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DALL’ALTRA parte della cittadina, Sydney Turner si svegliò in una strana stanza linda e pinta con libri ammonticchiati dappertutto. Si drizzò a sedere e lo sguardo le cascò sul riflesso nello specchio attaccato alla porta: una donna di mezza età con i capelli striati di bianco, e la pelle, una volta perfetta, segnata di rughe intorno alla bocca e agli occhi. Sydney si toccò la faccia, e intorno ai polsi vide delle piaghe rosacee, simili a bracciali di dolore.
Si rimise in piedi a fatica e si trascinò fuori dalla stanza. Percorse un corridoio e iniziò a scendere una scala, reggendosi alla balaustra per non perdere l’equilibrio.
«C’è nessuno?» domandò ad alta voce. Era una voce roca, aspra. Udì un tonfo in cima alle scale e accelerando il passo raggiunse un soggiorno vuoto. «C’è nessuno?» ribadì.
Una porta si aprì silenziosamente, e ne uscì malferma una donna di una certa età con gli occhi assonnati. Il suo sguardo si fece attento non appena si posò su Sydney. Le due donne si fissarono, tentando ognuna d’identificare l’altra. La prima a riuscirci fu Sydney.
«Mamma?»
Margaret per metterla a fuoco socchiuse gli occhi. «Mio Dio, Sydney, sei tu?»
Scattò in avanti e la strinse a sé. Sydney provò a ricordare quale fosse stata l’ultima volta in cui sua madre l’aveva abbracciata. Doveva essere stato più o meno ai tempi del funerale del padre. Quindi chi era questa attempata sconosciuta che continuava a stringerla in lacrime? Non poteva certo trattarsi di Margaret Turner. Forse stava ancora sognando. Se era così, comunque, era un bel sogno, in cui l’astio che sempre aveva segnato la sua vita cominciava a dissolversi sotto il diluvio di scuse che la madre le rivolgeva piangendo. Sydney ricambiò l’abbraccio materno. Aveva così tante domande da fare: per quanto tempo era stata via? Che anno era? Per il momento, tuttavia, a Sydney bastava essere a casa, viva, a piangere in compagnia di sua madre.
Potrei quasi concludere qui, giunto a una di quelle «aree di sosta» per cui andava matta Eunice: sani e salvi, i membri della famiglia si sono riuniti, per quanto il loro futuro appaia un po’ incerto. In effetti una parte di me, rapita dal calore e dal sollievo di quel momento, è tentata di scrivere la parola «fine» e concludere a questo punto. Tuttavia c’è ancora un pezzetto di storia da raccontare. Ancora un pizzico di felicità, ancora un pizzico di cuori infranti, e poi ci sono ancora altre domande a cui va data una risposta, alcuni dettagli lasciati in sospeso da far quadrare. Non sono sicuro di avere materiale a sufficienza per potermi congedare dignitosamente, cercherò di fare del mio meglio.