Il burro stregato (contea Queens)
da Dublin University Magazine, 1839
Verso l'inizio del secolo scorso viveva nei pressi del villaggio, un tempo famoso, di Aghavoe 1 un ricco agricoltore chiamato Bryan Costigan. Quest'uomo possedeva un'ampia fattoria con una gran quantità di mucche da latte e ogni anno ricavava notevoli somme di denaro dalla vendita del latte e del burro. La fertilità delle terre da pascolo di questa zona è sempre stata proverbiale; e le mucche di Bryan erano le più belle e le più produttive del paese, il suo latte e il suo burro i più ricchi e cremosi e spuntavano i prezzi più alti in tutti i mercati in cui erano messi in vendita.
Le cose seguitavano ad andar molto bene per Bryan Costigan, quando, improvvisamente, una stagione si accorse che le bestie perdevano il loro bell'aspetto e che la fattoria non dava quasi più profitti. Bryan inizialmente attribuì questo cambiamento al tempo o a una qualche causa simile, ma presto trovò, o credette di trovare, dei motivi validi per ritenere responsabile una fonte assai diversa.
Senza soffrire in apparenza di alcun disturbo, le mucche deperivano di giorno in giorno ed erano a malapena in grado di trascinarsi al pascolo: molte, invece che latte, non davano altro che sangue; quel poco latte che qualcuna continuava a produrre era così cattivo che non lo bevevano neppure i maiali; mentre il burro che se ne ricavava era di qualità così pessima e puzzava in modo tanto tremendo che perfino i cani rifiutavano di mangiarlo. Bryan si rivolse in cerca di rimedio a tutti i ciarlatani e a tutte le fattucchiere del paese, ma invano. Molti degli impostori dichiaravano che la loro scienza era impotente di fronte alla misteriosa malattia che aveva colpito il suo bestiame; mentre altri, pur non trovando nessuna difficoltà ad attribuirla a un agente soprannaturale, dichiaravano di non avere alcuna autorità in materia, poiché l'incantesimo che distruggeva la proprietà di Bryan era talmente potente che solo l'intervento speciale della Divina Provvidenza avrebbe potuto annullarlo, e nient'altro. Il povero fattore era sconvolto, vedeva di fronte a sé la rovina, ma cosa doveva fare? Vendere le sue bestie e comprarne delle altre? No, questo era fuori discussione, visto che avevano un aspetto così miserevole e macilento che nessuno le avrebbe prese nemmeno in regalo; né era possibile venderle a un macellaio, dato che la carne di una che egli aveva ammazzato per la sua famiglia era nera come il carbone e puzzava tal quale una carogna putrefatta.
Il disgraziato era perciò del tutto disorientato. Non sapeva cosa fare; divenne torvo, sembrava stordito; di notte non riusciva a prender sonno e vagabondava tutto il giorno per i campi come un pazzo fra le sue bestie colpite dai folletti.
Le cose continuavano ad andar così quando, in una sera molto afosa, verso la fine di luglio, la moglie di Bryan Costigan era seduta accanto alla porta a filare, in uno stato d'animo molto depresso e turbato. Il suo sguardo corse, per caso, lungo lo stretto sentiero erboso che portava dalla strada maestra alla casa, e scorse una vecchina scalza, avvolta in un vecchio mantello scarlatto, che s'avvicinava lentamente, aiutandosi con una gruccia che reggeva in una mano e con un bastone da passeggio che teneva nell'altra. La moglie del fattore si rallegrò nel notare quella forestiera dall'aspetto insolito; sorrise, senza sapere perché, vedendo che si avvicinava alla casa. Un vago e indefinito senso di piacere pervase la sua mente, e quando la vecchia raggiunse la soglia, le disse «benvenuta» con un calore che faceva chiaramente intendere come le sue labbra stessero esprimendo i genuini sentimenti del suo cuore.
«Dio benedica questa buona casa e tutto quello che le appartiene», disse la sconosciuta entrando.
«Dio ti protegga. Sappi di essere la benvenuta, chiunque tu sia», rispose la signora Costigan.
«Ehm, lo immaginavo», disse la vecchia con una smorfia significativa. «Lo immaginavo, altrimenti non vi avrei disturbato.»
La moglie del fattore corse a sistemare una sedia presso il fuoco per la sconosciuta; ma lei rifiutò e si accoccolò per terra vicino al punto dove era stata seduta a filare la signora Costigan. Quest'ultima poteva ora esaminare minuziosamente la figura della vecchia. Appariva molto anziana; l'espressione del volto era estremamente brutta e ripugnante; la pelle era ruvida e molto scura, come per effetto di una lunga esposizione al sole di qualche area tropicale; la fronte era bassa, stretta e scavata da mille rughe; i lunghi capelli grigi ricadevano in ciocche arruffate da sotto una papalina di lino bianco; gli occhi erano velati, iniettati di sangue e collocati nelle orbite per storto e la voce era rauca, tremula, parzialmente inarticolata. Accovacciatasi sul pavimento, esaminava la casa con sguardo indagatore; scrutava spiando ogni angolo, con tale intensità, quasi avesse avuto il potere, come l'Argonauta dei tempi antichi, di vedere attraverso le profondità della terra, mentre la signora Costigan continuava a seguire i suoi movimenti con un misto di curiosità, reverenza e piacere.
«Signora», disse la vecchia rompendo infine il silenzio, «ho la gola secca per il gran caldo; puoi darmi da bere?»
«Ahimè!», rispose la moglie del fattore, «non ho da offrirti altro che acqua, altrimenti non avresti certo avuto bisogno di chiederlo».
«Non sei la padrona delle bestie che vedo laggiù?», disse la vecchia con un gesto e un tono di voce che indicavano chiaramente come già sapesse tutto.
La signora Costigan rispose di si, e le raccontò in poche parole ogni particolare della faccenda, mentre la vecchia restava sempre silenziosa, scuotendo però ripetutamente la testa grigia; intanto continuava ad esplorare con lo sguardo la casa con aria di importanza e grande competenza.
Quando la signora Costigan ebbe finito, la vecchia rimase un momento come assorta, e alla fine disse:
«Hai in casa un po' di latte?».
«Si», rispose l'altra.
«Mostramene un po'.»
La signora ne riempi una brocca da un recipiente e la porse alla vecchia sibilla, che lo annusò, ne assaggiò un sorso e poi lo sputò sul pavimento.
«Dov'è tuo marito?», chiese.
«Fuori, nei campi», fu la risposta.
«Devo vederlo.»
Un ragazzo fu mandato a chiamare Bryan, che poco dopo comparve.
«Caro vicino», disse la sconosciuta, «tua moglie mi dice che le vostre bestie vi danno dei problemi in questo periodo.»
«Ti ha detto la verità», disse Bryan.
«E perché non avete cercato un rimedio?»
«Un rimedio!», fece l'uomo, «ma, cara la mia donna, ho cercato rimedi fino a spezzarmi il cuore, e tutto inutilmente; peggiorano di giorno in giorno.»
«Cosa mi dai se te le guarisco?»
«Tutto quello che possiamo», risposero Bryan e la moglie, entrambi con voce sollevata e d'un sol fiato.
«Vi chiedo soltanto una moneta d'argento da sei penny», disse, «e che facciate tutto quello che vi ordinerò.»
Il fattore e la moglie sembravano sbalorditi davanti a una richiesta tanto modesta. Le offrirono una grossa somma di denaro.
«No», disse lei, «non voglio il vostro denaro; non sono un'imbrogliona, e non prenderei neanche i sei penny, se non fosse che non posso fare nulla se non ho in mano un po' del vostro argento.»
Le fu subito data la moneta da sei penny e sia Bryan che la moglie, che ormai cominciavano a considerare la vecchia strega il loro angelo custode, promisero la più totale obbedienza a tutti i suoi ordini.
La vecchia si sfilò un nastro di seta nera che le circondava il capo sotto la papalina e la diede a Bryan dicendo:
«Ora va', e porta nel cortile la prima vacca che toccherai con questo nastro, ma fai attenzione a non toccare la seconda, e a non dire una parola finché non sarai di ritorno; sta' attento anche a che il nastro non vada a toccare per terra, altrimenti tutto è inutile».
Bryan prese il nastro magico e presto fu di ritorno, conducendo davanti a sé una mucca rossa.
La vecchia usci e, avvicinatasi alla vacca, cominciò a strapparle i peli della coda, cantando dei versi in Irlandese in una bassa, selvaggia e sconnessa melodia. La mucca appariva recalcitrante e irrequieta, ma la vecchia continuò la sua misteriosa canzone fino a quando non ebbe estratto il nono pelo.
Poi ordinò che la mucca fosse ricondotta al pascolo, e rientrò in casa.
«Vai, ora», disse alla donna, «e portami un po' di latte di tutte le mucche che possedete.»
La donna parti e presto ritornò con un grosso secchio pieno di una orribile mistura di latte, sangue e sostanze in putrefazione. La vecchia mise tutto nella zangola e preparò quel che serviva per fare il burro.
«Ora», disse, «dovete sbattere il latte tutti e due. Chiudete bene porta e finestre e lasciate soltanto la luce del fuoco; non aprite la bocca finché non ve lo dico io, e se seguirete le mie istruzioni non dubito che, prima che il sole sia tramontato, scopriremo chi è la perfida creatura che vi sta derubando.»
Bryan sprangò porte e finestre e cominciò a sbattere il latte. La vecchia fattucchiera sedette vicino a un grande fuoco acceso apposta per l'occasione; cominciò a cantare la stessa strana canzone che aveva cantato strappando i peli della mucca, e dopo un po' gettò uno dei nove peli nel fuoco, continuando a cantare la misteriosa melodia e nello stesso tempo controllando con estrema attenzione il procedere della magia.
Allora si senti un forte grido, come di una donna disperata, farsi sempre più vicino alla casa; la vecchia strega interruppe i suoi incantesimi e ascoltò attentamente. La voce che urlava si avvicinò alla porta.
«Aprite la porta, presto», gridò la fattucchiera.
Bryan tolse la sbarra e tutti e tre si precipitarono nel cortile, dove udirono lo stesso grido in fondo al boreheen 2 ma non riuscirono a vedere nulla.
«È finita», strillò la vecchia strega; «qualcosa non ha funzionato e per ora il nostro incantesimo è inefficace.»
Se ne stavano tornando indietro tutti abbattuti quando, sul punto di entrare in casa, la sibilla abbassò gli occhi e scorse, inchiodato sulla soglia, un pezzo di ferro di cavallo3. Allora gridò:
«Ecco, ora capisco; non c'è da stupirsi che il nostro incantesimo sia fallito. La persona che gridava là fuori è la sciagurata che ha stregato le vostre bestie; l'ho attirata verso la casa, ma non è riuscita ad arrivare alla porta a causa di questo ferro di cavallo. Toglietelo immediatamente e tenteremo di nuovo la sorte».
Bryan tolse il ferro di cavallo dalla soglia e, seguendo le direttive della vecchia, lo mise per terra sotto la zangola, dopo averlo reso incandescente sul fuoco.
Ripresero un'altra volta i loro traffici. Bryan e sua moglie ricominciarono a sbattere il latte e la strega a cantare i suoi strani versi, gettando i peli di vacca nel fuoco finché non li ebbe quasi finiti tutti. Il suo volto cominciava ora a mostrare segni evidenti di irritazione e delusione. Si fece assai pallida, i denti serrati, le mani tremanti, e mentre gettava il nono e ultimo pelo sul fuoco, la sua persona pareva quella di un demone femminile, più che di un essere umano.
Ancora una volta si udì il grido e si vide una vecchia dai capelli rossi4 avvicinarsi velocemente alla casa.
«Oh, oh!», gridò la fattucchiera, «sapevo che sarebbe andata così; il mio incantesimo è riuscito; le mie aspettative si sono realizzate; eccola, la sciagurata che vi ha rovinati.»
«E adesso cosa dobbiamo fare?», chiese Bryan.
«Non le dite niente», rispose la vecchia, «datele quello che vi chiede e lasciate a me il resto.»
La donna avanzava urlando in modo forsennato e Bryan usci ad accoglierla. Era una vicina; disse che una delle sue mucche più belle stava annegando in uno stagno, che a casa non c'era nessun altro che lei e implorò Bryan di andare a salvare la mucca.
Bryan la accompagnò senza esitazione e, dopo aver salvato la mucca in pericolo, tornò a casa nel giro di un quarto d'ora.
Era ormai il tramonto, e la signora Costigan si accinse a preparare la cena.
Durante la cena ritornarono ai singoli avvenimenti della giornata. La vecchia strega fece più d'una risata diabolica per il successo dei suoi incantesimi, e domandò chi fosse la donna che avevano scoperto in modo così curioso.
Bryan le dette ogni particolare. Era la moglie di un fattore vicino; si chiamava Rachel Higgins e da molto tempo era sospettata d'essere in rapporto stretto con lo spirito delle tenebre. Aveva cinque o sei mucche; ma i suoi ben informati vicini avevano notato che vendeva ogni anno più burro delle mogli di altri fattori che ne avevano venti. Bryan, fin da quando il suo bestiame aveva iniziato a deperire, aveva sospettato che fosse lei la responsabile, ma dato che non aveva alcuna prova, aveva taciuto.
«Bene», disse la vecchia strega con un ghigno, «non basta aver scoperto la responsabile; è tutto inutile, se non facciamo qualcosa per punirla per le malefatte del passato e che le impedisca altre razzie per il futuro.»
«E come ci riusciremo?», chiese Bryan.
«Ve lo dirò: questa sera, appena arriva la mezzanotte, andrete al pascolo e porterete con voi un paio di cani veloci; vi nasconderete in qualche posto vicino al bestiame e lo terrete bene d'occhio; e se vedete qualcosa, sia uomo o bestia, che si avvicina alle mucche, aizzate i cani, e se possibile fate in modo che feriscano l'intruso, così da farlo sanguinare; e allora Tutto sarà finito. Se nessuno si avvicina prima dell'alba, potete ritornare e proveremo qualcos'altro.»
Li nei pressi viveva il bovaro di un gentiluomo della zona. Era un giovanotto forte e coraggioso e teneva sempre un paio di feroci bull-dog. Bryan andò da lui per ottenere aiuto, e questo acconsenti di buon grado ad accompagnarlo, e propose inoltre di prendere un paio dei migliori levrieri del padrone, poiché i suoi cani, che pure erano aggressivi e assetati di sangue, quanto a velocità non erano dei migliori. Promise a Bryan di raggiungerlo prima di mezzanotte e si lasciarono.
Quella sera Bryan non tentò di dormire: rimase seduto ansiosamente ad aspettare la mezzanotte. Alla fine l'ora arrivò e il suo amico bovaro, fedele alla promessa, arrivò al momento stabilito. Ricevuto qualche altro consiglio dalla Collough, partirono. Giunti al pascolo, si consultarono su quale posto scegliere per nascondiglio. Alla fine decisero per una piccola macchia di felci, situata all'estremità del campo, vicino al fossato di confine, piena di grandi, vecchi cespugli di biancospino. Qui si accovacciarono e fecero stendere i cani, quattro in tutto, accanto a loro, aspettando con ansia che l'ancora sconosciuta e misteriosa visitatrice facesse la sua comparsa.
Bryan e l'amico rimasero in quell'eccitata attesa per un pezzo, ma ancora niente si avvicinava, ed era chiaro che il mattino si stava avvicinando; cominciavano a spazientirsi, e parlavano di far ritorno a casa, quando, improvvisamente, udirono dietro di loro un rumore febbrile che sembrava prodotto da qualcosa che cercasse di aprirsi a forza un varco nella fitta siepe dietro a loro. Guardarono in quella direzione, e immaginate il loro stupore nello scorgere una grossa lepre nell'atto di balzar fuori dal fossato e saltare sul terreno proprio vicino a loro. Ora si sentivano certi che quella era la cosa che avevano atteso con tanta impazienza, ed erano decisi ad osservare minuziosamente i suoi movimenti.
Arrivata sul campo, la lepre rimase immobile per alcuni istanti, guardandosi attorno con sguardo acuto. Poi cominciò a balzare e saltare come per gioco, ora avanzando a passo veloce verso le mucche, ora ritirandosi precipitosamente, ma tuttavia facendosi a ogni finta più vicina. Raggiunse dunque la prima mucca e la succhiò per un momento; passò poi alla seguente, e quindi, una dopo l'altra, succhiò tutte le mucche del campo -mentre esse continuavano a muggire forte e apparivano estremamente spaventate e agitate. Bryan, dal momento in cui la lepre aveva cominciato a succhiare la prima mucca, s'era trattenuto con difficoltà dall'attaccarla; ma il suo più astuto compagno gli suggeri che sarebbe stato meglio aspettare fino a quando non avesse terminato, perché allora sarebbe stata molto più pesante e impacciata nel tentare la fuga. Quel che segui provò che era proprio vero; infatti, finito che ebbe di succhiare tutte le mucche, la sua pancia apparve enormemente dilatata, e cominciò ad allontanarsi lentamente e con evidente difficoltà. Avanzò verso la siepe dalla quale era entrata, e quando arrivò alla macchia di felci dove i suoi nemici stavano rannicchiati, questi balzarono in piedi gridando selvaggiamente e aizzandole dietro i cani.
La lepre scattò veloce, facendo schizzar fuori dalla bocca e dalle narici il latte che aveva succhiato, e i cani la inseguirono rapidi. La capanna di Rachel Higgins apparve a breve distanza, nella grigia e fioca luce del mattino, ed era evidente che la bestia era diretta li, anche se aveva fatto un lungo giro per i campi dietro la casa. Bryan e il suo compagno, però, si mossero con astuzia e andarono verso la capanna per la via più breve; c'erano appena arrivati quando la lepre spuntò, ansimante e quasi sfinita, con i cani alle calcagna. Corse attorno alla casa, evidentemente confusa e contrariata dalla presenza degli uomini, ma infine si diresse alla porta. In fondo alla porta c'era una piccola apertura semicircolare che assomigliava a quelle praticate nelle porte dei pollai per l'entrata e l'uscita delle galline. La lepre fece un ultimo sforzo disperato per raggiungere questo buco, ed era riuscita a farci passare attraverso la testa e le spalle, quando il primo cane fece un balzo e le azzannò violentemente una coscia. La bestia lanciò un grido acuto e penetrante e lottò disperatamente per liberarsi dalla presa, e alla fine ci riuscì, ma non senza aver lasciato tra i denti del cane un pezzo del suo posteriore. A questo punto gli uomini spalancarono la porta: un bel fuoco di torba ardeva nel camino, e il pavimento era inondato di sangue.
Non c'era in giro, tuttavia, nessuna lepre, e gli uomini rimasero più che mai convinti che fosse stata la vecchia Rachel che aveva, con l'aiuto di qualche demone, preso la forma della lepre, ed erano decisi a catturarla, se era ancora su questa terra.
Entrarono nella camera da letto e udirono un gemito soffocato, che sembrava provenire da qualcuno in terribile agonia. Andarono verso l'angolo della stanza dal quale giungevano i lamenti e là, in mezzo a un fascio di giunchi appena tagliati, videro le sembianze di Rachel Higgins, che si contorceva tra gli spasmi più atroci, immersa in una pozza di sangue. Gli uomini erano sbalorditi: si rivolsero alla sciagurata vecchia, ma questa non poteva o voleva rispondere. La sua ferìta continuava a sanguinare abbondantemente: le sue sofferenze sembravano aumentare ed era evidente che stava morendo. I familiari si svegliarono e si radunarono attorno a lei con grida e lamenti; ma lei sembrava non notarli neppure, le sue stridule urla risuonavano nelle orecchie dei presenti. Alla fine spirò e il suo cadavere offri uno spettacolo terribile, ancor prima che lo spirito l'avesse lasciato completamente.
Bryan e l'amico tornarono a casa. La vecchia era già a conoscenza della sorte di Rachel Higgins, anche se non si sapeva grazie a quale dote soprannaturale.
Era molto rallegrata per l'esito delle sue pratiche misteriose. Bryan insistette molto perché accettasse qualche ricompensa per i suoi servizi, ma essa rifiutò categoricamente ogni propósta. Rimase ancora alcuni giorni in casa sua, e alla fine si congedò e parti, nessuno seppe per dove.
I resti della vecchia Rachel furono sotterrati
quella notte nel vicino cimitero. La sua sorte divenne presto nota
a tutti e la sua famiglia, vergognandosi di rimanere nel
villaggio nativo, vendette la proprietà e
abbandonò per sempre il paese. La storia, tuttavia, è ancora viva
nella memoria degli abitanti della zona; e si dice che spesso,
nella grigia foschia della luce estiva, si possa vedere il fantasma
di Rachel Higgins che, sotto forma di una lepre, saltella in giro
per i territori di caccia che prediligeva e che tanto bene ancora
ricorda.
1 Aghavoe - «il campo delle mucche» - è un bel villaggio romantico vicino a Borris-in-Ossory, nella contea Queens. Un tempo era un luogo di notevole importanza, e fu per secoli sede vescovile della diocesi di Ossory, ma da molto tempo è in rovina, e attualmente è importante solo per gli splendidi ruderi di un convento domenicano, erettovi in tempi remoti da San Canice, santo patrono di Ossory.
2 Sentiero (N.d.C).
3 Un tempo era consuetudine, in Irlanda, inchiodare un ferro di cavallo sulla soglia della porta di casa, per salvaguardarla dall'influenza delle creature fatate, che si ritiene non osino entrare in una casa così protetta. La consuetudìne, tuttavia, sta scomparendo, ma è ancora praticata in alcune delle aree più isolate.
4 Si ritiene che le persone dai capelli rossi possiedano poteri magici.