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MI vidi con mamma più tardi nel pomeriggio, nel reparto costumi del Wandering Dark. Mentre parlavamo continuò a lavorare, stava riparando l’ultima versione del mio costume da mostro; robusti fili neri e rossi tenevano insieme strisce di pelliccia di varie tonalità, che andavano da un quasi nero a un marrone sbiadito bordato di giallo. Fra i capelli di mia madre c’erano ormai grosse ciocche grigie, e le borse erano fisse sotto gli occhi verdi. Sul volto, zampe di gallina e rughe del sorriso erano più marcate. Aveva compiuto cinquantaquattro anni, ma le lenti bifocali appollaiate sul suo naso la facevano sembrare più vecchia.
Le feci il mio resoconto camminando avanti e indietro, raccontandole quello che avevo già detto a Eunice, e la mia teoria secondo cui il vero problema era che facessimo qualcosa di ormai inflazionato.
«Può essere», replicò. «È un po’ come gestire un cinema in cui ogni giorno per tredici anni viene proiettato lo stesso film.» Guardò il costume. «Questo posto, comunque, sta cadendo a pezzi. I costumi non si sono mai rovinati così in fretta, giuro.»
«Magari potremmo fare qualcosa di completamente nuovo», suggerii. Mia madre appoggiò il costume e si raddrizzò sullo sgabello. «Mi è venuta l’idea di un hotel infestato, ed Eunice mi ha detto che tu e papà avevate pensato a una cosa simile più o meno quando sono nato io, al che mi sono detto che magari, se tu mi facessi dare un’occhiata ai suoi vecchi appunti…»
Iniziò a fare di no con la testa prima che completassi la frase. Ero pronto a litigare, ma non a quello che mamma finì per dire: «Ho buttato tutta quella roba anni fa».
Smisi di camminare avanti e indietro. «Perché?»
Si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi. «Prova a immaginare in casa tua una scatola che è lì solo per ricordarti il momento peggiore e più doloroso della tua vita. Tu l’avresti tenuta?»
«Avresti potuto nasconderla in soffitta e darla a Eunice quando si è trasferita. O se no avresti potuto darla a me.»
Si rimise gli occhiali. «Quel che ho fatto ho fatto. Non posso tornare indietro.»
«Di papà io non ho mai visto neanche una foto», dissi. Ne avrei vista una, a un certo punto, ma undici anni dopo.
«Guardati allo specchio e ti farai un’idea di com’era», replicò mia madre. «E anche se io avessi ancora quella scatola, non farebbe differenza. Mi avevi promesso qualche trovata con cui salvare questo posto, ma te ne torni qui a propormi di costruire da zero un luogo completamente diverso, che costerebbe una fortuna e che probabilmente sarebbe illegale. Ma lasciando da parte il denaro e la legge, dai per scontato che m’interessi costruire qualcosa di nuovo. Ho iniziato questa attività nel 1989 per salvare la nostra famiglia dalla miseria. Per un po’ si è rivelato un buon modo di fare soldi. Per te ed Eunice significava molto, ed è stato un bel tributo a Sydney. Ma adesso di soldi questa attività non ne produce più e, a quanto pare, tu non hai nessuna idea sensata per risolvere il problema. Il mio consiglio è di goderti le tue ultime settimane qui. Goditi tutto quanto e digli addio.»