Jules

Di’ la verità, Julia… Non ti è piaciuto, almeno un po’?

Mi sono svegliata con la tua voce nella testa. Era metà pomeriggio. Di notte non riesco a dormire, la casa ondeggia come una nave e il rumore dell’acqua è assordante. Di giorno, invece, non è così male. In ogni caso, devo essermi addormentata perché mi sono svegliata con la tua voce nella testa, che mi chiedeva: Non ti è piaciuto, almeno un po’? Non ti è piaciuto oppure non ti sei divertita? O forse era: Lo volevi? Adesso non me lo ricordo. Ricordo soltanto di aver liberato la mia mano dalla tua e di averla alzata per colpirti, e l’espressione del tuo viso, stravolta.

Mi sono trascinata attraverso il corridoio fino al bagno e ho aperto il getto della doccia. Ero troppo stanca per svestirmi, così mi sono seduta lì, mentre la stanza si riempiva di vapore. Poi ho chiuso il rubinetto e mi sono avvicinata al lavandino per bagnarmi la faccia. Quando ho alzato lo sguardo, nella condensa ho visto apparire due lettere tracciate sulla superficie dello specchio: una L e una S. Mi sono spaventata così tanto che ho lanciato un grido.

Ho sentito la porta della camera di Lena che si apriva e poi lei che bussava a quella del bagno. «Cosa c’è? Che cosa succede? Julia?»

Le ho aperto, ero furibonda. «Cosa stai facendo?» le ho chiesto. «Cosa stai cercando di farmi?» Ho indicato lo specchio.

«Che cosa?» Sembrava infastidita. «Che cosa?»

«Lo sai benissimo, Lena. Non so cosa hai in mente, ma…»

Si è girata e se n’è andata. «Cristo, sei proprio fuori di testa

Sono rimasta lì a guardare le lettere per un po’. Non me l’ero sognato, erano proprio lì: LS. Era il tipo di cose che facevi tu, in continuazione: mi lasciavi messaggi spettrali sullo specchio oppure disegnavi piccoli pentacoli rossi sulla porta della mia camera con lo smalto per le unghie. Lasciavi in giro oggetti per spaventarmi. Ti piaceva mandarmi fuori di testa e dovevi averne parlato con lei. Doveva essere andata così, e lei stava facendo la stessa cosa.

Perché LS? Perché Libby Seeton? Perché questa ossessione per lei? Libby era un’innocente, una ragazza trascinata in acqua da uomini che odiavano le donne, che le incolpavano delle cose che loro stessi avevano fatto. Ma Lena credeva che tu ci fossi finita di tua volontà, e allora perché Libby? Perché LS?

Avvolta in un asciugamano, ho attraversato il corridoio a passi felpati, fino alla tua camera. Sembrava tranquilla, ma nell’aria c’era un aroma, qualcosa di dolce: non il tuo profumo, un altro. Qualcosa di stucchevole, forte, un odore di rose appassite. Il cassetto vicino al letto era chiuso e quando l’ho aperto tutto era come prima, tranne che per una cosa. L’accendino, quello sul quale avevi fatto incidere le iniziali di Libby, era sparito. Qualcuno era entrato nella stanza. Qualcuno l’aveva preso.

Sono tornata in bagno, mi sono sciacquata di nuovo la faccia e ho cancellato le lettere dallo specchio, e mentre lo facevo ti ho vista, in piedi alle mie spalle, la stessa, identica espressione sul viso, stravolta. Mi sono girata e Lena ha sollevato le mani, come per difendersi. «Gesù, Julia, calmati. Cosa ti è preso?»

Ho scosso la testa. «Io ho soltanto… ho soltanto…»

«Soltanto cosa?» Ha alzato gli occhi al cielo.

«Ho bisogno di prendere un po’ d’aria.»

Sui gradini dell’ingresso, tuttavia, per poco non mi sono messa a urlare di nuovo, perché c’erano delle donne – due di loro – vicino al cancello, vestite di nero e chine in avanti, intrecciate in una specie di abbraccio. Una delle due mi ha guardata. Era Louise Whittaker, la madre di Katie, la ragazza morta. Si è liberata dell’altra donna, continuando a parlare con voce rabbiosa.

«Lasciami! Lasciami stare! Stammi lontana!»

L’altra ha agitato la mano verso di lei, o forse verso di me, non ne ero sicura. Poi si è voltata e si è incamminata a passi lenti lungo la strada, zoppicando.

«Maledetta pazza» ha sbraitato Louise mentre si avvicinava alla casa. «Quella Sage è pericolosa. Mi ascolti, si tenga alla larga da lei. Non la faccia entrare in casa. È una bugiarda e una truffatrice, le interessano solo i soldi.» Si è fermata per riprendere fiato, fissandomi con sguardo torvo. «Be’, ha proprio un aspetto terribile, più o meno come il mio umore.» Ho aperto la bocca e l’ho richiusa. «Sua nipote è in casa?»

L’ho fatta entrare. «Vado ad avvisarla che è qui» le ho detto, ma Louise era già ai piedi delle scale e chiamava Lena. Poi è andata in cucina e si è seduta al tavolo ad aspettare.

Dopo un attimo Lena è arrivata. La sua tipica espressione tra l’altezzoso e l’annoiato, che mi faceva pensare a te, era scomparsa. Ha salutato Louise docilmente, anche se non sono certa che Louise se ne sia accorta perché guardava da un’altra parte, fissava il fiume, là fuori, o forse un punto oltre l’orizzonte.

Lena si è seduta al tavolo, ha sollevato le mani per annodarsi i capelli sulla nuca. Ha alzato un po’ il mento, come se si stesse preparando per qualcosa, per un colloquio. Per un interrogatorio. Mi ignoravano, quasi fossi invisibile, ma sono rimasta nella stanza. Ero in piedi appoggiata al bancone, in una posizione non rilassata ma con i talloni sollevati da terra, in caso ci fosse stato bisogno del mio intervento.

Louise ha sbattuto le palpebre, con lentezza, e alla fine il suo sguardo si è posato su Lena, che l’ha retto per un secondo, prima di mettersi a fissare il tavolo.

«Mi dispiace, signora Whittaker. Mi dispiace tantissimo.»

Louise non diceva niente. Le lacrime le rigavano il viso, il dolore spietato degli ultimi mesi aveva scavato solchi profondi.

«Mi dispiace tanto» ha ripetuto Lena. Anche lei piangeva, i capelli le si erano sciolti di nuovo, se li attorcigliava intorno alle dita, come una bambina.

«Mi domando» ha detto Louise, alla fine, «se un giorno saprai cosa si prova a scoprire che non sapevi nulla di tuo figlio.» Ha tirato un profondo sospiro, tremava. «Ho tutte le sue cose. I vestiti, i libri, la musica. Le fotografie che custodiva gelosamente. Conosco i suoi amici, le persone che ammirava, so cosa le piaceva. Ma questo non era lei. Perché io non sapevo di chi era innamorata. Aveva una vita, un’intera vita, di cui non sapevo nulla. La parte più importante di lei, io non la conoscevo.» Lena ha provato a parlare, ma Louise ha continuato. «Il fatto è, Lena, che tu avresti potuto aiutarmi. Avresti potuto parlarmene. Avresti potuto dirmelo subito, quando lo hai scoperto. Saresti potuta venire da me per dirmi che mia figlia era rimasta invischiata in qualcosa, in una cosa che non riusciva a controllare, qualcosa che tu sapevi, non potevi non saperlo, che avrebbe finito per farle del male.»

«Ma io non potevo… non potevo…» Di nuovo Lena provava a dire qualcosa, e di nuovo Louise non glielo permetteva.

«Anche se tu fossi stata abbastanza cieca o abbastanza stupida o abbastanza insensibile da non capire in quale guaio si era cacciata, avresti potuto comunque aiutarmi. Saresti potuta venire da me dopo la sua morte e dirmi che non era per qualcosa che avevo fatto o non avevo fatto io. “Non è colpa sua, non è colpa di suo marito.” Avresti potuto aiutarci a non impazzire. Ma non lo hai fatto. Hai scelto di non farlo. Per tutto questo tempo, tu non hai detto nulla. Per tutto questo tempo, tu… E poi, che è ancora peggio, hai permesso che lui…» La sua voce si è alzata e poi si è dissolta nell’aria, come fumo.

«La passasse liscia?» Lena ha completato la frase. Non piangeva più, e anche se aveva alzato il tono, la sua voce era ferma, non debole. «Sì. L’ho fatto, e sto male per questo. Sto male da morire, ma l’ho fatto per lei. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per Katie.»

«Non pronunciare il suo nome in mia presenza» ha sibilato Louise. «Non osare.»

«Katie, Katie, Katie!» Lena si è sporta in avanti sul tavolo, il suo viso a pochi centimetri dal naso di Louise. «Signora Whittaker,» è crollata di nuovo sulla sedia «io le volevo bene! Lei sa quanto le volevo bene… Ho fatto quello che lei voleva che facessi. Ho fatto quello che mi ha chiesto di fare.»

«Lena, non stava a te decidere di nascondere una cosa così importante a me, a sua madre…»

«No, non è stata una mia decisione, è stata sua! Lo so che lei ritiene di avere il diritto di sapere tutto, ma non è così. Katie non era una bambina, e nemmeno una ragazzina.»

«Era la mia bambina!» La voce di Louise era un lamento, un ululato. Mi sono accorta di essermi aggrappata al bancone, ed ero sul punto di piangere anch’io.

Lena ha ripreso a parlare, con un tono più dolce, supplichevole. «Katie aveva fatto una scelta. Aveva preso una decisione, e io l’ho rispettata.» Ha abbassato ancora di più la voce, come se sapesse di muoversi su un terreno insidioso. «E non sono la sola. Anche Josh l’ha fatto.»

Louise ha tirato indietro la mano e ha colpito Lena una sola volta, con forza, in pieno viso. Lo schiocco è risuonato, rimbombando sulle pareti. Ho fatto un balzo in avanti e ho afferrato Louise per un braccio. «No!» ho urlato. «Basta! Basta!» Ho cercato di farla alzare dalla sedia. «Adesso deve andarsene.»

«Lasciala stare!» ha gridato Lena. La guancia sinistra era in fiamme, ma l’espressione del suo volto era calma. «Julia, non ti immischiare. Può picchiarmi finché vuole. Può cavarmi gli occhi, strapparmi i capelli. Può farmi tutto quello che le passa per la testa. Tanto, ormai, che senso ha?»

Louise aveva la bocca aperta, sentivo il suo alito acre. L’ho lasciata andare.

«Josh non ha detto nulla per colpa tua» ha sibilato, pulendosi le labbra sporche di saliva. «Perché tu lo hai convinto a non parlare.»

«No, signora Whittaker.» La voce di Lena era perfettamente controllata, si è appoggiata il dorso della mano destra sulla guancia che bruciava. «Non è vero. Josh ha tenuto la bocca chiusa per Katie. Perché lei gli aveva chiesto di farlo. E, dopo, perché voleva proteggere lei e il suo papà. Pensava che vi avrebbe fatto troppo male. Scoprire che lei era stata…» Ha scosso la testa. «È piccolo, lui pensava che…»

«Non dirmi cosa pensava mio figlio» l’ha interrotta Louise. «Quali erano le sue intenzioni. Non farlo.» Si è portata una mano alla gola, un riflesso incondizionato. No, nessun riflesso: ha preso tra il pollice e l’indice il ciondolo a forma di uccellino che pendeva dalla catenina. «Questa…» Un sibilo più che una parola. «Non gliel’avevi regalata tu, vero?» Lena ha esitato per un attimo, poi ha scosso la testa. «Era un suo regalo. Non è così? Era stato lui a dargliela.» Louise ha spostato la sedia all’indietro strisciando i piedi sul pavimento. Si è alzata e, con un violento strattone, si è tolta la catenina e l’ha sbattuta sul tavolo, davanti a Lena. «È stato lui a darle questa roba, e tu hai lasciato che io la portassi al collo.»

Lena ha chiuso gli occhi per un attimo e ha scosso di nuovo la testa. La ragazzina docile e dispiaciuta che era entrata in cucina solo pochi minuti prima era sparita e al suo posto c’era una persona diversa, più grande, un’adulta di fronte alla bambina disperata e aggressiva in cui si era trasformata Louise. Di colpo mi è tornato in mente un ricordo nitidissimo di te, poco più giovane di Lena adesso, uno dei pochi in cui hai preso le mie difese. Un’insegnante, a scuola, mi aveva accusata di aver sottratto un oggetto che non mi apparteneva, e ricordo che tu l’avevi rimproverata. Eri stata molto diretta e controllata, non avevi alzato la voce mentre le dicevi che era sbagliato muovere accuse senza avere alcuna prova, e lei era intimidita dal tuo atteggiamento. Ricordo quanto mi fossi sentita orgogliosa di mia sorella, e in quel momento provavo la stessa sensazione, lo stesso calore nel petto.

Louise ha ripreso a parlare, a voce bassissima. «Allora spiegami questo» ha detto, rimettendosi a sedere, «visto che sai tutto. Visto che capisci tutto. Se Katie amava quell’uomo, e lui la ricambiava, allora perché? Perché ha compiuto quel… gesto? Che cosa le aveva fatto lui per spingerla a tanto?»

Lena si è girata verso di me. Sembrava spaventata, credo, o forse soltanto rassegnata, non ero in grado di interpretare la sua espressione. Mi ha guardata per un attimo, poi ha chiuso gli occhi, senza riuscire a trattenere qualche lacrima. Quando ha ripreso a parlare, la voce era più alta e più tesa di prima.

«Non è stato lui a spingerla a uccidersi. Non è stato lui.» Ha sospirato. «Io e Katie avevamo litigato» ha proseguito. «Volevo che lei chiudesse la storia, che smettesse di vederlo. Non pensavo che fosse una cosa giusta. Credevo che sarebbe finita nei guai. Io pensavo che…» Ha scosso la testa. «Io non volevo che continuasse a vederlo.»

Un lampo di comprensione ha attraversato il volto di Louise; aveva capito, in quel momento, e avevo capito anch’io.

«Tu l’hai minacciata» ho detto. «Di rivelare tutto.»

«Sì» ha risposto Lena, la voce appena percepibile. «L’ho fatto.»

Louise se n’è andata senza una parola. Lena era seduta, immobile, guardava il fiume, fuori dalla finestra, non piangeva e non parlava. Non sapevo cosa dire, come stabilire un contatto. Riconoscevo in lei qualcosa che avevo avuto anch’io, qualcosa che forse tutti possiedono a quell’età, una sorta di imperscrutabilità. Pensavo a quanto è strano che i genitori dichiarino di conoscere i propri figli, di capire i loro figli. Non se lo ricordano cosa significa avere diciotto anni, quindici o dodici? Forse quando hai un figlio dimentichi che sei stato figlio anche tu. Mi ricordo di te a diciassette anni, io ne avevo tredici, e sono certa che i nostri genitori ignoravano chi fossimo.

«Le ho mentito.» La voce di Lena ha interrotto il filo dei miei pensieri. Non si era mossa, continuava a guardare l’acqua.

«Mentito a chi? A Katie?» Ha scosso la testa. «A Louise? Hai mentito su cosa?»

«Non è necessario dirle la verità. Non adesso. Tanto vale che dia la colpa a me. Almeno io sono viva. Ha bisogno di un bersaglio per tutto quell’odio.»

«Lena, cosa dici? Di cosa stai parlando?»

Ha posato gli occhi verdi e freddi su di me, sembrava invecchiata. Mi guardava come mi avevi guardata tu, il mattino dopo avermi tirata fuori dall’acqua. Diversa, esausta. «Io non l’ho minacciata di rivelare il suo segreto. Non le avrei mai fatto una cosa del genere. Io le volevo bene. Nessuno di voi sembra capire cosa significhi, come se non sapeste affatto cosa vuol dire voler bene a qualcuno. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei.»

«Quindi, se non sei stata tu a minacciarla…»

Credo di aver capito la risposta prima ancora che lei parlasse. «È stata la mamma.»

Dentro l'acqua
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