Helen
Mentre andava al supermercato, Helen superò Josh Whittaker in bicicletta. Era bagnato fradicio e aveva del fango sui vestiti; lei rallentò e abbassò il finestrino.
«Tutto bene?» urlò e lui la salutò con la mano e le mostrò i denti: un goffo tentativo di sorriso, pensò lei. Continuò a guidare lentamente, guardandolo dallo specchietto retrovisore. Josh pedalava tranquillo, girava il manubrio a destra e sinistra, e ogni tanto si alzava sui pedali per lanciare un’occhiata alle sue spalle.
Era sempre stato un ragazzino un po’ strano, e la recente tragedia aveva esacerbato la cosa. Patrick lo aveva portato a pescare un paio di volte, dopo la morte di Katie; era un favore che faceva a Louise e Alec, per concedere loro un po’ di tempo per stare da soli. Erano rimasti al fiume per ore, aveva detto Patrick, e il ragazzino aveva spiccicato sì e no un paio di parole.
«Dovrebbero portarlo via da qui» aveva riflettuto il suocero. «Dovrebbero andarsene.»
«Tu non lo hai fatto» aveva replicato lei con dolcezza, e lui aveva annuito.
«Era diverso» aveva detto. «Io dovevo rimanere. Avevo qualcosa di cui occuparmi.»
Dopo la pensione, lui era rimasto per loro: per lei e per Sean. Non per loro, ma per stare vicino a loro, perché erano tutto ciò che aveva: loro, la casa, il fiume. Però il suo tempo era agli sgoccioli. Nessuno ne parlava, perché in quella famiglia funzionava così, ma Patrick non stava bene.
Helen lo sentiva tossire di notte, in continuazione, la mattina vedeva quanto fosse doloroso per lui muoversi. La cosa peggiore, per lei, era sapere che non si trattava di un malessere soltanto fisico. Era sempre stato un uomo così sveglio, invece adesso si dimenticava le cose, a volte era confuso. Prendeva la macchina di Helen e poi non ricordava dove l’aveva lasciata, a volte gliela riportava piena di spazzatura, come era successo qualche giorno prima. Era immondizia trovata chissà dove? Ninnoli che aveva preso da qualche parte? Trofei? Lei non aveva chiesto, non voleva saperlo. Era preoccupata per lui.
Era preoccupata anche per se stessa, a dirla tutta. Negli ultimi tempi si sentiva svagata, distratta, irragionevole. A volte pensava di stare impazzendo. Di essere vicina a perdere il controllo.
Non era da lei. Helen era pratica, razionale, risoluta. Valutava le alternative con attenzione e poi agiva. Suo suocero diceva che era dominata dall’emisfero sinistro. Ma ultimamente non era più in sé. Gli eventi dell’anno precedente l’avevano scombussolata e allontanata dalla retta via. Ora si ritrovava a dubitare di aspetti della sua vita che mai aveva creduto di poter mettere in discussione: il suo matrimonio, la vita familiare, persino le sue capacità professionali.
Era iniziato con Sean. Prima i suoi sospetti e poi, attraverso Patrick, la terribile conferma. L’autunno precedente aveva scoperto che suo marito, quel marito solido, affidabile, di sani principi, non era affatto quello che pensava che fosse. Si era sentita completamente persa. La razionalità e la determinazione l’avevano abbandonata. Cosa avrebbe dovuto fare? Andarsene? Lasciare quella casa e sottrarsi alle sue responsabilità? Dargli un ultimatum? Piangere, supplicarlo? Avrebbe dovuto punirlo? E come? Bucando le sue camicie preferite, sfasciando le sue canne da pesca, bruciando i suoi libri in cortile?
Tutte queste cose sembravano inattuabili, dissennate o semplicemente ridicole, così aveva chiesto consiglio a Patrick. Lui l’aveva convinta a rimanere. Le aveva assicurato che Sean aveva ritrovato la ragione, che era pentito della sua infedeltà e che si sarebbe impegnato per ottenere il suo perdono. «Nel frattempo,» aveva detto «lui capirebbe, entrambi capiremmo, se tu volessi stare nella stanza degli ospiti, qui da me. Ti farebbe bene avere più tempo per te, e sono certo che a lui gioverebbe avere un piccolo assaggio di ciò che potrebbe perdere.» Quasi un anno dopo, lei dormiva ancora a casa di suo suocero, quasi tutte le notti.
L’“errore” di Sean, come lo chiamavano loro, era stato soltanto l’inizio. Dopo essersi trasferita a casa di Patrick, Helen si era scoperta afflitta da un’insonnia tremenda: una veglia d’inferno, debilitante, ansiogena. Di cui, aveva appreso, soffriva anche il suocero. Anche lui non riusciva a dormire, era così da anni, le aveva detto. E allora rimanevano svegli insieme: leggevano, facevano le parole crociate, se ne stavano seduti tranquilli in silenzio.
Ogni tanto, se Patrick beveva un goccetto di whisky, gli piaceva parlare. Della sua vita da poliziotto, di com’era la città. A volte le raccontava cose che la turbavano. Storie del fiume, vecchie chiacchiere, brutte vicende sepolte da tanto tempo e adesso rivangate e rivitalizzate, diffuse come verità da Nel Abbott. Storie della loro famiglia, fatti dolorosi. Bugie, falsità calunniose, ovvio. Che altro potevano essere? Patrick diceva che non l’avrebbe querelata, non si sarebbe rivolto al tribunale. «Le sue menzogne non vedranno la luce del giorno. Ci penserò io» le aveva promesso.
Però il problema non era quello. Il problema, diceva Patrick, era il danno che aveva già fatto: a Sean, alla famiglia. «Pensi davvero che si sarebbe comportato in quel modo se non fosse stato per lei, se non gli avesse riempito la testa con quelle storie, facendolo dubitare di se stesso, del mondo a cui appartiene? È cambiato, vero, tesoro? Ed è soltanto colpa di quella donna.» Helen temeva che Patrick avesse ragione, e che le cose non sarebbero mai tornate com’erano, ma lui le assicurava che sarebbe successo. Ci avrebbe pensato lui. Le stringeva la mano, la ringraziava per averlo ascoltato, le dava un bacio sulla fronte e diceva: «Sei proprio una brava ragazza».
Le cose erano andate meglio, per un po’. Poi erano peggiorate. Perché proprio quando Helen aveva ripreso a dormire più di due ore per notte, proprio quando si era sorpresa a sorridere a Sean come in passato, proprio quando aveva sentito che la sua famiglia stava ritornando al vecchio, rassicurante equilibrio, Katie Whittaker era morta.
Una delle ragazze più popolari della scuola, una studentessa diligente e educata, una ragazza senza problemi: era stato sconvolgente, inspiegabile. Ed era colpa sua. Lei aveva deluso Katie Whittaker. Tutti lo avevano fatto: i genitori, gli insegnanti, l’intera comunità. Non si erano accorti che Katie aveva bisogno di aiuto, che non era felice. Mentre Helen era angosciata dai suoi problemi familiari, confusa dall’insonnia e tormentata dai dubbi sulle proprie capacità, aveva fallito in uno dei suoi compiti.
Quando arrivò al supermercato, la pioggia era cessata. Il sole era tornato e il vapore si alzava dall’asfalto, portando con sé l’odore della terra. Helen frugò nella borsa alla ricerca della lista: doveva comprare un arrosto di manzo per cena, verdure, legumi. In casa servivano olio d’oliva, caffè e detersivo in pastiglie per la lavatrice.
Mentre era nella corsia dei cibi in scatola, cercando la marca di polpa di pomodoro che considerava più buona, vide una donna avvicinarsi, e si accorse con terrore che era Louise.
Camminava verso di lei, con lo sguardo assente, e spingeva un carrello enorme, quasi vuoto. Helen fu presa dal panico e scappò fuori, abbandonando la spesa e precipitandosi nel parcheggio, dove si nascose in macchina finché non vide l’auto di Louise passarle di fianco e immettersi in strada.
Si vergognava e si sentiva stupida: non era da lei. Un anno prima non si sarebbe comportata in maniera così disdicevole. Avrebbe parlato con Louise, le avrebbe stretto la mano e le avrebbe chiesto come stavano il marito e il figlio. Si sarebbe comportata con dignità.
Helen non era in sé. Come spiegare altrimenti le cose che aveva pensato negli ultimi tempi, il modo in cui aveva agito? Il senso di colpa, il dubbio la stavano corrodendo, cambiando, trasformando. Non era più la stessa. Le sembrava di scivolare, di strisciare come un serpente, squamandosi, e non le piaceva la carne viva che intravedeva sotto la pelle, non le piaceva il suo odore. La faceva sentire vulnerabile, le faceva paura.