Sean

Mi ha svegliato la voce di una donna, un suono lontano, disperato. Pensavo di averlo sognato, ma poi ho sentito i colpi, pesanti e vicini, importuni quanto reali. C’era qualcuno alla porta.

Mi sono vestito in fretta e sono corso giù per le scale, lanciando un’occhiata all’orologio della cucina. Era da poco passata la mezzanotte, non potevo aver dormito per più di mezz’ora. I colpi alla porta continuavano e una voce femminile mi chiamava per nome. Una voce che conoscevo, ma che non riuscivo ad associare a un volto. Poi ho aperto.

«Lo vedi questo?» mi ha urlato contro Louise Whittaker, agitatissima e rossa in volto. «Te l’avevo detto, Sean! Lo sapevo che c’era sotto qualcosa!» Questo era un flaconcino di plastica arancione, di quelli in cui ti vendono i farmaci dietro prescrizione medica, e che hanno sul lato un’etichetta con un nome. Danielle Abbott. «Te l’avevo detto!» ha ripetuto, poi è scoppiata a piangere. L’ho fatta entrare, ma era troppo tardi. Prima di chiudere la porta della cucina, dalla finestra ho visto accendersi la luce della camera da letto di mio padre, al piano superiore della sua casa.

Ci ho messo un po’ a capire quello che Louise mi stava dicendo. Era isterica, le sue parole si affastellavano l’una sull’altra, sconnesse. Ho dovuto tirarle fuori le informazioni pian piano, una frase per volta, tra i singhiozzi e la rabbia. A quanto pareva, si erano finalmente decisi a mettere in vendita la casa. Prima che iniziassero le visite, Louise voleva svuotare la camera di Katie. Non le piaceva l’idea che degli sconosciuti vedessero e toccassero le sue cose. Aveva cominciato quel pomeriggio. Mentre ripiegava i vestiti di Katie, aveva trovato il flacone arancione. Stava sfilando dall’appendiabiti una giacca, quella verde, una delle sue preferite. Aveva sentito un rumore strano. Aveva messo la mano nella tasca e aveva scoperto le pillole. Era sconvolta, a maggior ragione quando ci aveva letto sopra il nome di Nel. Non aveva mai sentito parlare di quel farmaco, Rimato, ma lo aveva cercato su internet: era una specie di pillola dimagrante. Il farmaco non è distribuito legalmente nel Regno Unito. Alcuni studi condotti negli Stati Uniti suggeriscono un legame tra il suo utilizzo e l’insorgere di depressione e pensieri suicidi.

«Non ve ne siete accorti!» ha gridato. «Mi avete detto di non aver trovato niente nel suo sangue! E mi avete assicurato che Nel Abbott non c’entrava. Eppure…» Ha battuto il pugno sul tavolo facendo saltare per aria il flacone. «Eppure, forniva medicinali a mia figlia, medicinali pericolosi! E voi non le avete fatto nulla!»

Era strano, ma mentre lei continuava a urlarmi quelle cose, attaccandomi, io mi sono sentito sollevato. Adesso c’era un motivo. Se Nel aveva davvero procurato farmaci a Katie, finalmente avremmo potuto chiarire quanto era successo. Avremmo potuto spiegare perché una ragazza brillante e felice aveva perso la vita. Perché due donne avevano perso la vita.

Era consolante, ma era una menzogna. Io lo sapevo. «Louise, gli esami tossicologici erano negativi. Non so per quanto tempo questo… questo Rimato lasci tracce nell’organismo. Non sappiamo neppure se le pillole in quel flacone sono davvero di Rimato o di un altro farmaco, ma…» Mi sono alzato, ho preso un sacchetto di plastica dal cassetto e l’ho passato a Louise. Lei ha raccolto il flacone e lo ha infilato nel sacchetto. L’ho sigillato. «Ma possiamo scoprirlo.»

«E a quel punto sapremo la verità» ha replicato lei, con la voce rotta.

In realtà non avremmo saputo un bel niente. Anche se ci fossero state tracce di un farmaco nel corpo di Katie, anche se ci fosse sfuggito qualcosa, non avremmo potuto trarre conclusioni definitive.

«Lo so che è tardi,» stava dicendo Louise «ma io voglio che si sappia. Voglio che tutti sappiano quello che ha fatto Nel Abbott. Cristo, forse ha procurato delle pillole anche ad altre ragazze… Devi parlarne con tua moglie: lei è la preside, dovrebbe essere informata del fatto che qualcuno vende questa merda nella sua scuola! Dovete perquisire gli armadietti, bisogna…»

«Louise…» Mi sono seduto accanto a lei. «Louise, calmati. Faremo le verifiche necessarie, te lo garantisco, ma non abbiamo modo di sapere come ha fatto Katie a entrare in possesso di questo flacone. Nel Abbott potrebbe aver comprato il farmaco per uso personale…»

«E con questo? Cosa stai cercando di dire? Che Katie l’ha rubato? Sean, come puoi pensare una cosa del genere? Tu la conoscevi…»

La porta della cucina ha strusciato contro il pavimento – si era gonfiata a causa dell’umidità –, poi si è aperta. Era Helen, appena entrata in casa, con indosso i pantaloni della tuta e una maglietta, i capelli in disordine. «Cosa c’è? Louise, che succede?»

Louise ha scosso la testa, senza rispondere. Si è coperta la faccia con le mani.

Mi sono alzato e mi sono avvicinato a Helen. «Torna a letto, non c’è niente di cui preoccuparsi» le ho spiegato, a voce bassa.

«Ma…»

«Ho bisogno di parlare con Louise ancora per qualche minuto. È tutto okay. Va’ di sopra.»

«Come vuoi» ha replicato lei, guardando la donna che singhiozzava piano, seduta al tavolo della nostra cucina. «Se lo dici tu…»

«Sì, vai.»

Helen è uscita dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Louise si è asciugata gli occhi. Mi guardava in modo strano, probabilmente si stava chiedendo da dove venisse Helen. Avrei potuto spiegarglielo: lei dorme male, anche mio padre soffre d’insonnia, a volte si tengono compagnia durante la notte, ascoltano la radio o fanno le parole crociate. Avrei potuto dirglielo, ma di colpo il solo pensiero di farlo mi ha messo addosso una stanchezza invincibile. Così le ho detto: «Louise, io non credo che Katie abbia rubato qualcosa. Certo che no. Ma potrebbe… non so, potrebbe aver preso le pillole distrattamente. Forse era curiosa. Hai detto che le hai trovate nella tasca di una giacca? Magari le ha prese e poi se n’è dimenticata».

«Mia figlia non prendeva le cose a casa degli altri» ha replicato in tono secco, e io ho annuito. Era inutile insistere.

«Farò una verifica, domattina appena arrivo in ufficio. Manderò le pillole in laboratorio e ripeteremo gli esami del sangue di Katie. Ma se anche avessimo trascurato qualcosa, Louise…»

Ha scosso la testa. «Lo so, non cambierebbe nulla. So bene che nulla me la riporterà indietro» ha detto, un po’ più tranquilla. «Però aiuterebbe me. A capire.»

«Certo, lo so. Vuoi che ti riaccompagni a casa?» le ho chiesto. «Posso farti riportare la macchina domattina.»

Ha scosso di nuovo la testa e si è sforzata di farmi un sorriso. «Sto bene, grazie.»

L’eco del suo «grazie», ingiustificato e immeritato, è risuonato nel silenzio dopo che se n’è andata. Mi sentivo uno schifo, ma poi ho udito i passi di Helen sulle scale: per fortuna era rimasta.

«Cosa succede?» mi ha chiesto, entrando in cucina. Sembrava pallida e stanchissima, con dei cerchi simili a lividi sotto gli occhi. Si è seduta al tavolo e mi ha preso la mano. «Che ci faceva qui Louise?»

«Ha trovato qualcosa» le ho risposto. «E pensa che possa essere collegato al gesto di Katie.»

«Oh Dio, Sean! Di che si tratta?»

Ho sbuffato. «Non dovrei… forse non dovrei parlarne nel dettaglio.» Lei ha annuito e mi ha stretto la mano. «Comunque, posso chiederti quando è stata l’ultima volta che hai confiscato droga a scuola?»

Helen ha aggrottato la fronte. «Be’, quel poco di buono di Iain Watson è stato trovato con un po’ di marijuana alla fine del semestre, ma prima di allora… direi nulla, per molto tempo. Dobbiamo risalire a marzo, credo, a quella faccenda con Liam Markham.»

«Erano pasticche, vero?»

«Sì, ecstasy, o qualcosa che ne aveva tutta l’aria, e flunitrazepam. È stato espulso.»

Ricordavo vagamente l’episodio, anche se di solito non mi occupavo di quel genere di cose. «E poi basta? Non hai mai trovato pillole dimagranti?»

Ha sollevato un sopracciglio. «No, niente di illegale, comunque. Alcune ragazze prendono quelle pillole azzurre… Come si chiamano? Alli, mi sembra. Si comprano senza ricetta, anche se non credo che possano essere vendute ai minorenni.» Ha arricciato il naso. «Provocano flatulenze tremende… ma a quanto pare è un prezzo accettabile per avere un bel thigh gap

«Un cosa?»

Helen ha alzato gli occhi al cielo. «Lo spazio tra le cosce! Vogliono avere le gambe così magre che le cosce non si toccano. Davvero, Sean, a volte penso che tu viva su un altro pianeta.» Mi ha stretto di nuovo la mano. «E ogni tanto vorrei trasferirmici anch’io!»

Siamo saliti insieme, nella nostra camera, per la prima volta da molto tempo, ma non sono riuscito a sfiorarla nemmeno con un dito. Non dopo quello che avevo fatto.

Dentro l'acqua
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