Owney e Owney-na-peak

di Gerald Griffin

 

 

Quando l'Irlanda aveva i suoi re - quando nel paese non si vedevano mantelli di stoffa rossa1, e c'era abbondanza nelle case degli uomini, e pace e tranquillità alle loro porte (e ne è passato di tempo da allora) - vivevano, in un villaggio non lontano dalla grande città di Lumneach2, due ragazzi, che erano cugini: uno, che si chiamava Owney, era un giovane vivace, di buon cuore e attraente, con membra dalle forme delicate e una gran bella intelligenza. Anche suo cugino si chiamava Owney, e i vicini lo avevano battezzato Owney-na-peak (Owney dal naso) per via del lungo naso che aveva - una cosa talmente sproporzionata che dopo aver guardato un lato della sua faccia, ci voleva una bella passeggiata mattutina per girare intorno al naso e dare un'occhiata all'altro (o almeno così era solita dire la gente). Questi era un individuo robusto, pieno di forza fisica, stupido come un cane bastonato; e per di più si comportava come un despota crudele verso il suo giovane cugino, con cui viveva in una specie di società.

Erano tutt'e due di umile condizione. Erano fabbri - fabbri-ferrai - e ricevevano un bel po' di lavoro dai signori della corte, dai cavalieri, e da tutta la gente importante della città. Un giorno però il giovane Owney, che si trovava in città, vide un gran corteo di signori, dame, generali e gente importante, tra i quali c'era la figlia del re; e neppure un bocciolo di rosa poteva esserle pari quanto a bellezza.

Lui si senti mancare il cuore alla sua vista, e tornò a casa perdutamente innamorato e molto poco disposto a pensare al lavoro.

Il denaro, gli era stato detto, era il mezzo più sicuro per fare la conoscenza del re, e così iniziò a risparmiare fino che ebbe messo insieme qualche hog3; ma Owney-na-peak, scoperto il luogo in cui li aveva nascosti, si prese tutto, come faceva sempre con i guadagni di Owney.

Una sera la madre del giovane Owney, trovandosi in punto di morte, chiamò il figlio al suo capezzale e gli disse: «Sei stato un figliolo molto obbediente ed è giusto che tu ne sia ricompensato. Porta questa tazza di porcellana al mercato - c'è sopra un incantesimo dei folletti - usa l'intelligenza, guardati intorno e fa si che la prenda il miglior offerente, e così, mio caro ragazzo dai bianchi capelli 4, che Dio ti benedica».

Il ragazzo stese la piccola tenda del letto sulla madre morta e dopo qualche giorno, con il cuore pesante, prese la tazza di porcellana e si diresse verso la fiera di Garryowen.

Il luogo era alquanto allegro. Lo spiazzo che viene chiamato «il campo della forca» era adesso coperto di tende. C'era gran quantità di vino (a quei tempi il poteen non era conosciuto, per non parlare del parliament) 5 moltissime belle ragazze, e non si può immaginare quante danze s'intrecciavano tra loro e i ragazzi. Il povero Owney camminò tutto il giorno per il mercato, con il desiderio di tentare la fortuna, ma vergognandosi di offrire la sua tazza di porcellana fra tutte le belle cose che erano in vendita. Infine si avvicinava la sera, e lui stava pensando di tornare a casa, quando un tizio sconosciuto lo toccò sulla spalla e gli disse: «Mio bravo giovane, ho visto che te ne sei andato in giro tutto il giorno per il mercato con questa tazza in mano, senza scambiare una parola con nessuno, e con l'aria d'essere in cerca di qualcosa».

«Sto cercando di venderla», disse Owney.

«Cos'è che sei qui per vendere?», disse un secondo uomo, avvicinandosi e guardando la tazza.

«Beh!», disse il primo, «ma cosa importa a te, brutto impiccione? Perché diavolo vuoi sapere quello che vuol vendere?»

«Che il cielo t'elargisca i modi d'uno zoticone (ma che senso c'è nell'augurarti quello che già possiedi?) non ho forse il diritto di chiedere il prezzo di quel che c'è in vendita alla fiera?»

«E allora, conoscere il prezzo è tutto quello che otterrai», dice il primo. «Ecco, ragazzo mio, una moneta d'oro per la tua tazza.»

«Quella tazza non conterrà mai cibo o bevanda in casa tua, a Dio piacendo», disse il secondo. «Ecco due monete d'oro per la tazza, ragazzo.»

«Ah si? E allora guarda un po': anche se dovessi riempirla d'oro fino all'orlo per poterla dire mia, tu non terrai mai quella tazza tra le dita. Qua, ragazzo, stammi a sentire, dammi la tazza una volta per tutte; ecco qui dieci pezzi d'oro, e non parliamone più.»

«Dieci pezzi d'oro per una tazza di porcellana?», disse un grande nobile della corte, che era appena giunto a cavallo proprio in quell'istante. «Deve essere un oggetto di valore. Ragazzo, ecco qui venti monete per la tazza, e consegnala al mio servo.»

«Dalla al mio», gridò un altro nobile del gruppo, «ed ecco la mia borsa, dove ne troverai dieci di più. E se qualcuno offre qualcosa di più per la tazza in modo da superare questo prezzo, lo taglio in due con la mia spada come una beccaccia.»

«Io lo supererò!», disse una dama giovane e bella velata che era al suo fianco, gettando sul terreno venti pezzi in più.

Non ci fu un'altra voce che superasse l'offerta della dama e il giovane Owney, inginocchiandosi, depose la tazza nelle sue mani.

«Cinquanta monete d'oro per una tazza di porcellana che non ne valeva più di due!», disse Owney fra sé mentre camminava lentamente verso casa. «Ah, madre, sapevi che la vanità ha le mani bucate!»

Ma mentre si avvicinava a casa decise di nascondere il suo denaro da qualche parte, perché sapeva che suo cugino non gli avrebbe lasciato nemmeno una croce con cui segnarsi. Così scavò una piccola buca e seppelli tutto eccetto due monete, che si portò a casa. Suo cugino, sapendo per cosa era andato, rise di cuore quando lo vide entrare, e gli chiese quanta fortuna avesse avuto con la sua tazzina da punch.

«Niente male», dice Owney. «Due monete d'oro non è un cattivo prezzo per un vecchio oggetto di porcellana.»

«Due pezzi d'oro, Owney, mio caro! Diamine, perché non me li fai vedere?» Prese i soldi dalla mano di Owney e, dopo aver sgranato gli occhi dallo stupore alla vista di tanto denaro, se li mise in tasca.

«Bene, Owney, te li terrò al sicuro dentro le mie tasche. Ma dimmi, se non ti dispiace, come sei riuscito a farti dare un tal mucchio di soldi per una vecchia tazza di porcellana dipinta che probabilmente non valeva un pezzo da cinque soldi?»

«Vado nel bel mezzo della fiera, poi, disinvolto e tranquillo, mi guardo intorno e grido "Porcellana antica!", e il primo tizio che arriva mi domanda quanto intendo chiedere per la tazza e io, del tutto sicuro di me, gli dico: "Cento pezzi d'oro", e lui ride di cuore, poi negoziamo finché lui tira giù a due, ed ecco com'è andato il tutto.»

Owney-na-peak fece come se non ci avesse fatto caso, ma il mattino seguente di buon'ora prese un vecchio piatto di porcellana che teneva nella sua credenza e si incamminò, senza dire parola a nessuno, verso la fiera. Come potete facilmente immaginare suscitò non poca sorpresa, quando sentirono un tipo grande e grosso con un piattino di porcellana in mano che gridava: «Un vero piattino di porcellana a cento pezzi d'oro! Vera porcellana! Chi vuol comprare?».

«Caspita, ma cosa vai dicendo, gran cialtrone?», dice un tizio venendogli vicino e guardando prima il piattino e poi la sua faccia. «E tu pensi che qualcuno voglia farci la figura dell'idiota dandoti tanto per quel piattino?» Ma Owney-na-peak non aveva risposte da dare e si limitò a gridare: «Vera porcellana, cento pezzi d'oro!».

Presto gli si radunò intorno una folla e vedendo che non voleva dare spiegazioni gli saltarono addosso e lo malmenarono tanto che per un pelo non ci lasciò la pelle, e dopo essersi sfogati su di lui se ne andarono per la loro strada ridendo e strillando.

Verso il tramonto lui si rialzò e si trascinò fino a casa come poté, senza né piattino né denaro. Appena Owney lo vide, lo aiutò a entrare nella fucina, con l'aria molto addolorata, sebbene, se dobbiamo dire la verità, l'avesse spinto a quell'affare da idiota per vendicarsi delle precedenti «buone azioni» del cugino.

«Vieni qui, Owney, mannaggia!», disse suo cugino dopo aver sbarrato la porta della fucina e scaldato due ferri sul fuoco.

«Seminatore di zizzania», disse quando lo ebbe preso, «non vedrai mai più i frutti delle tue canagliate perché ti caverò gli occhi.» E così dicendo prese dal fuoco uno dei ferri incandescenti.

Fu del tutto inutile per il povero Owney gettarsi in ginocchio, invocare pietà, e pregare implorando il perdono; lui era debole e Owney-na-peak era forte; questi lo tenne forte e gli bruciò tutt'e due gli occhi. Poi lo prese in spalla, mentre ancora era svenuto per il dolore, e lo trasportò sulla desolata collina di Knockpatrick 6, a grande distanza, li lo depose sotto una pietra sepolcrale e se ne andò per la sua strada. Dopo un po' Owney riprese i sensi.

«Oh, dolce luce del giorno! Cosa sarà di me adesso?», pensava il povero ragazzo, mentre giaceva supino sotto la tomba. «Dovrà essere questo il frutto di quello sfortunato dono? Dovrò rimanere al buio per sempre? E non potrò più vedere quella dolce sembianza che persino nella mia cecità non mi è del tutto negata?» Avrebbe detto ancora un bel po' di cose di questo genere e forse anche più patetiche, ma proprio allora senti un gran miagolare, come se tutti i gatti del mondo stessero salendo insieme la collina in un sol gruppo. Raccolse le sue forze, si ritirò dietro la pietra e rimase completamente immobile in attesa di quel che sarebbe successo.

Dopo pochissimo tempo udì tutti i gatti che facevano le fusa e miagolavano nello spiazzo, zampettando sopra le pietre e facendone di tutti i colori fra le tombe. Senti la coda di uno o due spazzolargli il naso; e fu un bene per lui che non lo trovassero li, come poi scopri. Alla fine...

«Silenzio!», disse uno dei gatti, e in un istante tutti furono muti come altrettanti topi. «Adesso tutti voi, gatti di questo grande paese, piccoli e grandi, grigi, rossi, gialli, neri, marroni, maculati e bianchi, fate ben attenzione a cosa sto per dirvi nel nome del vostro re e padrone di tutti i gatti. Il sole è calato, la luna è salita e la notte è silenziosa; nessun mortale ci sente e io posso dirvi un segreto. Conoscete la figlia del re del Munster?»

«Oh, si! Certo, come no? Va' avanti con la storia», dissero tutti i gatti insieme.

«Ho sentito parlare di lei», disse una piccola gatta nera dalla faccia sporca, parlando dopo tutti gli altri, «perché sono la gatta che siede sulla mensola del caminetto di Owney e Owney-na-peak, i fabbriferrai, e so che molte volte il giovane Owney parla di lei quando siede da solo vicino al fuoco, accarezzandomi e facendo progetti su come entrare alla corte di suo padre.»

«Uffa, zerbinotta che sei!», dice il gatto che stava facendo il discorso. «Cosa credi che ci importi dei tuoi Owney e Owney-na-peak?»

«Mannaggia, mannaggia!», pensò Owney fra sé, «si è mai sentita una cosa del genere?»

«Bene, signori», dice ancora il gatto, «ciò che ho da dire è questo: la settimana scorsa il re è stato colpito dalla cecità e voi tutti ben conoscete come si cura la cecità. Sapete che non c'è disturbo che possa colpire il corpo dell'uomo che non sia possibile togliere con un giro di preghiere attorno al pozzo di Barrygowen7 laggiù, e il disturbo del re è tale che nessun'altra cura potrebbe funzionare. Ora, attenzione, non lasciate che il segreto sfugga alle vostre labbra, perché c'è un pronipote di Simon Mago che sta venendo dalle nostre parti per mettere alla prova le sue capacità, ed è lui che dovrebbe usare l'acqua e sposare la principessa, che sarà data a chiunque sia tanto fortunato da guarire gli occhi di suo padre: e per quel giorno, signori, a tutti noi è promesso un banchetto con i topi più grossi che mai abbiano camminato sulla terra.» Questo discorso fu applaudito entusiasticamente da tutti i gatti, e subito dopo l'intera compagnia si disperse giù per la collina saltellando, miagolando e facendo le fusa.

Owney, comprendendo che se n'erano andati tutti, venne fuori dal nascondiglio e, siccome conosceva bene la via per Barrygowen, si mise in cammino trovando la strada a tentoni, e dopo poco seppe, dal suono delle onde 8 che provenivano da Capo Foynes, di esserci vicino. Si accostò al pozzo e, fatto un giro da buon cristiano, si fregò gli occhi con la sua acqua e, quando guardò su, vide il giorno albeggiare a oriente. Con mille ringraziamenti si drizzò in piedi, e si può ben dire che Owney-na-peak fu del tutto sbalordito quando, aprendo la porta della fucina, se lo trovò li, con gli occhi sani quanto mai e la faccia allegra come se andasse a una danza.

«Ebbene, cugino», disse Owney sorridendo, «mi hai fatto il più gran servizio che un uomo possa fare a un altro; mi hai messo in grado di ottenere due monete d'oro», disse mostrandogliene due che aveva preso dal suo nascondiglio. «Se solo tu riuscìssi a sopportare il dolore e lasciassi che io ti cavassi gl occhi e ti mettessi nel punto dove tu hai messo me, chissà che fortuna avresti!»

«No, non è per niente necessario cavarmi gli occhi: ma non potresti questa notte sistemarmi in quel posto così come sono e farmi tentare la fortuna, se dici la verità? E cosa mai ha potuto rimettere gli occhi nella tua testa, dopo che li avevo bruciati con i ferri?»

«Saprai tutto a suo tempo», dice Owney, interrompendolo nel suo discorso, perché proprio in quel momento, gettato l'occhio in direzione della mensola del focolare, aveva visto la gatta che vi stava seduta sopra e lo fissava intensamente. Fece quindi segno a Owney-na-peak di star zitto o di parlare d'altro, al che la gatta distolse gli occhi e cominciò a lavarsi il muso, in modo del tutto naturale, con le due zampe, guardando di tanto in tanto di traverso la faccia di Owney, proprio come un cristiano. Dopo poco, quando la gatta se ne fu andata dalla fucina, Owney chiuse la porta dietro di lei e fini quel che stava dicendo, cosa che rese Owney-na-peak ancor più ansioso di prima d'essere messo sotto la pietra tombale. Owney acconsenti molto volentieri, e appena ebbero finito di parlare gettò un'occhiata verso la finestra della fucina, dove vide quel diavolo d'una gatta che con il naso e un occhio sbirciava attraverso un vetro rotto. Non disse però nulla, e si preparò a portare il cugino verso quel posto; dove al calare della sera lo distese come era stato disteso lui, ben comodo sotto la pietra, e se ne andò per la sua strada giù per la collina, passando la notte a Shanagolden, in modo da vedere cosa sarebbe capitato al mattino.

Owney-na-peak non era stato sdraiato più di due o tre ore o giù di li, quando udì salire dalla collina proprio gli stessi rumori che avevano sbalordito Owney la notte precedente. Quando vide i gatti che entravano nel cimitero cominciò a sentirsi molto inquieto, e cercò di nascondersi quanto meglio poteva, cosa che gli riuscì abbastanza bene, visto che era tutto coperto dalla pietra sepolcrale, eccetto parte del naso, che era così lungo che non poteva farlo entrare in nessun modo. Si può veramente dire che fu non poco sorpreso quando vide i gatti che si radunavano tutti come una congregazione che vada alla messa; alcuni seduti, altri che gironzolavano intorno chiedendo notizie l'un l'altro dei gattini o di altre cose del genere, mentre la maggior parte si stendeva sopra le pietre tombali aspettando il discorso del loro capo.

Alla fine fu chiesto di fare silenzio, e quello parlò: «Adesso tutti voi gatti di questo grande paese, piccoli e grandi, grigi, rossi, gialli, neri, marroni, maculati e bianchi state a sentire...».

«Fermati, fermati!», disse una gattina con la faccia sporca che proprio allora arrivava correndo nello spiazzo. «Fa' silenzio, perché ci sono orecchie mortali che ascoltano quel che dici. Ho corso a tutta birra per dirti che la notte scorsa le tue parole sono state udite. Sono la gatta che siede sul caminetto di Owney e Owney-na-peak. E questa mattina ho visto una bottiglia dell'acqua di Barrygowen appesa al camino.»

In un attimo tutti i gatti cominciarono a strillare e a miagolare e correre per lo spiazzo come fossero matti, cercando in ogni angolo e scrutando sotto ogni tomba. Il povero Owney-na-peak cercò di nascondersi da loro meglio che poté e prese a percuotersi il petto e a farsi il segno della croce, ma fu tutto inutile, perché uno dei gatti vide il lungo naso che faceva capolino da sotto la pietra, e in un attimo lo trasportarono, ringhiando e urlando, proprio nel mezzo del cimitero, dove gli si gettarono addosso tutti insieme e lo fecero a brandelli, dalla cima della testa alle piante dei piedi. Il mattino seguente, molto presto, il giovane Owney giunse al cimitero per vedere cosa era stato di suo cugino. Chiamò e richiamò il suo nome, ma non ci fu alcuna risposta. Alla fine, entrato nella zona delle tombe, trovò le sue membra disperse sul terreno.

«Ah, dunque è così che ti è andata?», disse congiungendo le mani e abbassando lo sguardo sui frammenti insanguinati. «Beh, anche se non eri davvero gran che in fatto di gentilezza nei miei confronti quando le tue osse stavano insieme, non è una buona ragione per essere contento di vederti fatto a pezzi di buon mattino.»

Poi, raccolti tutti i brandelli che poteva trovare, li mise in un sacco che aveva con sé e se ne andò al pozzo di Barrygowen deve, immediatamente, fece il giro e li gettò dentro tutti assieme in un mucchio. Dopo un attimo vide Owney-na-peak, sano come non mai, che si arrampicava fuori dal pozzo; e aiutandolo a tirarsi su gli chiese come si sentisse.

«Oh, vuoi sapere come mi sento io?», disse l'altro. «Aspetta un momento che te lo dico. Assaggia questo intanto, come anticipo!» E gli diede li per li un colpo in testa che non ci mise davvero molto a lasciare Owney disteso per terra. Poi, senza dargli un minuto per riprendersi, lo infilò nel sacco da cui lui era appena uscito, risolvendo tra sé di annegarlo immediatamente nello Shannon e metter fine per sempre ai suoi giorni.

Lungo la strada avverti il peso della stanchezza e si fermò in una bettola clandestina, sul territorio del castello di Robertstown, per rinfrescarsi con un bicchierino mattutino prima di proseguire. Il povero Owney, quando tornò in sé (se quello poteva veramente definirsi un tornare in sé), non sapeva che fare, con quel grande sacco legato tutt'intorno. Il suo perfido cugino lo aveva buttato per terra dietro la porta della cucina e, dicendogli che se si fosse agitato gli avrebbe fatto la pelle, era entrato per prendere qualcosa di buono nel saloncino per i clienti.

Owney non poté trattenersi dall'aprire un buco nel sacco, pur correndo il rischio di lasciarci la pelle, per dare una sbirciata intorno in cucina e vedere se ci fosse qualche possibilità di fuga. Poté distinguere solo una persona, un uomo dall'aria semplice, che sgranava il suo rosario nell'angolo del camino, e di tanto in tanto si percuoteva il petto volgendo lo sguardo in alto, come se stesse pregando con grande devozione.

«Signore», dice, «ti chiedo solo la morte, la morte e un giudizio benevolo! Non ho più nessuno di cui prendermi cura, né chi si prenda cura di me. Cosa sono pochi spiccioli per sollevare un uomo dal bisogno? Tutto quel che chiedo è una tomba tranquilla.»

«Mannaggia, mannaggia!», dice Owney, «ecco un uomo che vuole la morte e non può averla, e qui ci sono io che sto per averla e, in verità, non la voglio proprio per niente.» Così, dopo aver pensato per un po' a cosa fosse meglio fare, cominciò a cantare molto allegramente, ma a bassa voce, per paura d'essere udito nella stanza vicina:

 

A chi mi ha qui ben ben legato

vadano una bella lode e un sorriso!

Che giorno e notte egli sia ringraziato,

che m'ha impacchettato per il Paradiso.

 

Fra tutte le strade che ci stanno

non è davvero l'ultima, di certo,

quella di quanti in cielo se ne vanno

viaggiando dentro un sacco, chiuso o aperto.

 

«Per il Paradiso, ershishin 9?», disse l'uomo nell'angolo del camino spalancando la bocca e gli occhi. «Oh, allora faresti un'azione da vero cristiano se prendessi con te un vicino che è stanco di questo mondo cattivo e crudele.»

«Sei uno sciocco, sei uno sciocco!», disse Owney.

«So di esserlo, o almeno i miei vicini me lo dicono sempre; e che male c'è? Forse ho un'anima cristiana, tanto quanto un altro; e che io sia sciocco o no, che stia in un sacco o ne sia fuori, sarò lieto e felice di prendere la stessa strada di cui stai parlando.»

Dopo aver fatto mostra di fargli un gran favore, in modo da allettarlo di più, Owney acconsenti a metterlo nel sacco al posto suo; e dopo averlo messo in guardia dal dire anche una sola parola, stava li li per legarlo quando fu colto da un piccolo rimorso, per essere la causa della morte di un uomo innocente; e vedendo penzolare in un angolo un maiale che era stato ucciso il giorno prima, lo colpi l'idea che sarebbe andato altrettanto bene infilare nel sacco quello al posto loro. Detto fatto, con gran sorpresa dello zerbinotto, ficcò il maiale nel sacco e lo legò per bene.

«Adesso», dice, «mio caro amico, va' a casa; non dir nulla, ma benedici il nome del cielo per averti risparmiato la vita; che tu questa mattina sei stato tanto vicino a perderla quanto mai lo fu un altro senza esserne consapevole.»

Lasciarono insieme la casa. Subito ne usci Owney-na-peak, proprio di buonumore; e siccome era in quello stato non fu in grado di accorgersi che il contenuto del sacco era cambiato; ma gettatoselo sulla schiena lasciò la casa. Prima d'aver fatto molta strada arrivò alla roccia di Foynes, dalla cui cima gettò il suo fardello giù nelle acque salate.

Poi se ne andò verso casa e bussò alla porta della fucina, che gli fu aperta da Owney. Potete immaginarvelo, mentre si faceva il segno della croce e continuava a benedirsi vedendo, così credeva, il fantasma che stava li di fronte a lui. Ma Owney aveva un aspetto molto allegro e gli disse di non aver paura. «Hai fatto molte buone azioni nella tua vita», dice, «ma mai una buona quanto questa.» Così parte e gli racconta che aveva trovato il più bel posto del mondo in fondo alle acque, e una gran quantità di denaro. «Guarda queste quattro monete come campione», e gliene mostra alcune che aveva preso dal suo nascondiglio; «cosa te ne pare di questa storia?»

«Beh, dico che è una storia bizzarra, senza dubbio; per la miseria, vorrei tentare anch'io la fortuna nello stesso modo; ma come hai fatto ad arrivare qui a casa prima di me che ho preso la strada diretta, e non mi sono fermato nemmeno per una gusthah 10, da quando ho lasciato Knockpatrick?»

«Oh, c'è una scorciatoia sotto le acque», disse Owney. «Bada solo a essere gentile mentre sei nel Thiernaoge 11, e vedrai un mucchio di denaro.»

A Owney andò proprio bene; infilò il cugino nel sacco, glielo legò intorno e, quando l'ebbe sistemato su un carro che stava ritornando dopo aver lasciato un carico di avena in un magazzino di cereali in città, non ci mise molto per arrivare di nuovo a Foynes. Qui smontò e, andando verso la roccia, ebbe, ho paura, una mezza intenzione di gettare il suo fardello nell'ampia distesa d'acqua, quando vide una piccola barca a remi che procedeva verso il capo. Lanciò un richiamo e seppe che stavano per salire a bordo di una grande nave che arrivava da terre straniere e viaggiava fuori dal fiume. Andò dunque a bordo con il suo sacco e, stipulato un accordo con il capitano della nave, lasciò Owney-na-peak con la ciurma, e non ne fu mai più tormentato da quel giorno fino ad oggi.

Mentre passava vicino al pozzo di Barrygowen, riempi d'acqua una bottiglia; e tornando a casa si comprò un bel completo col resto del denaro che aveva sepolto, e al mattino si incamminò verso la città di Lumneach. Camminò per la città ammirando tutto ciò che vedeva, finché arrivò di fronte al palazzo del re. Sopra i suoi cancelli vide molte lance con una testa d'uomo ghignante alla luce del sole infilzata in cima a ciascuna.

Per niente intimorito, bussò baldanzosamente al portone, che fu aperto da una delle guardie del palazzo. «Bene, amico, chi siete?»

«Sono un grande dottore venuto da paesi stranieri per curare la vista del re. Conducetemi da lui immediatamente.»

«Un po' di pazienza!», disse il soldato. «Vedi tutte le teste che sono infilzate lassù? La tua ha molte probabilità di tener loro compagnia, se sei tanto sciocco da venire dentro queste mura. Sono le teste di tutti i dottori del paese che sono venuti prima di te; ed è questo il motivo per cui tutta la città negli ultimi tempi è così in forma e in buona salute, che il Cielo ne sia lodato!»

«Non star qui a parlare, perdigiorno», dice Owney; «ma conducimi dal re immediatamente.»

Fu portato di fronte al re. Dopo essere stato messo in guardia sul suo destino se avesse fallito in quanto si era impegnato a fare, il posto fu sgomberato da tutti a eccezione di alcune guardie, e Owney fu informato, ancora una volta, che se avesse guarito gli occhi del re avrebbe sposato la principessa e alla morte di suo padre avrebbe ricevuto la corona. Questo lo fece sentire euforico, e dopo aver fatto un giro sulle nude ginocchia intorno alla bottiglia, prese un po' d'acqua e la strofinò sugli occhi del re. Un attimo dopo questi fece un salto sul suo trono: vedeva intorno a sé meglio che mai. Ordinò che Owney fosse rivestito come il figlio di un re e mandò a dire a sua figlia di accoglierlo all'istante come suo sposo.

Potrete immaginare che la principessa, pur felice della guarigione del padre, non gradi questo messaggio. E non la si può biasimare, se si pensa che non aveva mai posato gli occhi sull'uomo in questione. Però il suo animo mutò meravigliosamente quando le fu condotto davanti coperto d'oro, diamanti e ogni genere di cose preziose. Volendo però sapere se era tanto intelligente quanto attraente, gli disse che il mattino seguente avrebbe dovuto rispondere a due domande, altrimenti non l'avrebbe ritenuto degno della sua mano. Owney si inchinò e lei pose le domande come segue:

«Qual è la cosa più dolce del mondo? Quali sono le tre cose più belle del creato?».

Erano domande difficili; ma Owney, che da parte sua un po' di cervello lo aveva, non ci impiegò molto a farsi un'idea in proposito. Era impaziente che arrivasse il mattino; ma esso venne lentamente e in modo normale, proprio come se al mondo lui non esistesse. Poco dopo fu convocato alla corte, dove erano riuniti tutti i nobili del paese con le bandiere spiegate e le trombe che suonavano, e avevano luogo ogni sorta di nobili cerimonie. La principessa era seduta su un trono d'oro vicino a suo padre, ed era stato disteso uno splendido tappeto su cui Owney sarebbe stato in piedi mentre rispondeva alle domande di lei. Appena furono fatte tacere le trombe, la principessa pose la prima domanda con voce chiara e dolce, ed egli rispose:

«È il sale», risponde con molte decisione.

Alla risposta ci fu un grande applauso; e la principessa riconobbe, sorridendo, che aveva azzeccato.

«Ma adesso», disse lei, «la seconda! Quali sono le tre cose più belle del creato?»

«Beh», rispose il giovane, «eccole: una nave a vele spiegate; un campo di spighe di grano; e...»

Cosa fosse la terza cosa più bella molti non riuscirono a sentirlo; ma fra le dame ci fu tutto un arrossire e un ridere, e la principessa sorrise e assenti, del tutto soddisfatta della sua sagacia. In verità molti dissero che gli stessi giudici del paese non avrebbero potuto rispondere meglio, se si fossero trovati al posto di Owney; né si sarebbe potuto trovare, ovunque lo si cercasse, un ragazzo più promettente o bravo nel parlare. Fu portato prima dal re, che lo abbracciò e lo presentò alla principessa. Lei non poté fare a meno di ammettere che la sua intelligenza era del tutto all'altezza delle sue attrattive fisiche. Furono dati subito gli ordini perché venisse preparato il matrimonio, vennero sposati con la massima rapidità, e si dice che, prima che fosse trascorso un anno, la bella principessa fosse davvero una delle cose più belle del creato.


1 Rosse erano le uniformi dei soldati inglesi (N.d.C).


2 L'attuale Limerick.


3 Uno hog è uno scellino e un penny.


4 «Ragazzo dai bianchi capelli», curiosa espressione irlandese per «figlio prediletto».


5 Poteen e parliament, vedi note 12 p. 79 e 8 p. 112 (N.d.C).


6 Collina nella parte occidentale della contea Limerick, sulla cui sommità si trovano le rovine di una vecchia chiesa, con il cimitero ancora in uso. Il carattere del luogo è estremamente particolare e desolato.


7 La pratica di compiere dei giri, pregando, intorno al pozzo per guarire le malattie è ancora in uso a Barrygowen, nella contea Limerick, nonostante gli sforzi dei preti cattolici della zona, che T'hanno ridotta ma non eliminata.


8 Dello Shannon.


9 Così dice?


10 Letteralmente, entrata [nell'osteria].


11 II rifugio dei folletti.


Fiabe Irlandesi
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