Una galleria di personaggi

 

 

 

 

L'arte che scaturisce dalla tradizione folclorica costituisce, scriveva Yeats in «Celtic Twilight» (1893), «la più antica delle aristocrazie del pensiero, e poiché respinge ciò che è effimero e banale... con la stessa sicurezza con cui respinge la volgarità e la menzogna; e siccome un racconto porta in sé i pensieri più semplici e imprescindibili delle generazioni, essa costituisce il terreno su cui ogni grande arte affonda le sue radici» 1.

La vera arte, per Yeats, avrebbe dovuto trascendere il momento storico contingente per una visione più ampia e universale. Per questo egli preferì sempre la favola al romanzo. Il romanzo tradisce la sua origine borghese; la favola invece fa riferimento a simboli e sentimenti che hanno l'aspetto di realtà più primitive e profonde di quelle su cui si basano le distinzioni di classe, i ruoli sociali. Presupponendo una società nella quale le divisioni tra i membri non siano ancora tali da impedire un'unità essenziale dei partecipanti alla fruizione del racconto, la favola sembra attingere la sua verità da un senso della vita depositato nell'esperienza di secoli.

Raccontare una favola popolare, in cui non hanno corso né l'ambizione borghese né la ricerca del successo, vuol dire sfumare il confine tra presente e passato, unire tradizione e comunicazione in quella dimensione perpetua della vita che appartiene al contadino, che non vive di giornali, ma di tradizioni, e misura il tempo dal lento volgere delle stagioni; «...c'è da indignarsi», scriverà ancora Yeats, «con coloro che vorrebbero sostituire alle idee della cultura popolare la retorica dei giornali, che inquinerebbe quel che aveva cominciato ad apparire una fontana di vita con i piedi della plebaglia»2.

Convinto di trovarsi in un'epoca di transizione, da un filosofo italiano del primo Settecento, il Vico, Yeats aveva ricavato l'idea che fosse la conoscenza poetica, o mitologica, a identificare gli inizi, i momenti di fondazione in cui una nuova visione, una nuova realtà s'impone adottando a propria immagine dei modelli ideali collocati nel passato; e che per incoraggiare l'emergere del nuovo fosse necessario privilegiare l'impulso lirico a scapito di quello narrativo-realistico.

In opposizione alla cultura dell'Inghilterra vittoriana, in cui il linguaggio parlato tendeva ad avvicinarsi sempre più a quello scritto, Yeats voleva portare nella pagina l'intensità espressiva, la suggestione propria della rappresentazione scenica, che contrapponendosi con la sua sonorità drammatica alla freddezza della stampa britannica, avrebbe potuto parlare ai suoi concittadini del mondo mitico.

Sofisticato interprete delle tradizioni dell'aristocrazia terriera che s'avviava a scomparire, Yeats avrebbe opposto all'avanzata di quegli strati borghesi che considerava prigionieri delle realtà quotidiane - «Si ha sempre l'impressione che ove tutti avessero a lavorare per vivere non si vivrebbe più per amore della vita ma per amore del lavoro, e che tutti sarebbero più poveri» 3, scriveva nel 1909 - altere silhouettes stagliate contro le brume d'un crepuscolo celtico.

Nel discorso tenuto a Stoccolma, nel 1923, all'atto di ricevere il Premio Nobel, Yeats attribuì parte del merito di aver creato una letteratura nazionale irlandese a Lady Gregory, sua compagna tanto nella creazione del teatro irlandese quanto nella raccolta dei racconti popolari. Con il suo «ereditario senso di casta» 4 e le visioni fondate «non su qualche atteggiamento mentale moderno e ristretto, bensì sul suo senso della grande letteratura, sulla sua strana giovinezza vissuta secondo regole feudali, anzi direi quasi medioevali» 5, proprio la Gregory aveva rievocato la scoperta del mondo folklorico contadino in pagine di grande intensità:

 

Questa scoperta, lo svelamento della cultura racchiusa nel folklore, nella poesia folklorica, nella tradizione antica, fu il piccolo inizio di un enorme cambiamento. Fu un sovvertimento dei punti di riferimento, un'eccitazione stupefacente. L'immaginazione dell'Irlanda aveva trovato una nuova sede. La mia fantasia era stata sollecitata. Stavo divenendo consapevole di un mondo vicino a me e di cui ero stata del tutto inconsapevole. Non era negli articoli dei giornali che andavo ora a cercare le emozioni estetiche, e nemmeno dai cantanti nelle strade. Era tra i contadini, e tra quelli che scavavano le patate e i vecchi negli asili e i mendicanti che bussavano alla mia porta.6

 

Negli anni in cui Yeats studìava il folklore giungeva al suo momento culminante un travaglio iniziato nel primo Ottocento, quando gli intellettuali protestanti irlandesi, sospinti dal clima di fervore morale e di proselitismo religioso portato dal Revival evangelico, avevano cominciato a confrontarsi con la lingua e la cultura gaelica. Gli scrittori che più contribuirono all'affermarsi del Rinascimento Celtico provenivano, in buona parte (Yeats, Synge, O'Grady, per menzionarne solo alcuni) da famiglie la cui storia era legata a quella della chiesa irlandese 7; e forse proprio per questo alcune manifestazioni tipiche della sensibilità puritana, quali la frugalità, l'astinenza, un certo ascetismo, appaiono come tratti dominanti (se si eccettua il caso dell'autodistruttivo Wilde, il quale, peraltro, si converti al cattolicesimo) nella letteratura irlandese di quegli anni. Il socialismo totalitario di Shaw, il misticismo naturalista di Synge, la spiritualizzazione delle passioni tipica della poesia dello stesso Yeats sono altre manifestazioni di questa stessa sensibilità.

Yeats - che esordi come poeta proprio con una «Song of the Fairies» (Dublin University Magazine, marzo 1885) - riteneva fosse compito della sua generazione creare un'arte che riassumesse tutta la vita del paese: un'arte raffinata, si, come lo era stata la cultura della classe dei proprietari terrieri protestanti, ma allo stesso tempo popolare, e dunque vicina ai sentimenti della maggioranza cattolica. Non c'è dunque da stupirsi se, all'atto di raccogliere i brani destinati a costituire le due antologie Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry (1888) e Irish Fairy Tales (7592) egli ha accostato l'uno all'altro, in grazia del loro comune interesse per la tradizione folklorica irlandese, autori tra loro separati da quelle che allora erano barriere di classe, cultura, religione.

Tra gli autori prescelti troviamo in primo piano il gentiluomo protestante Thomas Crofton Croker (1798-1854), il primo a occuparsi di folklore irlandese (ma allora la parola «folklore» non era stata ancora inventata), che amava «andare a caccia delle vecchie superstizioni» e, considerando quell'attività uno «sport», trasferiva nelle sue pagine credenze e leggende di una popolazione da cui lo separava un vero abisso; il suo stile scorrevole e divertito, che doveva molto ai racconti di viaggio, avrebbe rappresentato un modello per molti degli autori presentati nelle raccolte di Yeats.

Troviamo William Carleton (1794-1869), l'umile uomo del popolo cresciuto in una contea del Nord in cui, come avrebbe poi ricordato, non c'era legge «contro un orangista» come non ce n'era una «in favore d'un papista» 8. Unitosi a una banda di terroristi e poi divenuto un vagabondo, Carleton aveva attraversato in lungo e in largo l'Irlanda. A Dublino gli si sarebbe poi offerta, dopo la conversione al protestantesimo, la possibilità di divenire maestro elementare e pubblicare dei racconti che illustrassero le superstizioni cattoliche. E fu quello l'inizio della monumentale e vigorosissima opera di Carleton: una meticolosa ricostruzione del mondo di cui egli aveva condiviso le regole di vita. I suoi Traits and Stories of the Irish Peasantry avrebbero costituito una vera e propria saga, narrata dal fondo della scala sociale, della vita nelle campagne irlandesi.

Accostato a Samuel Lover (1797-1868), gentiluomo e membro della Royal Hibernian Society che trasformò il racconto folklorico in storiella d'intonazione popolaresca per il divertimento conviviale delle classi alte, troviamo Douglas Hyde (1860-1949), che dopo aver studìato per divenire pastore accantonò l'idea di divenire missionario e dedicò la sua vita al recupero della cultura contadina.

Hyde aveva iniziato col recare scandalo nella società vittoriana anglo-irlandese parlando in pubblico in gaelico, lingua che non distingueva, al modo dell'inglese, il registro formale da quello colloquiale e che, sul piano lessicale, era accusata di non differenziare le funzioni fisiologiche di un gentleman da quelle di un cavallo. Ma aveva finito per trionfare: nel 1892 avrebbe tenuto la famosa lezione inaugurale, intitolata «La necessità di de-anglicizzare l'Irlanda» alla Società Letteraria Nazionale. La sua opera di folklorista, a differenza di quella di Lover, non è né umoristica né filtrata da ambizioni letterarie: è invece dominata dal criterio di fedeltà alle fonti.

Troppo lunga sarebbe la lista degli autori da cui Yeats ha attinto una o più favole: da Lady Wilde (ca. 1824-1896) madre di Oscar, autrice (con lo pseudonimo di «Speranza») di veementi articoli irredentisti sul periodico anti-britannico The Nation, a Sir Samuel Ferguson (1810-1886), un proprietario terriero del Nord che, dalle pagine di Dublin University Magazine, rivolgeva roboanti appelli contro l'emancipazione cattolica («Eccoci qui, noi, la leale classe gentilizia d'Irlanda, l'argine contro il papismo...» 9); da Gerald Griffin (1803-1840), autore di quel The Collegians che avrebbe fornito spunto al Dreiser di An American Tragedy, al poeta James Clarence Mangan (1803-1849), nato a Dublino nella casa che portava le insegne nobiliari degli Ussher, e che si ritiene abbia influenzato, con i suoi allucinati racconti autobiografici, l'americano Edgar Allan Poe...

Il tratto costante che unisce autori tanto diversi, oltre al comune interesse per il folklore, è, però, sempre, la passionalità con cui ognuno di loro ha posto, attraverso quei vissuti simbolici e fantastici che chiamiamo letteratura, l'idea della propria nazionalità. E proprio questo, in realtà, è il tratto che maggiormente distingue la produzione letteraria del loro paese 10.

Mattew Arnold ha parlato d'una disparità tra le forme attraverso cui si esprime il carattere celtico, fantasioso, poeticamente esuberante, poco portato all'azione, e quelle proprie del carattere anglosassone, pragmatico, utilitarista. Arnold spiegava la vitalità della letteratura irlandese facendo riferimento, più o meno esplicitamente, a dei caratteri razziali, o genetici, che avrebbero garantito all'irlandese una predisposizione mitopoietica (e all'inglese una possibilità di riuscìta nel mondo degli affari).

Questa caratterizzazione ha ovviamente i suoi limiti; è da una diversa angolatura, pertanto, che cercheremo di avvicinare quella peculiarità culturale che Arnold risolveva in termini razziali.

 

McLuhan ha affermato che i processi di unificazione politica e di conseguimento dell'autonomia nazionale, nel mondo di Gutenberg, sono stati innescati dall'uso letterario di lingue vernacolari, attraverso le quali ha cominciato a porsi e a diffondersi una nuova immagine del destino e dello status di un gruppo. Per McLuhan parlare di nazionalità vuol dire dunque parlare di una lingua, del processo attraverso il quale quella lingua è riuscìta a estendere, attraverso la pratica letteraria, la possibilità di penetrazione simbolica di una precisa identità culturale e nazionale.

Parlare della letteratura irlandese in lingua inglese vorrà dunque dire parlare, soprattutto, del lungo processo attraverso il quale si sarebbero poste in essere, nella lingua inglese, forme espressive tali da offrire articolazione a quegli irlandesi che, come scriveva nel 1843 William Carleton, erano «completamente alla mercé dei vicini inglesi, che probabilmente si sono divertiti alle nostre spalle in assoluta libertà, e con la certezza di un'assoluta impunità, proprio perché consapevoli del fatto che eravamo del tutto privi di una letteratura nazionale»11.

Ed è proprio questo processo che trova, nelle raccolte di Yeats, una delle sue testimonianze più significative.

La lingua inglese, diffusa in Irlanda nel Seicento, si era avviata a divenire il vero strumento d'espressione di gran parte della popolazione solo dopo il 1831, anno in cui era divenuto operativo in Irlanda il programma di istruzione elementare finanziato dallo stato britannico. William Carleton, nella prefazione all'edizione del 1843 di Traits and Stories, parlava di un processo di transizione linguistica ancora ben lontano dal conoscere il suo esito: «La lingua dei contadini è stata per secoli, ed è ancor oggi, in uno stato di transizione. L'inglese va gradualmente sovrapponendosi all'irlandese. Nel mio paese natio, per esempio, non si parla più l'irlandese quanto lo si parlava venti o venticinque anni fa» 12.

La transizione, hanno sostenuto gli autori vicini al Rinascimento Celtico, fu traumatica. Una lingua rappresenta la memoria collettiva «naturale» di una popolazione: se questa, per impossessarsi di un nuovo strumento linguistico, perde il contatto con il suo mezzo d'espressione più antico, diviene del tutto incapace di riconoscersi nelle proprie tradizioni: come potrà, allora, affermare la propria identità? Riversando nella nuova lingua il mondo di significati che prima apparteneva all'altra?

A questo grande sogno, che fu tanto vicino a Yeats, possono essere ricondotti tanti degli «sperimentalismi» degli scrittori irlandesi; con i loro adattamenti, traduzioni, con le parodie di antichi poemi, essi hanno parlato del presente proponendo, a seconda della loro formazione e delle loro propensioni, diverse letture del passato.

Un passato, una storia, attraversata da divisioni profonde. L'inglese Arthur Young, che iniziò il suo viaggio di studìo delle condizioni di vita in Irlanda nel 1776, scrisse nel suo famoso resoconto (A Tour in Ireland, 1780): «Il signore di una proprietà terriera irlandese abitata da cattolici è una specie di despota che, in qualunque questione concerna i poveri, non conosce altra autorità se non quella stabilita dalla sua volontà... L'aristocrazia dominante, costituita da cinquecentomila protestanti, gode il vantaggio di avere due milioni di schiavi» 13.

Dopo il tentativo insurrezionale del 1798, guidato da intellettuali protestanti trascinati dall'entusiasmo portato dalla Rivoluzione Americana, l'Irlanda - che per un secolo era stata amministrata da un parlamento autonomo da Westminster composto da proprietari terrieri di religione protestante -fu annessa, nel 1800, all'Inghilterra, che garanti (ma solo nel 1829) la concessione dei diritti civili alla maggioranza di religione cattolica. Ma la nascita di nuovi equilibri sociali avrebbe richiesto un tempo molto lungo. Un osservatore francese, che visitò il paese nel 1826, parlava ancora di due nazioni, totalmente estranee l'una all'altra: «Vi sono in Irlanda due nazioni, i conquistatori e i conquistati [...] Non c'è nulla d'intermedio fra padrone e schiavo, tra la capanna e il palazzo» 14.

Dopo l'annessione all'Inghilterra, la letteratura gaelica, che come mezzo d'espressione delle classi colte aveva cessato di esistere tre secoli prima, aveva iniziato a divenire incomprensibile, pur nelle sue espressioni popolari, eccetto a una esigua minoranza di contadini che dovevano lottare duramente per la sopravvivenza. Fu dunque proprio la minaccia dell'estinzione definitiva che aleggiava su quella cultura a incentivare la tendenza a raccoglierne le testimonianze: «Una volta mi capitava di ascoltare molte storie», scriverà Hyde, «ma ora che ne vado in cerca non le ritrovo più. Si sono estinte e non si potranno più sentir raccontare, su quelle colline su cui probabilmente sono esistite per un paio di migliaia di anni» 15.

 

Va da sé, data la varietà degli autori, che i racconti inclusi nelle due raccolte di Yeats presentano grande disparità di stili. Troviamo affiancate rielaborazioni letterarie di racconti tradizionali, traduzioni dall'irlandese, trascrizioni di fiabe raccolte dalla viva voce dei narratori.

La resa dei racconti popolari presenta sempre delle difficoltà: che quando la storia che ha unito in un circolo chiuso il narratore, la sua fonte tradizionale e il suo pubblico viene ricollocata in un contesto letterario diverso, compaiono, come conseguenza della differenza che esiste tra tradizione orale e mondo delle convenzioni letterarie, oscurità e anacronismi. I testi delle storie popolari rappresentano sempre un compromesso fra la parola parlata e quella scritta. E di fronte alla necessità del compromesso, ogni scrittore adotta gli artifici che più gli sono congeniali: alcuni degli autori scelti da Yeats elaborano le storie seguendo le norme della prosa letteraria; altri trascrivono il testo con le parole stesse del narratore, cercando di non alterarlo con interventi estranei; altri ancora adottano, nella stessa storia, entrambe le soluzioni.

Nella traduzione italiana non si è voluto né potuto attenuare questa varietà; ciò di cui poi, purtroppo, non si è potuto dar conto, è la particolarità delle sfumature e dei registri lessicali, la diversità delle grafie dialettali e delle forme idiomatiche che molto spesso ricalcano, nell'inglese, modelli linguistici e sintattici che sono propri della lingua irlandese.

 

PIETRO MENEGHELLI

 

 

 

 

NOTA A QUESTA EDIZIONE

 

Le due raccolte Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry e Irish Fairy Tales sono state pubblicate per la prima volta in unico volume, con il titolo Fairy and Folk Tales of Ireland, dall'editore inglese Colin Smithe nel 1973; la seconda edizione Smithe, del 1977, è corredata di un elenco delle fonti di Yeats curato da Mary Helen Thuente. La presente versione italiana si basa su quest'ultima edizione.

Le note alle favole sono quelle che comparivano nelle edizioni originali del 1888 (Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry) e del 1892 (Irish Fairy Tales); si è però tralasciato di riportare le note contenenti unicamente i riferìmenti bibliografici, spesso imprecisi, forniti da Yeats (così come non sono state riportate le due liste di pubblicazioni sul folklore irlandese che corredavano le edizioni originali. Per l'aspetto bibliografico il lettore potrà far capo al paragrafo «Fiabe irlandesi: le fonti» nelle pagine dedicate alla «Biobibliografia»). Dove è sembrato necessario, sono state invece aggiunte note esplicative alla traduzione italiana, seguite dall'indicazione: N.d.C.

Le ballate incluse da Yeats nella prima delle due raccolte sono state riunite in un capitolo a sé stante («Ballate»).

 

P.M.


1 Mythologies, Macmillan, Londra 1959, p. 139.


2 Explorations, Macmillan, Londra 1962, p. 151.


3 Memoirs, Macmillan, Londra 1972, p. 225.


4 «Dramatis Personae», in Autobiographies, Macmillan, Londra 1961, p. 456.


5 Ivi cit., p. 392.


6 Lady A. Gregory, The Kiltartan Poetry Book cit. in H. Adams, Lady Gregory, Bucknell University Press, Cranbury, New Jersey 1973, p. 29.


7 II contesto sociale e politico, negli anni in cui si imposero gli ideali del Rinascimento Celtico, era dominato dagli effetti dei provvedimenti, decisi da Gladstone nel 1869, che toglievano alla chiesa riformata il suo ruolo di chiesa nazionale, sollevando la maggioranza cattolica, a quasi settant'anni dalla fine della «Nazione Protestante Irlandese», dall'imposizione di pagare le decime per il mantenimento del clero anglicano. L'effetto dei provvedimenti di Gladstone fu tanto grande che è stata sostenuta l'esistenza di un diretto collegamento tra quell'iniziativa politica e l'affermarsi in Irlanda della poetica del Rinascimento Celtico: «Può sembrare eccessivo suggerire che il vero scopo del Rinascimento Letterario Irlandese sia stato quello di fornire un'occupazione alternativa ai figli dei pastori protestanti una volta che il Disestablishment aveva ridotto il numero di posti disponibili presso la Chiesa d'Irlanda. Cionondimeno il Rinascimento, i cui inizi possono essere fissati circa dieci anni dopo il Provvedimento per la Chiesa Irlandese del 1869, ebbe proprio questo imprevisto effetto» (V. Mercier, «Victorian Evangelicanism and the Anglo-Irish Revival», in Literature and the Changing Ireland, a cura di P. Connolly, Smithe, Gerrards Cross 1892, p. 59).

I provvedimenti di Gladstone, che allontanarono molti intellettuali irlandesi protestanti dalla chiesa anglicana, ebbero di fatto l'effetto di riawicinarli all'antico puritanesimo irredentista irlandese.


8 W. Carleton, Autobiography, McGibbon & Kee, Londra 1968, p. 37.


9 Sir S. Ferguson cit. in M. Brown, Sir Samuel Ferguson, Bucknell University Press,
Cranbury, New Jersey 1972, p. 39.


10 Nel suo ormai classico studìo sul romanzo irlandese dell'Ottocento, Thomas Flanagan ha sottolineato come questo fervore attorno all'idea della nazionalità irlandese si sia tradotto in una tematica: «Il romanziere inglese è interessato alle scelte sociali e alla morale individuale, cioè ai grandi temi della narrativa europea. Ma per il romanziere irlandese questi temi sono subordinati rispetto a problemi di razza, fede religiosa e nazionalità» (Th. Flanagan, The Irish Novelists 1800-1850, Columbia University Press, New York 1959, p. 35).


11 W. Carleton, Traits and Stories of the Irish Peasantry, W. Curry, Dublino 1943, vol. I, p. V.


12 Ivi cit, p. I.


13 A. Young cit. in D. Donoghue, We Irish, Knopf, New York 1986, p. 62.


14 Cfr. G. Costigan, A History of Modem Ireland, New York 1969, p. 172.


15 D. Hyde cit. in G. W. Dunleavy, Douglas Hyde, Bucknell University Press, Cranbury, New Jersey 1972, p. 27. Cfr. anche D. Hyde, «The Necessity for De-Anglicizing Ireland», in The Revival of Irish Literature, Fisher Unwin, Londra 1901, pp. 115-61.


Fiabe Irlandesi
chapter_1.xhtml
chapter_2.xhtml
chapter_3.xhtml
chapter_4.xhtml
chapter_5.xhtml
chapter_6.xhtml
chapter_7.xhtml
chapter_8.xhtml
chapter_9.xhtml
chapter_10.xhtml
chapter_11.xhtml
chapter_12.xhtml
chapter_13.xhtml
chapter_14.xhtml
chapter_15.xhtml
chapter_16.xhtml
chapter_17.xhtml
chapter_18.xhtml
chapter_19.xhtml
chapter_20.xhtml
chapter_21.xhtml
chapter_22.xhtml
chapter_23.xhtml
chapter_24.xhtml
chapter_25.xhtml
chapter_26.xhtml
chapter_27.xhtml
chapter_28.xhtml
chapter_29.xhtml
chapter_30.xhtml
chapter_31.xhtml
chapter_32.xhtml
chapter_33.xhtml
chapter_34.xhtml
chapter_35.xhtml
chapter_36.xhtml
chapter_37.xhtml
chapter_38.xhtml
chapter_39.xhtml
chapter_40.xhtml
chapter_41.xhtml
chapter_42.xhtml
chapter_43.xhtml
chapter_44.xhtml
chapter_45.xhtml
chapter_46.xhtml
chapter_47.xhtml
chapter_48.xhtml
chapter_49.xhtml
chapter_50.xhtml
chapter_51.xhtml
chapter_52.xhtml
chapter_53.xhtml
chapter_54.xhtml
chapter_55.xhtml
chapter_56.xhtml
chapter_57.xhtml
chapter_58.xhtml
chapter_59.xhtml
chapter_60.xhtml
chapter_61.xhtml
chapter_62.xhtml
chapter_63.xhtml
chapter_64.xhtml
chapter_65.xhtml
chapter_66.xhtml
chapter_67.xhtml
chapter_68.xhtml
chapter_69.xhtml
chapter_70.xhtml
chapter_71.xhtml
chapter_72.xhtml
chapter_73.xhtml
chapter_74.xhtml
chapter_75.xhtml
chapter_76.xhtml
chapter_77.xhtml
chapter_78.xhtml
chapter_79.xhtml
chapter_80.xhtml
chapter_81.xhtml
chapter_82.xhtml
chapter_83.xhtml
chapter_84.xhtml
chapter_85.xhtml
chapter_86.xhtml
chapter_87.xhtml
chapter_88.xhtml
chapter_89.xhtml
chapter_90.xhtml
chapter_91.xhtml
chapter_92.xhtml
chapter_93.xhtml
chapter_94.xhtml
chapter_95.xhtml
chapter_96.xhtml
chapter_97.xhtml
chapter_98.xhtml
chapter_99.xhtml
chapter_100.xhtml
chapter_101.xhtml
chapter_102.xhtml
chapter_103.xhtml
chapter_104.xhtml
chapter_105.xhtml
chapter_106.xhtml
chapter_107.xhtml
chapter_108.xhtml
chapter_109.xhtml
chapter_110.xhtml
footnotes.xhtml