Jules
È strano sedersi a fare colazione ogni mattina con una te quindicenne. Non sa stare a tavola, come te, e come te alza gli occhi al cielo, quando glielo faccio notare. Si siede con i piedi incrociati sotto il sedere, le ginocchia ossute che spuntano dai lati, proprio come facevi tu. Ha la stessa espressione sognante quando si perde ad ascoltare la musica, o nei suoi pensieri. Non mi dà retta. È ostinata e irritante. Canta in continuazione, anche se è stonata, proprio come la mamma. Ha la risata di nostro padre. Mi bacia sulla guancia tutte le mattine, prima di andare a scuola.
Non posso farmi perdonare da te per i miei errori: il mio rifiuto di ascoltarti, l’ardore nel pensare il peggio di te, il non averti aiutata quando eri disperata, l’aver fallito nel provare almeno a volerti bene. Non potendo più fare niente per te, la mia espiazione dovrà essere un atto di maternità. Molti atti di maternità. Non sono riuscita a essere una sorella per te, ma proverò a essere una madre per tua figlia.
Nel mio piccolo e ordinato appartamento di Stoke Newington, lei porta lo scompiglio ogni giorno. Ci vuole un enorme sforzo di volontà per non farmi prendere dall’ansia e dal terrore di fronte al caos. Ma ci provo. Ricordo la versione temeraria di me stessa che era riemersa il giorno in cui avevo affrontato il padre di Lena; vorrei che quella donna ritornasse. Vorrei avere più di quella donna in me, più di te in me, più di Lena. (Quando Sean Townsend mi diede un passaggio a casa, il giorno del tuo funerale, mi disse che ero come te e io lo negai, sostenendo che ero il tuo esatto contrario. Ne ero orgogliosa. Ora non lo sono più.)
Cerco di godere della vita che ho con tua figlia, dal momento che è l’unica famiglia che ho e che avrò mai. Mi godo la sua presenza, e mi consolo con questo: l’uomo che ti ha uccisa morirà in prigione, tra non molto tempo. Sta pagando per ciò che ha fatto a sua moglie, a suo figlio e a te.