Fergus O'Mara e i dèmoni dell'aria
del dottor Patrick Weston
Di tutti i diversi tipi di spiriti maligni che hanno infestato i luoghi solitari d'Irlanda nei tempi antichi, i più temuti erano i dèmoni dell'aria. Vivevano tra le nubi, le nebbie e le rocce e odiavano la razza umana con la più gran cattiveria.
A quei tempi viveva nel nord del Desmond (l'attuale contea Cork) un uomo chiamato Fergus O'Mara. La sua fattoria era situata sul pendio meridionale delle montagne di Ballyhoura, lungo cui correva la strada che conduceva alla sua casa. Questa strada non era chiusa tra muretti o siepi; su entrambi i lati c'erano alberi sparsi e cespugli che la riparavano in inverno e che la rendevano buia e tetra quando ci si avvicinava alla casa di notte. Accanto alla strada, a qualche distanza dalla casa, c'era un punto che aveva una brutta fama in tutto il paese, una piccola collina fittamente ricoperta dalla vegetazione del sottobosco con in cima una grande roccia scoscesa da cui, nelle notti di tempesta, si erano spesso uditi rumori strani e spaventosi: voci stridule e grida, mescolate a forti risate demoniache; e la gente riteneva fosse il covo dei dèmoni dell'aria. In qualche modo si era saputo che questi dèmoni avevano messo gli occhi su Fergus e attendevano ansiosamente un'opportunità per averlo in loro potere. Lui stesso, molti anni prima, era stato messo in guardia da un vecchio monaco del vicino convento di Buttevant, che gli aveva anche detto che fino a quando avesse condotto una vita irreprensibile e retta non avrebbe dovuto temere i dèmoni; ma se avesse mai ceduto alla tentazione o fosse caduto in qualsiasi grave peccato, allora l'opportunità che quelli stavano aspettando giorno e notte sarebbe arrivata. Lui non aveva mai dimenticato questo avvertimento, e faceva molta attenzione a tenersi sulla retta via, sia perché per natura era un buon uomo, sia per la paura dei dèmoni dell'aria.
Qualche tempo prima dell'episodio che stiamo per narrare, uno dei figli di Fergus, una dolce ragazzina sui sette anni, si ammalò e mori. La piccolina si era consumata poco a poco, ma senza sentire dolore; e man mano che si era andata sempre più indebolendo era divenuta più affettuosa e gentile che mai e parlava in modo meraviglioso, molto al di sopra della sua età, della terra splendente verso cui stava andando. Di una cosa era particolarmente preoccupata, e cioè che nel momento della sua morte le lasciassero tenere in mano una candela benedetta.
Pensavano fosse molto strano che si desse pensiero e parlasse così continuamente di questo; più e più volte s'era fatta promettere dalla madre e dal padre che ciò sarebbe stato fatto.
E con la candela benedetta in mano mori con tale tranquillità e dolcezza che quelli intorno al letto, li per li, nemmeno se ne accorsero.
Circa un anno dopo, una luminosa mattina di una domenica d'ottobre, Fergus partì per andare a messa. Il luogo distava circa tre miglia, e non era una cappella 1 ma un vecchio Forte 2 isolato, ancor oggi chiamato Lissanaffrin, il Forte della Messa. Su un lato, vicino al tumulo del Forte, c'era un rudimentale altare di pietra grezza, sotto una piccola copertura che riparava anche il prete; e la congregazione partecipava alla funzione all'aria aperta sul verde spiazzo centrale. A quei tempi infatti c'erano molte zone che non avevano una cappella e la gente si ammassava per queste messe all'aperto con tutta la fede con cui lo facciamo ora, nelle nostre cappelle maestose e comode. La famiglia era andata prima, gli uomini a piedi, le donne e i bambini a cavallo, così Fergus si incamminò da solo.
Proprio mentre si avvicinava alla Roccia dei Dèmoni fu assai sorpreso sentendo l'impaziente abbaiare di cani, e un attimo dopo una grossa cerva saltò dal sottobosco vicino alla roccia con tre cani da caccia che la inseguivano a tutta velocità. Nessuno in tutto il circondario amava una buona battuta di caccia più di Fergus, o aveva gambe più veloci per l'inseguimento, e senza un attimo di esitazione parti in corsa. Dopo pochi minuti tuttavia si fermò di colpo, perché si era ricordato della messa e sapeva che non c'era da indugiare. Mentre era li incerto, la cerva sembrò rallentare il passo e i cani le si avvicinarono: in un attimo Fergus parti a tutta velocità, scordando la messa e tutto il resto nella sua passione per quello sport. Ma la caccia si rivelò lunga e difficile. A volte rallentavano, ed egli era quasi alla coda dei cani, ma un momento dopo sia la cerva che i cani balzavano avanti lasciandolo molto indietro. Alle volte erano bene in vista, poi però scomparivano in boschetti e gole profonde, così che poteva farsi guidare solo dall'abbaiare dei cani. In questo modo fu attirato attraverso colline e gole, ma invece di conquistare terreno, si trovò a rimanere alquanto indietro.
La messa era finita e la gente si era dispersa verso le proprie case, e tutti si meravigliavano di non aver visto Fergus, che nessuno ricordava che fosse mai mancato prima d'allora. Sua moglie ritornò, pensando di trovarlo a casa; ma quando arrivò il cuore le si riempi d'angoscia, perché non c'era nessuna traccia di lui e nessuno l'aveva visto da quando si era avviato per andare a messa al mattino.
Intanto Fergus continuò l'inseguimento finché fu stanco; e alla fine, proprio sull'orlo di una selvaggia brughiera, sia la cerva che i cani scomparvero dietro un bastione di roccia e li perse del tutto. Nello stesso momento l'abbaiare dei cani lasciò il posto a urla e risa spaventose, come quelle che aveva sentito provenire più di una volta dalla Roccia dei Dèmoni. E ora, seduto su di un'altura a riposare, ebbe tutto il tempo di riflettere su quel che aveva fatto, e fu sopraffatto dal rimorso e dalla vergogna. Oltretutto, ebbe un tuffo al cuore pensando agli ultimi suoni che aveva udito; perché comprendeva di essere stato distolto dalla messa dai furbi stratagemmi dei dèmoni, e aveva paura che fosse giunto il pericoloso momento che gli era stato predetto dal monaco.
Si alzò e si avviò verso casa, sperando di giungervi prima che facesse notte. Ma prima che fosse a metà strada calò il buio e sopraggiunse un temporale, con forte vento e pioggia, scoppi di tuoni e lampi. Ma Fergus era forte e intraprendente, e conosceva ogni curva della montagna, così prosegui attraverso il temporale finché si avvicinò alla Roccia dei Dèmoni.
Improvvisamente nelle sue orecchie rimbombarono gli stessi rumori che aveva udito quando aveva perso di vista la preda - urla e grida e risate. Un'ampia e frastagliata nuvola nera, che girava vorticosamente alle furibonde raffiche di vento, saltò fuori dalla roccia e venne verso di lui spazzando e lacerando. Facendosi il segno della croce per il terrore e pronunciando una breve preghiera, si affrettò verso casa. Ma il turbine si fece più vicino, e alla fine, in una sorta di luce debole e indistinta, vide la nuvola nera piena di orribili facce che lo fissavano con odio e si facevano sempre più vicine. In quel momento una luce splendente venne giù dal cielo e si fermò di fronte alla nuvola, e quando guardò in alto, vide la sua bambina che volava nell'aria fra lui e i dèmoni, tenendo una candela accesa in mano. E nonostante il temporale stesse infuriando e ruggendo tutto intorno, lei era molto calma - non un alito di vento agitava i suoi lunghi capelli biondi - e la candela ardeva lentamente. Pur con tutto il suo terrore, Fergus poteva osservare il suo volto pallido e dolce e i suoi occhi azzurri, proprio come quando era viva; essi non mostravano ora alcuna traccia di malattia o di tristezza, anzi erano lucenti di gioia. I dèmoni sembrarono retrocedere di fronte alla luce, e con gran fracasso si lanciarono verso l'altro fianco di Fergus, con la nuvola nera che continuava a muoversi insieme a loro e ad avvolgerli nelle sue frastagliate pieghe; ma l'angioletto volava intorno leggero, continuando a stare tra loro e suo padre. Fergus correva veloce verso casa e la nube dei dèmoni continuava a turbinargli furiosamente intorno, portando un vortice di vento che ruggiva fra gli alberi e i cespugli e li strappava dalle radici; ma ancora la bambina, sempre tendendo la candela verso di loro, continuava a fluttuare calma tutt'intorno e lo proteggeva.
Arrivò infine a casa sua; la porta era semiaperta, perché la famiglia era dentro che aspettava il suo ritorno, ascoltando con meraviglia e paura i rumori che si avvicinavano; e lui si precipitò all'interno attraverso la soglia e cadde disteso a faccia in giù. In quel momento la porta - benché li vicino non ci fosse nessuno - fu chiusa violentemente e i chiavistelli serrati. Gli corsero attorno pieni d'ansia per sollevarlo, ma lo trovarono in una condizione di svenimento simile alla morte. Nel frattempo il frastuono di fuori diveniva più forte che mai; impazzava tutt'intorno alla casa, come un vortice di vento pieno di grida e urla di rabbia, e un gran calpestio, come se ci fosse un'intera compagnia di uomini a cavallo. Alla fine, tuttavia, i rumori sembrarono allontanarsi sempre più dalla casa, e gradatamente si spensero in lontananza. Allo stesso tempo il temporale cessò, e la notte divenne calma e bella.
La luce del sole brillava attraverso le finestre
quando Fergus si riebbe dal suo svenimento,
e allora raccontò la sua storia spaventosa; ma dovettero passare
parecchi giorni prima che si riprendesse completamente dagli orrori
di quella notte. Quando la famiglia usci, quella mattina, c'era
intorno e accanto alla casa una terribile desolazione; alberi e
cespugli strappati dalle radici e il terreno tutto calpestato e
sconvolto. Dopo questo dalla roccia non s'udì mai più l'orgia dei dèmoni; e si ritenne che
l'avessero abbandonata per trasferirsi in qualche altro
covo.
1 Cappella (chapel) era definito il luogo ove si riunivano i fedeli di religione cattolica; il nome chiesa (church) era riservato ai luoghi di culto dei protestanti (N.d.C).
2 Un Forte è la medesima cosa di una fortezza (vedi nota 6, p. 322); alcuni sono recintati da muretti di pietra a secco invece che da fossati.