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COME un crudele premio di consolazione in cambio della nostra perdita, la situazione finanziaria della mia famiglia dopo che Sydney sparì migliorò nettamente. Nei primi due anni della sua esistenza, il Wandering Dark attirò gente a frotte, e il Bump in the Night, spinto dal boom dei fumetti dei primi anni Novanta, per la prima volta si rivelò redditizio. Riuscimmo a traslocare dall’appartamentino in una casa con quattro stanze. Visto quanto aveva contribuito al successo del negozio, Sally White fece un passo ancora più lungo: benché dopo la sparizione di Sydney avesse tentato di mantenersi in buoni rapporti d’amicizia oltre che d’affari con mia madre, il fatto che quest’ultima si sfogasse su di lei e la tagliasse fuori da tutto finì per stancarla. Vendette la sua metà del Bump in the Night e nel 1993 si trasferì insieme a un fidanzato nell’Indiana. Ricevemmo l’invito al loro matrimonio, ma non ci andammo.

Non eravamo felici, ma finanziariamente solventi sì, il che, dopo aver trascorso in povertà la mia prima infanzia, significava grosso modo la stessa cosa. Poi, nel 1999, mamma si decise infine ad assumere regolarmente me e Kyle Ransom al Wandering Dark. Come primo incarico ufficiale da dipendenti ci toccò andare a vedere Il crogiuolo di Arthur Miller messo in scena da suo padre al liceo di Vandergriff, che poteva essere una buona occasione per individuare nuovi talenti. La sera della prima, mamma ci allungò una pila di volantini e in pratica ci buttò fuori dalla porta.

Ho sempre odiato Il crogiuolo. È un polpettone infelice, e l’idea più interessante – ovvero che a Salem la stregoneria sia sempre viva e vegeta – era stata ridotta a una mera metafora dal maccartismo. Oltretutto – datemi pure del pazzo – odio le storie tipo «pover’uomo innocente ingiustamente accusato da una ragazza sexy».

Il signor Ransom aveva allestito una scenografia notevole – un gigantesco albero che dominava il palco con tutti i giudici seduti sui rami –, ma gli attori sembravano essere lì per caso, e i loro personaggi si scambiavano urlando le reciproche accuse con volti inespressivi. La ragazza che interpretava Abigail, con i capelli talmente biondi che illuminati dai riflettori sembravano d’argento, in precedenza aveva fatto una discreta figura nella parte di Sue Lyon in Lolita, ma quando un John Proctor devastato dall’acne preferì farsi impiccare piuttosto che sottoscrivere una falsa confessione, io e Kyle ce ne stavamo ormai seduti con il mento fra le mani pregando che calasse il sipario.

Dopo lo spettacolo, trovammo il signor Ransom ai piedi del palco che si scambiava strette di mano con i suoi estimatori. Non molto tempo dopo la scomparsa di Sydney aveva avuto un attacco di cuore, e in seguito a un intervento chirurgico e ad alcune drastiche variazioni nella dieta aveva perso parecchi chili, ma il cambiamento lo faceva sembrare perfino meno in forma. La pelle gli pendeva molle dalla faccia e si raccoglieva intorno al girovita rendendolo simile a una candela mezza sciolta, e all’incarnato acceso si era sostituito un pallore che lo rendeva più affine a un fungo che a un essere umano. Fra quelli che avevano partecipato alla stagione di apertura del Wandering Dark, era l’unico a non essere stato richiamato dopo il 1989.

Mentre ci avvicinavamo a lui con i volantini in mano, non vidi da nessuna parte la signora Ransom. Lo accennai a Kyle, che sembrò imbarazzato.

«Il giovedì fa lezione», mi disse. «Verrà allo spettacolo di sabato.»

«È una storia importante», stava dicendo il signor Ransom stringendo la mano a un tale che, dall’aspetto, doveva essere il nonno di qualcuno.

«Non c’è dubbio», gli rispose l’anziano signore, «ma mi chiedo se lo pensino anche i ragazzi.» Lanciò un’occhiata alla platea alle sue spalle, quasi vuota.

Il sorriso del signor Ransom era tirato. «La ringrazio molto per essere venuto», concluse. Si voltò verso di noi e scacciò dal viso l’espressione amareggiata. «Eccovi qui. Voi che ne dite, ragazzi?»

«Intenso», commentai.

«Molto cupo», disse Kyle.

«Fedelissimo al testo», aggiunsi.

«È una delle grandi opere americane», spiegò il signor Ransom. «Chi sono io per fare dei tagli?»

La ragazza che aveva interpretato Abigail emerse da dietro le quinte, senza più il costume di scena ma ancora impiastricciata di trucco. Da vicino era davvero molto carina, con i capelli lucenti e gli occhi di un azzurro brillante. Quando vide me e Kyle si fermò. «Ciao, Kyle», lo salutò. Mi fece un cenno con il mento. «Ciao, Noah.»

«Ci conosciamo?» le domandai preso in contropiede.

Mi diede un pugnetto sul braccio. «Piantala, dai.»

«Piantala in che senso?»

Sgranò gli occhi piuttosto stupita. «Alle lezioni di letteratura inglese della Thurston eravamo seduti a due file di distanza. Per tutto l’ultimo anno alle medie, direi.» Si portò le mani al petto. «Il nome Donna Hart ti dice niente?»

«Oh, ma certo», replicai, suonò però come una bugia. «Scusa, ho sempre la testa fra le nuvole.»

Restammo sospesi in un silenzio imbarazzante finché Kyle non riprese: «Lo spettacolo è stato impegnativo».

«Molto cupo», concordai.

«Super fedele al testo», aggiunse Kyle. «E tu sei stata grande!»

«La parte migliore dello spettacolo», cercai di rimediare dopo aver ferito i suoi sentimenti.

Lei mi tirò un altro pugnetto sul braccio. «Smettila», disse, ma che le avesse fatto piacere era ovvio.

«Ehi, già che ci siamo», intervenne Kyle, porgendole un volantino. «Fra un paio di settimane potresti presentarti alle audizioni per il Wandering Dark.»

«Parla della casa infestata gestita dalla mia famiglia», spiegai.

«Lo so di cosa parla», replicò lei. «Non sono mica nata ieri.» Guardò con attenzione il volantino.

«Abbiamo sempre bisogno di attori», aggiunsi.

Kyle mi tirò per un braccio. «Adesso però dobbiamo proprio andare.»

Colsi il segnale. «Ci vediamo in giro, Donna Hart.»

«Ma certo», rispose. «Chissà, magari la prossima volta ti ricorderai perfino di me.»

Iniziammo a salire i gradini che portavano al palco. Quando non fummo più a portata d’orecchio, Kyle mi fermò. «Com’è possibile che tu non abbia mai notato quella ragazza?»

«L’ho notata», mentii. «È solo che non mi ricordavo il nome.»

«Com’è possibile dimenticare qualsiasi cosa di una ragazza come quella?»

Era una buona domanda. Donna era affascinante e non era difficile notarla, eppure già in quel momento stava svanendo dalla mia mente.

«Ho parecchia roba in ballo», mi giustificai.

«Tipo…?» Non risposi seduta stante e lui ridacchiò. «Non ti capisco, non ti capisco proprio. Se io fossi stato in classe con quella, non penserei ad altro. In realtà, credo che da ora in avanti non penserò ad altro comunque.»

Chiuse gli occhi.

«Kyle.»

«Sssh», m’interruppe, e senza riaprire gli occhi mi passò la pila di volantini. «Tu fatti pure venire in mente perché sei così impegnato e distribuisci i volantini. Io penserò a Donna per tutti e due.»

La casa degli incubi
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