Far Darrig nel Donegal
di Letitia Maclintock
Pat Diver, il calderaio, era un uomo abituato a condurre un'esistenza vagabonda e a trovare rifugio in luoghi strani: aveva diviso la coperta con i mendicanti in capanne fumose; si era accoccolato accanto alla serpentina in molti luoghi remoti e nascosti in cui si distillava il poteen, sulle aspre montagne di Innishowen; aveva perfino dormito sulla nuda erica, o in un fosso, avendo per tetto, sopra di sé solo la volta del cielo; ma tutte le sue notti d'avventura potevano considerarsi innocue e banali se paragonate a una certa particolare notte.
Durante il giorno che precedette quella notte, Pat aveva accomodato i bricchi e le padelle di Moville e Greencastle, e ora era diretto a Culdaff, quando la notte lo colse su una solitaria strada di montagna.
Bussò a una porta dopo l'altra e chiese ospitalità per la notte facendo tintinnare in tasca le monete da mezzo penny, ma venne sempre respinto.
E dov'era la tanto decantata ospitalità di Innishowen, che prima d'allora, a quel che gli constava, non era mai venuta meno? Non serviva a nulla poter pagare se la gente era così poco urbana. Così rimuginando si diresse verso una luce un po' più avanti e bussò alla porta di un'altra capanna.
Un vecchio e una donna erano seduti ciascuno da un lato del fuoco.
«Sareste così gentile da darmi alloggio per questa notte, signore?», chiese Pat rispettosamente.
«Sai raccontare una storia?», gli rispose l'uomo.
«No, signore, non posso dire di essere bravo a raccontare storie», rispose il calderaio, stupito.
«Allora te ne puoi anche andare, perché in questa casa entrano solo quelli che sanno raccontare una storia.»
La risposta fu data con un tono così risoluto che Pat non provò neppure a ripetere la richiesta, ma si ritrasse di malavoglia per riprendere il suo faticoso viaggio.
«Una storia, guarda un po'», borbottò, «frottole da vecchie comari, per divertire i pupi!»
Mentre riprendeva il suo fagotto di attrezzi da calderaio, notò un fienile che si ergeva un po' più lontano, sul retro dell'abitazione e, aiutato dalla luce della luna che stava sorgendo, ci si diresse. Era un fienile pulito e spazioso, con un gran mucchio di paglia in un angolo. Ecco un rifugio da non disprezzare: e così Pat si infilò sotto la paglia e presto si addormentò.
Non dormiva da molto quando fu svegliato da un rimbombar di passi e, spiando prudentemente da una fessura della sua copertura di paglia, vide quattro uomini enormemente alti che entravano nel granaio trascinando un cadavere, che gettarono brutalmente sul pavimento.
Poi accesero un fuoco in mezzo al fienile e appesero il corpo per i piedi a una trave del tetto con una grossa corda. Uno di loro cominciò a rigirarlo lentamente davanti al fuoco. «Avanti», disse rivolgendosi ad un tipo gigantesco, il più alto dei quattro, «sono stanco; ora è il tuo turno.»
«Nemmeno per idea, io non lo giro», rispose l'omaccione. «C'è Pat Diver là sotto la paglia, perché non lo fa lui il turno?»
Facendo un chiasso tremendo i quattro uomini chiamarono il povero Pat il quale, vedendo che non c'era scampo, pensò che la cosa più saggia fosse uscir fuori come gli era stato imposto.
«Adesso, Pat», gli dissero, «girerai il cadavere, ma se lo fai bruciare finirai legato lassù e arrostito al posto suo.»
A Pat si drizzarono i capelli sulla testa e il sudore freddo gli colò dalla fronte, ma non poteva far altro che assolvere al suo rivoltante incarico.
Vedendolo tutto impegnato al suo compito, gli uomini alti se ne andarono.
Presto, però, le fiamme divennero così alte che bruciarono la corda e il cadavere precipitò con un gran tonfo sulle fiamme, facendo schizzare cenere e pezzi di brace tutt'intorno e facendo uscire un grido di angoscia dalla gola del disgraziato cuoco, che si precipitò alla porta e fuggi di corsa per salvarsi la pelle.
Corse e corse finché fu sul punto di crollare dallo sfinimento; allora, vedendo un fossato coperto di alte e fitte erbe, pensò di strisciare li dentro e di rimanersene nascosto fino al mattino.
Ma non era nel fossato che da pochi minuti quando di nuovo sentì un rimbombo di passi, e arrivarono i quattro uomini con il loro fardello, che appoggiarono sull'orlo del fossato.
«Sono stanco», disse uno di loro al gigante; «è il tuo turno di portarlo per un po'.»
«Nemmeno per idea, io non lo porto», ribatté quello. «C'è Pat Diver nel fosso, perché non viene fuori a fare il suo turno?»
«Vieni fuori, Pat, vieni fuori», urlarono tutti, e Pat, che era quasi morto di paura, strisciò fuori.
Procedette barcollando sotto il peso del cadavere fino a che raggiunse Kiltown Abbey, un rudere coperto d'edera dove il gufo marrone gridava tutta la notte e i morti ormai dimenticati riposavano attorno alle mura sotto un groviglio fitto e inestricabile di pruni e di arbusti selvatici.
Nessuno viene più sepolto adesso in quel luogo, ma gli alti compagni di Pat andarono proprio nel cimitero inselvatichito e iniziarono a scavare una fossa.
Pat, vedendoli impegnati, pensò che avrebbe potuto tentare di fuggire ancora una volta e si arrampicò su un albero di biancospino che faceva parte della recinzione, sperando di venir nascosto dai suoi rami.
«Sono stanco», disse l'uomo che stava scavando la fossa. «Ecco, prendi la vanga», disse rivolgendosi all'omaccione, «adesso è il tuo turno.»
«Nemmeno per idea, non è il mio turno», rispose quello, come le altre volte. «C'è Pat Diver là sull'albero; perché non viene giù lui a fare il suo turno?»
Pat scese a prendere la vanga, ma proprio allora i galli delle piccole fattorie e delle capanne che sorgevano intorno all'abbazia cominciarono a cantare e gli omoni si guardarono l'un l'altro.
«Dobbiamo andarcene», dissero, «è stata una fortuna per te, Pat Diver, che i galli abbiano cantato, perché, se non l'avessero fatto, tu saresti finito in quella fossa insieme al cadavere.»
Passarono due mesi, e Pat aveva vagabondato in lungo e in largo per la contea Donegal, quando un giorno gli capitò di arrivare a Raphoe durante una fiera.
Tra la folla che riempiva la piazza centrale si imbatté improvvisamente nell'omaccione.
«Come te la passi, Pat Diver?», gli disse quello chinandosi per guardare la faccia del calderaio.
«Non so cosa intendiate dire, signore, perché non ho mai avuto il piacere di conoscervi», balbettò Pat.
«Davvero non mi conosci, Pat?», e, in un
sussurro: «Ora, quando ricapiterai a Innishowen, ce l'avrai una
storia da raccontare!».