spiritello, così non volle accondiscendere a questa proposta, anche se tutti le dicevano che aveva torto; forse l'aveva, ma come si può rimproverare una madre? Bene, c'era chi consigliava una cosa e chi ne consigliava un'altra; infine qualcuno propose di mandare a chiamare il prete, che era un sant'uomo ed era molto istruito, perché venisse a vederlo. A questo naturalmente Judy non ebbe nulla da obiettare; ma per una ragione o per l'altra non le riuscì mai di farlo, e la conclusione fu che il prete non lo vide mai.

Le cose andarono avanti nel solito modo per qualche tempo ancora. Il marmocchio continuò a guaire e ululare, a mangiare più dei suoi tre fratelli messi insieme e a tirare ogni sorta di brutti scherzi, perché aveva una natura assai maligna; finché un giorno accadde che Tim Carrol, il suonatore di cornamusa cieco, nel fare il suo solito giro, entrò e si sedette vicino al fuoco a scambiare due chiacchiere con la padrona di casa. Di li a poco Tim, che non era certo avaro della sua musica, prese la cornamusa e cominciò a suonare con grande maestria; nell'istante in cui attaccò, il piccolo, che era rimasto nella culla immobile come un topo, si alzò a sedere, cominciò a ghignare e a torcere la sua brutta faccia, ad agitare le lunghe braccia brune, a scalciare con le sue gambe storte, mostrando di gradire moltissimo la musica. Alla fine sembrò che l'unica cosa che avrebbe potuto farlo calmare sarebbe stato avere la cornamusa fra le mani, e per blandirlo la madre chiese a Tim di prestarla al bambino per un minuto. Tim, che era gentile con i bambini, accondiscese volentieri, e siccome lui non ci vedeva fu Judy stessa a portarla alla culla; fece per infilarla a tracolla del pupo, ma non ce ne fu bisogno, perché il piccolo sembrava perfettamente all'altezza della situazione. Si allacciò la cornamusa, sistemò le ance sotto un braccio e la sacca sotto l'altro, maneggiò entrambe con abilità come se non avesse fatto altro da vent'anni e attaccò con «Sheela na Guira» in uno stile così sciolto che di più non si potrebbe immaginare.

Erano tutti sbigottiti: la povera donna si fece il segno della croce. Tim, che, come ho detto prima, era cieco e non sapeva bene chi stesse suonando, era proprio deliziato; e quando seppe che il suonatore era un marmocchio di nemmeno cinque anni che non aveva mai visto una cornamusa in vita sua, disse alla madre che doveva essere felice d'avere un figlio simile; si offerse di prendere lui il piccolo, se avesse accettato di separarsene; giurò che era un suonatore nato, un genio naturale, e dichiarò che con un po' di tempo ancora, e qualche lezione da parte sua, non se ne sarebbe trovato l'uguale nell'intero paese. La povera donna fu molto felice di sentire tutto questo, soprattutto perché quello che Tim aveva detto sul genio naturale aveva tacitato alcuni brutti presentimenti che si stavano facendo strada nella sua mente, cioè che quel che dicevano i vicini, cioè che il bambino non era normale, fosse del tutto vero; e inoltre la rincuorava pensare che il suo caro bambino (poiché amava davvero il piccolo) non avrebbe dovuto finire per mendicare, ma avrebbe potuto guadagnarsi onestamente il pane. Così, quando Mick tornò a casa dal lavoro la sera, gli raccontò subito quello che era successo e ciò che aveva detto Tim Carrol; e Mick, com'era naturale, ne fu molto contento, perché la condizione della povera creatura era per lui una grave preoccupazione. Così il giorno successivo portò il maiale al mercato e con il ricavato si recò a Clonmel, dove ordinò una cornamusa nuova, della grandezza giusta per il pupo.

Nel giro di una quindicina di giorni la cornamusa arrivò a casa, e, non appena il piccoletto che stava nella culla la vide, strillò di piacere e prese a dimenarsi; poi continuò a fare mille gesti buffi; finché, per acquietarlo, gli diedero la cornamusa, e lui si mise immediatamente a suonare, attaccando con «La giga Polthog» fra l'ammirazione di tutti quelli che lo ascoltavano.

La fama della sua abilità alla cornamusa si sparse presto in ogni luogo vicino e lontano; non c'era infatti suonatore di cornamusa nelle sei contee vicine che potesse reggere il confronto con lui ne «La vecchia volpe rossa» o ne «La lepre nel grano» o «La giga del cacciatore di volpi» o «I furfantelli di Cashel» o «Il pallino del suonatore di cornamusa» o in una qualunque delle belle gighe irlandesi che fanno danzare la gente anche quando non ne ha voglia: ed era sorprendente come eseguiva «Il cacciatore di lepri»: sembrava proprio di sentire i segugi che abbaiavano e dietro di loro i terrier che guaivano, mentre i cacciatori e i bracchieri incitavano o aizzavano i cani: in breve, era quasi come assistere alla caccia stessa.

Il bello era che non era mai avaro della sua musica e i ragazzi e le ragazze dei dintorni spesso si riunivano per allegre danze nella capanna di suo padre; egli suonava per loro una sua musica che, come dicevano, metteva l'argento vivo ai piedi; e tutti affermavano che mai avevano ballato al suono di una cornamusa che li facesse muovere con tanta leggerezza e agilità.

Ma oltre a tutte queste belle arie irlandesi, conosceva una sua strana melodia, la più strana che fosse mai stata sentita; e appena prendeva a suonarla ogni cosa nella casa sembrava cadere in preda alla voglia di ballare; i piatti e le scodelle tintinnavano sulla credenza, le pentole e i ganci a cui erano appese rumoreggiavano nel camino, e le persone avevano l'impressione di sentire gli sgabelli muoversi sotto di loro; ma comunque stessero le cose con gli sgabelli, è certo che nessuno riusciva a starvi seduto a lungo, perché sia i vecchi che i giovani cominciavano a piroettare con tutta l'energia che avevano in corpo. Le ragazze si lamentavano perché quando attaccava quell'aria non riuscivano più a seguire la danza e non potevano muovere i piedi correttamente, perché sentivano sotto di loro il pavimento liscio come il ghiaccio, e pareva loro d'essere sul punto di finir distese per terra a gambe all'aria o a faccia in giù da un momento all'altro. I giovani scapoli, che volevano mettere in mostra la loro abilità di ballerini, le scarpe da ballo nuove, o le giarrettiere rosso vivo o verdi e gialle, giuravano che li confondeva talmente che non riuscivano a eseguire in modo corretto il «tacco e punta», il «nascondi la fibbia», né qualsiasi altro dei loro passi migliori; si sentivano invece sempre storditi e confusi, e allora vecchi e giovani finivano per scontrarsi e cozzare l'un contro l'altro in modo terribile; e quando il disgraziato marmocchio li aveva ridotti tutti in questo stato, a girare come trottole per il pavimento, sogghignava e ridacchiava e sbatteva i denti, proprio come Jacko la scimmia quando ne ha fatta una delle sue.

Più si faceva grande e più peggiorava, e quando ebbe sei anni non c'era più pace in casa per causa sua: faceva sempre in modo che i suoi fratelli finissero per bruciarsi o scottarsi e rompersi gli stinchi contro padelle e sgabelli. Una volta, al tempo del raccolto, fu lasciato a casa da solo, e quando sua madre rientrò, trovò la gatta a cavalcioni del cane, con il muso rivolto verso la coda e le zampe strette al corpo dell'animale, mentre il moccioso suonava loro la sua strana musica; così che il cane saltava di qua e di là abbaiando, e la gattina miagolava più che mai, sbattendo avanti e indietro la coda, e quando questa colpiva il muso del cane quello azzannava e mordeva, e succedeva il finimondo. Un'altra volta il fattore presso cui lavorava Mick, un uomo molto educato e rispettabile, capitò a fare loro visita e Judy, spolverato lo sgabello col grembiule, lo invitò a sedere e a riposarsi un po' dopo la camminata. Stava seduto volgendo la schiena alla culla, e dietro di lui c'era una casseruola piena di sangue, perché Judy stava facendo i sanguinacci. Il pupo se ne stette tranquillo nel lettino, aspettando il momento propizio, finché riuscì a fissare un gancio in cima a un pezzo di spago e a lanciarlo con tale abilità che lo mandò a impigliarsi in una ciocca della bella parrucca nuova dell'uomo, che fini inzuppata di sangue nella bacinella. Un'altra volta sua madre rientrava col secchio sulla testa dopo aver munto la vacca: appena lui la vide attaccò la sua melodia infernale e la povera donna, lasciando andare il secchio, mise le mani sui fianchi e cominciò a danzare una giga, rovesciando tutto il latte addosso a suo marito che stava portando dentro della torba per cucinare la cena. Insomma, non si finirebbe mai di raccontare tutte le sue furfanterie e tutti i suoi brutti scherzi.

Presto cominciarono a capitare disgrazie alle bestie del fattore. Un cavallo si prese il capogatto, un bel vitello mori di antrace e alcune pecore di un'altra malattia; le mucche cominciarono a diventare cattive e a rovesciare a calci i secchi del latte, una parte del tetto del fienile crollò. Il fattore si mise in testa che la causa di tutti i guai fosse lo sventurato bambino di Mick Flannigan. Così un giorno chiamò Mick in disparte e gli disse: «Mick, vedi anche tu che le cose non vanno come dovrebbero, e, a esser franco, Mick, credo che la causa sia quel tuo figliolo. Sono oberato dalle preoccupazioni, e la notte nel letto non riesco quasi a dormire al pensiero di quel che può succedere prima del mattino. Sarei perciò contento se ti cercassi un lavoro da un'altra parte; non ce n'è uno bravo come te in tutto il paese, e non ho dubbi che troverai lavoro a volontà». Mick rispose d'essere spiacente che lui o i suoi potessero essere ritenuti la causa dei problemi; che anche lui, da parte sua, era preoccupato per il bambino, ma ce l'aveva e doveva tenerselo; poi promise di mettersi immediatamente alla ricerca di un altro posto.

E così, la domenica seguente, quando andò in chiesa, Mick fece sapere che stava per lasciare il lavoro presso John Riordan, e subito un fattore che abitava a un paio di miglia di distanza e che aveva bisogno di un contadino (l'ultimo lo aveva appena lasciato), andò da Mick, e gli offri una casa con il giardino e lavoro per tutto l'anno. Mick, che sapeva che quello era un buon padrone, s'accordò subito con lui; venne così deciso che il fattore avrebbe mandato un carro a prendere i suoi pochi mobili e che il trasloco avrebbe avuto luogo il giovedì successivo.

Il giovedì , come promesso, giunse il carro, Mick lo caricò e mise in cima la culla col bambino e la cornamusa, e Judy gli sedette vicino per tenerlo d'occhio in modo che non cadesse fuori e avesse a morire. Misero davanti la mucca, il cane li seguiva, ma il gatto naturalmente fu lasciato dov'era; e gli altri tre bambini se la fecero a piedi, raccogliendo bacche di biancospino e more, poiché era una bella giornata verso la fine del raccolto.

Dovevano attraversare un fiume, ma poiché scorreva nel fondo di due alte sponde, non lo si vedeva finché non ci si era quasi sopra. Il bambino stette disteso abbastanza tranquillo dentro la sua culla finché giunsero all'inizio del ponte, ma sentendo il rumore dell'acqua (che il fiume era in piena, dato che negli ultimi due o tre giorni era piovuto molto), si mise a sedere nella culla e si guardò attorno; e appena vide l'acqua e scopri che stavano per portarlo sull'altra sponda, oh, come urlò e come strillò! Nessun topo preso in trappola ha mai urlato tanto. «Zitto, tesoruccio mio», disse Judy, «non c'è da aver paura; stiamo solo per attraversare il ponte di pietra.»

«Maledizione a te, vecchia ciabatta!», gridò lui, «che razza di scherzo mi state giocando portandomi qui?», e continuò a strepitare, e più avanzavano sul ponte più urlava; tanto che a un certo punto Mick non ce la fece più a trattenersi e, tirandogli un bel colpo con la frusta che teneva in mano, «che il diavolo ti strangoli, marmocchio!», disse. «Non la smetterai mai di strepitare? Per causa tua non si riesce a sentire un bel nulla.» Nell'istante in cui senti la correggia della frusta, il marmocchio balzò nella culla, si cacciò la cornamusa sotto il braccio, fece a Mick un ghigno incredibilmente maligno e scavalcando d'un balzo il parapetto del ponte si gettò nell'acqua. «Oh il mio bambino, il mio bambino!», gridò Judy, «mi ha lasciata per sempre.»

Insieme agli altri figlioli Mick attraversò di corsa il ponte e, guardando in basso, videro il piccolo venir fuori dall'arcata del ponte seduto a gambe incrociate sopra alla bianca cresta di un'onda, intento a suonare allegramente la sua cornamusa come se nulla fosse accaduto. Il fiume scorreva molto veloce, così che fu trascinato via rapidamente; ma suonava in fretta, si, più in fretta di quanto corresse il fiume; cercarono di seguirlo lungo la riva, più svelti che poterono, ma a circa cento iarde a valle del ponte il fiume faceva una brusca curva attorno alla collina e quando loro vi giunsero era ormai scomparso, e nessuno lo vide mai più; ma l'opinione generale fu che se ne fosse ritornato con la cornamusa dai suoi veri parenti, i folletti, a suonare per loro.

 

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Fiabe Irlandesi
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