CAPITOLO III

 

«Secondo me hanno trovato un’ottima soluzione al problema» stava dicendo Diana a una collega mentre si stavano cambiando per lasciare il panificio; le due donne avevano finito il turno pomeridiano.

Myla entrò nello spogliatoio nel mezzo della conversazione e salutò laconicamente le colleghe.

«Tu cosa ne pensi Myla?» chiese Diana senza dare il tempo all’altra donna di ribattere ciò che aveva commentato pochi istanti prima.  

«Di cosa?».

«Del progetto ghiacciai! hai sentito che è stato approvato, inizierà tra una settimana da oggi. Hanno appena dato la notizia al radiogiornale. Io trovo che l’idea di progettare un metodo per lo scioglimento dolce dei ghiacciai sia una soluzione ottimale per risolvere il problema della siccità ormai imminente».

Myla non commentò, erano mesi che i mezzi di comunicazione stavano promuovendo questa soluzione per trarre le risorse idriche che ormai il pianeta non aveva quasi più.

Myla, intimamente non era molto convinta della validità di questa idea.

Non era la prima volta che la Trinità proponeva qualche soluzione a un problema che, ormai, sembrava destinato a non risolversi.

Le idee varate fino a quel momento non avevano, però, dato i risultati sperati, come insegnava la storia.

Probabilmente era proprio l’applicazione di queste idee che aveva, nei secoli, peggiorato la situazione del pianeta e ora, dopo tanti tentativi, si era arrivati alle attuali condizioni di vita.

Diana e la collega finirono di cambiarsi e salutarono velocemente, frettolose di lasciare il posto di lavoro.

Myla finì di indossare la divisa sterile per entrare in laboratorio, si sistemò la cuffia e premette il pollice sulla fotocellula per passare dalla camera di sterilizzazione.

Il macchinario riconobbe l’impronta e la fece entrare.

La donna si fermò nella camera pochi secondi, il tempo di essere investita dal gas sterilizzante, poi la porta del laboratorio si aprì davanti a lei.

I laboratori del panificio erano tutti simili; enormi stanze sterili, con pareti e pavimenti di nudo acciaio, lungo le pareti alti scaffali e, al centro, enormi banconi, sempre d’acciaio, dove lavorava il personale.

Quella settimana, durante il turno serale, Myla avrebbe dovuto lavorare in uno dei laboratori addetti al confezionamento ma, quel pomeriggio, aveva accettato di sostituire una collega per cui avrebbe lavorato nel laboratorio addetto all’impastamento.

Salutò i colleghi con un cenno e prese posto al bancone.

«Ciao – disse la donna al suo fianco – non doveva esserci Lora oggi pomeriggio?».

«Mi ha chiesto di sostituirla, ultimamente non si sente molto bene e ha preso un appuntamento con il medico per un controllo» .

Myla non amava il suo lavoro.

Lo faceva ormai da tanti anni e lo faceva bene, ma non lo amava.

Non lo amava perché le lasciava troppo tempo per pensare e soprattutto per ascoltare i propri pensieri o, peggio ancora, per sentire quando dentro la sua anima calava il silenzio.

Momenti in cui non sentiva più nulla e non si sentiva più, come se non appartenesse a se stessa oppure come se dentro di lei si fosse spento tutto, rumori, voci, pensieri, ogni cosa.