Nickie
Nickie fece come lei e sua sorella si erano dette, andò a parlare con Lena Abbott. Faceva meno caldo, un accenno di autunno anticipato, così si avvolse in una giacca nera, infilò i fogli nella tasca interna e si avviò al mulino. Quando arrivò, però, scoprì che non era da sola, e lei non aveva voglia di vedere nessuno. Soprattutto dopo quello che aveva detto la Whittaker, che a lei interessavano soltanto i soldi e sfruttare la sofferenza altrui. Era stata profondamente ingiusta. Non era mai stata sua intenzione… Se solo la gente ascoltasse. Rimase un po’ là fuori, a guardare, ma le facevano male le gambe, aveva la testa piena di brusii, così si voltò e si incamminò verso casa sua. C’erano giorni in cui si sentiva la sua età, in certi altri, invece, si sentiva quella di sua madre.
Non aveva la forza di affrontare quella giornata, la battaglia che aveva davanti. Tornata nella sua stanza, si appisolò sulla poltrona, e quando si svegliò pensò di aver visto Lena dirigersi verso il fiume, ma forse era stato un sogno, o una premonizione. In seguito, molto più tardi, nel buio, la vide con chiarezza, la ragazza che attraversava la piazza come un fantasma, un fantasma con una meta, per come andava spedita. Nickie sentì lo spostamento d’aria al suo passaggio, l’energia che si sprigionava dal suo corpo, che arrivava fin lassù nella sua stanzetta buia, la sollevava e le strappava qualche anno di dosso. Quella ragazza aveva una missione da compiere. Quella ragazza aveva il fuoco dentro, era una ragazza pericolosa. Di quelle a cui è meglio non mettere i bastoni tra le ruote.
Vedendo Lena in quello stato, Nickie ricordò se stessa alla sua età; le venne voglia di alzarsi in piedi e ballare, di ululare alla luna. Be’, forse era un po’ vecchia per le danze, ma, dolore o non dolore, decise che quella notte sarebbe andata giù al fiume. Voleva sentirle vicine, tutte le donne che portano guai, tutte le ragazze che portano guai, pericolose e piene di vita. Voleva sentirle, immergersi nel loro spirito.
Prese quattro aspirine e afferrò il bastone, poi scese pian piano le scale, con cautela, uscì dalla porta sul retro e si infilò nella viuzza dietro i negozi. Attraversò la piazza zoppicando, diretta al ponte.
Le sembrò di metterci molto. Ci metteva molto a fare qualsiasi cosa, ormai. Quando sei giovane nessuno ti avverte, nessuno ti dice che diventerai così lento, e che tu stesso sarai infastidito dalla tua lentezza. In realtà, probabilmente lei avrebbe dovuto prevederlo, pensò, e rise tra sé, nel buio.
Nickie ricordava gli anni in cui era lesta, un levriero. In quel periodo, anni addietro, lei e la sorella facevano le corse vicino al fiume, risalendolo. Sfrecciavano, con la gonna che finiva per infilarsi nelle mutandine, sentendo ogni sasso e ogni crepa del terreno sotto le suole delle scarpe da ginnastica di tela. Erano inarrestabili, loro due. In seguito, molto tempo dopo, più vecchie e un po’ più lente, si incontravano nello stesso posto, a monte del fiume, e passeggiavano insieme, a volte per chilometri, spesso in silenzio.
Era stato durante una di quelle camminate che avevano visto Lauren, seduta sui gradini del cottage di Anne Ward, con una sigaretta in mano e la testa appoggiata alla porta. Jeannie aveva gridato per richiamare la sua attenzione, e quando si era voltata verso di loro le sorelle avevano visto che aveva la guancia rossa come il cielo al tramonto. «È un diavolo, il suo uomo» aveva commentato Jeannie.
Come si suol dire, parli del diavolo e spuntano le corna. Mentre Nickie era lì, a ricordare la sorella, con i gomiti appoggiati sulla pietra fredda del ponte e il mento tra le mani, gli occhi fissi sull’acqua, lo aveva sentito. Lo aveva sentito prima di vederlo. Non aveva pronunciato il suo nome, ma forse il bisbiglio di Jeannie lo aveva evocato, il Satana della città. Nickie aveva girato la testa e lui era lì, camminava verso di lei dal lato orientale del ponte, il bastone in una mano, una sigaretta nell’altra. Nickie sputò a terra, come faceva sempre, e pronunciò la sua invocazione.
Di solito si limitava a quel gesto, ma quella sera – chissà perché, forse sentiva lo spirito di Lena, o di Libby, o di Anne o di Jeannie – lo sfidò. «Non manca molto, ormai» disse.
Patrick si fermò. La guardò come se fosse sorpreso di vederla. «Che cosa?» ringhiò. «Cos’hai detto?»
«Ho detto che non manca molto, ormai.»
Patrick mosse un passo verso di lei, e Nickie sentì lo spirito risollevarsi, furibondo, salire dalla pancia al petto e arrivare alla bocca. «Negli ultimi tempi mi parlano.»
Patrick fece un gesto con la mano, come per scacciarla, e farfugliò qualcosa che lei non capì. Continuava a camminare, ma lo spirito non voleva starsene zitto. Gridò: «Mia sorella! Tua moglie! Anche Nel Abbott! Tutte loro parlano con me. E lei aveva capito che razza di persona sei, vero? Nel Abbott?».
«Piantala, vecchia pazza!» sbraitò Patrick. Fece per avvicinarsi, soltanto una finta, e Nickie sobbalzò. Lui scoppiò a ridere e si voltò di nuovo. «La prossima volta che la senti,» urlò, dandole le spalle, «saluta tua sorella da parte mia.»