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CHIAMÒ il consultorio il giorno dopo, mentre Harry era impegnato in giardino. Il primo appuntamento disponibile era il 9 novembre, e le sarebbe costato centocinquanta dollari. La donna al telefono le fece presente che avrebbe avuto bisogno di essere riaccompagnata a casa da qualcuno. Margaret rispose che non sarebbe stato un problema e riattaccò.
Dopo la telefonata si sedette al tavolo in cucina e fece un paio di conti. Centocinquanta dollari per l’aborto più altri dieci per la tassa d’iscrizione all’università. Diverse centinaia per il deposito cauzionale e il primo mese d’affitto per un trilocale. Come sarebbe riuscita a racimolare tutti quei soldi? Non poteva chiamare i suoi genitori e chiederli a loro, quell’arpia di sua madre non doveva sapere che il suo matrimonio andava male, che stava andando in fumo in maniera spettacolare, a dirla tutta. Non poteva chiederli a un amico, visto che in realtà non ne aveva. Maledizione, non sapeva nemmeno a chi chiedere di riaccompagnarla a casa dall’ambulatorio.
Rosicchiò la matita che aveva in mano, guardò la cucina e poi il salotto, la libreria stipata di libri horror. Tutte le vecchie riviste e i fumetti di Harry erano ancora in un deposito in centro. Scatoloni e scatoloni pieni di roba che doveva pur valere qualcosa. Se fossero mancati un paio di fumetti Harry non l’avrebbe notato, e anche se l’avesse notato, avrebbe dato per scontato che fossero andati persi in uno dei vari spostamenti. Margaret per allora sperava di essersene andata già da un bel po’.
Fece un giro di telefonate ai negozi di fumetti della zona, chiedendo se comprassero vecchie riviste pulp. Per lo più non erano interessati, ma un negozio le fornì il numero di un collezionista locale di nome Jamie White, che si disse disposto a incontrarla il pomeriggio successivo direttamente al deposito.
Il giorno dopo Margaret prese la chiave di scorta dal mazzo che Harry teneva in garage, e raggiunse in macchina il deposito. Era vicino all’autostrada, all’estremità opposta della cittadina. Quando arrivò, si guardò intorno in cerca di un uomo di una certa età che potesse fare il paio con la voce che aveva sentito al telefono, ma nel parcheggio c’era solo una donna appoggiata alla fiancata di una macchina. Mentre Margaret parcheggiava e scendeva, la donna si raddrizzò e le si avvicinò. Sembrava più giovane di lei, ma non di tanto, e i capelli castano chiaro li teneva raccolti in una coda. Indossava un paio di jeans e una felpa di Topolino. Topolino era vestito come Gene Kelly in Cantando sotto la pioggia, e come lui si appendeva a un lampione.
«Margaret?» chiese la donna. Le porse la mano e Margaret la strinse. «Io sono Sally. Avevamo un appuntamento, giusto?»
«Credevo che fosse con Jamie White.»
«Jamie è mio zio», spiegò Sally. «Voleva venire lui, ma le cose sono andate per le lunghe con un altro cliente. A volte gli do una mano.»
Margaret storse la bocca e strinse i pugni un paio di volte. Si sentiva già nervosa, e deviare anche di poco rispetto ai suoi programmi la fece solo stare peggio.
«Le assicuro che so il fatto mio», la rassicurò Sally White. «Ho a che fare con questo tipo di roba di continuo. Ma se non si sente tranquilla, sono certa che potrà fissare un nuovo appuntamento con mio zio…»
«No», la interruppe Margaret. «Dev’essere oggi per forza.»
«D’accordo, allora», acconsentì Sally in tono sorprendentemente pacato. «Mi faccia strada.»
Il box di Harry era al quarto piano di un edificio climatizzato. Quando Margaret alzò la serranda e apparvero i bianchi scatoloni intonsi accatastati dappertutto fino al soffitto, a Sally scappò un fischio. «Posso?» domandò indicando uno scatolone.
Margaret la aiutò a tirarlo giù dalla cima della pila e a sistemarlo sul pavimento del corridoio. Sally esaminò il contenuto, maneggiando con cautela qualsiasi cosa toccasse; ogni tanto scuoteva la testa o imprecava sottovoce. Mostrò a Margaret una copia di Weird Tales datata febbraio 1928. In copertina c’era un uomo in impermeabile con una pistola in mano, e accasciata su di lui una donna svenuta in abito da sera. «The Ghost Table, di Elliot O’Donnell», c’era scritto in grande.
«È qui che è stato pubblicato per la prima volta Il richiamo di Cthulhu, chi potrebbe immaginarlo?» disse Sally. «Non gli hanno nemmeno dedicato la copertina.» Ridacchiò incredula. «È come se avessero pubblicato un numero di Action Comics senza Superman in prima pagina. Per quanto abbiano fatto anche questo, ai vecchi tempi.»
«Non ci capisco granché di fumetti», ammise Margaret.
«Guardi qui.» Sally indicò un elenco di nomi quasi in fondo alla copertina: H.P. Lovecraft, Ray Cummings, Seabury Quinn, Frank Owen, Wilfred Taiman, John Martin Leahy. «Si tratta forse del più importante racconto di weird fiction di tutti i tempi, e il suo autore è relegato in fondo alla pagina. Pazzi.»
Sally fissò gli altri scatoloni impilati nel box. «C’è la stessa roba dentro tutti quanti?» domandò.
«Riviste e fumetti. Locandine. Cose così.»
Sally fece una smorfia, sembrava stesse litigando con se stessa.
«Be’?» chiese Margaret. «Cosa c’è che non va?»
Sally sospirò. «Mio zio mi ha mandato qui oggi con un assegno. Mi ha detto di offrirle fra i cinquanta e i duecento dollari, sempre che ci fosse abbastanza materiale da giustificare la spesa, e sempre che lei fosse disposta a vendermi tutto.»
«Tutto?» Margaret fece scorrere lo sguardo nel box. Al di là di ciò che provava per Harry in quel momento, non poteva dimenticare gli anni di passione e attenzioni che lui aveva dedicato a creare quella collezione, né quanto gli era costato spostarla da casa e trasferirla dall’altra parte della cittadina. Era grazie a quell’insieme di scatole che Harry aveva sviluppato la propria visione del mondo, la propria personalità. Era grazie a loro che aveva affrontato la malattia della madre e la morte del padre. Margaret odiava se stessa per quel rigurgito di sentimentalismo, ciononostante c’era eccome.
«Mio zio non aveva idea di cosa avrei trovato qui», disse Sally, «e se fosse venuto lui in persona avrebbe potuto offrirle, non saprei, magari cinquecento o mille dollari.»
A Margaret sembrò una fortuna, una somma che avrebbe potuto risolvere i suoi problemi all’istante.
«Può chiamarlo e accertarsene?»
«Il fatto è», spiegò Sally, «che per guadagnare cinquecento dollari le basterebbe questo scatolone, se sapesse davvero cosa c’è dentro. Di solito il mio lavoro è fregare quelli che non hanno ben chiaro cosa stanno vendendo, per poi rivendere le stesse cose a un prezzo molto, molto più alto. Normalmente non ho problemi a regolarmi in questo modo, perché al limite si tratta di uno o due fumetti da una parte o di una scatola piena di riviste dall’altra, ma questo», e con un gesto le indicò tutto il deposito, «questo è troppo. Dovrebbe catalogarli, scoprire quanto valgono davvero, dopodiché potrebbe venderli da sola o lasciare che qualcuno come mio zio, o come me, le faccia un’offerta onesta.»
In un altro momento Margaret l’avrebbe ringraziata per la sua schiettezza, ma lì per lì avrebbe voluto invece mettersi a urlare.
«È gentile da parte sua cercare di aiutarmi», replicò senza perdere il controllo, «ma ho bisogno dei soldi oggi stesso. Perché quindi non prende piuttosto questo scatolone, mi fa un assegno da duecento dollari e siamo a posto tutte e due?»
«Non posso.»
«La prego», insistette Margaret con una voce che cominciava a farsi disperata.
Sally la guardò bene. A Margaret quello sguardo scaltro non piacque, la faceva sentire vulnerabile.
«C’è di mezzo qualcosa di serio, quindi», concluse Sally. Non era una domanda.
Margaret annuì rapidamente. Sally spulciò di nuovo nello scatolone che le stava davanti, scelse una decina di riviste e le posò sul pavimento. Prese la borsa, tirò fuori una penna e un libretto degli assegni ripiegato, se lo appiattì su un ginocchio, lo compilò e lo allungò a Margaret. Duecento dollari. «La sto ancora truffando, ma non così tanto.»
«Grazie», replicò Margaret.
Sally prese dalla borsa un pezzo di carta, ci scarabocchiò qualcosa e glielo diede. «Qui c’è il mio numero di casa. Non scherzavo, prima. Se ha davvero intenzione di vendere questa roba, posso aiutarla a spuntare una somma equa. Mi ci vorrà solo un po’ di tempo per farmi un’idea di ciò che possiede.»
«Grazie», ripeté Margaret.
Sally si alzò in piedi e la aiutò rimettere lo scatolone in cima alla torre e a chiudere la serranda. Si strinsero la mano.
«Mi chiami», aggiunse Sally. «Come compenso le chiederò il dieci per cento della vendita finale. Il che non è molto, tra parentesi.»