Lena
Non c’era spazio per il senso di colpa. Tutto lo spazio era occupato dal sollievo, dal dolore, da quella strana leggerezza che provi quando ti risvegli da un incubo e ti rendi conto che non era reale. Ma in quel caso non era nemmeno così: l’incubo era ancora reale. La mamma non era tornata. Ma almeno non aveva scelto lei di andarsene. Non aveva scelto di abbandonarmi. Qualcuno se l’era presa, e saperlo mi era d’aiuto, perché significava che potevo fare qualcosa al riguardo, per lei e per me. Avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per assicurarmi che Helen Townsend pagasse.
Correvo lungo il sentiero che costeggiava il litorale, con il braccialetto della mamma chiuso intorno al polso. Ero terrorizzata che potesse scivolarmi tra gli scogli e finire in mare. Volevo mettermelo in bocca per tenerlo al sicuro, come fanno i coccodrilli con i loro piccoli.
Correre sul sentiero sdrucciolevole era pericoloso, perché sarei potuta cadere, ma al tempo stesso era sicuro: avevo una visuale ampia, in tutte le direzioni, quindi sapevo che non c’era nessuno alle mie spalle. Ovviamente, non c’era nessuno alle mie spalle. Non veniva nessuno.
Non veniva nessuno, a prendermi, ad aiutarmi. E non avevo con me il cellulare, non avevo idea se fosse rimasto a casa di Mark o nella sua auto o se lui lo avesse preso e buttato via, e comunque in quel momento non potevo chiederglielo, no?
Non avevo spazio per il senso di colpa. Dovevo concentrarmi. A chi potevo rivolgermi? Chi mi avrebbe aiutata?
Ho intravisto davanti a me alcuni edifici, e ho iniziato a correre più veloce, più che potevo. Mi sono convinta che avrei trovato qualcuno che avrebbe saputo cosa fare, qualcuno che avrebbe avuto tutte le risposte.