Erin
Il tizio peloso della Scientifica ci ha messo cinque minuti a trovare la ricevuta dell’acquisto delle pillole dimagranti: era finita nello spam della posta elettronica di Nel Abbott. Secondo lui, le aveva comprate soltanto una volta, a meno che non avesse un altro account email che non usava più.
«Una roba strana, no?» ha commentato uno degli agenti più anziani di cui non avevo ancora imparato il nome. «Era così magra! Non pensavo che avesse bisogno di queste pillole. La sorella, lei sì che era grassa.»
«Jules? Ma non è grassa!» ho obiettato.
«Adesso no, ma avresti dovuto vederla da ragazza.» È scoppiato a ridere. «Sembrava una mongolfiera!»
Un fottuto gentleman.
Da quando Sean mi ha parlato delle pillole, mi sono messa a lavorare di brutto sul caso di Katie Whittaker. Apparentemente, era tutto molto semplice, anche se, come spesso succede, la domanda Perché? era rimasta senza risposta. I genitori non avevano sospettato nulla. Gli insegnanti avevano dichiarato che forse era un pochino più distratta del solito, ma niente di preoccupante. Le analisi del sangue erano pulite. Non aveva mai tentato di farsi del male.
L’unica stranezza – neanche più di tanto – era la rottura con la sua migliore amica, Lena Abbott. Alcune compagne di classe avevano riferito che le due avevano litigato per qualcosa. La madre di Katie, Louise, aveva confermato che negli ultimi tempi si erano viste meno, ma non le risultava che avessero bisticciato. In quel caso, era certa che la figlia glielo avrebbe confidato. Era già capitato che avessero degli screzi – è normale tra ragazze di quell’età – ma Katie si era sempre confrontata con la mamma. E in quelle occasioni le due amiche avevano sempre finito per abbracciarsi e fare la pace. Una volta, Lena si era sentita così in colpa che aveva regalato a Katie una collana.
Le compagne – Tanya qualcosa ed Ellie qualcos’altro – avevano detto che invece era successo qualcosa di grave, ma ignoravano di cosa di trattasse. Sapevano solo che, un mese prima della morte di Katie, lei e Lena avevano avuto una “lite feroce”, tanto che un insegnante era dovuto intervenire a separarle. Lena aveva negato, accusando Tanya ed Ellie di avercela con lei e di volerla mettere nei guai. Louise non ne sapeva nulla e Mark Henderson, il professore coinvolto, aveva detto che non si era trattato di una vera lite. Aveva spiegato che si stavano picchiando per finta. Per gioco. Ma siccome stavano facendo una gran confusione, lui le aveva richiamate all’ordine. Tutto qui.
Avevo saltato quella parte quando avevo letto il fascicolo la prima volta, ma ora continuava a richiamare la mia attenzione. C’era qualcosa che non tornava. Davvero le adolescenti si picchiano per divertimento? Sembra una cosa da maschi. Ma forse ho introiettato più pregiudizi sessisti di quanto non pensi. Però, guardando le foto delle due ragazze – carine, posate e, soprattutto Katie, così femminili –, la cosa non mi convince: non me le vedo proprio.
Quando ho parcheggiato davanti al mulino, ho sentito un rumore e ho alzato lo sguardo. Lena era affacciata a una delle finestre del piano di sopra, con una sigaretta in mano.
«Ciao, Lena!» l’ho salutata. Lei non ha risposto, ma, del tutto intenzionalmente, ha spento la sigaretta e ha lanciato il mozzicone nella mia direzione. Poi ha fatto un passo indietro e ha chiuso la finestra. Non me la bevo la storia del gioco: secondo me, quando Lena Abbott picchia, picchia sul serio.
Jules mi ha fatto entrare, lanciando però un’occhiata nervosa alle mie spalle.
«Va tutto bene?» le ho chiesto. Era in disordine, pallida, con i capelli sporchi e gli occhi gonfi.
«Non riesco a dormire» ha risposto con un filo di voce. «Sembra che per me sia diventato impossibile prendere sonno.»
È andata in cucina, ha acceso il bollitore e si è seduta al tavolo. Mi ha ricordato mia sorella, tre settimane dopo aver partorito i gemelli: aveva a stento la forza di tener su la testa.
«Forse è il caso che vada da un medico e si faccia prescrivere qualcosa» ho suggerito, ma lei ha scosso il capo.
«Non voglio dormire troppo profondamente.» Ha spalancato gli occhi, un’espressione da pazza in viso. «Devo essere vigile.»
Avrei voluto dirle che avevo visto persone in coma che sembravano più vigili di lei, ma mi sono trattenuta.
«Dunque, questo Robbie Cannon di cui ci ha parlato…» Lei è trasalita e ha iniziato a mordicchiarsi un’unghia. «Abbiamo fatto qualche verifica. Aveva ragione, è un tipo violento: tra le altre cose, si è beccato due condanne per violenza domestica. Ma non c’entra nulla con la morte di sua sorella. Sono andata a Gateshead, dove abita, e ci ho fatto quattro chiacchiere. La sera in cui Nel è morta, era a Manchester, in visita da suo figlio. Ha detto che non la vedeva da anni, ma quando ha letto la notizia sul giornale ha deciso di venire al funerale per porgerle l’estremo saluto. Sembrava davvero allibito che fossimo andati a parlare con lui.»
«Ha… ha fatto il mio nome? O quello di Lena?» La sua voce era poco più di un bisbiglio.
«No. Perché me lo chiede? È stato qui?» Ho ripensato all’esitazione con cui aveva aperto la porta, alla circospezione con cui aveva guardato alle mie spalle, come se temesse di veder sbucare qualcuno.
«No. O almeno, non credo. Non lo so.»
Non sono riuscita a strapparle altre informazioni al riguardo. Era chiaro che per qualche ragione aveva paura di lui, ma non voleva spiegarne il motivo. Non ero soddisfatta, però ho lasciato perdere, perché avevo un altro argomento sgradevole da sollevare.
«So che è un momento difficile,» le ho detto «ma temo che dovremo perquisire di nuovo la casa.»
Mi ha fissata, il terrore negli occhi. «Perché? Avete trovato qualcosa? Che è successo?»
Le ho raccontato delle pillole.
«Dio.» Ha chiuso gli occhi e abbassato la testa. Forse la stanchezza aveva attutito la sua capacità di reazione, ma non sembrava troppo turbata.
«Le ha comprate a novembre dello scorso anno, il 18, da un sito americano. Non abbiamo trovato traccia di altri acquisti, ma dobbiamo esserne sicuri e quindi…»
«Capisco. Certo.» Si è strofinata gli occhi con la punta delle dita.
«Manderemo un paio di agenti nel pomeriggio. Va bene per lei?»
Si è stretta nelle spalle. «Be’, se non potete farne a meno… Ma io… scusi, quando ha detto che le ha comprate?»
«Il 18 novembre» ho risposto, dopo aver ricontrollato gli appunti. «Perché?»
«È solo… è l’anniversario. Della morte di nostra madre. Sembra… non so… mi sembra strano.» Ha aggrottato la fronte. «Nel mi chiamava ogni anno, il 18 novembre, ma l’anno scorso non l’ha fatto. Poi ho scoperto che era stata ricoverata per un’appendicectomia d’urgenza. Mi stupisce che possa aver avuto il tempo di comprare delle pillole dimagranti mentre era in ospedale per un intervento. È sicura che fosse proprio il 18?»
Al ritorno in commissariato, ho verificato con il tizio della Scientifica. Non mi ero sbagliata sulla data.
«Forse le ha ordinate dal cellulare» ha suggerito Callie. «Ci si annoia così tanto in ospedale.»
Ma il tizio peloso ha scosso la testa. «No, ho controllato l’indirizzo IP: l’acquisto è stato fatto alle sedici e diciassette minuti, da un computer collegato al router del mulino. Quindi è stato qualcuno che si trovava dentro la casa, o nei paraggi. Sapete a che ora è arrivata in ospedale?»
Non lo sapevo, ma non era difficile scoprirlo. Nel Abbott era stata ricoverata nelle prime ore del 18 novembre per un’appendicectomia d’urgenza, come aveva detto la sorella. Era rimasta lì tutto il giorno e anche la notte successiva.
Non poteva essere stata Nel a comprare quelle pillole. Le aveva ordinate qualcun altro, con la sua carta di credito, dentro casa sua.
«Lena» ho detto a Sean. «Dev’essere stata lei.»
Lui ha annuito, rabbuiandosi. «Dobbiamo andare a parlarci.»
«Adesso?» gli ho chiesto, e lui ha annuito ancora.
«È il momento migliore, visto che ha appena perso la madre. Cristo, questa storia è un casino!»
E sarebbe diventata ancora più incasinata. Mentre uscivamo, ci ha raggiunti Callie, tutta agitata.
«Le impronte!» ha esclamato, quasi senza fiato. «Abbiamo trovato una corrispondenza! Cioè, non proprio, visto che non corrispondono a nessuno di quelli che si sono presentati spontaneamente, ma…»
«Ma?» l’ha incalzata Townsend.
«Qualcuno ha pensato di rilevare le impronte sul flacone delle pillole e confrontarle con quelle sulla videocamera, quella danneggiata, ricordate?»
«Certo che ce ne ricordiamo» ha replicato Sean.
«Bene: le impronte corrispondono. E, prima che me lo chiediate, non sono né di Nel Abbott né di Katie Whittaker. Qualcun altro ha toccato entrambi gli oggetti.»
«Louise» ha dedotto l’ispettore. «Non può che essere lei. Louise Whittaker.»