Jules
Quando hanno suonato alla porta, ero in cucina. Ho sbirciato fuori e ho visto l’ispettore Townsend fermo sulle scale, con lo sguardo rivolto alla finestra del primo piano. Lena è stata più veloce di me ad aprire. «Ciao, Sean.»
L’uomo è entrato sfiorando il corpo esile di Lena e notando (non poteva essere altrimenti) i pantaloncini di jeans e la maglietta dei Rolling Stones col logo della lingua. Gli ho stretto la mano. Era asciutta, ma la sua pelle aveva un pallore malsano, e sotto gli occhi aveva delle occhiaie profonde. Lena teneva la testa bassa, poi si è messa le dita in bocca e ha iniziato a mordicchiarsi un’unghia.
Siamo entrati in cucina e ci siamo seduti al tavolo, mentre lei è rimasta in piedi, appoggiata al bancone. Ha incrociato le gambe, ma era nervosa e cambiava continuamente posizione.
Townsend non la guardava neanche. Ha tossito e si è sfregato le mani. «L’esame autoptico è stato completato» ha annunciato, a voce bassa. Ha alzato lo sguardo su Lena, poi su di me. «Nel è morta a causa della caduta. Non ci sono prove della presenza di altre persone sul luogo. Aveva bevuto.» La sua voce si è ridotta a un sussurro. «Abbastanza da essere malferma sulle gambe e inciampare.»
Lena ha avuto un sussulto. L’ispettore si fissava le mani, intrecciate e appoggiate al tavolo.
«Ma… Nel conosceva perfettamente il sentiero, ed era agile. E poi reggeva bene l’alcol, poteva scolarsi anche una bottiglia di vino…» ho replicato.
Lui ha annuito. «Forse sì, ma di notte, lassù…»
«Non è stato un incidente!» ha esclamato Lena.
«Non si è buttata» ho obiettato.
Lena mi ha guardata in tralice. «E tu che ne sai?» Poi si è rivolta all’ispettore. «Vi ha mentito, sai? Non è vero che non era in contatto con mia madre. La mamma ha provato a telefonarle un sacco di volte. Lei non ha mai risposto, non ha mai richiamato, non ha…» Si è interrotta ed è tornata a guardarmi. «Lei è… Ma che diavolo sei venuta a fare? Non ti voglio qui!» È uscita dalla cucina come una furia. Dopo qualche istante, abbiamo sentito sbattere la porta della sua stanza.
Io e l’ispettore Townsend siamo rimasti seduti in silenzio. Aspettavo che mi chiedesse spiegazioni sulle telefonate, ma continuava a tacere. Aveva gli occhi socchiusi, il volto inespressivo.
«Non le sembra strano che Lena sia così convinta che Nel l’abbia fatto di proposito?» gli ho chiesto.
Lui mi ha guardata, con la testa leggermente piegata di lato, ma non ha risposto.
«Avete qualche sospetto? Voglio dire… mi sembra che qui in città nessuno sia affranto per la sua morte.»
«E lei?» ha replicato, in tono neutro.
«Che razza di domanda è?» Mi sono sentita avvampare. Sapevo cosa stava per dire.
«Signora Abbott… Julia…»
«Mi chiamo Jules.» Cercavo di prendere tempo, di posticipare l’inevitabile.
«Jules.» Si è schiarito la voce. «Lena ha ragione. Sebbene lei abbia dichiarato di non avere contatti con sua sorella da molti anni, il traffico telefonico rivela che negli ultimi tre mesi Nel ha chiamato il suo numero undici volte.» Ero rossa per la vergogna, cercavo di non guardarlo in faccia. «Undici telefonate. Perché ci ha mentito?»
(Lei mente sempre, avevi sussurrato cupamente. Sempre. Non fa altro che dire bugie.)
«Non ho mentito. Noi non ci parlavamo. Come ha detto Lena, io non ho mai risposto a quelle telefonate, né l’ho richiamata quando mi lasciava dei messaggi in segreteria. Quindi non vi ho mentito.» La mia difesa era molto debole, non riuscivo a suonare convincente neppure alle mie stesse orecchie. «Non può chiedermi il motivo del mio comportamento, perché non mi va di spiegarlo a un estraneo. Io e Nel avevamo delle questioni irrisolte da molti anni, ma non hanno niente a che vedere con questa storia.»
«Come può esserne certa? Come può escluderlo, se non vi parlavate da anni?»
«Io…» Ho indicato il mio cellulare. «Lo prenda e ascolti.» Mi tremavano le mani. Quando ha afferrato il telefono, ho notato che tremava anche lui. Ha ascoltato il tuo ultimo messaggio.
«Perché non l’ha richiamata?» Il suo volto mostrava delusione. «Sembrava sconvolta, non le pare?»
«No, io… Non lo so. Lei era così: a volte era allegra, poi triste, o arrabbiata, in più di un’occasione era ubriaca… Non significa nulla. Lei non la conosce.»
«Le altre telefonate… Ha salvato i messaggi?» Il suo tono era più duro.
Ne avevo alcuni. Li ha ascoltati stringendo con forza il telefonino. Poi me lo ha restituito.
«Non li cancelli. Probabilmente sarà necessario ascoltarli di nuovo.» Ha spostato la sedia e si è alzato, io l’ho seguito nel corridoio.
Davanti alla porta, si è voltato a guardarmi. «Devo dirle che trovo molto strano che lei non le abbia risposto. Che non abbia fatto nulla per scoprire perché sua sorella avesse tanta urgenza di parlarle.»
«Ho pensato che volesse soltanto attirare la mia attenzione» mi sono limitata a dire. E lui se n’è andato senza aggiungere altro.
Mi è tornato in mente solo qualche istante dopo, quando lui si era già chiuso la porta alle spalle. L’ho rincorso.
«Ispettore! C’era un braccialetto, apparteneva a mia madre, lo portava Nel. Lo avete trovato?»
Lui ha scosso la testa. «No, non abbiamo trovato nulla. Lena ha dichiarato al sergente Morgan che Nel lo indossava spesso, ma non tutti i giorni. Però,» continuò abbassando lo sguardo, «immagino che lei non potesse saperlo.» Ha lanciato un’occhiata alla casa, poi è salito in macchina ed è uscito dal vialetto.